Un aspetto inedito della spiritualità di Daniele Comboni
(Articolo pubblicato sull'Osservatore Romano)

Introduzione

Nel clima generale di vacanze che stiamo vivendo un pó tutti, la voce del Maestro risuona ancora più invitante e suadente del solito:”Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò ”(Mc. 6, 31). Impossibile resisterGli. Eccoci dunque a percorrere insieme un viaggio immaginario in Africa, avendo come guida esperta nientemeno che Daniele Comboni.
Tra le svariate possibilità che possono aiutarci a rilassarci e a ritrovare un equilibrio che è andato usurandosi nell’arco dell’anno in corso, per gli impegni di varia natura cui siamo stati sollecitati a far fronte, il contatto con la natura è certamente il più benefico e salutare. Contemplare con occhi ancora capaci di stupore la natura, ci aiuta a riconciliarci con le umili realtà d’ogni giorno, che vanno dal semplice avvicendarsi del giorno e della notte, alla varietà di luci soffuse e quasi irreali, a una miriade di colori iridescenti, fino all’armonia coinvolgente dei suoni e agli austeri panorami delle montagne incombenti o dei boschi fasciati di pregnante silenzio.
Comboni inizia a condividere con noi l’esperienza d’una realtà con la quale siamo tutti famigliari, specialmente in queste calde notti d’estate:”La notte era incantevole, splendeva argentea nel cielo la luna e vi scintillavano una miriade di stelle.” (Scritti, 4866) Da parte sua la Bibbia non cessa d’invitarci a lodare Dio nelle Sue creature, messaggere umili e discrete della Sua gloria:”Lodate il Signore nel firmamento della sua potenza” (Sal. 150, 1).
Ciascuno di noi, fin dai banchi di scuola, è famigliare con il “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi, vero capolavoro della preghiera di tutti i tempi, o con il Cantico di Daniele che preghiamo alternativamente la 1° e la 3° Domenica della settimana, alla preghiera mattutina delle Lodi, nella Liturgia delle Ore della Chiesa Latina (cf. Dn 3, 57-88).

Comboni pioniere dell’ecologia

Desta non poca sorpresa imbattersi in espressioni che, se sono normali e quasi scontate nei grandi oranti d’Israele (Abramo, Mosé, i Profeti, il Re Davide,…), nei contemplativi del cristianesimo o in quelli delle altre grandi religioni, non lo sono affatto in uomini o donne d’azione come i missionari, persone rotte a tutte le fatiche per dilatare il Regno di Dio. Ma sentiamo Comboni stesso in una delle innumerevoli descrizioni della maestosa e straripante natura africana:”(…) ecco che la nostra barca entra maestosa nel Bahr al-Abyad, che s’apre dinanzi a noi in tutta la sua maestà e bellezza. (…) noi godiamo d’una natura abbandonata a se stessa, e non mai frenata né imbastardita dalla mano dell’uomo. Le sponde del fiume sono coperte d’una potente e rigogliosa vegetazione che per lungo tratto sembra un Eden incantato: gruppi di centinaia d’ isolette sparse per circa 200 miglia lungo il fiume tutte rivestite di verde smalto, offrono l’aspetto di amenissimi giardini. Boscaglie vergini e selve impenetrabili di gigantesche mimose, di spinose acacie, di papiri, di tamarindi ed altri alberi foltissimi d’ogni grandezza, stendendosi per ragguardevole distanza entro terra ad occidente ed oriente, ed offrono il più sicuro ricovero a migliaia d’antilopi, di gazzelle, di giraffe, leoni ed altre fiere silvestri, che passeggiano e vagano senza timore quei recessi inviolati non mai segnati da umana orma. Immense torme di volatili d’ogni specie, grandezza e colore, svolazzano liberamente per quelle fronde, empiendo l’aria di sguaiati e tuttavia piacevoli canti: gli ibis, l’aquile reali, l’anitre selvatiche,(…) i pappagalli dalle piume d’oro, pellicani, ecc…camminano e volano lungo le sponde a torme di migliaia e facilmente da lungi si confondono con le scimmie che vanno su e giù dagli alberi, vengono ad abbeverarsi nel fiume e fanno smorfie al nostro passaggio. A questo spettacolo poi s’aggiunge il fragoroso muggire di centinaia di migliaia d’ippopotami che alzano dall’acqua la testa mostruosa sbuffando, e spesse volte col loro dorso sconquassano la barca, mentre nell’isole si vedono a torme sdraiati i coccodrilli, che al nostro passaggio l’un dopo l’altro strisciando, si rifuggon nell’acqua.(…) Gli ippopotami nuotano attruppati a centinaia, a migliaia ed al nostro passaggio si tuffano nell’onde.” (Scritti, 325-328; si vedano anche: 352;1226; 4549-4550). Ma segue un’annotazione che per noi fa tutta la differenza:“Quello fu un argomento da magnificare la grandezza di Dio, che con tanta sapienza e potenza pensa anche a quegli animali.”(Scritti, 288). Comboni celebrando la perpetua assistenza del Creatore alle sue creature, dimostra di aver colto lo spirito di lode e di rendimento di grazie dei Salmi:”Ogni vivente dia lode al Signore” (Sal. 150, 5; cf. anche Ap. 5,13). L’osservazione della bellezza della natura, per lui, rappresenta un fermento di contemplazione, di preghiera e costituisce un ulteriore elemento di amore e di attaccamento a questo continente pieno di fascino accattivante e di pregnante mistero.
Partendo da una natura africana incontaminata, Comboni s’innalza senza forzature verso la celebrazione delle grandezze del creato e si conclude con una specie di professione di fede nella bontà del Creatore. Pronto a un ascolto di Dio oltre i limiti della ragione, in un silenzio di adorazione e in una conformità di volere con Colui che è somma sapienza e amore. Proprio per questo motivo non si può tacciare Comboni di tendere a un naturalismo panteista. Comboni non naturalizza lo spirito, ma spiritualizza la natura. Lo stesso desiderio che lo spinge incontro a realtà particolarmente attraenti, allo stesso tempo lo distacca, andando al di là d’esse, fino a giungere a quell’Assoluto che amorevolmente le ha create e le sostiene nell’essere. Per Comboni la natura nel suo insieme è il tempio di Dio, di cui egli riesce a cogliere l’armonia e a interpretare il fascinoso mistero.
Per lui la natura è veicolo di grata memoria, gioia irrefrenabile, stupefatta ammirazione, preghiera spontanea… Nella bellezza incontaminata dell’opulenta natura africana egli contempla le orme indelebili che Dio ha lasciato impresse nelle sue meravigliose creature. La sua sorpresa davanti al creato è una specie di turbamento adorante davanti a un mistero inafferrabile che lo supera. Questo particolare atteggiamento interiore di Comboni lo abilita a percepire la sacralità delle cose e così passa ad ammirarle e a lodarle con naturalezza. Nello spettacolo mozzafiato che Comboni ci ha appena messo davanti agli occhi, possiamo contemplare un equilibrio mirabile impressovi dal Creatore. La natura rivela un mistero più grande di lei: la presenza d’una saggezza, d’un ordine, di un’armonia che trascende spazi, luoghi e tempi. Il creato dà “una prima ricchissima rivelazione naturale di Dio, quadro per noi della seconda soprannaturale rivelazione” .
Il linguaggio di Comboni, così vivido e pieno di stupore contemplativo, lungi dall’impedire la sua preghiera, la favorisce conferendogli una più sicura e vasta universalità e concretezza.

Al vertice del creato, l’uomo

Le espressioni di Comboni riportate al paragrafo precedente, non sono solo considerazioni di un’anima sensibilissima, ma sono la manifestazione e la rielaborazione personale di tutto un patrimonio religioso acquisito negli anni giovanili della formazione, che hanno forgiato il missionario destinato dalla Provvidenza a modellare menti e cuori in una rinnovata coscienza ecclesiale e sociale. Ma a Comboni questo non basta; egli non cerca motivi di benemerenza umanitaria o di preminenza estetica del creato. Con molto realismo, egli ci avverte anche circa la precarietà, la non inesauribilità del creato:“Ma i bei sentimenti destati dai soavi incanti cui là presenta la natura, ben sovente da sinistre incidenze e da riflessi amari vengono avvelenati” (Scritti, 4550).
I beni collettivi, come la natura incontaminata, la flora, la fauna, le risorse idriche, ecc…sostengono e motivano la gioia di vivere dell’uomo, mettendo in rilievo l’interdipendenza e la solidarietà di tutti gli ambienti sul piano sociale come su quello naturale. Esiste un equilibrio ecologico in vetta al quale c’è l’uomo; da ciò ne consegue che non basta possedere di più, ma essere di più, per aiutare l’uomo a realizzare quella mirabile vocazione per cui è stato creato da Dio. L’opera del creato è per l’uomo sia per servirlo nelle sue esigenze materiali e spirituali, come per chiederne la collaborazione in funzione pedagogico-educativa. Ed è proprio qui che il lavoro dell’uomo riveste un ruolo di primaria importanza. Grazie al suo lavoro la terra diventa più abitabile per l’uomo. La natura viene umanizzata. L’uomo, trasformando la natura con il suo duro lavoro, realizza la propria umanità; egli per essere creativo deve avvicinarsi alla natura con i sensi oltre che con l’esperienza, l’intelligenza e il cuore. L’uomo deve saper leggere il grande libro della natura per scoprirvi le armonie universali. Ma, a proposito del valore del lavoro umano, sentiamo che cosa ha da dirci Comboni:”L’introduzione del lavoro manuale e dei vari mestieri secondo l’industria europea e la perforazione di pozzi artesiani, per i quali finora sono mancati ai Nubani gli strumenti, la coltivazione del suolo, arso dal sole per otto mesi all’anno e reso fecondo da quattro mesi di piogge ininterrotte, di regola da luglio a ottobre, non mancheranno di porre rimedio a questi malanni, perché anche questo popolo partecipi della morte redentrice di N.S. Gesù Cristo.” (Cf. Lettera al Card. A. Franchi, in Annali della Società di Colonia, 20[8/X/1875], 51-68) . Secondo Comboni bisogna associare la ricerca di un giusto equilibrio ecologico a quello di un giusto equilibrio dello sviluppo. E siccome l’uomo è inseparabile dal suo ambiente, di conseguenza egli deve rispettare le leggi che regolano lo slancio vitale e le capacità di rigenerazione della natura.
La difesa della natura non è fine a se stessa, ma è finalizzata all’equilibrio del rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. L’ecologia punta a difendere e a proteggere l’uomo e ogni popolo in quanto desiderosi di sopravvivere, in quanto assetati di giustizia, di pace, di uguaglianza e di accettazione. In questo particolare contesto Paolo VI così ha commentato:”Non si può fare nulla a lungo termine senza l’uomo, si può invece con l’uomo tutto intraprendere e realizzare, perché la verità è che sono anzitutto lo spirito e il cuore a riportare la vera vittoria. È necessario l’amore per l’uomo: l’uomo si consacra e dedica all’uomo perché lo riconosce come suo fratello.”
La Chiesa è preoccupata dello sviluppo e del benessere di tutti i popoli. Essa vuole contribuire a risolvere il profondo divario, che esiste e si allarga sempre di più, tra i popoli economicamente avanzati e quelli che ancora non lo sono. Si spera che le nazioni giovani e non particolarmente abbienti, costruiscano il loro futuro assimilando le conquiste positive dei paesi sviluppati, ma ne rifiutino le eclatanti deviazioni. Le nazioni ricche non possono rifiutare, pena l’incorrere in una grave ingiustizia, i mezzi necessari ai poveri. L’umanità deve agire di comune accordo su un progetto solidale in nome dell’uomo e in nome di Dio, e provvedere adeguatamente alla protezione dei ceti più indifesi. Proporzionare le risorse alimentari alla popolazione crescente del pianeta, debellare la malnutrizione, elevare i popoli poveri, ecc...: ecco delle sfide capaci di soddisfare la giustizia sociale. Il primo passo contro la lotta alla fame o alla malnutrizione consiste nel far produrre al suolo tutto ciò ch’esso può dare.

Scelta dei poveri e difesa della natura

Ancor prima di battersi perché i beni del creato siano accessibili a tutti e non ci siano privilegiati di sorta, Comboni dichiarerà guerra senza quartiere alla schiavitù. Dopo essersi autodefinito “io sono il nemico capitale della schiavitù” (Scritti, 3227), così si esprimerà sul turpe commercio degli esseri umani:”Un altro deplorabile delitto abbiamo da compiangere in taluni dei nostri fedeli, ed è la cooperazione diretta o indiretta al disumano commercio degli schiavi ed alla orribile tratta dei Neri. (…) Alcuni pretendono che i Neri di loro condizione debbano servire come articolo di speculazioni industriali” (Scritti, 3349).
La scelta dei poveri da parte di Comboni ha comportato una volontà di battersi per difendere la natura e le sue risorse, perché essa è la casa di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e deve restare tale e non essere impoverita dall’uso indiscriminato che ne fa l’uomo, rendendola infeconda e inospitale per le generazioni a venire. I cristiani hanno per orizzonte la prospettiva profetica della terra per tutti; questo servirà a dare alla spiritualità cristiana la sua dimensione peculiare: quella dell’universalità. La locale comunità dei credenti, aperta ai problemi dell’umanità intera, svolge un insostituibile ruolo educativo, perché in essa si forgiano i cittadini e i cristiani del mondo di domani.
Comboni, quando scopre che la natura s’è pericolosamente impoverita, sente prolungarsi nell’intero creato la ribellione etica che causa l’impoverimento degli uomini e d’intere popolazioni. Il cristiano, che vive la povertà evangelica in dimensione ecologica, rispetta la natura e i suoi impenetrabili misteri; abbandona definitivamente atteggiamenti arrivisti e ambiziosi per entrare in quella comunione, armonia e solidarietà cosmica stabilita dal Cristo risorto. E sente nel suo cuore una ferita che non si cicatrizza, quando, dopo anni ed anni di dilaceramento, considera l’imbarbarimento dei rapporti interpersonali e trans-nazionali, lo spreco, la spogliazione e il consumismo frenetico della società contemporanea, sempre più vorace e insoddisfatta.
Dal 1877 al 1879 nel Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale ci fu una devastante siccità senza precedenti. La fame, la sete e le epidemie assunsero dimensioni catastrofiche: incalcolabili i danni e le conseguenze per la popolazione sudanese. In questa situazione disperata Comboni rivolse ripetutamente drammatici e accorati appelli alle organizzazioni umanitarie internazionali dell’epoca; inoltre, agli organi di stampa a più largo raggio d’azione e con più impatto sull’opinione pubblica, spedì resoconti terrificanti sulla gravissima situazione. Ma diamo la parola a Comboni:”(…) le condizioni della carestia dell’Africa Centrale si sono spaventosamente aggravate, e prevedo un fosco avvenire” ( Lettera al Canonico Giuseppe Ortalda, Khartum, 2 Agosto 1878, in Museo delle Missioni Cattoliche, 37[15/IX/ 1878], 579-581); “(…) il cielo è sempre chiuso, infuocato e cocente come il bronzo. Qui a Khartum in due anni ha piovuto una sola volta e questo è stato 11 mesi fa. Ora il caldo e la fame operano distruggendo ogni cosa.” ( Lettera al Presidente della Società di Colonia, Khartum, 2 Agosto 1878, in Annali della Società di Colonia, 25(1878), 26-43). C’è un’ impressionante corrispondenza tra i fatti narratici da Comboni e le gravi devastazioni del nostro pianeta, a cui tutti giornalmente assistiamo con un grande senso d’impotenza e di frustrazione. Il degrado ecologico sta compromettendo seriamente le sorti future dell’umanità, sta mutilando l’uomo e ci sta gradualmente ma ineluttabilmente lasciando soli, in un orrido e desolato panorama:”Egli, il Dio che ha plasmato e fatto la terra e l’ha resa abitabile; l’ha creata non come orrida regione, ma l’ha plasmata perché fosse abitata.” (Is. 45, 18). Questa non è più la nostra casa, ma sta diventando il carcere terrificante che stiamo lasciando in eredità a miliardi di persone, che verranno dopo di noi. Solo in comunione con la natura riusciremo a essere noi stessi. Creare una frattura, disconoscere la misteriosa comunione tra noi e il mondo, comporta un grave squilibrio e un impoverimento per la natura stessa. Quello che stiamo vivendo è un periodo senza precedenti per la terra, una minaccia la cui gravità e vastità dipende dal confluire di svariati fenomeni, ognuno dei quali basterebbe da solo a creare problemi insolubili. Tutti insieme significano che le sofferenze umane si aggraverebbero terribilmente in un prossimo avvenire e che ogni vita rischia di sparire una volta per sempre dalla faccia della terra.
È fuori dubbio che dobbiamo riconoscere a Comboni titoli di benemerenza ecologica e di rispetto religioso del creato, anche se questo non fu direttamente perseguito da lui.

Conclusione

Tutti dobbiamo imparare a riappropriarci dell’esistenza individuale e degli spazi necessari per la sua crescita armoniosa. La strada che vi conduce, ce l’ha indicata Comboni in questo viaggio immaginario: è quella che passa per la contemplazione e la preghiera. Ciò presuppone che sappiamo prendere le dovute distanze dall’affanno quotidiano, che abbandoniamo una volta per tutte il ritmo frenetico della vita per sintonizzarci con il ritmo pacato e discreto della natura:”Fra il giorno poi (…) ci mettiamo (…) ad osservare la sempre crescente bellezza delle sponde del Nilo, e a schioppettare qualche piccione”(Scritti, 153).
È da considerarsi un autentico segno dei tempi il crescente bisogno di spiritualità che si manifesta soprattutto nei paesi in cui è più grande lo stress della civiltà post-industriale. Una spiritualità missionaria autentica deve promuovere un coinvolgimento di tutti i cristiani nelle preoccupazioni di ordine ecologico, a seconda delle responsabilità di ciascuno. Uno dei più gravi peccati sociali è il permanente danno arrecato all’ambiente in cui viviamo, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti e che ormai ipotecano seriamente il futuro dell’umanità.
La preghiera deve essere associata a un agire umano operoso e coerente, fatto di giustizia e di rispetto per la natura, di condivisione dei beni della terra, di nuova qualità della vita e di uso intelligente delle ricchissime ma non inesauribili risorse, che Dio ha voluto fossero accessibili a tutti e non solo a pochi privilegiati.
È tempo di riflettere e di agire con tempestività, anche per contrastare la deleteria e paralizzante convinzione che tanto non ci possiamo far niente.


CANTICO DELLE CREATURE
(S. Francesco d’Assisi 1182-1226)

Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria et l’honore
et omne benedictione.
A te solo, Altissimo, se konfanno
et nullo homo ene digno te mentovare.
Landato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messer lo frate sole,
lo qual è iorno; et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’hai formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora acqua,
la quale è molto utile
et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte;
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore,
per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengon infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke le sosterranno in pace
Ka da te, Altissimo, saranno incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo homo vivente pò skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda nol farà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiate
Et servitelo cum grande humilitate.

(Tratto dal codice 338, vecchio di 8 secoli, che contiene tutti gli scritti autografi del santo; il codice è conservato nell’antico fondo della Biblioteca al Sacro Convento di Assisi)

* TESTI PER LA PREGHIERA: (Lectio - Meditatio – Oratio – Contemplatio)
Gen. 1, 1-31; Dn. 3, 57-88.56; Sal. 8.

* TESTI PER LA DISCUSSIONE: (Collatio - Praticatio)
Mt. 6, 26-31; Lc. 12, 22-28.

* PREGHIERA INTERATTIVA:
Ricercare nei testi sacri delle grandi religioni dell’umanità preghiere sul creato e la natura in generale.
P. Antonio Furioli, mccj