In Pace Christi

Federici Giuseppe

Federici Giuseppe
Data de nascimento : 19/05/1897
Local de nascimento : Solato BS/I
Votos temporários : 01/11/1922
Votos perpétuos : 01/11/1925
Data da morte : 30/10/1978
Local da morte : Kalongo/UG

Fr. Federici partì in silenzio, qua­si in punta di piedi, come era sem­pre vissuto. Nel Bollettino della Con­gregazione il suo nome finora è ap­parso solo due volte: al suo arrivo a Torit (Sudan) e in occasione di una sua partenza per gli Esercizi an­nuali. Non fu solo dimenticanza da parte dei confratelli né sfuggì all'at­tenzione per la sua bassa statura (1,49), ma per una sua deliberata ricerca degli uffici umili di casa.

Il 28 settembre 1920, come egli scrisse nel diario del noviziato, si presentò a Savona; il 13 novembre il Padre Maestro, P. Bertenghi, che era del comune vicino al suo, gli fece fare la vestizione religiosa; presto venne una richiesta da Thiene per avere Fr. Federici come istruttore di calzoleria, e così passò la maggior parte dei due anni di noviziato a Thiene. Due mesi prima della pro­fessione rientrò in noviziato, nel frattempo trasferito a Venegono. Il giorno dopo la professione (emessa il 10 novembre 1922) era di nuovo a Thiene e vi rimase fino all'otto­bre 1931. Aveva 34 anni e doveva aver pestato i piedi per andare in Africa. Il nuovo Superiore Generale, P. Simoncelli, non tardò ad esaudire il desiderio. Alla fine di novembre era a Torit, nel Sudan meridionale.

In Sudan

Niente di straordinario, di rilevan­te: Fr. Federici fece esattamente quello che si aspettava da un bravo calzolaio come lui, insegnando anche agli africani il suo mestiere.

Nel 1939 venne in Italia per le vacanze e fu bloccato dalla guerra, naturalmente a Thiene. Appena pos­sibile, all'inizio del 1946 ritornò a Torit, alla scuola di arti e mestieri.

In questo secondo periodo in mis­sione oltre a provvedersi di strumen­ti idonei, si rese disponibile anche per altre attività, pur non avendo mai fama di costruttore, meccanico o falegname; si accorse che nelle piccole missioni bisognava essere di aiuto al sacerdote col rimediare a tante piccole necessità, dall'orto alla sagrestia, dalle macchine alla cucina. Per questo nelle successive relazio­ni scriverà: «addetto alla stazione» oppure «casa e chiesa».

«Uno dei migliori giovani della parrocchia» aveva scritto il parroco nel settembre 1920 nel raccomandar­lo al Maestro dei novizi. Il giudizio dei confratelli e dei superiori si man­tenne sempre positivo. Nella sua ma­turità si ammirava, come virtù par­ticolare, la sua pietà e osservanza dell'orario, insieme con la sua adat­tabilità; non mancava però qualche sprizzo di umanità, una certa foco­sità che si esprimeva in qualche os­servazione frizzante di critica, ben presto controllata. Una di queste cri­tiche la riservò al Superiore Generale in uno dei pochissimi scritti di lui conservati. Dopo la sua espulsione dal Sudan nel 1964, Fr. Federici, che andava per i 70, non tardò a richie­dere con insistenza di essere mandato in missione. Il Superiore Generale gli rispose di attendere e ripresenta­re la sua richiesta un anno dopo. Più tardi il Fratello venne a sapere che il Superiore Generale aveva com­mentato la sua domanda con un «Co­sa vuole andare ancora in missione quel vecchietto?», che Fr. Giuseppe trovò «sleale». Comunque una sera di maggio nel recitare il rosario davanti alla grotta della Madonna, aveva sentito una gran pace perché la Madonna gli aveva ispirato la fi­ducia che sarebbe tornato in Africa.

Dal 1964 all'ultima partenza per l'Africa nel 1970 (67-73 anni) fu portinaio a Thiene e a Verona. Que­sto compito gli deve essere costato parecchio perché aveva anche diffi­coltà di udito. Così alcuni messaggi telefonici storpiati: «verdura» diven­tava «vettura», «barbiere» «panet­tiere» e così via. Naturalmente i confratelli più giovani cercavano an­che di comprendere, ma non riusci­vano sempre a nascondere un sorri­so o uno scatto d'impazienza. Il Fra­tello reagiva sempre sorridendo, qua­si a dire: «Diventerai vecchio anche tu!». Nelle ore morte della porti­neria amava intrattenersi coi giovani sulle sue esperienze missionarie o con i poveri, per i quali rispolverava talvolta il suo mestiere di calzolaio.

In Uganda

Nell'agosto 1970 era di nuovo in missione, questa volta in Uganda per rispondere all'invito di Mons. Mazzoldi, suo antico superiore e ve­scovo; ormai non valeva più come capo-calzolaio e per le lingue (sia l'inglese che il karimojon) poteva scarsamente difendersi, ma la sua presenza, la sua compagnia, la sua sorveglianza della casa e dei lavori veniva apprezzata, come avviene per i genitori anziani, specie nelle picco­le e abbandonate missioni del Ka­ramoja.

In Sudan aveva passato la maggior parte del suo tempo nella scuola tecnica di Torit, ma aveva trascorso dei periodi anche a Loa e Kadulé. In Uganda fu soprattutto a Loren­gedwat. Per alcuni mesi trepidò per il timore che il suo permesso di re­sidenza in Uganda non venisse rin­novato dal governo del generale Amin, ma gli venne presto un per­messo per cinque anni quando si fe­ce notare che senza di lui la stazio­ne sarebbe stata chiusa: il governo ritenne che la presenza dei missiona­ri in quella zona sottosviluppata do­vesse essere mantenuta.

Passò qualche tempo a Kotido con P. Delpero, col quale fece l'ultima giornata missionaria prima del ritor­no in Uganda (il Padre morì pochi giorni dopo per un infarto) e lasciò poi il Karamoja solo quando proprio era alla fine. Morì nell'ospedale di Kalongo, affettuosamente assistito dai confratelli.

Come suo testamento spirituale possiamo prendere una «ricetta della salute» che egli si era ricopiata da qualche libro e che conservò tra i suoi pochi manoscritti: «Prendi ra­dici di fede viva, foglie verdi di spe­ranza, violette di umiltà e mirra di mortificazione; mesci con prudenza nel vaso dell'orazione e fa, bollito che sia nell'acqua di lacrime di con­trizione, al fuoco del divino amore [sic]; prendine ogni giorno una buo­na dose nella tazza della divina ras­segnazione, secondo la dieta del si­lenzio e conseguirai sicuramente la vita eterna» (A cura del Dott. Sal­vati, della farmacia del Vangelo di Cristo, in via S. Croce).

Da Bollettino n. 124, aprile 1979, pp. 75-76