Sabato 18 ottobre 2025
La Provincia italiana dei Missionari Comboniani chiede al governo italiano un intervento urgente per istituire corridoi umanitari protetti per i civili bloccati senza cibo nella città assediata in Darfur (Sudan). “El Fasher, il capoluogo della regione sudanese del Darfur settentrionale, è una città in cui non si può più vivere e da cui non si può scappare. L’assedio che prosegue da 550 giorni ha ridotto alla fame le circa 260mila persone che ancora vi resistono, di cui 130mila sono bambini”, afferma il comunicato dei missionari, diffuso ieri. [Foto Amnesty International. Nigrizia]
El Fasher, il capoluogo della regione sudanese del Darfur settentrionale, è una città in cui non si può più vivere e da cui non si può scappare. L’assedio che prosegue da 550 giorni ha ridotto alla fame le circa 260mila persone che ancora vi resistono, di cui 130mila sono bambini.
Decine sono le donne, gli uomini e i minori che hanno già perso la vita a causa della mancanza di cibo. Otto al giorno secondo la denuncia delle Emergency Response Rooms, la rete di volontari locali che è ormai rimasta da sola a far fronte a questa tragedia ma anche a raccontarla al mondo.
L’unico ospedale ancora operativo in città è sotto attacco. Attacchi e bombardamenti indiscriminati contro i civili proseguono a ritmo quotidiano. Il cibo e le medicine non possono entrare, bloccati anche da un fossato che circonda per oltre 30 chilometri i confini esterni della città.
Chi prova a superarlo per fuggire invece, viene ucciso. I campi dove vivono le centinaia di migliaia di persone che sono dovute scappare nei mesi precedenti, Zamzam e Abu Shouk, sono fiaccati dalla carestia e attaccati di continuo.
Non possiamo accettare quello che sta avvenendo a El Fasher. Mentre i media internazionali tacciono sul Sudan, non possiamo dimenticare la terra d’adozione di Comboni e dei comboniani.
Con questo testo vogliamo lanciare un appello affinché il governo italiano intervenga in tutti i consessi internazionali in cui gli è possibile per reclamare l’urgenza assoluta di una tregua umanitaria nel Darfur e in tutto il Sudan, dell’apertura di passaggi sicuri e garantiti fuori dalla città per i civili coinvolti nei combattimenti e per il ripristino senza impedimenti dell’accesso umanitario.
Invitiamo a unirsi a questo appello le tante organizzazioni e le tante persone di buona volontà che più e più volte ci hanno accompagnato nella richiesta di giustizia e nella solidarietà per il popolo sudanese.
Siamo in tanti ovunque nel mondo, come testimoniato dal recente appello lanciato da 93 organizzazioni della società civile di tutti i continenti. Dobbiamo far sentire la nostra voce. Abbiamo l’obbligo morale di tradurre la nostra enorme indignazione in un impegno concreto.
Il contesto
El Fasher è adesso il fronte più critico della guerra che da due anni e mezzo divampa in Sudan. La città è l’unica di tutto il Darfur a essere rimasta nelle mani delle Forze armate regolari (SAF). Conquistarla è vitale per la milizia Forze di supporto rapido (RSF), che può così suggellare il suo controllo sulla regione, sua tradizionale roccaforte dove da alcuni mesi ha anche installato un governo non riconosciuto rivale di quello di base a Port Sudan e Khartoum.
Dal 15 aprile 2023, decine di migliaia di persone hanno perso la vita nel conflitto sudanese. Circa 9 milioni hanno dovuto lasciare le loro case e sono rimasti nel paese come sfollati interni. Quasi 4 milioni hanno lasciato il Sudan recandosi nei paesi vicini, in molti casi a loro volta già estremamente poveri o alle prese con crisi umanitarie come Ciad, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana.
Il paese è teatro di una delle più gravi crisi umanitarie al mondo con oltre 24 milioni di persone che vivono in condizioni di insicurezza alimentare acuta, e più di 630mila che si trovano già a uno stadio di malnutrizione definito dal Programma alimentare mondiale come “catastrofico”. Questo a fronte di un blocco generalizzato e strumentale all’ingresso e alla distribuzione di aiuti internazionali.