Venerdì 11 gennaio 2019
Padre Lino Negrato è nato a Legnaro (Padova) 90 anni fa. Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1952 è stato assegnato all’Uganda, dove svolse per una decina d’anni il suo servizio missionario. Nel 1963 dovette lasciare il paese. La politica protestante anti-cattolica, promossa prima dalla potenza coloniale britannica ed esacerbata poi da Milton Obote dopo l’indipendenza nel 1962, condusse alla repressione di ogni sforzo nel campo dell’educazione e della sensibilizzazione politica della gioventù cattolica. In questo difficile contesto, il giovane e combattivo missionario che era P. Lino si creò parecchi nemici, per cui fu costretto ad abbandonare precipitosamente il paese.

Dopo un breve periodo (1964-1967) trascorso in Italia e Canada, nel 1968 fu destinato al Togo, dove arrivò il 14 di ottobre. Fu assegnato alla missione di Kouvé. Lì lavorò instancabilmente per 20 anni. È stato il periodo più fecondo della vita e attività missionaria di P. Lino. Con l’energia propria dell’età dai 40 ai 60 anni, la determinazione del suo carattere e il bagaglio della sua esperienza ugandese, si dedicò alla promozione umana dei giovani attraverso la costruzione di decine di scuole e di un liceo. Allo stesso tempo, con zelo apostolico si consacrò all’evangelizzazione del territorio, lottando contro il vodù che imperava in tutta la zona, edificando delle cappelle dappertutto. Oggi questa missione, trasferita al clero diocesano nel 1996, è parrocchia-madre di diverse altre.

Il nome di P. Lino rimane legato a quello di Kouvé. Ne è un bel ed eloquente segno il fatto che il vescovo della diocesi di Anécho, a cui appartiene attualmente Kouvé, abbia voluto farsi rappresentare al funerale di P. Lino dal primo sacerdote nativo di Kouvé (vedi la sua testimonianza).

Dopo Kouvé, P. Lino proseguì il suo servizio missionario in Ghana e Benin, fino al 2010. La sua ultima comunità di missione fu Adidome (Ghana). Festeggiando i suoi 80 anni (la metà dei quali vissuti in Togo, Ghana e Benin), mi confidava: “non mi sento di avere 80 anni; dentro mi pare di averne 20”! Ma il suo fisico in realtà era provato.  Infatti l’anno seguente, nel 2009, durante le vacanze in Italia ebbe un grave problema di salute. Dopo parecchi mesi di convalescenza, volle ritornare in missione. Ma ormai la sua salute era minata irreversibilmente. Dopo pochi mesi, il 21 settembre del 2010 P. Joe Rabbiosi, superiore della comunità di Adidome, lo dovette accompagnare di ritorno in Italia, a Verona.

Dal 2015 P. Lino apparteneva alla comunità di Castel d’Azzano. La sua salute si era aggravata da alcuni mesi. Il 4 Gennaio durante la notte si è spento serenamente. Il 7 gennaio abbiamo celebrato il suo funerale, presieduto da P. Renzo Piazza, con la presenza di numerosi confratelli delle comunità vicine e di familiari.  Diverse testimonianze hanno evocato la figura di questo missionario. Nel pomeriggio è stato fatto il funerale al suo paese di Legnaro, dove è stato seppellito. (MJ)

P. Lino con i confratelli della sua comunità di Adidome (Ghana) nel 2008.

Funerale del P. Lino Negrato

Castel D’Azzano, 7 gennaio 2019
Omelia di P. Renzo

Nel pensare al funerale del P. Lino, la famiglia ha proposto di leggere le letture del giorno, il cui contenuto è molto in linea con la sua vita missionaria.

Credere in Gesù e amarci gli uni gli altri è la sintesi della prima lettura. Mentre il Vangelo ci presenta l’inizio della missione evangelizzatrice di Gesù. Ci mostra come Gesù diventa il missionario del Padre.

L’evangelista Matteo scrive che Gesù lascia il suo paese e va ad abitare in un’altra città, Cafarnao, nella Galilea delle genti, considerata un crocevia di popoli pagani. Percorreva tutto questo territorio, insegnava,  annunciava il vangelo del regno (Dio è Padre e siamo tutti fratelli), guariva ogni sorta di malattie e di infermità. La sua fama si diffondeva. Tutti parlavano bene di lui. Con l’arrivo di Gesù il popolo che camminava nelle tenebre vede finalmente spuntare una grande luce.  Le promesse di Dio e la profezia di Isaia si realizzano nella sua persona.

Sabato ho ricevuto la telefonata di uno sconosciuto. Si è presentato come Raymond, un togolese di 47 anni, da 18 anni si trova in Italia, originario della città di Kouvé, dove P. Lino ha operato. Diceva: P. Lino ha aiutato molto il Togo: ha costruito scuole e chiese, ha fatto grandi realizzazioni. Ha lavorato tantissimo. Gli hanno dedicato una via. Ha ricevuto un’onorificenza da parte del Presidente. E aggiungeva: Ha dato la fede a tante persone. Ci ha aperto gli occhi. Eravamo pagani e ci ha tolto dalla paura. Eravamo schiavi della religione tradizionale e grazie a P. Lino la schiavitù è finita. Ha continuato a trasmettere la fede anche da anziano a Verona in Casa Madre.

P. Lino, come Gesù, ha lasciato il suo paese ed è andato a vivere in un paese dove il Vangelo del Regno non era ancora arrivato. Con la sua persona e la sua attività ha trasmesso la fede e ha liberato la gente dalla paura. Le persone semplici hanno riconosciuto che in quella città è iniziata una nuova vita, una nuova luce è spuntata. Di questo ringraziamo il Signore.

Nella nostra comunità di Castel d’Azzano  troviamo 6 confratelli che hanno speso i migliori anni della loro vita nella missione del Togo-Ghana-Benin: P. Cesare Pegoraro, P. Fabio Gilli, P. Luigi Gambin, P. Luigi Capelli, P. Massimo Cremaschi , P. Manuel Joao.  Tutti avrebbero qualche cosa da dire su P. Lino.

Ho raccolto la testimonianza di P. Manuel Joao, che ha vissuto nella stessa missione in Ghana (Liati), dove il P. Lino era superiore e l’altro confratello era il P. Luigi Capelli. Né l’uno né l’altro si ricordavano di essere stati nella stessa missione… La trasmetto mantenendo il tono un po’ scanzonato che certi ricordi richiedono, ricordando quanto Comboni stesso scriveva a proposito delle relazioni non sempre facili con i suoi collaboratori: Ella vede quanto è buono il nostro caro Gesù, che permette che mi facciano soffrire anche quelli che io amo: ma io salverò D. Losi per la Missione africana, e difenderò l’innocenza di D. Luigi, e lo farò stimare a Roma per quello che merita secondo il mio subordinato parere e giudizio. Ah! se D. Losi, D. Luigi ed io riusciamo a trovarci insieme in paradiso  dobbiamo molto ridere sulle interessanti commedie che abbiamo rappresentate qui in terra.

Dunque il P. Lino era il superiore; P. Luigi era sempre d’accordo con il Superiore; P. Manuel era il giovane, l’ultimo arrivato e a volte si sentiva dire: “Tu stai zitto!”, “sei appena arrivato”, “non capisci niente”. P. Lino comandava e non ammetteva repliche.

La comunità si riuniva alle 5 del mattino per lodi. Un giorno, P. Manuel arriva puntuale e trova i due confratelli che stanno beatamente chiacchierando. Pazienta per un po’ e ad un certo punto chiede: “Ma allora quando iniziamo le lodi?” Risposta: “Le abbiamo già dette, alle 4.30… Abbiamo cambiato l’orario…” Naturalmente senza nessun preavviso…

Manuel un mattino parte in visita ad un villaggio. Quando ritorna trova la missione completamente scoperchiata. Tutte le lamiere erano state tolte dal tetto. Chiede: “Ma cosa è successo?” Il P. Lino pacifico risponde: “Ho deciso di cambiarle. Sono io il Superiore!… ”

Allora P. Manuel chiede: “In un villaggio che sto seguendo c’è una cappellina che ha bisogno del tetto. Mi daresti qualche vecchia lamiera per aiutarli?” “Certamente” fu la risposta. “Basta che me le paghi…”

Era molto deciso. Una natura di capo. Molto spartano nel vestire, nello stile di vita e anche nel mangiare (che tradotto significa che si mangiava poco e che il P. Manuel ha dovuto ricorrere ai ripari per mantenersi in salute…).

Andava a dormire subito dopo cena e si alzava prestissimo. Sembra che quando era a Kouvé celebrasse la messa nei villaggi alle 3 del mattino, “tempo favorevole”, perché, secondo P. Lino,  tutti, compresa la natura, si riposavano.

Continuò fedele a queste abitudini di vita anche negli ultimi anni di missione. Quando era a Adidome (Ghana), già ottantenne, si alzava attorno alle 2. Un po’ di esercizi davanti alla chiesa e poi via, in viaggio verso i villaggi. Diceva tre messe, in fretta, sempre.  P. Manuel gli diceva che aveva preso come motto la parola di Gesù (a Giuda!): “Quello che devi fare, fallo presto!”. Mentre faceva una cosa, ne pensava un’altra. Non poteva aspettare. Sempre di corsa, anche in auto. Lo chiamava Schumacher. E se per caso aveva un autista che guidava, gli diceva: “Corri più in fretta!”. Secondo P. Lino in questo modo si sorvolava le numerose buche della strada! Se non ha fatto incidenti, di sicuro ha ridotto male parecchie macchine.

A casa leggeva moltissimo. Voleva essere al corrente di ciò che succedeva. Quando era in Ghana (Adidome), ogni settimana faceva più di 100 km per andare alla frontiera a comperare periodici e riviste da leggere per conoscere la situazione sociale e politica, particolarmente di Togo, Ghana e Benin.

Non esitava a immischiarsi anche nelle vicende pubbliche e aveva amici nell’ambito politico. Uno dei capi dell’opposizione togolese era di Kouvé. Volentieri parlava con le persone per informarsi ed essere al corrente di quando succedeva.

Aveva sviluppato un’enorme rete di contatti per avere degli aiuti per le costruzioni  delle opere sociali. Gli organismi gli davano fiducia. Coltivava le amicizie e aveva buoni rapporti con le Suore che lui stesso aveva fatto venire a Kouvé. Sapeva anche essere simpatico e affettuoso con le persone. 

Di salute, sempre forte. Dieta rigida: molta verdura. Ha mantenuto uno stile che gli ha permesso di stare bene a lungo. A 80 anni si confidava: Ho l’energia e la voglia di portare a termine progetti di uno di 20 anni… Ma ad un certo punto la sua salute è precipitata e ha dovuto rientrare ammalato.

Dal punto di vista spirituale era fedele alle sue pratiche religiose, ma non aveva il collo storto. A modo suo, è stato un grande.

Qui a Castel d’Azzano la debolezza lo ha reso docile e affettuoso. Non si vedeva più il carattere forte che lo aveva contraddistinto.  La malattia lo ha maturato moltissimo. Siamo stati tutti sorpresi positivamente dal cambiamento operato in lui dalla malattia. Era riservato e non ha fatto pesare al personale la sua situazione. Lo hanno soprannominato “Stellina” perché così chiamava  le operatrici. 

Ripeto ora quanto ho già detto ieri, festa dell’epifania e dei doni. P. Lino è stato un dono per la nostra congregazione e per le missioni dove ha lavorato: Uganda, Canada, Togo, Ghana, Benin e Italia. La famiglia dei Comboniani ha ricevuto questo dono. P. Lino con la sua consacrazione missionaria aveva già offerto la sua vita al Signore. Ce lo ricorda Comboni:  La vita nostra è nelle mani di Dio. Ei faccia quel che vuole: noi l’abbiamo con irrevocabile dono sacrificata a Lui. Sia benedetto.

Oggi noi, di questo dono ricevuto, ne facciamo un dono offerto:  affidiamo alle mani del Padre la vita e la storia del P. Lino, la sua vicenda missionaria, i suoi entusiasmi e i suoi errori. Ricordiamo quanto Gesù stesso diceva: “La mia vita nessuno me la toglie, sono io che la offro. Per questo il Padre mi ama”. P. Lino, affidiamo la tua vita al Padre che ti ha amato. Che tu possa essere sempre con Lui!