In Pace Christi

Colombina Bruno

Colombina Bruno
Date of birth : 19/05/1915
Place of birth : Montegaldella (PD)/I
Temporary Vows : 07/10/1937
Perpetual Vows : 11/02/1940
Date of ordination : 23/03/1940
Date of death : 06/11/1999
Place of death : Milano/I

P. Bruno Colombina è deceduto all’ospedale di Niguarda dove era ricoverato da una settimana per diabete e mal di cuore. Proveniva dalla casa di Rebbio dove si trovava da alcuni anni come missionario anziano e ammalato. In settembre del 1999 era stato portato a Milano essendosi aggravata la sua situazione sanitaria.

Egli pensava di poter tornare a Rebbio dopo qualche settimana, ma la salute non dava segni di ripresa. Ogni tanto aveva bisogno dell’ossigeno per respirare. Nei due mesi durante i quali fu a Milano ebbe due infarti. Il terzo, accompagnato da edema polmonare, gli fu fatale nonostante l’intervento dei medici.

Da Buon fanciullo a Comboniano

L’avventura missionaria di p. Colombina è iniziata a 20 anni di età. Ce lo assicura la lettera del rettore dell’Istituto Don Calabria di Verona, scritta il 2 luglio 1935. “Il sottoscritto dichiara che il giovane Colombina Bruno, di Umberto, di anni 20, nel periodo in cui rimase in questo pio Istituto tenne sempre una condotta morale e religiosa irreprensibile”. I genitori, Umberto e Quirici Fosca si dichiararono “pienamente contenti  che il loro figlio Bruno entri a far parte della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore per le Missioni Africane in qualità di membro effettivo e in perpetuo, conforme al regolamento dell’Istituto”.

Era entrato nell’Istituto Don Calabria il 26 ottobre 1928, all’età di 15 anni dopo aver lasciato la famiglia a Montegaldella Padova, dove papà Umberto faceva il falegname e mamma, Fosca Quirici, casalinga, era intenta a crescere i quattro figli, due maschi e due femmine. Bruno era il secondo.

Dopo le scuole al paese e un po’ di lavoro con il papà, ebbe l’oportunità di essere accolto nell’Opera don Giovanni Calabria di Verona. Bruno sentì fin dai primi anni della sua fanciullezza il desiderio di diventare sacerdote. Don Calabria gli fece frequentare il seminario diocesano, nella speranza di avere, un domani, un sacerdote che si dedicasse alla nascente Congregazione.

In seminario Bruno conobbe i chierici comboniani che frequentavano il seminario diocesano per la scuola. Inoltre, di tanto in tanto, andava a trovare i missionari, reduci dall’Africa, che gli raccontavano le loro esperienze in prima linea. Così, un poco alla volta, il nostro giovane sentì il desiderio di diventare missionario comboniano. Don Calabria lo incoraggiò e gli diede la sua benedizione.

In una lettera del 22 marzo 1935 il superiore scrisse: “Bruno frequenta la terza liceo nel seminario di Verona. Da tempo mostra desiderio di consacrarsi all’opera delle Missioni e gli piacerebbe codesta Congregazione”.

Uno dei primi a Roma

In agosto del 1935 Bruno Colombina entrò nel noviziato di Venegono e si applicò con tutto l’impegno per eliminare qualche difettuccio che gli impediva di essere come lo voleva il Signore.

“E’ buono - scrisse il p. maestro - ma ha un poco della donnetta in quanto riporta chiacchiere e giudizi a destra e a sinistra. Inoltre, se vede qualcosa che non è secondo il suo gradimento, non si trattiene dal dire la sua”. Teniamo presente che i novizi di quel tempo erano tutti ragazzi che avevano appena terminato la quinta ginnasio. Colombina aveva fatto la terza liceo con esami ben riusciti, quindi non fa meraviglia se si sentisse portato a ‘dire la sua’ e a sostenerla nei confronti di quei giovincelli.

Il 7 ottobre 1937 emise la professione temporanea e poi, per la teologia, fu inviato a Roma all’Università Urbaniana di Propaganda Fide dove, nel 1940, si licenziò in Sacra Teologia. Colombina fu uno dei primi studenti comboniani che andarono a Roma per acquisire una laurea o un diploma in vista di una possibilità di insegnamento in qualche seminario di missione.

Con 8 mesi di anticipo sulla data stabilita dal Diritto Canonico, poté pronunciare i Voti perpetui che ebbero luogo a Roma l’11 febbraio 1940. Per questo gli fu necessario un  indulto dal papa Pio XII,: Ecco la motivazione portata dai superiori: “Perché possa essere ammesso agli Ordini maggiori in Congregazione insieme agli altri ordinandi del suo corso, in vista anche della grande urgenza di nuovo personale richiesto dalle missioni della stessa Congregazione”. Alla richiesta del rinnovamento dei Voti perpetui nel 1939, p. Bombieri scrisse: “Vegli sul suo spirito di critica, dal quale talvolta si lascia dominare, e do il mio voto favorevole ai suoi Voti perpetui”.

L’ordinazione sacerdotale ebbe luogo il 23 marzo 1940 nella basilica del Laterano da mons. Luigi Traglia. Trascorse un mese a Padova dove, per un mese, si esercitò nel ministero.

In Africa via Stati Uniti

La guerra, intanto, aveva chiuso le vie del mare per cui, invece delle coste africane, p. Bruno approdò in Puglia, nel piccolo seminario comboniano di Troia, dove fu assistente dei ragazzi, insegnante e addetto al ministero. In quella zona c’era ancora l’eco della presenza di p. Bernardo Sartori che aveva lasciato un’impronta indelebile.

Scrivendo ai suoi familiari, p. Colombina disse: “Non è facile essere degni eredi di un tanto missionario. Pregate il Signore perché non sfiguri troppo”. Ad un certo punto, nel 1943, fu incaricato di accompagnare fr. Pio Gasparotto, gravemente ammalato, a Verona. E quando si trattò di tornare a Troia, le vie di comunicazione erano interrotte a causa della guerra.

Allora fu deviato a Firenze, ancora come insegnante ai novizi e addetto al ministero. Quella sede comboniana, che allora si trovava a Villa Pisa, era stata fondata nell’aprile del 1940, quindi era ancora in fase di ristrutturazione.

Dopo tre anni, nel 1946 una telefonata di p. Vignato, superiore generale, lo inviò negli Stati Uniti soprattutto per imparare l’inglese. Questa esperienza durò due anni, fino al 1948.

Anche in questo caso, fu uno tra i primi Comboniani che si recarono nel Nuovo mondo per fondare le opere comboniane. P. Bruno fu assegnato alla parrocchia di Holy Trinity dove era parroco p. Domenico Ferrara (poi Vescovo di Mupoi, Sudan). Lavorò intensamente tra i Neri di quella parrocchia preparandosi così al suo ministero in Africa dove fu inviato nel 1948. Negli USA conseguì il General certificate of Education.

Gli anni eroici di Asmara

La sua prima missione africana fu quella dell’Etiopia. Qui fece un’esperienza bellissima anche se faticosa. Ad Asmara, p. Armido Gasparini (poi Vescovo) ebbe la felice intuizione di fondare il Collegio Comboni da quello che era una specie di orfanotrofio. Occorrevano insegnanti ben preparati. P. Colombina fu uno di questi.

Per prepararsi le lezioni, in inglese, stava su di notte. P. Gasparini, infatti, sbalordendo un po’ tutti, introdusse come lingua ufficiale l’inglese, al posto dell’italiano (la lingua dei colonizzatori). Egli aveva intuito che l’inglese avrebbe avuto un futuro più sicuro dell’italiano. Ciò gli consentì di formare la classe dirigente della moderna Etiopia. Se ciò valorizzava maggiormente il Collegio, metteva a dura prova gli insegnanti che dovevano dare le lezioni, parlare e correggere i compiti in una lingua non perfettamente posseduta. Alcuni di essi, sottoposti a un superlavoro si presero l’esaurimento.

Scrisse p. Colombina: “Ad Asmara incominciai subito la scuola in aiuto a p. Gasparini. Potei anche fare molto ministero in aiuto ai padri Cappuccini anche se ne risentii a causa della salute cagionevole. Non era tanto il lavoro che mi pesava, quanto l’altitudine che mi causava brutti scherzi al cuore e un esagerato innalzamento della pressione sanguigna. Tanto che p. De Negri mi chiese di andare a Khartoum”.

P. Gasparini, dopo aver dato un giudizio molto favorevole sull’operato del confratello, scrisse: “Il medico gli ha assolutamente sconsigliato di rimanere più a lungo all’Asmara. Mi privo a malincuore da un soggetto assai valido”.

Nel 1952 p. Colombina passò a Khartoum, sempre come insegnante coprendo anche la carica di superiore della comunità e vi rimase fino al 1956, anno in cui doveva tornare in Italia per le vacanze. “Me le godei poco - scrisse - perché, appena dopo due mesi, p. Todesco, superiore generale, mi mandò in Inghilterra ad aiutare gli immigrati italiani per un anno, invece diventarono quattro”.

In Inghilterra p. Bruno fece il buon samaritano con gli immigrati siciliani e calabresi a Bradford, Yorks. Molti di costoro andavano in Inghilterra a impastare i mattoni con un contratto obbligatorio di quattro anni; dopo potevano trovarsi altri lavori. La gran parte non sapeva né leggere né scrivere; non conosceva l’inglese e poco anche l’italiano.

Colombina fu il loro cappellano e, dopo la messa, s’intratteneva a lungo per leggere le lettere che ricevevano da casa e per rispondere. Fu benedetto mille volte per questa sua opera di squisita carità che compiva con grande dedizione verso quei poveri immigrati. Di molti divenne l’amico, il confidente e il fratello. Ne portò un buon numero alla pratica dei sacramenti e della vita cristiana.

In Uganda

Nel 1960 troviamo p. Colombina ad Arua, in Uganda con l’incarico di economo e insegnante nel seminario che il nuovo vescovo, mons. Angelo Tarantino, aveva voluto appena divenne vescovo di quella nuova diocesi.

“Imparai l’alur e poi, a Pokia, il logbara. Ero molto contento di poter aiutare p. Medeghini nell’opera dei catechisti. Non so quanti ex alunni del seminario ora hanno in Uganda un posto di lavoro e di responsabilità come maestri e impiegati. Rendendo grazie al Signore devo riconoscere che un poco ho collaborato anch’io a salvare l’Africa con l’Africa”.

Nel 1966 poté dedicarsi a tempo pieno al ministero tra la gente. Questo fu il periodo più bello della sua attività missionaria. Quell’inclinazione alla chiacchiera che il padre maestro aveva denunciato come un difetto, divenne in missione una virtù. P. Bruno amava intrattenersi con la gente, specie con gli anziani e con i ragazzi, per ascoltarli senza dimostrare fretta o poco interesse per quanto dicevano. Ciò piaceva molto alla gente che commentava:

“Ecco un bianco che non ha sempre fretta come molti di essi”

Dice p. Giuseppe Bertinazzo: “P. Colombina fu parroco tra gli Alur e poi tra i Logbara ad Arua, si prodigò con molto zelo. Il suo era un lavoro pastorale fatto soprattutto di contatti personali, di ascolto. Aveva imparato abbastanza bene la lingua per cui era bello vederlo seduto all’ombra di qualche grossa pianta con un bel gruppo di ragazzetti attorno mentre raccontava gli episodi più belli della vita di Gesù. Tra la gente aveva i suoi prediletti: i malati, i lebbrosi, i più poveri.

Nonostante la sua attività, era sempre esatto alle pratiche di pietà. Oh, su questo non si dispensava mai, mai. In comunità era di buona compagnia. Egli aveva sempre le ultime notizie riguardanti le missioni o le autorità da comunicare agli altri. Insomma era come il nostro gazzettino, ma sempre con garbo, con carità, con delicatezza, senza offendere nessuno. E’ dispiaciuto a tutti quando, ancora per motivi di salute, dovette lasciare la missione per l’Italia”.

Superiore a Gozzano

Dopo quasi un anno trascorso a Brescia come addetto all’animazione missionaria, da luglio del 1972 a giugno del 1978 fu superiore della comunità comboniana di Gozzano. Lasciò in tutti quelli che lo conobbero il ricordo di un uomo buono, cordiale, sempre disponibile ad ascoltare e pronto ad aiutare. Sotto di lui la casa di Gozzano si aprì maggiormente al ministero. Non essendoci più il noviziato, puntò tutto sull’animazione missionaria attraverso le giornate missionarie.

Non si accontentava solamente della diocesi di Novara, ma sconfinava anche più lontano e, con le sue belle maniere, si fece benvolere da tutti lasciando, specie nei sacerdoti, un bel ricordo. Chi scrive ne è testimone. Infatti, anche a distanza di anni, i sacerdoti chiedevano:

“Dov’è p. Colombina? Come sta p. Colombina? Era un bravo missionario e un sacerdote veramente esemplare”. Sognava, ma era proprio un sogno, che la casa tornasse a riempirsi di vocazioni i giovanili “come ai bei tempi”. Per questo chiedeva ai superiori un Padre addetto all’animazione vocazionale per trasformare lo stabile in un seminario minore. Non si rendeva conto che i “bei tempi” erano definitivamente passati.

Dal 1978 al 1985 fu nuovamente a Khartoum e ad El Obeid come insegnante e poi anche come segretario del vescovo. In questo ufficio dimostrò l’esattezza, direi la pignoleria (in un segretario è virtù) nel portare avanti un compito così delicato.

“A Khartoum - scrisse - ho trovato tanti amici tra i cristiani e i miei ex alunni che ricordavano i duri anni di insegnamento dei primi tempi e manifestavano apertamente la loro riconoscenza. Ho amici tra i vari convertiti o tra quelli che ho preparato al matrimonio. Ho ancora amici tra gli ex soldati inglesi dei quali fui cappellano ad Asmara e anche tra gli immigrati italiani che si sono stanziati definitivamente in Inghilterra”.

A Khartoum, però, dovette anche soffrire non trovandosi in sintonia con alcuni confratelli che avevano una visione diversa della sua nei confronti dei musulmani. Insomma, dialogo o rottura? Giustamente p. Calvia, sup. gen. gli rispose: “I cristiani e i musulmani sono due realtà che il missionario di oggi deve tenere presenti”. Colombina aveva un po’ lo spirito del crociato.

Nel 1986 fu assegnato al distretto della Curia come bibliotecario e traduttore. Diciamo che questo ufficio gli fu affidato soprattutto per la sua salute che ormai perdeva colpi. Ma la polvere dei libri non gli giovava per cui, nel 1987 fino al 1992 fu a Pordenone come addetto al mistero anche se egli, in una lettera del 6 settembre 1987, aveva chiesto con insistenza di essere mandato in missione “in Kenya o in Egitto, visto che in Sudan e in Uganda non è così facile tornare. Potrei essere utile per un po’ di scuola o qualche altra attività di ministero”.

In un questionario, alla domanda: “Quali attitudini credi di avere?” egli aveva risposto: “Insegnante, predicazione e ministero parrocchiale”.

Anche a Pordenone contribuì ad accrescere la cerchia degli amici delle missioni e dei Comboniani. Ma il cuore e il sopraggiunto diabete lo costrinsero a riparare in una casa di risposo.

Dal 1992 al 1995 fu a Gordola, in Svizzera. Non rimase inattivo: nei limiti del possibile si prestava per esercitare il ministero sacerdotale in una grande clinica dove poteva intrattenersi con i malati. Nel 1995 dovette riparare a Rebbio tra i padri anziani dove visse nella preghiera e nel dialogo con i confratelli i suoi ultimi anni.

Una sottile sofferenza

Elenchiamo appena quattro caratteristiche di questo confratello. Prima: da don Giovanni Calabria (oggi santo), che fu il suo primo maestro, assorbì lo spirito di umiltà e nascondimento. Tanéta e buséta ripeteva continuamente quell’uomo di Dio. Ebbene, p. Colombina passò in tante comunità senza neanche far notare la sua presenza, tanto era silenzioso e discreto. Fu sempre esempio di obbedienza e di serenità.

Seconda: la capacità di fare amicizia, e il bisogno di avere amicizie, che poi coltivava, specie con le persone che erano state provate da qualche grossa sofferenza. Su questo argomento ci sarebbero degli esempi che i suoi amici hanno raccontato. P. Bruno era uno che dava molto come amicizia, e non sempre era ricambiato, anche nell’ambito dei suoi parenti. Ciò lo faceva soffrire.

Terza: la carità e la delicatezza che lo portò a non parlar mai male di nessuno. Se faceva qualche commento, premetteva: “Solo per amore di verità, senza offendere…”.

Quarta: una sottile sofferenza che lo ha accompagnato per tutta la vita, dovuta anche a qualche prova di scrupoli o di eccessiva delicatezza di coscienza, che lo tormentava e che in certi periodi gli rendeva pesante l’esistenza. “Sembrava che avesse paura di noi - disse una signora di Gozzano; - anche quando ci dava la mano in segno di saluto, la sfiorava appena”.

In una lunga lettera al superiore generale scritta nel dicembre 1987, p. Colombina dice: “Devo dire che sono andato sempre, dovunque e volentieri dove sono stato mandato dai Superiori, senza dialogo e senza discernimento. Le confesso che il cambiare posto e lavoro non solo mi ha fatto soffrire (assai talvolta) ma questo fatto mi ha anche aiutato ad aprire il mio raggio d’orizzonte e a capire tante cose che poi mi aiutarono nella vita di missionario e di religioso… Non ho cercato o spinto per avere nomine o responsabilità e p. Briani diceva: ‘Voi della scuola siete i meno gratificati in Congregazione’. Ho sempre cercato di seguire l’insegnamento di don Calabria: ‘Il bene non fa rumore’. Non ho amato il quieto vivere e non mi sono mai imboscato. Ho sempre rispettato l’autorità a costo di grossi sacrifici. Devo anche riconoscere che l’obbedienza, che per il passato era ‘onnipotente’ mi ha sempre tenuto legato e alle volte mi ha impedito di esercitare i doni che il Signore mi aveva dati. Ma era così”.

Leggendo le sue lettere, si percepisce che una fonte di sofferenza per p. Colombina derivava anche dal fatto che gli sembrava di non essere valutato per quanto gli sembrava di valere, per le sue idee, per il suo apporto di consigli e di suggerimenti che dava nell’impostazione e nell’andamento della vita missionaria, non sufficientemente tenuti in considerazione… Sì, forse qualche volta p. Colombina peccava di ingenuità pretendendo che le proprie idee fossero oro colato e perciò dovessero essere assunte e condivise dagli altri… Ma sappiamo bene come vanno le cose in questo settore. Ciò non toglie che lui abbia sofferto anche per questo.

Era pronto all’incontro col Signore

Due mesi prima della morte, essendo ormai non più autosufficiente, fu accolto a Milano nel Centro Ambrosoli. Fu colpito due volte da infarto reso ancor più complicato dal diabete. Alla fine soffriva anche di grave edema polmonare. Ricoverato d’urgenza all’ospedale Niguarda per un ulteriore infarto, spirava serenamente lunedì 8 novembre 1999.

“ E’ morto sereno - ha detto p. Enzo Tommasoni - dopo aver chiesto e ricevuto l’assoluzione e la benedizione papale. Ha dato grande esempio come puntualità, serenità, tranquillità e obbedienza al medico e agli infermieri. Si è adattato subito a tutto con vero spirito di sottomissione e umiltà”.

P. Valdameri, nell’omelia funebre, ha iniziato applicando a p. Colombina le parole di Sant’Agostino per la morte di sua madre: “Signore noi non ti chiediamo perché ce l’hai tolta, noi ti ringraziamo perché ce l’hai data”.

“Anche p. Colombina - ha proseguito il celebrante - è stato un dono per i confratelli e per la Congregazione. Ha speso una lunga vita lavorando e anche soffrendo per ciò noi oggi gli esprimiamo il nostro grazie. E’ bello dir grazie a un confratello per quanto ha fatto. Ed è giusto dirglielo almeno sulla sua bara”.

Il Padre era preparato all’incontro col Signore, anzi lo attendeva con gioia. Fu una grande sorpresa per gli infermieri quando, aprendo il suo armadio dopo la morte, trovarono una busta di cellophane con dentro ben piegati la veste bianca e la biancheria nuova “da indossare quando il Signore mi chiamerà”. Avendo la sua residenza a Rebbio, dopo i funerali a Milano, il Padre fu sepolto nel cimitero di Rebbio, nella tomba dei sacerdoti.

Dal cielo, dove certamente gode la presenza del Signore e della Madonna, della quale era molto devoto, ha incontrato il suo primo maestro, san Giovanni Calabria, e il beato Comboni del quale ha cercato di calcare le orme particolarmente nella sua terra, il Sudan.                          P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 205, gennaio 2000, pp. 131-138