«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (Mc 1, 27). Allo stupore degli abitanti di Cafarnao, davanti a Gesù che guarisce un indemoniato, si unisce la perplessità di noi lettori del 2021, che tendiamo a guardare con scetticismo ogni riferimento al demonio e alla tentazione. (...)

Gesù, il Nazareno, profeta potente in opere e in parole
Marco 1,21-28

Eccoci al seguito di Gesù, in compagnia di Simone e Andrea, di Giacomo e Giovanni, dopo la chiamata di domenica scorsa. Gesù ci porta con lui a Cafarnao, una città a nord del lago della Galilea. Questa sarà la nostra prima giornata con lui. Una giornata memorabile che sarà chiamata la “Giornata di Cafàrnao”, una giornata tipo dell'attività di Gesù. La iniziamo oggi e la concluderemo domenica prossima. In questa prima giornata troviamo il programma di tuo il vangelo. Le due prime attività di Gesù secondo questo bramo sono l'insegnamento e l'esorcismo.

Il Profeta e la Parola con autorità

È sabato e “subito” il Maestro entra nella sinagoga e, dopo la proclamazione delle due letture, la prima dalla Torà di Mosè (il Pentateuco) e la seconda dai Profeti, Gesù prende la parola. E tutti rimangono stupiti: “egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”. Gli scribi erano i professionisti della Scrittura, ma “non avevano autorità”! Infatti si limitavano a riferire le opinioni di altri rabbini famosi, parole vecchie fatte di leggi e di precetti che legavano ancora di più la gente. Gesù, invece, non recita un ruolo, parla con autorevolezza, porta novità, tocca i cuori e risveglia la vita.

Il primo compito di Gesù è l'insegnamento. Il testo parla 4 volte di insegnare e di insegnamento. Nel vangelo di Marco troviamo il verbo insegnare 50 volte, sempre detto di Gesù (tranne una volta riferito ai discepoli). Non si dice mai cosa insegna “perché quel che insegna è ciò che fa” (Silvano Fausti).

È lui il Profeta promesso da Dio per mezzo di Mosè: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole” (prima lettura, Deuteronomio 18,15-20). Gesù è il Profeta ed è la Parola stessa di Dio. “Un grande profeta è sorto tra noi”, diranno le folle (Luca 7,16). I due discepoli di Emmaus lo presenteranno come: “Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo” (Luca 24,19).

Il titolo di Profeta dato a Gesù è stato poco sviluppato dalla tradizione cristiana. Forse dovremmo riscoprirlo. Oggi si dice spesso che la Chiesa sta perdendo autorità e autorevolezza. La “buona novella” del vangelo non può essere annunciata senza l'unzione profetica di Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore.” (Luca 4,18-19). È urgente per la Chiesa un “insegnare nuovo” che svegli la speranza e riscaldi i cuori. È urgente che ogni battezzato riscopra la sua vocazione di profeta, ricevuta per l'unzione dello Spirito.

La Parola di Gesù stana lo spirito impuro

Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!»”. È sabato e siamo nella sinagoga, cioè in un tempo ed uno spazio sacro, cosa fa lì questo spirito impuro? Sembra essere un fedele frequentatore della sinagoga. Era stato sempre lì, tranquillo e indisturbato. Ma oggi comincia a gridare! Le prediche degli scribi sembra che non l'abbiano mai disturbato, ma questo “insegnamento nuovo” di Gesù non lo sopporta proprio.

E noi potremmo chiederci: questo “spirito impuro” non sarà un fedele frequentatore anche delle nostre assemblee? Non sonnecchierà indisturbato in alcune profondità recondite e tenebrose del nostro cuore? E, se è così, perché non esce allo scoperto? Mancherà per caso questo “insegnamento nuovo”? O è diventato irraggiungibile ad un “vangelo” addomesticato? I “demoni” più pericoli non sono quelli che vediamo fuori di noi, ma quelli che si nascondono dentro di noi, questi “spiriti impuri” che contaminano e indeboliscono le nostre “opere e parole”!

E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”. Questo è il primo “miracolo” di Gesù presentato da Marco: un esorcismo. Gesù lo opera con la sua sola parola. E tutti nella sinagoga rimangono ancora più stupiti: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». Marco presenta il suo vangelo come una lotta tra il bene e il male. Satana è vinto da Gesù. È sopraggiunto “l'uomo forte” (Matteo 12,29) che viene a liberare l'uomo, il capolavoro di Dio!

Ma chi o cos'è questo “spirito impuro”? Gli evangelisti, Marco in particolare, traducono il concetto di “demonio” con “spirito impuro”. Troviamo una cinquantina di volte il riferimento ai “demoni” nel Nuovo Testamento, e quasi la metà nel vangelo di Luca (23). Per la verità, l'Antico testamento è abbastanza sobrio riguardo alla demonologia ma, al tempo di Gesù, essa era molto fiorente. Tanti fenomeni e mali strani o malattie psichiche e mentali erano attribuiti ai “demoni”. È naturale, quindi, che si trovi questo influsso culturale anche nei vangeli. Il male è sempre esistito e, qualsiasi nome gli attribuiamo, rimane sempre un mistero. Comunque sia, la parola di Gesù sconfigge il male e libera questo uomo.

Ma allora il demonio esiste o no? Oggi si prova un certo disagio a parlarne. Dice il noto biblista Gianfranco Ravasi: “In realtà, la sua è una figura attiva nelle pagine del Nuovo Testamento. La parola di origine ebraica Satana ricorre 36 volte e l’equivalente di origine greca diábolos 37 volte. Si tratta, dunque, di una presenza significativa che non può essere facilmente eliminata come se fosse un residuato mitico popolare”. Mi pare che bisogna evitare i due estremi: vedere la presenza e l'influsso del “demonio” dappertutto o, al contrario, negare la sua esistenza. Diceva Giovanni Papini: “L’ultima astuzia del diavolo fu quella di spargere la voce della sua morte”. In ogni caso, il cristiano non è chiamato a parlare del demonio e dell'infermo, ma ad annunciare che “Gesù, il Nazareno, profeta potente in opere e in parole” è la sola speranza per l'umanità di oggi, assetata di libertà, ma schiava di tanti demoni!

P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ
Castel d'Azzano (Verona), gennaio 2024

Marco 1, 21-28
La tentazione di prendersi troppo sul serio

«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (Mc 1, 27). Allo stupore degli abitanti di Cafarnao, davanti a Gesù che guarisce un indemoniato, si unisce la perplessità di noi lettori del 2021, che tendiamo a guardare con scetticismo ogni riferimento al demonio e alla tentazione.

Eppure «Satana appare nelle prime pagine della Bibbia, perché è una realtà che tutti noi abbiamo come esperienza. Tutti noi abbiamo nel cuore l’esperienza della lotta tra il bene e il male». Con queste o con altre parole simili Papa Francesco ha più volte ricordato che un segno dell’azione diabolica si trova nella chiusura dei cuori, nell’isolamento, nella divisione. L’orgoglio e la pretesa di essere meglio degli altri sono una tentazione che ognuno di noi si ritrova nel cuore, quando tende a vedere gli altri come nemici o concorrenti e a cercare la sicurezza nell’illusione di essere autonomi e indipendenti. E, commentando proprio questo episodio raccontato all’inizio del Vangelo di Marco, il Papa aggiunge che l’insegnamento che scaccia il demonio «è una parola umile e mite».

San Thomas More, in un luminoso dialogo composto poco prima di morire, nell’oscurità della prigione, parla proprio di come lottare contro le tentazioni, le «cattive fantasie» con le quali il tentatore cerca di ingannarci: «Alcuni si sono liberati da queste fantasie pestifere semplicemente disprezzandole, facendosi un segno di croce sul cuore e scacciando così il diavolo, a volte perfino ridendogli in faccia e pensando ad altro». Il tentatore si allontana, spiega More, perché «quello spirito orgoglioso non sopporta di essere canzonato».

Se il nemico è l’orgoglio, che è il padre di ogni divisione nei cuori, nelle famiglie e nella Chiesa, la medicina è l’umiltà. C.S. Lewis, che cita proprio la frase di Thomas More all’inizio delle Lettere di Berlicche, descrive come funziona la tentazione diabolica quando un cristiano comincia a essere umile: «Quasi immediatamente l’orgoglio — l’orgoglio della sua stessa umiltà — farà la sua apparizione. Se s’accorge del pericolo e tenta di soffocare questa nuova forma d’orgoglio, fallo inorgoglire del suo tentativo; e così di seguito, per tutte le fasi che vorrai. Ma non tentare ciò troppo a lungo, perché c’è il pericolo di svegliare in lui il senso dell’umorismo e della proporzione. Nel qual caso ti riderà in faccia, e se ne andrà a dormire».

«Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1, 15) è l’invito che inaugura la predicazione di Gesù. E forse una buona parte della conversione che il Signore ci propone consiste nel risvegliare il nostro senso dell’umorismo, della sproporzione tra noi e il Creatore. Nasce così una sana autoironia, che ci impedisce di pensare di cavarcela da soli, senza Dio e senza l’aiuto degli altri. Se non prendiamo troppo sul serio noi stessi e riconosciamo di essere creature dipendenti in tutto dal Creatore, ci avviciniamo agli altri e le relazioni si semplificano. E rinasce il sorriso interiore ed esteriore. Del resto lo diceva anche Chesterton: «La serietà non è una virtù. Anzi, è forse più appropriato dire che è un vizio. E infatti satana è caduto per forza di gravità».
[Carlo De Marchi – L’Osservatore Romano]

Gesù e l’indemoniato

Il Maestro
che libera dalle potenze del male

Dt 18,15-20; Sl 94/95; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28

Il vangelo di Marco (1,21-28) questa domenica ci presenta Gesù che insegna con autorità nella sinagoga. La sua autorità si manifesta nell’efficacia della sua parola e se ne ha una conferma nel miracolo di liberazione di un indemoniato.

La prima lettura ci aiuta ad entrare in sintonia con l’immagine di Gesù maestro autorevole. In nome di Dio, Mosè parla al popolo ebraico prima del suo ingresso nella terra promessa. Egli annuncia un profeta che sarà fedele portavoce della volontà divina: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me, a lui darete ascolto”. Questa promessa sembra realizzarsi in Cristo che insegna con un modo tutto speciale. Il testo si conclude con un tono quasi minaccioso: “Se qualcuno non ascolterà le parole, che egli dirà al mio nome, io gliene domanderò conto”.

L’esortazione di Paolo nella seconda lettura appare tutto estraneo a questa prospettiva dell’autorità di Gesù. Profeta. Il discorso dell’apostolo delle nazioni parla invece della scelta dello stato di vita: quello che conta non è lo statuto di matrimonio o di celibato, ma vivere nell’una o nell’altra condizione col Signore. Tuttavia, Paolo non ignora che la vita matrimoniale comporta preoccupazioni, distrazioni o impegni particolari che possono alle volte entrare in tensione con l’unione libera e la consacrazione totale al Signore.

Nel brano evangelico Gesù insegna con autorità e comanda con altrettanta autorità. Predicazione ed azione, parole e fatti accompagnano il suo ministero. Il suo insegnamento provoca stupore tra i suoi ascoltatori, perché il suo messaggio fa corpo col suo essere. È lui il messaggio, quindi non è un ripetitore come gli scribi e i farisei, maestri autorizzati del tempo.

L’autorità di Gesù è sinonimo della sua libertà. Con Gesù Dio è ormai presente e agisce, in modo decisivo e definitivo, nel mondo sia attraverso l’insegnamento, sia attraverso la parola efficace e potente che dà guarigione. In tutti e due i casi, si tratta di un atto grandioso di liberazione. Non è per caso, se il primo miracolo di Gesù per Marco è la liberazione di un indemoniato, e se l’espulsione dei demoni occupa un posto rilevante nel secondo vangelo. Marco vuole farci vedere che Gesù va alle radici della situazione.; più che risalire ai sintomi, egli risale al nemico stesso. Ed è un nemico comune, di Dio e dell’uomo, cioè colui che contrasta i disegni di Dio e cerca, senza riposo e costantemente, di perdere o distruggere l’uomo; colui che cerca di appropriarsi dei possessi di Dio. La sua espulsione quindi, che coincide con l’avvenimento definitivo del regno di Dio, diventa la cacciata dell’occupante abusivo per riconsacrare quel territorio e per dare all’uomo l’armonia e l’unità perdute.

Liberandoci dalla schiavitù diabolica, Gesù ci fa automaticamente cambiare di padrone, sicché diventiamo schiavi del Signore; oppure è preferibile parlare di figli e servi, in una fedeltà perfetta nei riguardi di Dio e della sua volontà. Simbolicamente, Gesù, vincitore dei demoni, esorcizza e sdemonizza la terra, e si riappropria l’uomo, la sua creatura per eccellenza, e quindi tutta la creazione. Infatti, tutto ciò che attenta alla dignità dell’uomo costituisce una bestemmia per la gloria di Dio.

Alla sequela di Gesù, dobbiamo anche noi avere il coraggio di difendere l’uomo nella sua dignità e da tutte le manomissioni, di individuare, denunciare, combattere tutte le forze malefiche che impediscono all’uomo di essere uomo.
Don Joseph Ndoum

Missione:
Vangelo e liberazione dal male

Dt 18,15-20; Sl 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28

Riflessioni
Dio è medico ed è anche medicina!”, ripeteva giustamente il santo cappuccino Leopoldo Mandić (1866-1942) ai suoi penitenti nel confessionale di Santa Croce a Padova. Parole in piena sintonia con il brano evangelico di oggi. Fin dall’inizio del suo Vangelo, Marco presenta Gesù come un personaggio straordinario nelle parole e nei gesti: un maestro che provoca stupore, perché insegna con autorità morale (v. 22), cioè con autorevolezza; un taumaturgo che con un semplice gesto e un ordine (taci, esci) scaccia da un uomo lo spirito immondo (v. 25-26). Timore, sorpresa, fama, ammirazione, ma anche tante speranze, sono i sentimenti che quel nuovo Rabbi misterioso, convincente e poderoso, suscita nel cuore di tutti “subito dovunque” (v. 28). In tal modo, prende corpo in Gesù quel profeta ideale che Dio aveva promesso al suo popolo per mezzo di Mosè (I lettura). In poche linee, Marco mette le basi perché il catecumeno - e ogni cristiano - possa fare un progressivo cammino alla scoperta di Cristo, in un itinerario di ascolto e di ricerca, camminando dall’oscurità verso la luce, verso la Pasqua e verso l’annuncio missionario a tutti i popoli.

L’episodio dell’uomo posseduto da uno spirito impuro, che grida e si contorce, induce ad alcune riflessioni sull’esistenza di spiriti del male che, in forme molteplici e drammatiche, tormentano le persone nel corpo, nella psicologia e nello spirito. È risaputo che alcune manifestazioni attribuite al diavolo erano, e sono ancor oggi, malattie vere e proprie, anche se poco note e decifrabili. Questo fatto però non deve giustificare dubbi sull’esistenza dello spirito maligno o sull’influsso negativo che tale spirito ha sulle persone. Negarlo sarebbe un’ingenuità, che servirebbe solo a favorire l’espansione del male nel mondo. I Vangeli ci presentano numerosi miracoli di Cristo su persone che erano vittime di mali strani di natura psicofisica. L’azione sanatrice di Gesù abbraccia la persona in modo integrale: Egli cura, insieme, il corpo, lo spirito, la psiche e l’anima.

Per far fronte al male, al destino e alle forze negative in generale, tutti i popoli hanno fatto ricorso a mezzi come lo spiritismo, la divinazione, l’occultismo, affidandosi a maghi, stregoni, astrologi, fattucchieri, veggenti, indovini, oroscopi, ecc... Dio aveva già proibito queste pratiche al suo popolo (Dt 18,10-11). Perché si tratta, troppo spesso, di un oscuro mondo di imbrogli, che sfrutta - a cambio di lauti compensi in denaro o in altro genere - le paure, l’ingenuità, la credulità della gente, l’ignoranza su Dio, generando false consolazioni, seguite puntualmente da frustrazioni e disperazione. Secondo l’esperienza comune dei missionari che operano in varie parti del mondo, paure ed imbrogli sono segni tipici di paganesimo. Ma sono realtà che continuano a serpeggiare tra i cristiani, quando questi non sono del tutto convertiti interiormente: quando non hanno imparato, da un lato, ad accettare alcuni limiti connaturali alla vita umana e, dall’altro, ad affidarsi alla guida amorosa e provvidente del Padre della Vita. Spesso alcuni residui di paganesimo continuano a convivere in persone credenti, a volte anche in sacerdoti e altre persone di vita consacrata.

Un cammino di conversione è necessario per tutti e dura tutta la vita, perché ogni persona nasce ‘pagana’, cioè non cristiana. Cristiani non si nasce; si diventa. Infatti, il Battesimo non è che l’inizio di un percorso di crescita spirituale, con gli occhi sempre rivolti a Cristo. La conversione cristiana consiste nella progressiva liberazione dalle paure, dagli idoli e da molteplici forme di falsità. Esponendosi senza veli alla verità del Vangelo, ogni persona fa esperienza e dà prova della libertà interiore che scaturisce dall’adesione a Cristo. I santi sono le persone che, con la grazia divina, hanno raggiunto un maggior grado di liberazione da forme di paganesimo. Di fatto, l’adesione a Cristo genera libertà, perché solo Lui è la verità che rende liberi (Gv 8,32; 14,6). E sereni nelle prove, perché Gesù sofferente dà senso alla sofferenza. (*)

La predicazione evangelizzatrice, pur sempre benevola e comprensiva verso le persone che sbagliano o sono inferme, deve essere forte e graffiante contro il male. Il fatto che l’indemoniato del Vangelo, se ne stia dapprima tranquillo nella sinagoga e, dopo l’insegnamento autorevole di Gesù, cominci a ribellarsi e a gridare contro di Lui: «Sei venuto a rovinarci?» (v. 22-24), invita a riflettere sulla forza e autenticità della nostra predicazione. Confrontarsi con il Vangelo significa accettare di “rovinare” i propri schemi, mettere in discussione false sicurezze, mettersi in gioco. Benedetta la venuta di Gesù se accettiamo di smascherare i nostri progetti poco evangelici per correre il sano ‘pericolo’ di imboccare la strada esigente e gioiosa del Suo Vangelo. Per questo, la predicazione non può essere indulgente o morbida verso il male, per paura di scomodare, ma deve scuotere le coscienze, stimolare le persone ad un cambio di vita e indicare il cammino che porta all’incontro vero con Dio e con i fratelli, nella comunità dei credenti in Cristo. Solo così l’annuncio chiaro del Vangelo di Gesù esercita la sua forza liberante e salvatrice: scaccia i demoni, sana le ferite, rinnova e trasforma le persone dal profondo del loro essere.

Parola del Papa

(*) «Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti - mi permetto la parola - ‘asettici’ quelli ‘di laboratorio’, tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa oggi possiamo pensarla come un ‘ospedale da campo’. Questo lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un ‘ospedale da campo’. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite».
Papa Francesco
Discorso ai parroci di Roma 6 marzo 2014

P. Romeo Ballan, mccj