Missione e impegno per la Giustizia, pace e integrità delle relazioni e del creato

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Venerdì 25 maggio 2018
Con il presente contributo, richiestomi dalla commissione di studio della nostra RdV, mi propongo di offrire una lettura della nostra RdV dal punto di vista della missione. Come leggiamo nella RdV “In obbedienza al piano divino di salvezza e secondo la testimonianza di vita del Fondatore, l’Istituto si dedica totalmente al servizio missionario, dal quale sono determinate le sue attività, il suo stile di vita, la sua organizzazione, come pure la preparazione dei suoi candidati ed il rinnovamento dei suoi membri”. (2.1) Questo è un tratto caratteristico e fondante del nostro Istituto.

Missione e impegno per la Giustizia, pace
e integrità delle relazioni e del creato
P. Paolo Latorre

Con il presente contributo, richiestomi dalla commissione di studio della nostra RdV, mi propongo di offrire una lettura della nostra RdV dal punto di vista della missione. Come leggiamo nella RdV “In obbedienza al piano divino di salvezza e secondo la testimonianza di vita del Fondatore, l’Istituto si dedica totalmente al servizio missionario, dal quale sono determinate le sue attività, il suo stile di vita, la sua organizzazione, come pure la preparazione dei suoi candidati ed il rinnovamento dei suoi membri”. (2.1) Questo è un tratto caratteristico e fondante del nostro Istituto.

Nelle pagine che seguono svilupperò l’obiettivo di questo contributo in due parti: nella prima parte vorrei riflettere e analizzare il carisma missionario della regola di vita ripercorrendo il significato e il contesto di alcuni termini che ritengo importanti come: MISSIONE, EVANGELIZZAZIONE e GIUSTIZIA. Di questi termini e del loro significato evidenzierò la loro importanza e i loro limiti.

Nella seconda parte del presente lavoro vorrei condividere delle riflessioni a partire dall’espe­rienza e dalla vita vissuta come missionario comboniano fino ad ora.

I – MISSIONE, EVANGELIZZAZIONE e GIUSTIZIA nella REGOLA DI VITA

MISSIONE

Il termine MISSIONE è usato nella RdV sempre in connessione al fine dell’Istituto e a quello dei suoi missionari. Questo termine viene messo in correlazione per due volte con l’evangelizzazione che è il mandato apostolico affidato alla Chiesa direttamente da Gesù Cristo. In questo senso il termine MISSIONE mette in evidenza una stretta comunione tra l’Istituto e la Chiesa. Questa è una caratteristica propria che viene dal nostro fondatore che ha voluto fermamente fare tutto quello che ha fatto all’interno della Chiesa, quel cenacolo di Apostoli che i suoi missionari dovevano vivere in pienezza.

Il limite di questo termine nella nostra RdV è quello che non è mai usato come definizione di cos’è la MISSIONE. Per cogliere il senso della MISSIONE nella nostra RdV dobbiamo porre attenzione ad un termine composto di MISSIONE che è SERVIZIO MISSIONARIO. Da una lettura sinottica di questo termine in tutta la RdV si può cogliere tutto quanto il missionario comboniano è chiamato a fare. La sintesi chiara di questo SERVIZIO MISSIONARIO è detto subito all’inizio: “I Missionari comboniani ispirano la loro vita personale e il servizio missionario alla testimonianza di vita del Fondatore, i cui scritti costituiscono parte integrante dei programmi di formazione e rinnovamento, di animazione missionaria e vocazionale”. (1.1)

La differenza tra MISSIONE e SERVIZIO MISSIONARIO vista nel loro contenuto non desta alcun problema, è importante definire una realtà a partire dalla sua attuazione e messa in opera; per noi missionari comboniani il servizio missionario può ampiamente avere la valenza della definizione della missione che svolgiamo. Ma questa ricchezza e “praticità” rappresenta anche il limite che si è avvertito negli ultimi tre capitoli Generali nei quali si è cercato con tanta fatica di ritrovarsi intorno alla defini­zione della MISSIONE. Il tentativo di trovare, descrivere la nostra Ratio Missionis fatto fino ad ora presenta questi stessi punti forti nell’eccellete, variegato ed intenso SERVIZIO MISSIONARIO che svolgiamo, e i punti deboli nel definire la MISSIONE per noi Comboniani. Per continuare a svolgere il nostro servizio missionario non abbiamo bisogno di una definizione, anche se, secondo me, una defini­zione di MISSIONE ci potrebbe avvantaggiare nel rispondere con chiarezza e senza dispersione di forze alle sfide del contesto storico ed ecclesiale in cui viviamo e svolgiamo il nostro servizio missionario.

EVANGELIZZAZIONE

Lo Spirito del Signore fermenta e trasforma i popoli e li conduce ad incontrarsi con la persona di Cristo e il suo messaggio e ad entrare nel nuovo Popolo di Dio. Il comboniano, chiamato dal Padre e inviato dalla Chiesa, fiducioso nell’azione dello Spirito, consacra l’esistenza a collaborare con questa azione e fa dell’evangelizzazione la ragione della propria vita. (RV 56)

Seguendo il percorso del termine EVANGELIZZAZIONE nella regola di vita il senso della missione e del servizio missionario si fa più chiaro ed intenso. Il n. 56 con cui ho aperto questo capitolo ne è il reale segno. Da questo termine traspare con tutta limpidezza il sogno di Daniele Comboni di cui siamo eredi. La ricchezza di questo termine sta nel legare la realtà della EVANGELIZZAZIONE a quella della responsabilità che abbiamo di far sorgere nel popolo in cui siamo il desiderio di divenire a sua volta evangelizzatore di altri popoli (cfr. RV 7). Un altro aspetto importante di questo termine è quello di far emergere l’importanza della collaborazione con altre forze ecclesiali per quanto riguarda l’EVANGELIZZAZIONE (RV 8). Il termine EVANGELIZZAZIONE nella nostra RV risente di tutta la ricchezza del magistero ecclesiale che tra gli anni 1967 -1978 ha segnato quel rinnovamento che il CV II aveva avviato.

GIUSTIZIA

Questo temine è usato relativamente poche volte nella RV. Questo non toglie affatto l’intensità con cui è usato, e soprattutto l’intensità con cui questo termine caratterizza il SERVIZIO MISSIONARIO che come missionari comboniani siamo chiamati a svolgere. “Il missionario offre un importante contributo al lavoro di promozione della giustizia, educando la gente ad assumere le proprie responsabilità politiche e sociali” (RV 61.2).

Per cogliere meglio il senso del termine GIUSTIZIA e come esso caratterizza la MISSIONE nella RV è significativo osservare il suo contrario: il termine ingiustizia.

Ripercorrendo le quattro volte che quest’ultimo viene utilizzato e come è utilizzato, si comprende chiaramente che la GIUSTIZIA è una caratteristica pregnante della MISSIONE. Il n. 61 della nostra RV è chiara in questo senso:“liberazione dell’uomo dal peccato, dalla violenza, dall’ingiustizia, dall’egoismo”, dal bisogno e dalle strutture oppressive. Tale liberazione trova il suo compimento e consolidamento nella piena comunione con Dio Padre e tra gli uomini.” (RV 61)

Questa regola riprendendo uno dei documenti più significativi della primavera della Chiesa – Evangeli Nutiandi – enuncia bene e chiaramente che la MISSIONE della chiesa e la MISSIONE nel nostro Istituto non può farsi senza l’impegno per la liberazione dell’uomo, dei popoli, da tutte le ingiustizie che hanno radice nel peccato e nell’egoismo del singolo uomo come delle strutture.

Dall’analisi, se pur breve, fatta fin qui si può dire con grande chiarezza che la nostra RV di vita è uno strumento, una guida efficace per poter far fronte a quella che è la missione incarnata nel contesto storico di questo tempo. È con grande senso di riconoscenza che ringrazio tutti i confratelli che hanno lavorato per rendere questa nostra RV un testo nel quale si può trovare una guida di lettura e applicazione del Vangelo di Gesù e del carisma di S. Daniele Comboni. I limiti evidenziati sicuramente possono essere letti come l’invito a ricercare sempre e meglio questa guida alla lettura e testimonianza del Vangelo e del Carisma Comboniano.

II. MISSIONE NEL CONTESTO E NELLE CULTURE

Uno dei contributi più importanti degli atti capitolari del 2009 è quello di offrire, dopo un’attenta analisi del contesto, una metodologia missionaria rinnovata (AC 58). In questa seconda parte del mio contributo vorrei riflettere sugli elementi che gli AC individuano come importanti per il rinnovo della metodologia missionaria. Questa ricerca costante per una nuova metodologia è l’orizzonte che è delineato dalla RV (cfr. RV 33 e 66). Una metodologia rinnovata secondo me non risponde alla sola esigenza di cambiare per cambiare, si tratta di rinnovare per andare sempre più in profondità e per far causa comune sempre più “comunionale”.

Ed è proprio per questo che vorrei procedere in questa riflessione con un passaggio, per me molto significativo, dell’Enciclica Populorum Progressio di Paolo VI; si tratta di uno dei più importanti documenti della dottrina sociale della Chiesa.

Ma ormai le iniziative locali e individuali non bastano più. La situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità, la chiesa, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli stati, «non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità (cf. Gv 18,37), per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito (cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45)». (P:P. 13)

L’insufficienza delle Iniziative locai e individuali di cui parla Paolo VI richiama un testo altrettanto chiaro di Daniele Comboni:

L’Opera dev’essere cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana. Tutti i cattolici devono aiutare i poveri Neri, perché una nazione sola non riesce a soccorrere la stirpe nera. […] All’incontro col nostro piano noi aspiriamo ad aprire la via all’entrata della fede cattolica in tutte le tribù in tutto il territorio abitato dai neri. E per ottenere questo, mi pare, si dovranno unire insieme tutte le iniziative finora esistenti, le quali, tenendo disinteressatamente davanti agli occhi il nobile scopo, dovranno lasciare andare i loro interessi particolari. (Scritti 944)

Questo, secondo me, è un primo aspetto importante di cui la nostra missione non può fare a meno. La nostra R.V. al n. 71 parla di “Provvisorietà”; mi sembra importante leggere questa “provvisorietà” non solo come spinta a far crescere le Chiese locali a causa della provvisorietà della presenza missionaria, ma anche, e soprattutto, come consapevolezza che le nostre iniziative rimarrebbero provvisorie se non le programmiamo, pianifichiamo e mettiamo in pratica con altre forze missionarie, con altre iniziative. Il world wide web (www) non è solo uno spazio virtuale, è anche un luogo privilegiato dove organizzare questa sintonia, questo sinodo di iniziative per far causa comune con tanti impoveriti e marginalizzati della terra.

La crisi che stiamo vivendo si manifesta attraverso tanti segni e drammi di vita. Appare come una crisi economica, politica e sociale, ma secondo me questa è una crisi antropologica, una crisi dove la dignità dell’uomo è asservita ad altre priorità che non sono a favore della vita. Questo tempo è un tempo di grande frantumazione dell’essere umano. Uno dei segnali di questa frammentazione è l’esasperata frantumazione delle scienze, di molte scienze. Basti pensare alle quantità di specializzazioni presenti in campo medico. Ricorrere ad un medico per delle cure non è più così semplice ed immediato, bisogna prima trovare lo specialista. Questo vale alche per molte altre discipline scientifiche. Che cosa significa questo? Significa che quella parte del corpo che è malata non è più trattata come appartenente al tutto che è il corpo, ma è una parte di esso, isolata con le sue esigenze e le sue regole. Tutto questo contribuisce alla frantumazione dell’uomo. Ritengo molto importante la proposta di uno sviluppo che per essereautentico, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera. (PP 14)

Questo aspetto della salvezza integrale è detta molto chiaramente nel n. 61 della nostra R.V. Questo aspetto della salvezza, liberazione integrale dell’uomo rende importante e necessario il nostro com-prendere e affrontare le questioni socio-economico-politiche della realtà, del contesto storico e culturale nel quale viviamo e operiamo. Senza com-prensionenon è possibile com-passione.

La Chiesa ha per sua natura e secondo quanto ha ricevuto in eredità dal Vangelo non può dirsi estranea ai problemi sociali, alle cause di sofferenza e povertà di tanti popoli, di singoli uomini e donne che dal sistema sociale tendente all’accumulo di ricchezze vengono messi ai margini se non oppressi. Alla natura della Chiesa però non corrisponde sempre la sua presenza e la sua tempestività nell’intervenire nelle trame della storia per dare speranza e denunciare le strutture di peccato per convertirle in strutture che, abitate e gestite dall’uomo, possano rispettare l’umanità.

La realtà della finitezza nella natura e nella vita umana sono segni della creaturalità che caratterizza la vita sulla terra. Non possiamo considerare questa finitezza o limitazione della vita come un ostacolo, un fallimento. La storia della vita sulla terra è caratterizzata da “lotte e sfide” per ridurre il fattore limitante dei “limiti” della nostra creaturalità. Non potremo mai arrivare alla perfezione e alla illimitatezza del nostro agire. Anche se la cultura dominante in questi tempi è pregna di propaganda di successi e vittorie dei limiti, questi sono solo slogan pubblicitari e chimere irraggiungibili. Noi non possiamo superare questi limiti da soli. Ogni tentativo di farlo finisce in tragedia e senso di solitudine. Nel libro della Genesi è chiaramente evidenziato che ogni volta che l’uomo vuol essere misura di tutte le cose e criterio di discernimento del bene e del male, questo discernimento si tramuta in una triste scoperta: la consapevolezza di essere nudi (vulnerabili e limitati).

Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo e sua moglie si nascosero dal Signore Dio in mezzo agli alberi del giardino (Genesi 3:7-8).

La mancanza di responsabilità nell’amministrare il dono del creato e il piano che Dio aveva dato agli esseri umani, nel libro di Genesi è riferita attraverso l’immagine della nudità. Sottomettere la natura fino ad abusarne è come impoverirla fino alla vergogna della nudità. Dio chiede all’uomo e alla donna: DOVE SIETE?

Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei”?(Genesi: 3-9).

La risposta che l’uomo dà a Dio è segno di profonda tristezza dopo il tentativo dell’essere umano di violare la santità della vita/creato. Noi continuiamo anche oggigiorno a sentire la voce di Dio che ci chiama, e che ci chiede di tornare al rispetto della vita che Egli ci ha dato come un Dono. Ma la voce di Dio resta inascoltata a causa dei molti egoismi che guidano le nostre scelte e stili di vita.

Siamo nudi, siamo indifesi, e ancora crediamo di poter fare affidamento solo su noi stessi, senza riferirci ad una sfera più grande della vita, in cui sono i cardini della vita stessa. Questi non sono solo meri discorsi filosofici e/o teologici, penso che vadano oltre e toccano la quotidianità della vita. Questo è quanto significa per noi oggi contemplare ilCuore trafitto di Cristo: Liberazione globale dell’uomo (RV 3.3).

Anche se la nudità può essere attribuita a situazioni diverse di peccato in tempo e contesto diversi, non è fuori luogo parlare di “strutture di peccato” che affondano le radici nel peccato personale, e così sempre collegate agli atti concreti di individui che introducono queste strutture, le consolidano, rendendole difficili da rimuovere. E così si rafforzano, si diffondono, e diventano la fonte di altri peccati, influenzando il comportamento della gente. In questo caso il peccato dovrebbe essere considerato non soltanto come peccato personale, da uno stretto punto di vista morale. Ciò che importa in questa nudità è il peccato di certe strutture economiche che sono la causa dei disastri umani, spirituali e naturali. Noi ci stiamo allontanando da Dio, ma EGLI non è mai lontano da noi!

Ha scritto Giovanni Paolo II: “«Peccato » e «strutture di peccato» sono categorie che non sono spesso applicate alla situazione del mondo contemporaneo. Non si arriva, però, facilmente alla comprensione profonda della realtà quale si presenta ai nostri occhi, senza dare un nome alla radice dei mali che ci affliggono” (S.r.s., 36).

La solidarietà e la collaborazione con altre forze missionarie è tempo che vengano considerate un valore aggiunto piuttosto che un ostacolo all’azione. Essere solidali con le problematiche sociale ed economiche per noi Missionari è pate integrnate della realizzazione del piano di Dio, sia a livello di individui che a livello di comunità e Istituto. I “meccanismi del male” e le “strutture di peccato” che sfruttano e abusano della gente e della natura possono essere vinte soltanto attraverso l’esercizio della solidarietà umana e cristiana a cui la saggezza delle culture e dei popoli (di cui la Chiesa si fa portavoce) ci chiama. La nostra R.V. al n. 27 ci consegna un tesoro ancora tutto da esplorare e imparare a rivivere nel tempo che viviamo: la povertà per seguire Cristo.

La nostra responsabilità nel rispetto del rapporto con persone e creato è una collaborazione che Dio ci chiede affinché siamo amministratori di ciò che EGLI ci ha dato come un dono. Questa è la ragione della domanda che Dio ci fa costantemente: DOVE SIETE? NOI DOVE SIAMO? COME VIVIAMO LA NOSTRA POVERTÀ PER LA MISSIONE? DOVE SIAMO NELLA CONDIVI­SIONE E COMUNIONE DEI BENI?

Nel momento in cui noi umilmente rispondiamo a questa CHIAMATA, riconoscendoci bisognosi di uno stile di vita più rispettoso della vita, bisognosi della presenza di Dio autore della vita, energie positive possono essere liberate a beneficio dello sviluppo e della pace e dell’integrità del creato. Questo è un passo che la RV di vita non può fare per noi!! Lo stile di vita, come la regola di vita non si può imporre, ed è importante comprendere che le scelte che oggi non facciamo coscientemente con spirito di umiltà e ascolto della realtà (questa è la vera povertà) sono scelte che tra qualche tempo potremmo trovarci a fare con obbligo e tanta sofferenza.

Recentemente (Pesaro 16/2/2012) i missionari comboniani presenti in Europa hanno lanciato un appello importante e di fronte alla distruzione del pianeta causata da questo capitalismo selvaggio che mercifica tutto si sono chiesti: “Che dobbiamo fare?” è la domanda che viene spesso rivolta a noi missionari davanti a questa situazione. Rispondere a questa domanda significa fare seria animazione missionaria. Per questo suggeriamo alcune piste concrete di impegno:

1. Rimettere in discussione prima di tutto il nostro modello di sviluppo e il nostro stile di vita che costituiscono la causa fondamentale del disastro ecologico;

2. Informare più che possiamo utilizzando tutti i mezzi perché la gente prenda coscienza della gravità della crisi ecologica;

3. Impegnarci a livello personale e comunitario con uno stile di vita più sobrio, riducendo la dipendenza dal petrolio e potenziando il solare e le energie rinnovabili;

4. A livello locale e territoriale rispondere al problema dei rifiuti con il “riciclaggio totale” opponendoci agli inceneritori;

5. A livello europeo sostenere il Piano della Commissione Europea che prevede la riduzione per tappe dell’ 80% di emissioni di gas serra entro il 2050;

6. A livello mondiale chiedere la costituzione di un Fondo per aiutare i paesi impoveriti a far fronte ai cambiamenti climatici (sarà l’Africa a pagarne di più le conseguenze!) Questo lo potremo ottenere tassando le transazioni finanziarie del 0,05% (la cosiddetta Tobin tax).

Questi punti non sono affatto estranei ad una riflessione sulla regola di vita. Non possiamo escludere questi aspetti dalla nostra vita e attività missionaria, altrimenti ci facciamo spettatori complici del tramonto della vita, quella vita che, dono di Dio, rimane una meraviglia anche quando le situazioni diventano difficili.

Ci sono molti modi e contesti in cui si può osservare il tramonto di una giornata. Il crepuscolo desta sempre un sentimento di speranza quando lo si guarda nella pienezza dei suoi colori, quando lo si guarda pensando al giorno che è trascorso, a ciò che di buono si è fatto e alle attività meno buone o inutili che hanno fatto anche del male agli altri oltre che a noi stessi. La luce del sole che in tante tonalità si spegne e ci dice della possibilità di nuova luce se rimaniamo nell’attesa impegnata del nuovo che non è mai scontato, ne ipotecato dalle nostre azioni. È davvero triste invece il tramonto guardato da una prigione. I colori del tramonto sono gli stessi, ma hanno una valenza diversa perché ci si sente senza futuro, o meglio l’oggi vissuto è stato una fotocopia del tempo già passato e che si prepara ad essere matrice del futuro fotocopia ancora più sbiadita.

Già da tempo si parla di tramonto dell’occidente. Noi missionari in Europa sentiamo tutta la fatica di questo tramonto che ha causato l’esigenza di una nuova Evangelizzazione. Ci rendiamo conto del tramonto culturale che trascina con se i valori più profondi seminati dal Vangelo in tanti secoli. Si parla tanto di società e cultura liquida. Per noi missionari per noi Chiesa (esperta in umanità) è importante capire che questa liquidità non è altro che la fragilità, la fugacità dei rapporti a cui ci dedichiamo, dei prodotti che consumiamo, dei ruoli e delle identità che assumiamo. È insomma la data di scadenza di tutte queste cose che si avvicina sempre di più alla loro data di «produzione». L’individuo dei giorni di oggi è in continuo movimento, anzi in continuo mutamento. La sua identità, sostiene Bauman (colui che ha coniato l’espressione della liquidità), non è né definita né definibile, viene composta, scomposta e ricomposta: un perenne «riciclaggio» dell’identità. Il Vangelo, il nostro Carisma e la nostra RV ci offrono la possibilità di metterci in ascolto di questa società liquida che presenta le schiavitù e le ingiustizie contro le quali ha reagito e agito il nostro fondatore. La cosa che più mi colpisce è che di fronte a questo tramonto a questa delusione, ci si pone con un atteggiamento di delusione. La crisi economica e politica degli stati nazionali europei di questi tempi sta rivelando tanto di questa amarezza di fronte al giorno dell’occidente che volge al tramonto. Come se questo modo di vedere e di fare non avesse dovuto avere una fine!! È paradossale di come l’economia dei consumi che ha giocato nelle tasche delle persone (trasformate in consumatori) attraverso le date di scadenza che dichiarano arbitrariamente che un prodotto non vale più (induzione al consumo senza soluzione di continuità), ora, questa stessa economia, risulti ingenuamente delusa di fronte alla data di scadenza del sistema finanziario, economico e politico che era scritta già nelle sue premesse.

Se dovessi descrivere (senza omologarla e fare banali generalizzazioni) la società occidentale che emerge da questo gioco economico impazzito e perverso, lo farei con l’immagine del riparatore di giare del racconto di Pirandello: “La Giara”. Percepisco l’uomo (e la cultura tecnologica) sempre più imprigionato nella sua opera! Non ci sono tante soluzioni per risolvere questo imprigionamento. Nel racconto pirandelliano il padrone della giara non ha dubbi: lui vuole la giara sana, riparata, funzionale. E se questo significa riaverla con l’uomo imprigionato dentro fa poca differenza. Mentre l’uomo imprigionato che ha ancora spazio di manovra almeno nelle parola dice che rompere la giara non significa distruggerla, e riscuotere il pagamento della riparazione è pure cosa giusta anche se il proprietario si ritrova con la giara inutilizzata. Questo è il vicolo cieco in cui come cultura occidentale ci troviamo. Se questa attenta analisi della realtà che gli AC ci invitano a fare non diventa atteggiamento serio nella nostra missione rischiamo solo di scivolare via come l’acqua su un terreno duro che ha bisogno di presenza e perseveranza più che passaggio. Questo è uno dei rischi che vedo nella nuova Evangelizzazione. Per uscire da questa giara occorre romperla, riconsiderare il lavoro fatto finora per recuperare l’uomo che ne è rimasto imprigionato. Questa liberazione dell’uomo non è direttamente collegata alla rottura, alla recessione, al tornare indietro. Questa riconsiderazione significa per me il guardare alla realtà con criteri diversi, con un altro modo di andare avanti che è fermarsi per dare uno sguardo a quella mappa che ci guida che risulta essere falsata, sproporzionata, manipolata rispetto alla meta che vogliamo raggiungere. Invece noto con dispiacere che hanno credito le politiche e azioni sociali provenienti da una serie di forze e di ideologie che pur essendo (in maniera ipocrita) a favore del recupero dell’uomo imprigionato, vede la rottura della giara come un grande torto fatto all’umanità stessa…

Qui, secondo me si nasconde un grande inganno. Quello che sembra essere una recessione, un ritorno al passato lo è solo perché è giudicato a partire dell’inesorabile metro o categoria dell’utilità. Uno degli aspetti del tramonto delle culture occidentali, quelle che fortemente sono state contaminate dalla razionalità matematica e dal capitalismo selvaggio, è proprio quello dell’avere l’ utilità come categoria vincolante degli incontri delle persone tra loro e con le cose, con la natura, con Dio. È qui che, come già detto, la crisi è una crisi di santi, di profeti, una crisi antropologica. Non è profeta colui che conosce il futuro. Il profeta è colui che riconosce e denuncia l’inaccettabilità dell’organizzazione corrente delle realtà della vita, della società, delle città, delle relazioni. È solo a partire dal coraggio della denuncia che possiamo preparare gli occhi per guardare al futuro, descrivere le caratteristiche che aiutano la vita ad essere tale, a generare altra vita.

Qui non si tratta di dire ce la faremo o non ce la faremo ad uscire da questa crisi. Qui è in questione il chiedersi verso quale direzione mettersi in cammino.

Come l’oracolo di Delfi oggi il Mercato da le proprie sentenze. Non c’è nulla che avviene senza che si prendano in considerazione gli andamenti del mercato, delle quotazioni in borsa, del PIL. Questo oltre a dirci chiaramente che l’economia finanziaria è paragonabile ad un movimento religioso, ci dice anche, più tristemente, che tutto il disincanto illuminista della nostra presunta “civiltà” non solo è tramontato, ma è ri-tornato al bisogno di incanto e di dogmatismo. Mentre i dogmatismi e i fondamentalismi delle varie religioni sono sotto tiro (molto spesso con buona ragione) dell’uomo illuminato che non vuole sentirsi prigioniero di un’ideologia, l’economia finanziaria con solo un paio dei suoi dogmi – fare profitto con sempre meno costi e vagliare tutto a partire dall’utilità nel mercato – tiene prigioniero non solo l’uomo nel villaggio globale, ma ha imprigionato e torturato la natura in già molti ecosistemi.

Alla luce di questi contesti di violenza verso la dignità dell’uomo, di questo mercato di schiavi virtuale ma con effetti reali devastanti sento che il nostro carisma comboniano deve portarci ad avere il coraggio di vivere dentro questa storia per ridonare vita. Per me quello che Comboni ha fatto dichiarando che anche gli africani sono amati dal cuore di Cristo, che la corona della chiesa non poteva essere completa senza la perla bruna, sono azioni importanti che nel tempo in cui Comboni le ha fatte rappresentano una rivoluzione copernicana nel modo di concepire e vedere l’africa e gli africani nella chiesa e nella società. Non dimentichiamo che antropologicamente al tempo di Comboni i popoli africani non erano ritenuti pienamente uomini!!! Quello che Comboni fa è estremamente coraggioso. Questo elemento deve essere presente nella missione comboniana, ancora oggi i dogmi e le dottrine che rendono schiavi molti popoli, in maniere diverse e più subdole e invisibili sono tante, e la missione comboniana non può tacere e astenersi dall’operare per questa causa.

Le problematiche che un missionario vive e sperimenta localmente richiedono una ricontestualizzazione globale. Quest’ultimo aspetto non è indifferente, perché il nostro agire o non agire azioni in network ha una ripercussione in quanto responsabilità indirette. La missione comboniana non può ignorare problematiche come: EPA (Accordi di partenariato economico), cambiamenti climatici, violazione dei diritti umani, migrazioni, accaparramento delle terre da parte di stati e multinazionali (il 70% di tale accaparramento sta avvenendo in Africa), acqua, green economy (trappola con la quale si vuole riparare ai danni ambientali del capitalismo selvaggio attraverso l’uso delle biotecnologie). Questi temi non possono essere assenti dall’agenda tematica e temporale dell’evangelizzazione, dell’animazione missionaria, della formazione di base e permanente, dell’economia. La missione comboniana si definisce quindi per un impegno concreto ed effettivo per Giustizia-Pace-Integrità del Creato sia da strutturare e riqualificare nel nostro piano missionario. Nelle regole di vita (specialmente il numero 61) e in molti documenti capitolari questo è già menzionato e richiesto.

Ritengo che la missione comboniana oggi per essere efficace deve includere queste istanze che vengono dalla società civile e l’attenzione ai vari incontri a livello continentale e/o mondiale (almeno di una rappresentanza qualificata) è una prassi che fa parte della nostra missione. Comboni oggi opererebbe in questi “luoghi” la sua missione e animazione missionaria. L’inclusività deve riguardare anche il dialogo interreligioso e la considerazione per le Religioni Tradizionali Africane dovrebbe avere un’attenzione particolare nella nostra formazione e azione missionaria.

MISSIONARIO CHE VIVE E LAVORA NELLA STORIA ANNUNCIANDO (CON LA SUA VITA) LA VITA PIENA DI CRISTO E IL BISOGNO DI GIUSTIZIA E VERITA’ DI CUI IL MONDO HA BISOGNO.

Diventa sempre più importante ed urgente che la Comunità comboniana diventi una comunità di missionari che, all’ombra del carisma comboniano, condividono la loro storia, i loro talenti, la loro chiamata e il loro presente e dalla ricchezza di questa convivialità delle differenze, dei talenti e della grazia che hanno ricevuto fanno discernimento e agiscono per dare una risposta alle sfide sociali-politiche-religiose del contesto dove vivono.

Questo è quel cenacolo di Apostoli che Comboni ci invita a vivere.