Giovedì 22 agosto 2013
“Sarebbe cosa buona, in quest’occasione di festa, domandarci quanto odorano le nostre vite del profumo della santità di Comboni? Quanto i nostri interessi sono incentrati sulla missione, quanto e in che modo abbiamo visto trasformata la nostra vita e migliorato il nostro impegno missionario?”, domanda P. Enrique Sánchez G., Superiore Generale, nel suo messaggio alla vigilia del decimo anniversario della canonizzazione (5 ottobre 2003) di San Daniele Comboni.

 

 

LA SANTITÀ DI COMBONI
SFIDA LA NOSTRA SANTITÀ

 

“La nostra vita, la vita del Missionario è un misto di dolore e godimenti, di affanni e speranze, di patimenti e conforti: si lavora colle mani, e colla testa, si viaggia coi piedi e colle piroghe; si studia, si suda, si soffre, si gode; ecco quanto che da noi vuole la Provvidenza”.


(Comboni, Scritti 314)

 

Siamo quasi alla vigilia del 10° anniversario della canonizzazione di San Daniele Comboni, nostro padre e fondatore, di cui abbiamo ereditato il carisma che ci permette di condividere nel presente la sua vita, la sua vocazione e la sua passione per i più poveri e abbandonati.

Si tratta di una data che ci ricorda la grazia della santità comboniana vissuta in primo luogo da Comboni e poi da tanti missionari comboniani, comboniane, secolari, laici e laiche che hanno seguito le sue orme e vivono oggi la missione come luogo dove si realizza il desiderio di Dio che vuole che tutti siano santi come lui è santo.

Credo che sia anche una buona occasione per soffermarci un momento per ringraziare del dono della santità di Comboni, che in questi anni ha conquistato molte persone che scoprono in lui un modello e un’ispirazione per vivere la spiritualità e la bellezza della vocazione missionaria.

Per noi che abbiamo fatto del suo carisma l’opzione della nostra vita è un momento speciale per domandarci fino a che punto la sua santità si è trasformata nel nostro itinerario personale di santità e come la sua santità ha trasformato le nostre vite, facendo di ognuno di noi autentici uomini e donne di Dio, consacrati interamente alla missione.

Certamente è un momento di gratitudine perché siamo testimoni e possiamo affermare con semplicità che Comboni continua a essere oggi non solamente un grande missionario che ispira e attrae molte persone coinvolte nella missione, ma anche un itinerario sperimentato di santità che può portare all’incontro con il Signore attraverso la consacrazione personale al servizio dell’annuncio del vangelo.

D’altra parte, per noi che ci riconosciamo eredi del suo carisma e continuatori della sua opera missionaria, questa celebrazione diventa un’opportunità che non possiamo lasciar passare senza chiederci come abbiamo vissuto il dono della santità del Comboni nel nostro servizio missionario, nella nostra esperienza di vita comunitaria, nella testimonianza di vita, nella radicalità e nella chiarezza delle nostre opzioni. Il Papa Francesco ci ha ricordato, non molto tempo fa, che i pastori devono essere impregnati dell’odore delle pecore. Sarebbe cosa buona, in quest’occasione di festa, domandarci quanto odorano le nostre vite del profumo della santità di Comboni? Quanto i nostri interessi sono incentrati sulla missione, quanto e in che modo abbiamo visto trasformata la nostra vita e migliorato il nostro impegno missionario?

Che cosa celebriamo in questo decimo anniversario?

Vogliamo celebrare la santità missionaria di un uomo che ha saputo aprire il suo cuore al progetto di Dio nella sua vita, lasciandosi trasformare in un instancabile lavoratore nella costruzione del Regno in mezzo a quelle persone che diventarono la passione della sua vita.

Celebriamo la santità, espressa e concretizzata attraverso la disponibilità alla volontà di Dio manifestata nella chiamata specifica a consacrare tutta la sua vita alla missione. “S’io abbandono l’idea di consacrarmi alle Missioni straniere, sono martire per tutta la vita d’un desiderio che cominciò nel mio spirito fa ben 14 anni, e sempre crebbe, a misura che conobbi l’altezza dell’apostolato.

S’io abbraccio l’idea delle Missioni, fo martiri due poveri genitori … Sennonché in mezzo a questo universale contrasto delle mie idee, trovo opportuno il progetto di fare gli esercizi, di consultare la Religione e Dio; e Egli, che è giusto e che governa ogni bene, saprà trarmi da questo impaccio, combinare ogni cosa e consolare i miei genitori, se mi chiama a dare la vita sotto il sigillo di questa Croce dell’Africa; oppure se non mi chiama saprà mettere tali ostacoli che mi sia impossibile la realizzazione de’ miei disegni (SS 6,7,9).

Ringraziamo per la santità che è disponibilità e fedeltà a un progetto che non risponde alle esigenze personali, ma che accetta di entrare nel mondo di Dio, convertendosi in un suo familiare, imparando a leggere la storia umana con gli occhi di Dio, per amarla come solamente Dio può farlo, con un cuore pieno di misericordia e di compassione.

Ricordiamo la santità di Comboni che si realizzerà solamente quando la sua intera vita sarà consegnata e consacrata a coloro che ha sempre considerato gli unici destinatari del suo amore: “Io ritorno fra voi per non mai più cessare di essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre … Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice de’ miei giorni sarà quello , in cui potrò dare la vita per voi (SS 3158-3159 – Omelia di Khartoum).

Riconosciamo la santità di Comboni come santità che si proietta e si riflette nel volto dei più poveri e abbandonati in cui si scopre la presenza del Signore che ci precede e ci aspetta in coloro cui siamo inviati come missionari. È la santità dell’evangelizzatore che santifica attraverso l’annuncio, mentre lui stesso si evangelizza e santifica nell’incontro con le persone in cui Dio lo precede e lo aspetta per rivelargli il suo volto.

Ringraziamo oggi la santità di Comboni che ha saputo, compreso e accettato che, come missionari, possiamo raggiungere la santità solamente quando si fa causa comune con le persone alle quali siamo inviati; quando non rifiutiamo il dolore e la sofferenza di tutti coloro che non contano o semplicemente non sono considerati dai parametri delle nostre società contemporanee. Quando con semplicità e umiltà ci impegniamo nella costruzione di un’umanità più giusta e rispettosa dei diritti di ognuno.

È la santità che si trasforma in impegno e che si paga di persona accettando di stare dove altri non accettano di rimanere perché si mette a rischio la propria vita. È la santità che ci obbliga a uscire da noi stessi, come prima esperienza missionaria che implica partire, lasciare le proprie sicurezze e ciò che ci gratifica e ci fa piacere; mettere in gioco la propria vita offrendola totalmente affinché altri possano accedere alla vita che solo Dio può offrire.

È la santità che implica il sacrificio di lasciare tutto, anche ciò che si ama e ciò a cui, in qualche modo, avremmo diritto, senza lamentarci e senza fare molto rumore affinché gli altri se ne accorgano.

Desideriamo celebrare la santità missionaria segnata dalla croce e dal sacrificio, ricordando che le opere di Dio, nell’esperienza di Comboni, nascono e crescono ai piedi della croce e che la vita del missionario non ha niente a che vedere con il benessere, il prestigio e la comodità che oggi appaiono come gli obiettivi dell’esistenza di tanti nel nostro mondo ammalato di protagonismo e di autoreferenzialità.

Santità che ci ricorda che siamo chiamati a convertirci in pietre nascoste nelle fondamenta dell’edificio, lontani dalla tentazione di voler apparire, lontani dai primi posti, dai riflettori potenti o dalle testate dei giornali. “Già vedo e comprendo che la croce mi è talmente amica, e mi è sempre sì vicina, che l'ho eletta da qualche tempo per mia Sposa indivisibile ed eterna. E colla croce per isposa diletta e maestra sapientissima di prudenza e sagacità, con Maria mia madre carissima, e con Gesù mio tutto, non temo, o E.mo Principe, né le procelle di Roma, né le tempeste d'Egitto, né i torbidi di Verona, né le nuvole di Lione e Parigi; e certo a passo lento e sicuro camminando sulle spine arriverò ad iniziare stabilmente e piantare l'Opera ideata della Rigenerazione della Nigrizia centrale, che tanti hanno abbandonata, e che è l'opera più difficile e scabrosa dell'apostolato cattolico. (S. 1710)

In una parola, la santità di Comboni ci sfida e ci provoca affinché non ci lasciamo afferrare dalle tentazioni del nostro tempo che pretendono di presentarci una missione “leggera” nella quale s’infiltra uno stile di vita borghese e refrattaria a tutto quello che implica radicalità, sacrificio e offerta di sé senza condizioni.

Contemplando Comboni, scopriamo in lui il santo che ha saputo orientare tutto il suo cuore a una sola passione: la missione, che ha vissuto questa passione in una relazione profonda con il Signore attraverso un’esperienza di preghiera continua in cui sperimentava la consapevolezza di stare nelle mani di Dio; ciò gli permise di confidare sempre e in ogni circostanza.

Desideriamo celebrare la santità che nasce e cresce nell’incontro personale, perseverante, quotidiano con il Signore che ci invita a condividere la sua missione, a vivere la sua esperienza di costruttore del Regno, a far nostro il suo stile di vita che si converte in testimonianza della presenza del Padre nella nostra vita.

Santità missionaria

Con San Daniele Comboni vogliamo celebrare la santità missionaria caratterizzata dall’impegno totale nell’annuncio del Vangelo a tutte le persone del nostro tempo e in modo particolare ai più poveri e abbandonati perché primi destinatari del Vangelo.

Desideriamo celebrare la santità che ci parla di festa e di allegria, di speranza e di fiducia, di semplicità e di spontaneità, di accoglienza e di amore senza limiti, come frutto della Parola seminata con generosità nel cuore umano. È santità che ci ricorda che, come missionari, siamo uomini e donne destinati a convertirci in testimoni che annunciano un futuro che non può essere oscuro e minaccioso perché è il domani che Dio ci sta preparando. È santità che ci invita a leggere la storia, a tutti i livelli, con uno sguardo di fede che non ci permette di allontanarci o di ignorare i drammi che vivono i nostri contemporanei. Per questo, è la santità che si raggiunge attraverso l’impegno solidale, la coerenza di vita, la spiritualità solida vissuta nelle piccole occasioni della vita e nelle grandi decisioni che definiscono la nostra esistenza per sempre.

Con san Daniele Comboni, vogliamo vivere la santità missionaria come esperienza che implica una disponibilità grande alla conversione continua che ci permetta di riconoscere chi è l’autentico protagonista della missione. Conversione che apre all’ospitalità, alla generosità, alla gioia di poter condividere quello che siamo trasformandoci in fratelli, in padri e madri delle persone a cui siamo inviati.

Condividere la santità di Comboni significa accettare un itinerario che conduce per cammini contrassegnati dalla croce: questa implica la rinuncia a tutto, il sacrificio, la solitudine, andare contro corrente, seguire una logica che non è quella del mondo. Si tratta di entrare con umiltà nella logica di Dio che è grazia, offerta di sé, accoglienza sempre pronta, servizio senza distinzioni: in una parola, amore che si lascia sacrificare sulla croce per vincere la morte e perché tutti abbiano vita in Lui.

Comboni santo è capace di formulare tutta questa esperienza dicendo, con la semplicità delle parole, ma ancor più con il silenzio della sua consacrazione alla missione, che: “Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della croce”.

La conclusione sembra essere ovvia, non c’è santità missionaria comboniana che non passi per il cammino della croce.

Come figli e figlie di san Daniele Comboni sappiamo di essere chiamati a lavorare con entusiasmo perché il Vangelo e la Parola di Vita, che si è fatta uno di noi nella persona di Gesù, incontrino uno spazio nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Vivendo o cercando ogni giorno di fare nostra la santità di Comboni, desideriamo continuare con la sua opera evangelizzatrice consacrando tutte le nostre energie, le nostre capacità, la vita intera, con la speranza di poter fare un giorno nostra l’esperienza che gli permise di dire senza tentennamenti: “Africa o morte”, esprimendo in questo modo il suo totale abbandono alla volontà di Dio nella sua vita.

Santità missionaria che ci obbliga a rinunciare a noi stessi per permettere al Signore che si manifesti attraverso la nostra vita, trasformandoci in testimoni che annunciano la venuta del Regno più con la nostra vita che con le nostre predicazioni, discorsi e parole. È la santità che si vive nella gioia di poter offrire l’unica cosa che possediamo: tutta la nostra vita.

Dieci anni dopo

Dieci anni fa, alla vigilia della celebrazione della canonizzazione, nella lettera dei tre Consigli Generali degli Istituti Comboniani si sottolineava il significato dell’avvenimento della canonizzazione e si affermava: “Possiamo dire che questo momento è stato accolto nella nostra Famiglia Comboniana con gioia e speranza, perché è stato letto come un messaggio che Dio ci invia e che deve essere comunque decifrato. Frasi colte sulla bocca di Comboniani e Comboniane ci indicano sensazioni e aspettative: Momento favorevole per ‘riascoltare’ il Comboni. Opportunità per riappropriarci delle nostre radici, di ciò che è essenziale e ciò che conta, cioè essere santi e capaci. … Appello a una trasformazione personale e comunitaria, in armonia con la testimonianza di santità del Fondatore. Occasione per focalizzare meglio gli obiettivi della nostra missione ad gentes e momento per rivitalizzare l’animazione missionaria delle Chiese in cui operiamo…” (Daniele Comboni, Testimonio di santità e maestro di missione – Bulletin 220).

Nel far memoria oggi di questo evento certamente ci viene spontaneo domandarci: Che cosa ha suscitato nelle nostre vite, nelle nostre comunità, nei nostri Istituti? Quando siamo cresciuti in questa santità che, in qualche modo, ci tocca molto da vicino in quanto eredi del carisma di San Daniele Comboni? Questi dieci anni dalla canonizzazione di Comboni hanno segnato in modo significativo le nostre vite? Ci scopriamo oggi più santi e capaci, più uomini e donne di Dio, consacrati senza riserve alla missione?

Abbiamo fatto di questi dieci anni un momento favorevole, come si desiderava, per crescere nel nostro senso di appartenenza al carisma comboniano? Abbiamo fatto nostre le virtù, lo zelo missionario, la radicalità di vita che hanno meritato il riconoscimento della santità al nostro fondatore?

Le nostre comunità sono autentici cenacoli di vita spirituale, di vita comunitaria e fraterna, dove Cristo è al centro dei nostri interessi e delle nostre opzioni? La nostra vita parlano agli altri della santità che non ha nulla a che vedere con la pratica di vuoti spiritualismi, né con i discorsi ideologici, allergici a tutto quello che ci obbliga a presentarci come persone consacrate?

Cosa abbiamo fatto della santità del Comboni che la Chiesa ha voluto porre come modello a tutta la Chiesa, ricordando che la missione vissuta come lui lo ha fatto è cammino sicuro di santificazione? La celebrazione di questo decimo anniversario non potrebbe essere, e così ci piacerebbe che fosse, un’occasione per dare finalmente un impulso di qualità alle nostre vite, per continuare a crescere nell’esperienza di santità che tanti nostri fratelli e sorelle hanno dimostrato possibile con la testimonianza della loro vita?

Mi fa piacere e mi ha incoraggiato il poter dire che, grazie a Dio, la santità di Comboni ha superato i confini dei nostri Istituti e che oggi, andando per il mondo, incontriamo ogni giorno di più persone che vivono la santità di Comboni, riconoscendolo come modello di discepolo, come grande missionario e come esempio straordinario per scoprire il Signore nei cammini della missione.

Spero e desidero che la celebrazione di questo decimo anniversario possa essere per tutti noi molto più di un momento di festa che arriva e svanisce nell’abitudine della nostra vita ma che si trasformi in un momento di grazia per aprirci al dono della santità che abbiamo in casa.

Con i miei migliori auguri di un felice anniversario.
Roma, 15 agosto 2013
P. Enrique Sánchez G. Mccj
Superiore Generale


“La croce è il vero unico conforto, perché è l'impronta dell'Opera di Dio”,
San Daniele Comboni (Scritti 5559).