Le parole di Gesù, domenica scorsa, sottolineavano l'esigenza di "portare frutto": la Chiesa, vigna di Dio, non può essere decorativa, ornamentale, messa lì come oggetto di ammirazione. Deve "fare molto frutto". Oggi viene precisato in che cosa consista esattamente questo "portare frutto". Si tratta di frutti di amore, di carità. Cioè chi vive nel Cristo è cristiano deve recare frutti di bontà, di giustizia, di pace.

A chi sono unito:
alla Vite pregiata o a una vite bastarda?

Io sono la vite, voi i tralci!
Giovanni 15,1-8

Con le ultime due domeniche del tempo pasquale entriamo nella preparazione immediata alle feste dell’Ascensione e della Pentecoste. Sono le domeniche del commiato. Il vangelo di questa domenica e della prossima ci offre dei brani del discorso di addio di Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena. Si tratta del suo testamento, prima della passione e morte. Perché riprendere questi testi proprio nel periodo pasquale? La Chiesa segue l’antica tradizione di leggere durante questo tempo i cinque capitoli di Giovanni relativi all’ultima cena, dal 13 al 17, nei quali Gesù presenta il senso della sua morte e della sua “pasqua”. Inoltre, potremmo dire che, trattandosi del suo lascito, il testamento va aperto dopo la sua morte. Gesù lascia la sua eredità, i suoi beni, a noi suoi eredi.

Vigna pregiata o vigna bastarda?

Dai pascoli ai vigneti. Nel vangelo di Giovanni non troviamo delle parabole come negli altri tre vangeli, ma delle similitudini. Domenica scorsa l’evangelista ha impiegato una allegoria tratta dalla pastorizia: “Io sono il buon pastore”. Oggi ne adotta una agricola: “Io sono la vite e voi i tralci”. La vigna, l’olivo e il fico sono simboli dell’abbondanza e fertilità della “terra promessa” e sono impiegati come simboli della fecondità del popolo di Dio.

Nella tradizione profetica, il popolo di Dio viene spesso presentato come vite scelta e vigna pregiata: “Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle… Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?” (Isaia 5,1-7); “Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?” (Geremia 2,21); “Vite rigogliosa era Israele, che dava sempre il suo frutto; ma più abbondante era il suo frutto, più moltiplicava gli altari.” (Osea 10,1); “Figlio dell’uomo, che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto?… Ecco, lo si getta nel fuoco a bruciare.” (Ezechiele 15,1-8); “Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque… Ma essa fu sradicata con furore e gettata a terra.” (Ezechiele 19,10-14).

Notiamo che Dio si mostra deluso nelle sue aspettative. Dopo tutta la cura e l’amore per la sua vigna si attendeva dei frutti e, invece, la vigna degenerata produce acini acerbi. Come non vedere qui il lamento del Signore sulle nostre situazioni di infedeltà, a livello personale o comunitario?!

Il Signore però non abbandona la sua vigna e risponde alla preghiera del salmista: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna.” (Salmo 80,9-17). Ed ecco la promessa messianica: “In quel giorno la vigna sarà deliziosa: cantàtela!Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura notte e giorno… Nei giorni che verranno Giacobbe metterà radici, Israele fiorirà e germoglierà, riempirà il mondo di frutti.” (Isaia 27,2-5). La visita di Dio e l’adempimento della sua promessa avviene con Gesù. È lui la vite, il vero Israele fedele che offrirà al Padre “il vino nuovo” (Giovanni 2,10).

1. La vite, i sarmenti e l’agricoltore: il nostro rapporto col PADRE

“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore”. Troviamo qui due affermazioni molto forti. Prima di tutto, l’espressione di Gesù suona come una auto-rivelazione: “Io Sono” è una allusione al Nome di Dio. Inoltre, attribuisce a sé l’immagine della vite che era impiegata in riferimento a Israele.

Il Padre è l’agricoltore. Cosa fa? “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. La potatura è qualcosa di essenziale per la fecondità della vite ed è un’arte, perché bisogna sapere cosa, dove e come tagliare. Da una parte, è necessario tagliare i sarmenti che non produrranno frutto e indebolirebbero la pianta. Dall’altra, potare i tralci che daranno frutto per favorirne la la quantità e la qualità. Questo si fa verso l’inizio dell’inverno e si dice che la vite “piange”, per la linfa che scorre dai tralci potati. Quando poi spuntano i germogli si rimuovono quelli più deboli e, più tardi, anche le foglie che non favoriscono la crescita del grappolo.

Dall’immagine alla realtà: Dio opera nella nostra vita una potatura o purificazione continua. La forbice che egli utilizza è, in primo luogo, la sua Parola, ma pure gli eventi della vita, la correzione fraterna e, addirittura, la critica dei non-credenti, talvolta sfregiante e spietata. Da parte nostra, ci vuole una attenzione permanente per recidere quanto sta indebolendo la nostra vita cristiana. Spesso lasciamo crescere tanti germogli che producono solo fogliame. Coltiviamo troppi interessi che ci assorbono energie e compromettono la qualità dei frutti. Un esempio di potatura lo troviamo nella vita di San Paolo (vedi prima lettura). Grazie ad essa diventa il grande apostolo delle genti.

2. Rimanere in Cristo per portare frutto: il nostro rapporto col FIGLIO

“Rimanete in me e io in voi”. Per esprimere l’unione dei tralci alla vite, Gesù impiega il verbo “rimanere”, un verbo molto caro a Giovanni. Qui, nel brano di oggi, compare sette volte e una quarantina di volte in tutto il vangelo. Letteralmente il verbo significa “dimorare”. Il nostro rapporto con Cristo è quello di una dimora vicendevole: io in Lui e Lui in me. San Paolo esprime questa stessa realtà con l’espressione “essere in Cristo”, che troviamo innumerevoli volte (164) nelle sue lettere. “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me!” (Galati 2,20). Rimanere, dimorare, essere in Cristo significa essere inseriti in Gesù, lasciarsi guidare dalla sua Parola, avere il suo modo di pensare, di sentire e di agire. Questo è frutto di un lungo processo di frequentazione col Signore: “Maestro, dove dimori? – Venite e vedrete!” (Giovanni 1,38).

Scendendo al concreto della vita, dobbiamo ammettere che, purtroppo, smarrire questa sintonizzazione del cuore e della vita con Cristo non è poi tanto difficile. Ciò può avvenire in un modo quasi impercettibile e surrettizio, e subentra allora l’adeguamento ad una “mentalità mondana”. C’è tanta futilità, banalità, interessi effimeri e doppiezza che ci distolgono dalle cose importanti! Ci vuole una attenzione continua sui nostri pensieri, desideri e interessi. Bisogna effettuare periodicamente un esame di coscienza per vedere dove dimora il nostro cuore, perché “dov’è il tuo tesoro là sarà il tuo cuore” (Matteo 6,21).

“Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto”. “ In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto”. L’espressione “portare frutto”appare sei volte nel brano del vangelo. Qual è questo frutto? L’amore! “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato.” (seconda lettura). Solo l’amore resterà, quando la nostra vita sarà sottoposta al fuoco della verità: “L’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno.” (1 Corinzi 3,13).

Pensiamo bene: il Signore ha investito tutto sulla nostra vita, correndo grandi rischi. C’è come una simbiosi tra la vite e i tralci. Senza la vite i tralci seccano e sono bruciati, ma senza i tralci la vite rimane sterile. “In ogni istante della vita, noi costituiamo un argomento pro o contro Gesù Cristo” (romanziere francese René Bazin, 1853-1932). “La più grande obiezione contro il cristianesimo sono i cristiani”, commenta il filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948) a proposito dei tralci secchi.

3. La linfa della vite: il nostro rapporto con lo SPIRITO SANTO

È lo Spirito la linfa vitale che scorre nella vite e nei tralci. “Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.” (seconda lettura). Coltivare, curare il nostro rapporto con lo Spirito è la condizione indispensabile per condurre una vita cristiana feconda e rigogliosa. Per di più, vivendo noi in una condizione di “diaspora”, in un contesto di crescente secolarismo e marginalizzazione della fede, non possiamo sopravvivere senza “il conforto dello Spirito Santo” (prima lettura).

Per la riflessione settimanale

Troviamo nel vangelo di Giovanni tutta una serie di dichiarazioni in cui Gesù si auto-rivela (“Io Sono”, “egô eimì” in greco), due delle quali nel vangelo di oggi. Sono delle “epifanie” di Gesù. Alcune sono in forma assoluta: “Io sono”, ed evocano il nome divino (Esodo 3,14). Altre volte “Io sono” viene accompagnato da una specificazione, come nel vangelo di oggi: “Io sono la vite”. Vi propongo dieci. Accogliamole nel cuore e diamo la nostra adesione a queste sue rivelazioni in forma di preghiera, con un atto di fede, di speranza o di amore.

  • “Sono io, che parlo con te” (4,26, alla samaritana)
  • “Sono io, non abbiate paura!” (6,20, ai discepoli impauriti)
  • “Io sono il pane della vita “ (6,35)
  • “Io sono la luce del mondo” (8,12)
  • “Io sono la porta” (10,7)
  • “Io sono il buon pastore” (10,11)
  • “Io sono la risurrezione e la vita” (11,25)
  • “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6)
  • “Io sono la vite vera” (15,1)
  • “Io sono re” (18,37)

P. Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, aprile 2024

La gioia e la fatica
di aprirsi all’amore e alla Missione

Atti 10,25-26.34-35.44-48; Salmo 97; 1Giovanni 4,7-10; Gv 15,9-17

Riflessioni
Due domande di sempre: Dove trovare la gioia piena? - Qual è l’amore più grande? La risposta di Gesù è chiara e definitiva (Vangelo): nell’essere fedele a Dio e nel dare la vita per gli altri (v. 10-11.13). Sono parole di Gesù nella sua Pasqua grande, che, secondo il Vangelo di Giovanni, si apre con la “lavanda dei piedi” (13,1ss), gesto che ha un significato sacramentale ed eucaristico. Siamo all’inizio del Libro dell’Addio, che comprende i capitoli 13-17 di Giovanni, nei quali l’evangelista condensa temi molto cari alla sua teologia: parla con insistenza del servizio e del comandamento dell’amore, spiega il senso pasquale ed escatologico dell’esodo di Gesù, entra nei rapporti di Gesù all’interno della vita trinitaria, parla di Gesù che mostra il volto del Padre e dello Spirito Consolatore, raccoglie l’intensa preghiera di Gesù al Padre… Per Gesù sono ore dense di confidenze e di sfogo con i suoi amici (v. 15), ai quali si rivela come via-verità-vita, offre loro la sua pace, li invita ad avere fiducia, perché “io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

In tale contesto di addio, ricco di significato e di emozioni, l’insegnamento di Gesù sull’amore in tutte le dimensioni acquista uno speciale rilievo.

- Gesù parla anzitutto della sorgente primaria dell’amore in seno alla Trinità, l’amore del Padre, l’amore fontale (come afferma il decreto conciliare Ad Gentes 2): “come il Padre ha amato me...”;

- dal Padre l’amore si riversa nel Figlio, con la sovrabbondanza dello Spirito Santo;

- dal Figlio, nei discepoli: “anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (v. 9);

- dai discepoli l’amore si irradia verso tutti: “che vi amiate gli uni gli altri” (v. 12.17).

Gesù stesso si offre come misura, modello, ispirazione per l’amore più grande: lava i piedi dei suoi discepoli, dà “la sua vita per i propri amici” (v. 13), perdona e ama anche i suoi nemici. (*)

L’amore di cui parla Gesù ha chiare dimensioni missionarie, come si vede in due frasi che occorre leggere in parallelo: l’amore è missione, la missione è amore.

- “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore” (v. 9);

- “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi... ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,21-22).

Amore e missione vanno strettamente insieme: la missione nasce dall’amore, l’amore porta alla missione. Tutto ciò nel segno e con la forza dello Spirito d’amore. Giovanni (II lettura) rafforza lo stesso insegnamento, facendo leva sull’origine divina dell’amore: “amiamoci... perché l’amore è da Dio: perché Dio è amore…; È Lui che ha amato noi” (v. 7.8.10).

Amare fino a dare la vita per gli altri! È l’amore più grande, è l’amore dei martiri. E di tanti altri cristiani, missionari e non. Uno dei 7 monaci trappisti, uccisi a Tibhirine (Algeria, 21 maggio 1996) da alcuni fondamentalisti, lasciò scritta questa testimonianza: “Se arriverà un giorno - e potrebbe essere oggi stesso - in cui cadrò vittima del terrorismo, che sembra voler ingoiare tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita è donata a Dio e a questo Paese” (Christian de Chergé). E Fr. Luca, un altro dei monaci della stessa fraternità trappista (nel film è il medico) lasciò scritto: “Se si vuole essere felici, si va diritti verso la delusione, verso l’infelicità. Se vuoi essere felice, rendi felice qualcuno”.

L’amore di Dio è per tutti; quindi la Missione dei cristiani è aperta a tutti i popoli. Questa universalità dell’azione missionaria della Chiesa emerge in tutta la vicenda della conversione del centurione pagano Cornelio (I lettura), come spiega molto bene Augusto Barbi, teologo biblista di Verona. Con fatica la Chiesa si è aperta ad accogliere i pagani. Nel libro degli Atti, l’episodio di Cornelio costituisce un tornante decisivo in tale apertura. Lo spazio dedicato a questo episodio (ben 66 versetti!) e la ripetitività di alcune parti del racconto testimoniano della sua importanza, ma anche della fatica con cui avviene la progressiva integrazione dei pagani nella Chiesa. San Pietro sviluppa riflessioni basilari proprie della teologia missionaria sul tema della salvezza per qualsiasi persona: “Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (v. 34-35). Al di là delle belle riflessioni di Pietro e compagni, colui che risolve veramente il problema è lo Spirito Santo, che scende su tutti i presenti: fedeli e pagani (v. 44-45), aprendo in tal modo anche per questi ultimi la porta del battesimo (v. 47-48).

Le resistenze della prima comunità cristiana - comprese le esitazioni dello stesso Pietro - sono dovute alla differenza culturale-religiosa degli interlocutori e alla cristallizzazione di pregiudizi legati alle solite paure del nuovo e del diverso. Non è difficile vedere nei personaggi e nella storia di Cornelio un paradigma e un orientamento significativo per l’oggi della Chiesa, che si trova con frequenza ad affrontare le sfide della diversità etnica-culturale-religiosa dei popoli, con il compito di aprirsi continuamente all’universalità e alla missione, con l’impegno dell’accoglienza, integrazione ed evangelizzazione di nuovi gruppi umani. Migranti e non. Accettati, o rifiutati e respinti!

Parola del Papa

(*) «Tutta l'attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell'uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell'attività umana. Amore è pertanto il servizio che la Chiesa svolge per venire costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni, anche materiali, degli uomini».
Benedetto XVI
Enciclica Deus Caritas est (25.12.2005) n. 19

Sui passi dei Missionari

9     S. Pacomio (287-348), padre del monachesimo cenobitico cristiano egiziano, autore di una delle prime regole monastiche.

·     Festa dell’Europa: si celebra la pace e l’unità in Europa. La data è l’anniversario della storica Dichiarazione di Schuman del 1950, in cui l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman espose a Parigi la sua idea di una nuova forma di cooperazione politica per l'Europa, che avrebbe reso impensabile una nuova guerra tra le nazioni europee. La dichiarazione ebbe l’immediata adesione Konrad Adenauer (Germania) e di Alcide De Gasperi (Italia). I tre statisti cattolici posero le basi del cammino dell’Europa unita, fondata sulla pace e solidarietà fra gli Stati.

·     Ricordo di Aldo Moro (1916-1978), giurista italiano, educato nell’Azione cattolica universitaria. Uomo politico di prestigio, presidente del Governo e presidente della Democrazia cristiana, fu ucciso dalle Brigate rosse. Durante la prigionia scrisse: «Io perdono tutti». Paolo VI lo pianse come amico, lo elogiò come sposo e padre esemplare, politico integro, «uomo mite e buono».

10   S. Giovanni d’Avila (1500-1569), dedito alle missioni popolari nel sud della Spagna, amico dei grandi riformatori del suo tempo. È dottore della Chiesa e patrono dei sacerdoti diocesani spagnoli.

·     B. Ivan Merz (1896-1928), laico della Croazia, umanista, impegnato nella vita sociale.

11   B. Zeffirino Namuncurá (1886-1905), argentino, membro della etnia Mapuche della Araucania, morto a Roma. Fu un giovane aspirante della famiglia salesiana e modello di virtù cristiane.

·     SdD. Matteo Ricci (1552-1610), gesuita italiano di Macerata, missionario in Cina per 30 anni, matematico, cartografo e sinologo. Morì a Pechino, dov’è sepolto per un privilegio speciale dell’Imperatore. Fu pioniere di una nuova forma di presenza cristiana e di evangelizzazione missionaria, assumendo valori della cultura cinese.

·     Approvazione del Cammino neocatecumenale (2008), itinerario di riscoperta del Battesimo e di formazione cristiana per adulti, iniziato nella periferia di Madrid (1964) da Francisco José (Kiko) Gómez Argüello (n. 1939), con la collaborazione della Sig.na Carmen Hernández († 2016).

12   S. Leopoldo Mandić (1866-1942), frate cappuccino, nacque a Cstelnuovo di Cattaro, in Dalmazia-Montenegro e morì a Padova. Fu promotore dell’unità dei cristiani e sacerdote assiduo nel ministero delle confessioni a Padova per 36 anni, a volte anche per 12-15 ore al giorno. Soleva dire: «Dio è medico ed è anche medicina». È patrono dei malati di tumore. Si celebra oggi nel ricordo della sua nascita; altri lo celebrano nel giorno della morte (30/7).

·     Ven. Edel Quinn (1907-1944), missionaria laica irlandese, molto attiva nella diffusione della Legione di Maria in vari paesi dell’Africa orientale. Morì di tubercolosi a Nairobi (Kenya).

·    Giornata internazionale dell’Infermiere. La data odierna ricorda la nascita di Florence Nightingale (1820-1910), infermiera britannica, che diede inizio all’infermieristica moderna.  

13   Madonna di Fatima (Portogallo, 1917), che apparve ai tre pastorelli Lucia dos Santos, Giacinta e Francesco Marto, con un invito pressante alla preghiera e alla penitenza per la salvezza dell’umanità. Giacinta e Francesco morirono in tenera età; Papa Francesco li canonizzò nel 2017. Lucia entrò nel monastero delle Carmelitane Scalze di Coimbra, dove visse fino alla morte nel 2005 a 98 anni; oggi è Serva di Dio.

14   S. Mattia apostolo, chiamato a far parte del gruppo dei dodici apostoli, dopo il tradimento di Giuda Iscariota. Fu scelto subito dopo l’Ascensione di Gesù e prima della Pentecoste (cfr. Atti 1,15-26).

·     S. Teodora (Anna Teresa) Guérin (1798-1856), religiosa francese, fondatrice, missionaria a Indianapolis (Usa).

·     S. Michele Garicoïts (1797-1863), figlio di una povera famiglia francese, giovane pecoraio, intelligente e ponderato, riuscì ad entrare in seminario e divenne sacerdote. Per far fronte alla scarsa preparazione intellettuale e pastorale del clero, fondò l’Istituto dei Preti del S. Cuore di Gesù, noti come Preti di Bétharram, disponibili ad aiutare il clero nelle parrocchie, e dedicarsi alle missioni popolari e alla formazione dei giovani.

·     S. Maria Mazzarello (1837-1881), fu tra le prime undici Figlie di Maria Ausiliatrice fondate da san Giovanni Bosco per l’educazione delle ragazze povere. Fu eletta come superiora della comunità e si distinse per la sua umiltà, prudenza e carità.

15   S. Isidro l’Agricoltore (c. 1080-1130), nato a Madrid, sposo di S. Maria de la Cabeza. Fu esempio di lavoro e di fiducia nella Provvidenza. È patrono di Madrid e di tutte le associazioni di agricoltori e allevatori della Spagna.

·     Giornata internazionale della Famiglia, proclamata dalle Nazioni Unite nel 1994.

16   Solennità dell’Ascensione del Signore.

* 55Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, con il messaggio del Papa: «Vieni e vedi (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone come e dove sono».

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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)

Sito Web:   www.comboni.org    “Parola per la Missione”

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Invitati ad amare come Dio ama noi

At 10,25-27.34-35.44-48; Salmo 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

Le parole di Gesù, domenica scorsa, sottolineavano l'esigenza di "portare frutto": la Chiesa, vigna di Dio, non può essere decorativa, ornamentale, messa lì come oggetto di ammirazione. Deve "fare molto frutto". Oggi viene precisato in che cosa consista esattamente questo "portare frutto". Si tratta di frutti di amore, di carità. Cioè chi vive nel Cristo è cristiano deve recare frutti di bontà, di giustizia, di pace.

"Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati...". L'amore costituisce, quindi, l'impegno fondamentale dei discepoli di Cristo. Se il cristiano si rivela incapace di amore, è un fallito; altrettanto se la Chiesa non brilla come testimone permanente e credibile di carità, giustizia, attenzione ai deboli, oppressi e poveri, è una vigna sterile.

"Come il Padre ha amato me, così anch' io ho amato voi, Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore". L'amore del Padre è la fonte e il modello dell'amore che, tramite Gesù, raggiunge i discepoli. La condizione per restare in questo amore è "osserva" i comandamenti di Gesù come Egli osserva quelli del Padre. E in questo caso Gesù appare la fonte e il modello dell'osservanza dei comandamenti per restare nell' amore, cioè di fedeltà estrema.

I comandamenti poi, si riducono in un comando unico, quello che riassume tutto e rappresenta la sintesi e lo spirito della Legge: l'AMORE. Si tratta proprio di un programma di vita per i cristiani. Il Cristo ci ha amati abbassandosi, svuotandosi, diventando "servo" di Dio (nel senso di uomo di fiducia, fedele e giusto) e "servo" di tutti. Dobbiamo anche noi "uscire" da noi stessi, dal nostro egoismo, dai nostri calcoli ed interessi, per scendere fino all' altro, e impossessarci (con empatia) della sua situazione, dare se stessi (più che delle cose), dimenticarsi e perdersi. È così che ci si mette alla scuola di Gesù Maestro (che ha "dato la vita per propri amici"). Considerando tutto , possiamo accorgerci di essere "analfabeti" in fatto di amore cioè principianti che chiamano amore ciò che è semplicemente egotismo verniciato di buoni sentimenti.
Don Joseph Ndoum

La strada principale

Giovanni 15, 9-17

Pregando sul vangelo di questa domenica, sono rimasto prigioniero di due parole, Gioia e Amore. Le parole di Gesù sono di grande consolazione e tutti ne abbiamo bisogno: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Una gioia che non dipende dalle circostanze della vita, ma è profonda esperienza dello Spirito. Il dono di sentirsi amati.

Noi potremmo camminare dentro la Parola di Dio e i secoli del cristianesimo attraverso la strada della gioia. È la strada principale. Lo disse Gesù leggendo la storia: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8, 56).

«Possa tu avere molta gioia!» (Tb 5, 11). Come sarebbero più belle le nostre chiese e le nostre case, se ci ripetessimo più spesso queste parole che l’angelo rivolse a Tobia all’inizio della nuova vita del figlio. Gesù parla spesso della gioia e anche prega per i suoi discepoli: «Perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17, 13). Li rasserena come fa la mamma con il suo bambino perché la loro tristezza si cambierà in gioia quando lo vedranno risuscitato.

Sì è la strada della gioia, quella più vera, quella della Chiesa, quella del vangelo, di milioni di pellegrini lungo i secoli. Pensiamo alla gioia dell’Attesa, così importante in questi tempi di pandemia: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce […]. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9, 1-6).

E poi ecco la gioia di Natale, annunziata dall’angelo, sperimentata dai pastori e dai magi, vissuta dal vecchio Simeone e dalla profetessa Anna. E poi finalmente la pienezza della gioia a Pasqua. Maria Maddalena, gli apostoli, i discepoli di Emmaus: «Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli» (Mt 28, 8): «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20, 20).

Nella notte di Pasqua la Chiesa vive la gioia del suo Signore con il canto dell’Exultet, dove cielo e terra esultano insieme. Nell’oggi perenne della Chiesa viviamo in noi una perenne Pentecoste, la gioia dello Spirito Santo che ci guida e ci sostiene.

La vita anche se sempre non è facile, sempre può essere felice perché sotto la tristezza di tanti nostri giorni, nascosto in qualche angolo dentro di noi, c’è un tesoro prezioso che dobbiamo cercare con la lampada dello Spirito, l’Amore del Padre. Nessun dolore, nessuna difficoltà, nessun male della vita sarà mai più forte dell’amore del Padre. Un Padre misericordioso che ci vuole più felici che fedeli, suoi amici e non servi.

Noi dobbiamo osservare il comandamento dell’Amore, altrimenti la nostra osservanza potrebbe essere per paura, per far carriera, per calcolo, o anche per sensi di colpa. Lasciarsi amare da Lui è il primo passo nel cammino della vita. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12).

Questa Parola è la semplicità è la mitezza, è il cuore della “rivoluzione” cristiana. Ribalta tutti i tavoli, manda per aria i progetti di ogni potere che si illude di avere in mano il mondo. Dobbiamo però essere umili e vigilanti perché la “mondanità” che è il contrario dell’Amore si oppone al vangelo, e lo contrasta fin dentro la Chiesa nel cuore di ciascuno di noi. In un attimo si passa da amare secondo la misura del cuore di Dio, ad amare se stessi e quello che più conviene. Chiediamo al Signore e al Suo Spirito, di essere persone che vogliono bene, così semplicemente senza condizioni e tornaconti, per aiutarci gli uni gli altri a camminare verso la visione del volto del Padre che Gesù ci ha rivelato.
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]