Lunedì 29 dicembre 2025
«Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4-5). Riprendendo le parole di Isaia, papa Leone XIV conclude il messaggio per la pace 2026, promulgato qualche giorno fa, augurandosi che quanto sogna Isaia possa essere il frutto del “Giubileo della speranza” che si chiude.
Peccato che tutto in questo fine anno sembri orientarsi in direzione opposta. Anche noi missionari, peraltro, ci siamo dovuti ricredere sulla speranza di assistere nel 2025 quantomeno a un processo di riduzione, se non di cessazione, dei tanti conflitti in corso in vari continenti ma soprattutto in Africa. Al di là del suo desiderio, le parole di Leone sembrano tradire una velata sensazione che segnali positivi se ne vedano ben pochi.
“Non a caso – leggiamo nel messaggio -, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza”.
A confermare questo il papa scrive: “Nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere con l’enorme sforzo economico per il riarmo… e i media diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza”.
E, ammonendo i responsabili delle decisioni in merito a “considerare l’enorme peso della loro responsabilità” il pontefice, riaffermando che “oggi più che mai occorre mostrare che la pace non è un’utopia” scrive: “Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli stati in questa direzione (della guerra, ndr); ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico”.
Leone XIV propone che alla strategia delle armi e della guerra si contrapponga “lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala”.
Lui stesso non perde occasione per lanciare accorati appelli alla tregua o al cessate il fuoco in merito alle tragedie dei conflitti in corso, come ha fatto ad esempio riguardo al Sudan, da oltre due anni afflitto da una guerra civile che Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council, ha definito “la più grave crisi umanitaria nel mondo oggi” aggiungendo con molti organismi che “è stata data un’attenzione internazionale di gran lunga troppo limitata per quello che succede in questo paese”.
Il Sudan, purtroppo, secondo gli analisti più esperti d’Africa, “per numero di vittime e mancanza di soluzioni percorribili a breve termine, la più grave contesa bellica del 2025, e probabilmente la meno conosciuta”.
I dati pubblicati da Amnesty International sono impressionanti “con oltre 15 milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie case – si legge nel suo recente rapporto -, il Sudan rappresenta attualmente la più grave crisi di sfollati al mondo. Più di 30 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari e oltre 26 milioni sono in stato di grave insicurezza alimentare. E avrebbe provocato, secondo stime al ribasso, non meno di 150mila vittime”.
Le due parti in guerra, Forze di supporto rapido (FSR) da un lato ed esercito regolare dall’altro, hanno provocato in tutto il paese la tragedia in atto. Soprattutto nel Darfur, tuttavia, la regione occidentale del paese, sono seguiti massacri disumani dopo la conquista da parte delle FRS della capitale della regione, El Fasher, come mostrano video pubblicati sui social dai ribelli che li hanno perpetrati.
Nel report di Amnesty si legge: “L’escalation in Sudan non è solo il risultato dell’intensificarsi delle ostilità, ma la conseguenza diretta di un sistema di impunità e del disinteresse della comunità internazionale che ha lasciato campo libero alle parti in conflitto. L’uso intenzionale della violenza sessuale, gli assedi ai civili, le uccisioni di massa e la fornitura continua di armi dimostrano che il conflitto si è trasformato in una guerra contro la popolazione stessa”.
Dall’inizio della guerra alla metà del 2025, secondo Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sono stati attaccati e distrutti 185 presidi sanitari che servivano migliaia di persone, sono stati uccisi 1.204 medici, infermieri e altri operatori.
Le cause (occulte ma non troppo) per il prosieguo della guerra sono l’avidità per depredare le ricche risorse materiali del paese (oro, petrolio e altri minerali), e l’ininterrotto flusso di armamenti provenienti soprattutto da Cina, Russia, Serbia, Turchia, Emirati Arabi Uniti (riforniti dagli Stati Uniti) e Yemen, in violazione delle normative internazionali e dell’embargo imposto nel 2024 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Un collasso del Sudan con la divisione in due parti del paese, d’altro lato, destabilizzerebbe l’intero Corno d’Africa, spingerebbe i rifugiati attraverso il Sahel e verso l’Europa, e incoraggerebbe altre forze paramilitari.
Lo scenario globale per l’Africa in vista del nuovo anno, insomma, non offre grandi motivi di ottimismo. Chi ha fede dice che solo un intervento di forza superiore potrà toccare il cuore di chi porta la responsabilità per l’assenza di pace in Africa e nel mondo intero. Ma anche ogni donna e uomo di buona volontà, oggi, è chiamato a fare la sua parte, ribellandosi al silenzio intorno a queste grandi tragedie.
Editoriale FESMI (Federazione Stampa Missionaria Italiana) – Nigrizia