Lunedì 3 febbraio 2020
Emirati Arabi Uniti a febbraio, Marocco a marzo, Thailandia e Giappone a novembre: tre delle sette visite internazionali compiute da Papa Francesco nel 2019 hanno fatto tappa in paesi in cui la Chiesa cattolica è minoritaria. Prende le mosse da questa considerazione il cardinale presidente Miguel Ángel Ayuso Guixot nel tracciare un bilancio delle attività del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso nell’anno che si è appena concluso. (…)

Intervista al cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot
Un anno di fraternità

Emirati Arabi Uniti a febbraio, Marocco a marzo, Thailandia e Giappone a novembre: tre delle sette visite internazionali compiute da Papa Francesco nel 2019 hanno fatto tappa in paesi in cui la Chiesa cattolica è minoritaria. Prende le mosse da questa considerazione il cardinale presidente Miguel Ángel Ayuso Guixot nel tracciare un bilancio delle attività del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso nell’anno che si è appena concluso: “viaggi della fratellanza” li definisce con riferimento al magistero itinerante del Pontefice e in particolare alla visita conclusasi con la storica «Dichiarazione di Abu Dhabi» di cui il 4 febbraio ricorre il primo anniversario. Dei tre viaggi il missionario comboniano spagnolo è stato testimone privilegiato partecipandovi nel seguito papale dapprima come vescovo e nell’ultimo da cardinale avendo ricevuto la porpora nel concistoro di ottobre.

P. Tesfaye Tadesse, superiore generale dei Missionari Comboniani; Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot; e P. Ramón Eguíluz Eguíluz, comboniano. 

Cominciamo proprio dal «Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune» firmato dal vescovo di Roma e dal Grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, nella capitale emiratina. Quanto è importante oggi questo testo per il dialogo tra cristiani e musulmani?

Direi che è fondamentale e che segna uno spartiacque: il fatto che il capo della Chiesa cattolica e il leader della principale istituzione accademica sunnita del Cairo abbiano sottoscritto una dichiarazione comune d’intenti con il patrocinio del principe ereditario di Abu Dhabi costituisce una pietra miliare nel campo del cammino del dialogo, soprattutto in un’epoca caratterizzata da estremismi e fondamentalismi di matrice religiosa. Si tratta di tempi difficili e serve un percorso comune verso la verità tenendo conto dell’identità di chi dialoga, senza ambiguità; perché chi prega e pensa in maniera diversa non può mai essere un nemico.

Dal Documento è presto scaturito un Comitato superiore per la sua attuazione. A che punto è il lavoro di questa nuova realtà?

È in continua evoluzione: dalla costituzione nell’agosto scorso ad oggi, il Comitato superiore per raggiungere gli obiettivi contenuti nella Dichiarazione ha già tenuto diversi incontri di livello internazionale. Il primo, in Vaticano, si è svolto significativamente l’11 settembre. La Sede apostolica vi è rappresentata da me e da monsignor Yoannis Lahzi Gaid, della segreteria particolare del Santo Padre. Al-Azhar vi partecipa con il suo responsabile, il professor Mohamed Husin Abdelaziz Hassan, e con Mohamed Mahmoud Abdel Salam, giudice ed ex consigliere del Grande imam. Per gli Emirati Arabi Uniti ci sono Mohamed Khalifa Al Mubarak, chairman di Abu Dhabi Culture, Yasser Saeed Abdulla Hareb Almuhairi, scrittore e giornalista, e Sultan Faisal Al Khalifa Alremeithi, segretario generale dei Muslim Elders. Nella circostanza io sono stato nominato presidente e Abdel Salam segretario. Tra i momenti più significativi di quella riunione ricordo che abbiamo ricevuto il saluto del Papa e del sostituto della Segreteria di Stato, e che essa si è conclusa con una preghiera, ciascuno secondo la propria fede, per le vittime dell’11 settembre 2001 e di ogni atto di terrorismo.

Per questo avete scelto New York per il secondo appuntamento?

È stata una decisione quasi naturale, anche perché nel frattempo nel Comitato era stato annoverato un ottavo membro: M. Bruce Lustig, rabbino senior della Congregazione ebraica di Washington. Dunque ora abbiamo rappresentate le grandi religioni monoteiste. Inoltre nel corso dell’appuntamento newyorchese è stato svelato il modello del progetto architettonico per la costruzione della “Casa della famiglia abramitica” che incarna gli ideali del «Documento sulla fratellanza umana» attraverso l’edificazione di una chiesa, di una moschea e di una sinagoga ad Abu Dhabi: diversi luoghi di culto uniti tra loro dalle fondamenta uniche intorno a un giardino, immagine che ha un significato importante per ciascuna delle tre religioni.

Può anticiparci altre iniziative in cantiere?

La più attesa è quello riguardante l’intenzione di proclamare il 4 febbraio Giornata mondiale della fratellanza da parte dell’Onu. Si tratta di una proposta di Papa Francesco che lo scorso 4 dicembre abbiamo consegnato al segretario generale. António Guterres ha manifestato apprezzamento e disponibilità designando il suo “Special adviser for Hate speech and the Prevention of genocide” Adama Dieng rappresentante del Palazzo di Vetro per seguire le attività proposte e collaborare con il Comitato superiore. Nel quale da ultimo è entrata a far parte anche una donna: la bulgara Irina Bokova, già direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco). Infine, per completare questa retrospettiva non può mancare un riferimento all’America latina: a novembre il Pontefice ha ricevuto in Vaticano i partecipanti a un incontro sulla «Dichiarazione di Abu Dhabi», organizzato dall’Instituto de diálogo interreligioso di Buenos Aires, ospitato dalla Curia generalizia della Compagnia di Gesù, su impulso dell’ambasciata di Argentina presso la Santa Sede, e con il patrocinio del nostro Pontificio consiglio.

Sempre riguardo ai rapporti con l’islam, come procede la collaborazione con il King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue (Kaiciid) di Vienna?

Io vi rappresento la Santa Sede presso il Consiglio delle parti, svolgendo anche la funzione di Founding Observer. A fine ottobre vi ho tenuto una relazione proprio sul tema della fratellanza umana, collegandolo con quello dei lavori: «Il potere delle parole. Il ruolo della religione, dei media e della politica nella lotta contro l’odio». A tale proposito vorrei ricordare, anche per questioni di scottante attualità, la visita compiuta nella capitale dell’Iran a novembre per l’undicesimo colloquio fra il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e il Center for interreligious dialogue dell’Islamic culture and relations Organization (Icro) di Teheran.

Torniamo ai “viaggi della fratellanza” di Papa Francesco. Qual è stato il momento più emblematico di quello in Marocco?

Direi l’appello lanciato congiuntamente dal Pontefice e dal re Mohammed VI su Gerusalemme, città santa e luogo di incontro: un auspicio di pace per il tormentato Medio oriente. Ma non dimenticherò mai neanche i vari appuntamenti vissuti a Rabat, capitale di questo regno che ha un ruolo centrale nel dialogo del mondo cattolico con i musulmani. Del resto, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil il Papa ha visitato in meno di sessanta giorni due Paesi in cui l’islam è fortemente maggioritario. E in entrambi abbiamo potuto notare i passi verso la modernità e il rinnovamento della comunità musulmana attraverso le strutture istituzionali, accademiche e di pensiero.

Basti pensare ai passi in avanti fatti nella nazione marocchina per l’emancipazione femminile, come il codice di famiglia, la mudawwana, che dal 2004 ha quasi completamente eliminato gli ostacoli alla parità di genere.

Infine a novembre c’è stato il lungo pellegrinaggio in Asia, al quale lei ha partecipato come agli altri due, ma in una veste diversa...

Come presidente, perché nel frattempo Papa Francesco ha deciso di nominarmi successore dell’indimenticato cardinale Jean-Louis Tauran alla guida del dicastero, e di crearmi cardinale nel concistoro di ottobre. È evidente il desiderio del Santo Padre — espresso anche dalla nomina a segretario di monsignor Indunil Kodithuwakku, già sottosegretario — di voler dare continuità al lavoro del dicastero.

Il viaggio apostolico è stato ricco di esperienze e incontri sia in Thailandia sia in Giappone dove, anche se la Chiesa cattolica è un piccolo gregge, si respira un’aria di rispetto e di amicizia, come desiderato dal Santo Padre, fra le varie componenti di quelle società nonché fra le diverse religioni. La visita del Pontefice in Thailandia e in Giappone ha, pertanto, contribuito a intensificare i rapporti fra rappresentanti delle varie religioni e cattolici, perché possano progredire nella reciproca conoscenza e nella stima delle rispettive tradizioni spirituali, e possano essere nel mondo testimoni dei valori della giustizia, della pace e della fraternità umana.

Per quanto riguarda invece l’attività ordinaria del Pontificio consiglio, quali sono stati gli appuntamenti di maggior impatto?

Diciamo che per tradizione l’anno inizia con un incontro con l’Ufficio del dialogo interreligioso e della cooperazione (Irdc) del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc). Ne è scaturito un documento congiunto che a maggio a Ginevra è stato presentato con il titolo «Educazione alla pace in un mondo multireligioso: una prospettiva cristiana». Molti sono stati gli incontri organizzati per riflettere sul «Documento sulla fratellanza umana per la per la pace mondiale e la convivenza comune». Ricordo qui un seminario svoltosi a giugno alla Pontificia università Urbaniana per iniziativa dall’ambasciatore indonesiano Agus Sriyono, coordinatore dei diplomatici asiatici accreditati presso la Santa Sede, sulle prospettive del dialogo interreligioso nel continente, cui hanno partecipato anche relatori di fede islamica e buddista. Nell’occasione il verbita Markus Solo, officiale del dicastero, ha letto un intervento a mio nome. Nello stesso mese mi sono recato personalmente a Singapore per una conferenza internazionale sul «Ruolo della fede nel forgiare l’armonia sociale nelle società pluralistiche». Tra le autorevoli relazioni presentate, quelle del capo della città-stato organizzatrice, la presidente Halimah Yacob, e del re Abdullah II di Giordania. Infine a ottobre è stata Roma il cuore pulsante di varie attività: anzitutto abbiamo ricevuto i membri della Conferenza episcopale regionale del Nord Africa (Cerna) a conclusione dell’assemblea svoltasi nell’Urbe; quindi abbiamo organizzato una giornata di studio per il centocinquantesimo anniversario della nascita di Gandhi; e sempre con lo sguardo rivolto all’Asia, un importante contributo per approfondire la conoscenza reciproca, che porta a valorizzare le ricchezze delle diverse tradizioni di fede, è stato conseguito con la conferenza interreligiosa tenutasi in occasione del 550° anniversario di Sri Guru Nanak Dev Ji, fondatore del sikhismo. Per quanto riguarda il buddhismo e il taoismo si è lavorato all’organizzazione di colloqui che si terranno nel 2020. Come sempre il dicastero ha accolto in visita numerosi gruppi di buddhisti che spesso abbiamo anche accompagnato all’udienza generale del mercoledì. Ho avuto modo di partecipare all’importante cerimonia di sottoscrizione della dichiarazione sul fine vita firmata in Vaticano da rappresentanti delle religioni abramitiche e la cui stesura è stata curata dalla Pontificia accademia per la vita.

Il Pontefice ha anche visitato una mostra dedicata al cardinale Tauran. Che ricordi conserva del suo predecessore?

È passato un anno e mezzo dalla sua morte e la sua è una mancanza che avvertiamo con rammarico. Specie negli ultimi tempi, quando il peso della malattia è stato maggiore, noi siamo stati un po’ la sua famiglia romana, creando con lui legami andati ben oltre il normale disbrigo del lavoro d’ufficio.

Tra le forme tradizionali di dialogo utilizzate dal dicastero ci sono i messaggi inviati in occasione delle principali feste delle altre religioni. Che significato hanno?

Sono gesti di cortesia, di condivisione della gioia con i fedeli di varie parti del mondo. Come quello che da oltre cinquant’anni indirizziamo ai musulmani nel mese del Ramadan, incentrato nel 2019 — e non poteva essere diversamente — sulla fratellanza umana. «Buddisti e cristiani: promuoviamo la dignità e l’uguaglianza di diritti delle donne e delle ragazze» è invece l’auspicio per la festa di Vesakh/Hanamatsuri, durante la quale vengono commemorati i principali avvenimenti della vita di Buddha.

Infine, «Credenti: costruttori di fraternità e di coesistenza pacifica» è stato il tema del testo inviato agli induisti in occasione del Deepavali. Alla comunità sikh, in occasione del Guru Nanak Prakash Divas, abbiamo inviato un messaggio su: «Cristiani e sikhs: promuovere insieme la fraternità umana»; mentre agli aderenti allo shintoismo abbiamo scritto sul tema: «Cristiani e seguaci dello shintoismo insieme: promuovere ogni vita».
[Gianluca Biccini – L’Osservatore Romano]

In un libro la mostra dedicata a Tauran

(Foto Vatican Media/SIR)

«Strumenti per aprire sentieri di pace, richiamare diritti, e fare della persona il centro di ogni azione e di ogni progetto educativo»: fu Papa Francesco a definire così i dipinti di Othman Alkhuzaiem inaugurando il 31 ottobre scorso, nell’atrio della Pontificia università Lateranense, la mostra dell’artista saudita dedicata al cardinale Jean-Louis Tauran (1943-2018) «Calligrafia per il dialogo: promuovere la cultura di pace attraverso la cultura e l’arte». Uno dei frutti più recenti dell’iniziativa, promossa dall’Unesco, dall’Università per la pace delle Nazioni Unite e dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (Pcdi), è la pubblicazione di un volumetto di 56 pagine a cura di Marco Cardinali. Edito da Lateran University Press, corredato da numerose immagini a colori, è articolato in due sezioni. La prima riguarda l’evento inaugurale e riporta i testi — tutti in doppia versione sia italiana sia inglese — degli intervenuti: tra questi il Pontefice, il rettore dell’ateneo Buonomo e i cardinali De Donatis, vicario diRoma, e Ayuso Guixot, successore di Tauran alla guida del Pcdi. La seconda parte contiene il catalogo delle opere (nella foto La chiave del paradiso) in cui l’alfabeto arabo è dipinto in diversi colori e stili. [L’Osservatore Romano, domenica 2 febbraio 2020, p. 8]

Arte e dialogo:
Pontificia Università Lateranense,
pubblicato il catalogo sulla mostra in memoria del card. Tauran

Le ventuno immagini che riproducono i dipinti dell’artista saudita Othman Khuzaim, esposti alla Pontificia Università Lateranense per la mostra “Calligraphy for Dialogue” in memoria del card. Jean Louis Tauran e inaugurata da Papa Francesco, sono raccolte nel catalogo pubblicato a cura di Marco Cardinali. Il volume ripercorre con testi, in italiano e in inglese, e immagini quel 31 ottobre 2019, giorno della visita del Pontefice. Vengono proposti, tra gli altri, il discorso di Francesco, il saluto del vicario del Papa per la diocesi di Roma, il card. Angelo De Donatis, l’intervento del rettore, Vincenzo Buonomo, sul “dialogo, metodo per le relazioni umane” e del presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, card. Miguel Angel Ayuso Guixot. Del predecessore di quest’ultimo, il card. Tauran, è riportata una biografia e anche un suo pensiero. “Non c’è dubbio che la calligrafia araba abbia uno speciale fascino intrinseco, con le sue composizioni piacevoli e i suoi molteplici tipi di segno – si legge nella dichiarazione del pittore riportata sul catalogo -. La calligrafia è il ricordo del tempo, testimone della vita dell’essere umano, poiché è l’attestazione del gusto e della bellezza: è espressione della società. Abbiamo il diritto di godere della grazia della calligrafia, indipendentemente dalla lingua parlata, scindendola dai significati”. [SIR]