In Pace Christi

Bonfanti Riccardo

Bonfanti Riccardo
Date of birth : 01/05/1927
Place of birth : Castello di Brianza (MI)/I
Temporary Vows : 19/03/1950
Perpetual Vows : 19/03/1956
Date of death : 12/11/1999
Place of death : Milano/I

La morte improvvisa e inaspettata che venerdì 12 novembre 1999 ha rapito il nostro fratel Riccardo al Centro Ambrosoli di Milano, ha messo fine a 22 anni di sofferenza.

Si trovava ad Assuan, in Egitto, da un paio di mesi, dopo 11 anni trascorsi in Sudan meridionale e una lunga permanenza in Italia e in Inghilterra quando, nel 1976, fu colpito da paralisi che lo costrinse a rientrare in Italia per vivere i suoi giorni sostenendosi con un bastone e, ultimamente, in carrozzella.

Quel male, che ha messo fine a una intensa attività di fratello meccanico e costruttore, ha gettato fr. Riccardo, almeno inizialmente, in una specie di desolazione dello spirito. Chi scrive ricorda il suo rientro a Verona in condizioni veramente penose. Nei primi tempi fr. Riccardo non riusciva ad accettare la prova che il Signore gli aveva mandata e faceva sentire le sue proteste ad alta voce, ma poi, un poco alla volta, ha cominciato a capire che il Signore lo stava amando proprio su quella strada tanto difficile, quella dell’immobilità… per lui che era sempre stato un uomo di grande attività.

A questo proposito riportiamo la testimonianza di mons. Giovanni Giordani che lo ha avuto novizio e che ha avuto modo di vederlo appena un mese prima della morte:

“Che potrei dire del caro fr. Bonfanti? L’ho avuto nei suoi ultimi periodi di noviziato. Non potrei dire che bene. Attendeva alla porta, attento, svelto, sempre disponibile e sereno. Era un uomo di intensa preghiera. Umanamente si poteva dare di lui il giudizio di buona riuscita.

Lo rividi dopo vari anni in carrozzella. Non era più lui; non era più il giovane sereno che avevo conosciuto. Si sentiva inutile. Non poter più lavorare… Che fratello era? ‘Che fratello sono, cosa sto a fare a questo mondo?’, protestava… Passarono altri anni. Lo rividi con più piacere ultimamente. Aveva imparato che era ancora fratello coadiutore, che era ancora utile per la missione e per la Congregazione. Così lo trovai un mese prima che il Signore lo chiamasse al premio. Quanta strada aveva fatto il nostro caro Riccardo con il suo treppiede, con la sua carrozzella, sull’autostrada della sofferenza! Sono certo che la sua immobilità ha dato forza alle gambe di chissà quanti confratelli. Perciò sento di dirgli: grazie fr. Riccardo, grazie davvero”.

Lenta ripresa

Dopo i primi tempi di completa immobilità, fr. Riccardo è riuscito a ricuperare un pochino tanto da poter camminare servendosi del treppiede. Fr. Bellotti, che lo ha seguito, prima a Verona e poi ad Arco, dice: “Era riuscito a gestirsi quasi da solo, usando una sola mano, quella sana. Per le cose più impegnative aveva bisogno dell’aiuto dell’infermiere. Era diventato buono, gentile, sempre pronto a dire grazie per ogni più piccolo servizio che gli si prestava. Nella sua stanza, sempre pulita e in ordine, aveva gli uccellini che curava personalmente e con i quali s’intratteneva in simpatici colloqui, aveva il registratore per ascoltare musica classica, conferenze e omelie che gli nutrivano lo spirito. Pregava molto. Sì, dai primi tempi aveva fatto un gran cammino uniformandosi totalmente alla volontà del Signore...”.

Questo cammino di perfezione cristiana e di santità continuò a Milano, dove fu il Fratello fu trasferito quando venne aperto il Centro Ammalati, fino alla piena maturità quando il Signore venne a prenderlo, proprio nel mese dedicato ai Defunti.

Il meccanico di Dio

Fr. Riccardo Bonfanti è nato a Castello di Brianza, Como, il 1° maggio 1927 da Giuseppe e Rachele Brambilla, contadini. Dopo le elementari andò a lavorare nell’officina meccanica Magnoni di Oggiono. Ma qui una scheggia di ferro gli penetrò nell’occhio. Portato all’ospedale di Lecco, perse l’occhio, in compenso trovò la vocazione missionaria.

Una suora, per aiutarlo a passare il tempo, gli portava qualche rivista missionaria e qualche libro. Riccardo trovava gusto a leggere quelle “avventure” dei missionari comboniani in Africa e, sempre più spesso, si domandava:

“Perché, invece di fare il meccanico in qualche ditta, non potrei fare il meccanico di Dio in qualche paese di missione?”. Appena uscito dall’ospedale fece domanda di entrare tra i Comboniani. Dopo le informazioni, che furono positive, fu accettato. In data 8 luglio 1947 Riccardo scrisse una lettera di ringraziamento al superiore generale per essere stato accolto “tra i suoi fortunati figli”. I genitori, inizialmente non erano contenti, tuttavia, da buoni cristiani quali erano, non si opposero ai desideri del figlio.

Figlio del tuono

Il 5 settembre 1947, a 21 anni, entrò nel noviziato di Gozzano dove mostrò subito un grande desiderio di progredire nella virtù. Nella preghiera e nello spirito di sacrificio trovava la forza per vincere la sua irruenza e l’impazienza che lo rendeva “un po’ asprigno con i confratelli e piuttosto simile al figlio del tuono di evangelica memoria”. Alla fine: “Dopo un serio e costante lavoro di lima - scrisse il p. Maestro - ha lasciato veramente soddisfatti. E’ un giovane di buon ingegno e che sa impegnarsi. Ha fatto il cuoco, il falegname, il muratore, il portinaio e il refettoriere. Ovunque si è applicato con volontà e ha fatto bene. La bassa statura e quell’occhio di cristallo non gli consentono una bella presenza, ma dopo che si è parlato un po’ con lui, questi limiti spariscono per lasciare posto al meritato apprezzamento”.

In una valutazione psicologica fatta anni dopo, l’esaminatore scrisse di fr. Riccardo: “capacità intellettive decisamente superiori alla media”.

Il 19 marzo 1950 emise i primi Voti temporanei e poi fu immediatamente inviato a Bologna come cuoco. Vi rimase un anno e mezzo con piena soddisfazione dei confratelli che avevano trovato nel nuovo arrivato un uomo attento, preciso, capace, servizievole e sempre disponibile. Si poteva star sicuri che, anche coloro che rientravano tardi a motivo del ministero o partivano presto al mattino, non solo trovavano qualcosa di pronto e caldo, ma c’era anche fr. Riccardo che li aspettava per chiedere come era andata e per scambiare una parola.

Il 18 novembre 1951 fr. Riccardo fu inviato a Brescia come aiuto alla casa. Chi scrive (allora giovinetto di terza media) ricorda bene quel fratellino giovane con quell’occhio che faceva un po’ impressione, ma che divenne subito amico dei ragazzi prestandosi ad aggiustare il pallone continuamente bisognoso di riparazioni e a fare tanti altri lavoretti, sempre con tanta cordialità dimostrando riconoscenza per essere ricorsi a lui nel bisogno.

P. Ernesto Calderola, superiore della casa, scrisse di lui il 24 giugno 1952: “Fr. Riccardo fa bene e si applica con diligenza ad ogni mestiere che c’è da fare riuscendo bene in tutto. Se si irrobustisce un po’ di più potrà diventare un fratello molto utile alla Congregazione e alla Missione. Ha una pietà distinta e una docilità a tutta prova e si distingue tra tutti nella carità fraterna”.

Nel Sudan meridionale

In novembre del 1952, gli giunse il sospirato permesso di partire per la missione. La sua destinazione fu la missione di Torit nel Bahr el Ghazal dove era superiore p. Montemanni. La missione era in un momento di espansione quanto ad opere. Fr. Bonfanti venne subito inserito nella scuola tecnica dimostrando capacità di approccio con gli scolari anche se, in un primo momento, ebbe qualche difficoltà per la lingua.

Fondata nell’ottobre del 1920 tra i Lotuho, Torit vide la presenza di grandi missionari come p. Pedrana, fr. Fanti p. Zambonardi, p. Molinaro, fr. Amedeo Salvadori, p. Ghiotto, p. Gambaretto, p. Pellegrini e tanti altri. Gli inizi e la vita di questa missione furono difficili e zeppi di difficoltà. In un primo tempo i Lotuho si mostrarono ostili al Vangelo. Inoltre i ragazzi erano impediti di andare alla missione. Qualcuno pagò con la vita questo suo desiderio di diventare cristiano. Nel 1933 vi era morta di febbre nera la superiora generale delle suore comboniane, madre Pierina Stoppani, che era in visita alle suore stanziatesi l’anno prima. Il 10 ottobre 1942 fu la volta di fr. Tonazzoli colpito da febbre gialla.

Queste morti parvero costituire come un risveglio della missione con un bel movimento di conversioni. Le scuole si moltiplicarono e, nel 1946, ci fu la prima messa del primo sacerdote nativo della missione di Torit, p. Saturnino Lohure.

Quando vi arrivò fr. Riccardo Bonfanti (anche il suo omonimo fr. Silvio Bonfanti aveva lavorato a Torit) la missione esplodeva in un fiorire di scuole, catecumenati e opere varie per cui il Fratello ebbe modo di dare tutto quello che aveva nel cuore e… nei muscoli. Oltre che maestro nella scuola tecnica, fu meccanico e costruttore.

P. Montemanni scrisse: “E’ un grande lavoratore, instancabile, buono e paziente con gli operai e con gli scolari. E’ di esempio per il suo spirito di pietà e per la regolarità nella vita comune”.

Nel 1954 fr. Riccardo passò alla missione di Kadulé e vi rimase fino al 1961. P. Marengoni disse che si dedicava alla meccanica ma anche a tutti i lavori “ad omnia” con molto spirito di disponibilità e di servizio. Inoltre il Padre registra una nota che ci fa capire lo zelo e la segreta vocazione che animava il nostro Fratello: “Ama il catechismo e, conoscendo bene le lingue lotuho e bari, vi riesce bene e con soddisfazione sua e di quelli che lo ascoltano. E’ scrupoloso nel prepararsi le lezioni in modo che la sua spiegazione sia di facile apprendimento. Bisogna lasciargli iniziativa ed egli fa bene. L’osservanza delle regole è ottima”.

Ormai sono 9 anni…

Nel 1961 passò alla missione di Terakeka, sempre in Sudan meridionale. Indipendente dal 1956, il Sudan già esercitava una serie di restrizioni nei confronti delle missioni, che preannunciavano la persecuzione che si sarebbe scatenata poco dopo. I missionari stringevano i denti e resistevano. Anche quelli che avrebbero avuto bisogno di vacanza per riprendersi in salute, rinunciavano a partire per non vedersi negato il permesso di ritorno. Ebbene, in questo clima, arrivò ai superiori una lettera del papà di fr. Riccardo nella quale si diceva:

“Sono ormai 9 anni che mio figlio Riccardo ha lasciato la famiglia ed è partito per la missione. Non potete immaginare con quale ansia io aspetto il giorno di poterlo riabbracciare anche perché le mie condizioni di salute sono precarie e ho paura di non poter più vedere il mio caro figlio.

Reverendissimo padre, fatemi questo favore, fate che mio figlio venga a casa anche per pochi giorni affinché un cuore di padre abbia a sentire, forse per l’ultima volta, il palpito del cuore del proprio figlio…”. La lettera era commovente.

P. Battelli, vicario generale, scrisse al parroco del paese del papà per sentire se la cosa era così grave come il genitore la descriveva. “Lei sa - aggiungeva - che se un missionario lascia il Sudan in questo momento, non potrà più tornarvi”. Riccardo non partì. P. Giuseppe Nani che è stato suo superiore, afferma: “Non lo ho mai visto arrabbiato con gli operai e non ho mai visto un operaio arrabbiato con lui. Era un gran lavoratore e un religioso di preghiera”.

Fr. Riccardo tornò in Italia, due anni dopo, nel 1963, un anno prima della grande espulsione di tutti gli altri missionari del Sudan meridionale. Andò a Carraia, Lucca, come addetto alla casa.

Il miraggio del sacerdozio

Agli inizi degli anni Settanta la Congregazione comboniana diede la possibilità ai Fratelli di accedere al sacerdozio. Fu un’esperienza unica e di breve durata, tuttavia alcuni Fratelli diventarono sacerdoti.

Più volte fr. Bonfanti aveva espresso il desiderio di diventare sacerdote. Anzi, disse che quando era entrato in noviziato a Gozzano, pensava che sarebbe diventato sacerdote ma poi, per gli studi fatti (aveva solo la quinta elementare) e l’età, 21 anni, fu dissuaso e divenne fratello.

In missione mostrò questa propensione dedicandosi volentieri, quando poteva, al catechismo, come abbiamo visto. Al suo parroco, ancora da ragazzino, aveva espresso più volte il desiderio di entrare in seminario per diventare sacerdote, ma le condizioni della famiglia non glielo avevano consentito.

Egli, perciò, in data 3 giugno 1971, fece domanda ai superiori di diventare sacerdote. Le motivazioni che portava erano le seguenti: “Per rispondere a un mio desiderio interno che coltivo nel cuore dalla fanciullezza, per avere una conoscenza più teologica di Dio, per una maggior santificazione mia e per essere di maggior utilità alle anime”.

Coloro, però che avevano condiviso la missione con lui erano del parere che la sua vera vocazione fosse quella del tecnico, non del sacerdote, per cui egli accettò di buon grado di restare Fratello, consapevole che avrebbe potuto santificare se stesso e gli altri realizzando nel modo migliore questa vocazione caratterizzata dal silenzio, dalla disponibilità e dal nascondimento.

Il soggiorno in Inghilterra

In vista di una futura missione, fu inviato in Inghilterra per specializzarsi nella lingua inglese. Contemporaneamente dava un aiuto in casa. In una lettera del 15 novembre 1972 scrive ai suoi superiori: “La mia mamma desidera che trascorra le feste natalizie con lei. A dirle la verità non so se ciò sia bene o sia male, perché i miei hanno sempre avuto da dire per la mia vocazione missionaria, per cui temo di mettermi in occasione di dover questionare. Mi dica lei, perciò, che cosa devo fare”. Non sappiamo come siano andate le cose. Vediamo, tuttavia, in questo un’ulteriore testimonianza dell’attaccamento e dell’amore alla vocazione nel nostro Fratello.

Nella lettera del 17 settembre 1973 il p. Generale gli diceva: “Nella situazione attuale di molta incertezza sia per il Sudan come per l’Uganda, ti prego di rimanere a disposizione dei confratelli d’Inghilterra”.

Grazie a Dio le cose maturarono per cui, col primo ottobre 1974 fr. Bonfanti vide nuovamente aperte le porte della missione e fu destinato all’Uganda. Ma poi la pratica dei permessi di entrata non ebbe buon esito per cui il 7 novembre del 1975 fr. Riccardo chiedeva con una certa insistenza una nuova destinazione per la missione, qualsiasi missione.

Il lungo calvario

L’8 novembre 1975, mentre fr. Riccardo spediva a Roma la sua lettera, gli giunse quella del p. Generale, p. Agostoni, con la quale lo destinava al Sudan meridionale dal primo gennaio 1976 . Erano i tempi in cui solo i Fratelli erano accettati in quella regione dal Governo di Khartoum. “In attesa del permesso - gli scrisse il sup. gen. - puoi fare tappa in Egitto così avrai modo di risciacquare un po’ di arabo parlato”.

Fr. Bonfanti partì immediatamente ma, proprio in Egitto, fu colpito dalla paralisi che lo immobilizzò per tutta la vita. Un telegramma di p. Camillo Ballin in data 3 marzo 1976 diceva: “Fr. Bonfanti colpito infarto. Gravissimo. Avvertire famiglia”. Quindi in un primo tempo si pensava che si trattasse di infarto. P. Agostoni, rivolgendosi a p. Sina che si trovava a Khartoum, scrisse in data 5 aprile 1976: “Non è più opportuno presentare al governo la domanda per l’entry visa per fr. Riccardo Bonfanti. Egli, infatti, ha avuto qualcosa di più serio che un attacco di cuore, cioè un’emorragia cerebrale che gli ha paralizzato metà corpo. Dovrà ritornare in Italia e speriamo che possa essere riabilitato in modo che sia in grado di fare da sé”.

A questo punto cominciò il lungo calvario di fr. Riccardo. Rimase in casa madre dal 1976 al 1982 finché riuscì a superare la fase critica del male e a ritrovare un po’ di serenità nell’accettazione della volontà del Signore, che era così dura per lui.

Nel 1982 passò ad Arco di Trento nella casa ammalati. Vi trascorse 13 anni. Ormai il Fratello aveva accettato la croce e aveva capito che il Signore lo chiamava alla santificazione personale e a quella di tante anime attraverso quella strada. Richiamando tutta la buona volontà di cui era capace, cercava di sbrigarsi da solo in quelle cose in cui bastava una sola mano. Col suo treppiede si spostava da solo ed era diventato un uomo di compagnia e perfino di allegria.

“Davvero - dice fr. Emilio Rebellato che lo aiutava - dai tempi di Verona ne aveva fatta della strada nella via della gioiosa rassegnazione alla sofferenza”.

A Milano

Quando venne aperto il Centro Ambrosoli di Milano, fr. Riccardo fu uno dei primi inquilini. Ultimamente, in seguito a una caduta, la salute aveva subito un ulteriore regresso per cui doveva muoversi usando la sedia a rotelle. La sua grande penitenza era quella di mettersi a tavola perché, avendo persa la sensibilità nella gola, non sapeva mai quale strada prendessero i cibi. Spesso, invece della via dello stomaco, andavano verso i polmoni, e allora erano eccessi di tosse da impressionare i vicini. Indebolendosi nelle forze questi fenomeni diventavano sempre più pericolosi finché il blocco dell’11 novembre 1999 gli fu fatale.

Dopo una messa funebre al Centro Ambrosoli di Milano, fr. Riccardo è stato portato al suo paese. Qui, domenica 14 novembre, è stato celebrato un solenne funerale che ha visto un gran concorso di popolo. Ora il nostro umile Fratello riposa nel locale cimitero accanto ai suoi genitori e al fratello Nino che lo aveva preceduto l’anno prima.

Certamente il Signore lo ha premiato per i suoi ideali missionari così tragicamente e improvvisamente stroncati e per i lunghi anni di sofferenza affrontata con la consapevolezza che proprio quella dell’inattività, della dipendenza da altri e della pazienza era la strada che il Signore aveva tracciato per lui. Che dal cielo ottenga altri Fratelli santi e capaci in grado di prendere il suo posto.   P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulkletin n. 205, gennaio 2000, pp. 139-145