Sabato 20 settembre 2025
In vista del Giubileo del mondo missionario (4-5 ottobre 2025), padre Luigi Fernando Codianni [nella foto], superiore generale dei Missionari Comboniani, riflette sul volto attuale della missione: “Oggi il missionario è chiamato a condividere la vita quotidiana delle persone, a farsi prossimo ai poveri e ai migranti, a dialogare con le culture digitali e ad abitare contesti segnati da conflitti e ingiustizie”. Un percorso di preparazione già avviato, tra esperienze interculturali, assemblee internazionali e iniziative come il Festival della Missione. “La missione – afferma – è oggi più che mai una testimonianza di fraternità, giustizia e cura del creato”.

“Oggi essere missionari significa condividere il quotidiano delle persone, mettersi accanto a chi è ferito dall’ingiustizia e dalle migrazioni forzate, difendere la dignità dei più poveri, ma anche avere il coraggio di denunciare ciò che nega la vita”. Ne è convinto padre Luigi Fernando Codianni, superiore generale dei Missionari Comboniani, che si stanno preparando attivamente al Giubileo del mondo missionario del 4-5 ottobre 2025. “Il futuro della missione si gioca in una dimensione sempre più globale e interculturale”, afferma in questa intervista al Sir: “Il missionario di oggi e di domani deve essere capace di dialogare con le culture digitali, attento al grido dei poveri e al grido della terra, pronto a vivere in contesti segnati da conflitti e migrazioni, preparato al dialogo interreligioso e interculturale”. Attualmente ci sono 1.470 comboniani nel mondo, originari di 48 Paesi. Sono presenti in 41 Paesi tra Africa, America, Asia ed Europa.

Giubileo del mondo missionario
Intervista a Padre Luigi Codianni, superiore generale dei Missionari Comboniani

Old Fangak in Sud Sudan. Foto: John Greenman.

Come i Comboniani si preparano al Giubileo del mondo missionario? Chi parteciperà alle celebrazioni a San Pietro?

Il cammino è già iniziato con la partecipazione ad altri eventi giubilari, come il Giubileo dei Giovani (28 luglio – 3 agosto), quando quasi 300 ragazzi provenienti dalle nostre circoscrizioni missionarie di tutto il mondo sono stati accolti in diverse comunità italiane e poi accompagnati a Roma per l’incontro con Papa Leone. È stata un’esperienza di fede e interculturalità che ha arricchito sia i giovani sia le comunità ospitanti: momenti di preghiera, fraternità, confronto e festa hanno permesso di vivere in anticipo lo spirito del Giubileo missionario, che ha come centro l’incontro e la comunione tra popoli e culture. Nei giorni scorsi la nostra sede generalizia di Roma-Eur ha ospitato inoltre l’Assemblea intercapitolare dell’Istituto, che riunisce circa quaranta delegati provenienti da Africa, America Latina, Europa e Asia. Nel cuore dei loro lavori, essi hanno voluto celebrare un vero e proprio “giubileo comboniano”, riconoscendo il valore di camminare insieme nella missione. Diversi di loro resteranno a Roma e parteciperanno anche alle celebrazioni di ottobre a San Pietro, coinvolgendosi nelle attività organizzate dalla Pontificia unione missionaria (Pum) [una delle quattro Pontificie Opere Missionarie – Pom]. La provincia italiana, tra l’altro, è coinvolta nell’organizzazione del Festival della Missione che si realizzerà a Torino, dal 9 al 12 ottobre, come “estensione” del Giubileo stesso.

Nel mondo attuale, segnato da conflitti, crisi migratorie e disuguaglianze, che senso ha oggi la missione? È ancora attuale parlare di evangelizzazione?
La missione è più che mai attuale. Come ci ricorda Papa Francesco, non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma “un cambiamento d’epoca”. In questo scenario, segnato da guerre, violenze e nuove forme di povertà, la missione è chiamata a portare speranza, fraternità e giustizia.

L’annuncio del Vangelo non si esprime come imposizione o proselitismo, ma come testimonianza di vita, come vicinanza concreta a chi soffre e come dialogo rispettoso con tutti. Oggi essere missionari significa condividere il quotidiano delle persone, mettersi accanto a chi è ferito dall’ingiustizia e dalle migrazioni forzate, difendere la dignità dei più poveri, ma anche avere il coraggio di denunciare ciò che nega la vita. L’evangelizzazione resta, dunque, essenziale: è il cuore della nostra vocazione, ma si declina come segno di fraternità, di pace e di cura del creato.

Cosa risponde a chi ancora accusa la missione di essere una forma di colonialismo religioso o culturale?

Queste accuse si riferiscono a un passato che non ci appartiene. San Daniele Comboni, già nel XIX secolo, aveva intuito la necessità di “salvare l’Africa con l’Africa”: non una missione che impone, ma una missione che valorizza, che accompagna, che cresce con le persone. Oggi questa visione è più viva che mai. I Comboniani non portano modelli da esportare, ma camminano con i popoli, condividendone fatiche, speranze e aspirazioni. Il Vangelo non si impone, si testimonia. La missione è servizio, dialogo e apertura all’altro. E in un tempo in cui il fondamentalismo e l’intolleranza sono in crescita, la presenza missionaria diventa ancora più necessaria per costruire ponti, favorire relazioni autentiche e generare amicizia sociale.

I giovani sembrano sempre più lontani dalla fede e dalla vita religiosa: i missionari del futuro dove sono e quali caratteristiche devono avere?

È vero che in Europa e in altri Paesi occidentali le vocazioni sono in calo e i giovani appaiono distanti dalla pratica religiosa. Tuttavia, in Africa e in alcune regioni dell’America Latina le vocazioni missionarie sono in aumento. Ciò significa che il futuro della missione si gioca in una dimensione sempre più globale e interculturale.

Il missionario di oggi e di domani deve essere capace di dialogare con le culture digitali, attento al grido dei poveri e al grido della terra, pronto a vivere in contesti segnati da conflitti e migrazioni, preparato al dialogo interreligioso e interculturale.

Nelle nostre case di formazione cerchiamo di offrire ai giovani strumenti adeguati: non solo studi accademici, ma esperienze concrete di servizio, immersioni in contesti difficili, una spiritualità solida e una forte capacità di discernimento. Crediamo che i giovani abbiano ancora sete di senso e di fraternità: se incontrano testimoni credibili, scoprono che la missione è una strada entusiasmante.

Lei ha visitato molte missioni in Africa, America Latina e Asia: qual è il grido più forte che ha ascoltato e cosa dovrebbe fare la Chiesa oggi per rispondere?

Il grido più forte è quello delle popolazioni che vivono in situazioni di guerra, ingiustizia e povertà estrema. Ho visitato comunità dilaniate dai conflitti nella RD Congo, Sudan e in Sud Sudan, Centrafrica, Ciad, missioni segnate dalla violenza in Mozambico e in America Latina, e ho ascoltato il dolore di intere famiglie costrette alla fuga. Sono tragedie umanitarie che non possono lasciarci indifferenti. A questo grido si aggiunge quello dei migranti che arrivano alle nostre coste europee, e quello della terra, ferita dal cambiamento climatico. La Chiesa non deve avere paura di esporsi. È chiamata a denunciare con coraggio le ingiustizie, a difendere i diritti dei più deboli, a promuovere la pace e la riconciliazione. Al tempo stesso, deve offrire segni concreti di vicinanza: scuole, ospedali, centri di accoglienza, comunità capaci di offrire ascolto e sostegno.

La missione, oggi, non può fare a meno della dimensione sociale ed ecologica: giustizia, pace e cura del creato sono parte integrante dell’annuncio evangelico. Come dice Papa Francesco, dobbiamo essere una Chiesa in uscita, sinodale, capace di camminare insieme e di annunciare il Vangelo con la vita.

Patrizia Caiffa – SIR