Venerdì 9 giugno 2017
È di prossima uscita nelle librerie il libro su mons. Antonio Maria Roveggio per le Edizioni Velar Elledici. Questo piccolo evento viene proprio in occasione dei 150 anni dell’Istituto comboniano di cui Antonio Maria è stato il primo membro. Si vuole tener viva la memoria di un personaggio del passato, un missionario veneto, morto in Africa agli inizi del secolo scorso. Nel suo apostolato ha incontrato enormi difficoltà, ma egli non si è tirato indietro, bruciato com’era dall’ansia di evangelizzare ad ogni costo. Ha pagato questo suo zelo con la vita, morendo a 43 anni, solo e in mezzo al deserto. Ma questo zelo è stato il segreto della sua santità.

Oggi appare evidente una constatazione: l’interesse per il personaggio non si è arrestata al 1954, data della conclusione del processo canonico di beatificazione. La sorpresa è venuta all’inizio del 2010 dalla Chiesa sudanese, dove si è concluso il processo sulla continua fama di Santità del Servo di Dio, mons. Antonio Roveggio. Ancora oggi quella chiesa, riconosce Roveggio la figura che ha reso possibile la continuità della fede in un luogo dove tutti gli sforzi dei vari governi musulmani avevano tentato di cancellare la presenza. Ne è stata riprova la celebrazione appunto del centenario della fede, il 17 gennaio 2000, un evento che ha radunato nello stadio Merrikh (stella) a Ondurman ben 25000 persone. In quell’occasione il nome di Roveggio è risuonato parecchie volte.

Nell’archivio della tipografia dei fratelli Luigi e Giovanni Ambrosini di Cologna Veneta si è conservata una eccezionale fotografia di mons. Antonio M. Roveggio, da lui stesso dedicata ai concittadini colognesi il 16 giugno 1895. Ad essa ha guardato il pittore Giuseppe Mincato per un ritratto eseguito nel 1906. (Vedi Bozza della copertina del libro).

Si ringrazia per la realizzazione del Libretto Padre Giuseppe Farina, comboniano, per l’incoraggiamento e il contributo del Comune di Cologna Veneta.

Mons. Antonio Maria Roveggio (1858-1902) è il secondo successore di san Daniele Comboni, come Vicario Apostolico dell’Africa centrale, il primo sacerdote religioso missionario della congregazione comboniana nata il 1° Giugno 1867.

Dopo la rivoluzione del Mahdi che ha distrutto le missioni fondate da Comboni e fatti prigionieri i missionari e le suore, Roveggio ha iniziato la nuova evangelizzazione del Sudan meridionale. Nel suo apostolato ha incontrato enormi difficoltà, ma egli non si è tirato indietro, bruciato com’era dall’ansia di evangelizzare ad ogni costo. Ha pagato questo suo zelo con la vita, morendo a 43 anni, solo e in mezzo al deserto. Ma questo zelo è stato il segreto della sua santità.

PRESENTAZIONE

Non c’è presentazione migliore a questa nuova biografia del Servo di Dio Mons. Antonio Roveggio che riproporre un testo scritto il 24 gennaio 1953 da Mons. Elia Dalla Costa, divenuto poi Cardinale di Firenze. Egli ha saputo cogliere in profondità lo spirito e lo zelo missionario del Roveggio, tra i primi missionari comboniani religiosi e successore di San Daniele Comboni a Kartoum.

Conobbi il Servo di Dio nel Seminario di Vicenza di cui egli era ex allievo. Parlò a noi seminaristi e chierici in una conferenza nella cappella del Seminario, raccontando episodi della sua vita missionaria.

Parlava bene, con entusiasmo ed amore dell’Africa e di tutte quelle anime da salvare. Fece particolare impressione l’epilogo della sua conferenza: “Hodie si vocem Domini audieritis”, detto con un tono speciale e molti dei seminaristi lo seguirono nell’Istituto delle Missioni Africane di Verona. Io ebbi di lui l’impressione di un uomo santo, di un’anima pia, di un vero apostolo. Così appariva anche dal suo contegno e dal suo modo di parlare. I Superiori e quelli che erano più avanti di me negli studi parlavano tutti con ammirazione e venerazione di questo pioniere delle missioni africane, caduto giovane ancora sul campo del suo apostolato.

Mentre mi rallegro che la Congregazione dei Figli del Sacro Cuore abbia di tali apostoli, auguro e benedico allo sviluppo della medesima e alla buona riuscita del processo di beatificazione del Servo di Dio. Ci auguriamo che questa biografia abbia una larga diffusione a beneficio delle missioni dell’Africa.
Padre Venanzio Milani
Missionario Comboniano

Pagina 19-20
I primi anni al Cairo

Una piena straordinaria del Nilo, nel novembre del 1892, allagò l’isola raggiungendo un metro di altezza, danneggiò raccolti, abitazioni e la chiesa (uno stanzone). Morirono mucche e bestie da cortile, preda dei coccodrilli. Passato l’allagamento, tutti si impegnarono alla ricostruzione In qull’anno a Verona nella chiesa di San Giovanni in Valle si era inaugurata, per volontà di mons. Sogaro, la nuova grandiosa Casa madre dell’Istituto comboniano, essendo la precedente sede in Via del Seminario divenuta angusta. Il 25 ottobre, il superiore p. Antonio Voltolina, gesuita, il maestro p. Samuele Asperti, pure gesuita, l’amministratore p. Giuseppe Sembianti, comboniano, e i novizi si erano trasferiti nella nuova sede.

C’era però una grossa novità che era giunta anche al Cairo. Il vescovo Sogaro, che si era adoperato di trasformare l’Istituto del Comboni in Congregazione religiosa (con i tre voti semplici e perpetui), aveva deciso di ritornare alla precedente forma del solo giuramento, per compiacere i vecchi missionari comboniani (parecchi erano austriaci ed egli simpatizzava con il governo austriaco). Invece i giovani missionari, religiosi, dovevano obbedire al superiore della loro comunità, con il quale, pur essendo egli vescovo, doveva trattare per gestire le attività dei missionari.

P. Antonio Maria ne fu amareggiato: lui era il primo sacerdote, membro dell’Istituto, che aveva accettato con gioia, quale grazia del cielo, di emettere i voti religiosi; nei due anni di noviziato e nei cinque anni di vita religiosa aveva sperimentato positivamente l’efficacia ascetico-mistica della professione dei voti. La comunità dei missionari alla Gesira, che egli presiedeva, conduceva una vita esemplare e aveva un orario severo. Alzata alle 4.15, un’ora di meditazione e santa Messa; al mattino studio dell’arabo e insegnamento del catechismo, un quarto d’ora di esame di coscienza prima del pranzo, durante il quale c’era la lettura di testi sacri; alle ore 14.30 visita al Santissimo Sacramento e lettura spirituale; ancora lavoro fino a sera, poi rosario, studio, cena, riposo alle 21.00. Ogni mese una giornata di ritiro per la comunità, ogni settimana confessione. In certi momenti difficili non temeva di fare penitenza e di portare il cilicio. Poiché mons. Sogaro aveva incominciato ad agire vietando che si accettassero novizi nell’anno 1893, i due padri Gesuiti e il card. Luigi di Canossa, vescovo di Verona, ricorsero a Roma.

Anche p. Roveggio passò con sofferenza all’azione contro il suo superiore che venerava e stimava per tutto il bene fatto: scrisse con il consenso e l’appoggio del vescovo di Verona, dei padri gesuiti e degli altri Figli del Sacro Cuore, a Propaganda Fide che si conservasse all’Istituto la professione dei voti e si facesse desistere mons. Sogaro dal volerla annullare. In data 15 gennaio 1894 Propaganda Fide affidava il Vicariato dell’Africa Centrale (Sudan ecc.) alla giovane Congregazione comboniana dei Figli del Sacro Cuore, e il 22 gennaio il cardinale prefetto di Propagande Fide, Ledóchowski (1822-1902), dichiarava che detta Congregazione doveva restare Congregazione con voti e osservare le Regole presentate alla Santa Sede. Mons. Sogaro accusò il colpo, si ritirò a vita privata con il titolo di arcivescovo e con una decorazione di Gran Croce austriaca, e a Roma ebbe onorifiche incombenze.
Graziano Pesenti