In Pace Christi

Petterlini Renzo

Petterlini Renzo
Date of birth : 04/12/1937
Place of birth : Castel d'Azzano (VR)/I
Temporary Vows : 09/09/1968
Perpetual Vows : 08/01/1975
Date of death : 26/10/1994
Place of death : Verona/I

Quella di fratel Renzo Petterlini era una famiglia profondamente cristiana. Forse per questo la sofferenza venne a battere alla sua porta attraverso una lunga e penosa malattia di papà Giobatta. Questi, intraprendente e attivo coltivatore, fu un giorno travolto da un carro trainato dal cavallo, e una ruota gli passò sul torace. Fortunatamente il carro era vuoto, per cui le conseguenze non furono letali anche se influirono pesantemente sul povero uomo durante il resto della sua vita.

Ma come se ciò non bastasse, nel 1963 il signor Giobatta fu investito di spalle da una motocicletta che gli compromise il buon funzionamento della spina dorsale.

Mamma Taioli Maria, che gestiva un negozio, non si perse d'animo e, con la grinta delle donne forti e animate da una sconfinata fiducia in Dio, tirò su i sei figli, quattro maschi e due femmine.

Renzo cresceva sereno e vivace dividendo il suo tempo tra la scuola, il lavoro nei campi e la parrocchia dove l'Azione Cattolica era fiorente. Grazie alle sue doti di animatore, ne divenne ben presto presidente parrocchiale.

Scrive il fratello Giuseppe: "La scuola non era il suo forte; preferiva il lavoro dei campi dove, nella semplicità, si sentiva più a suo agio. Canti e vino nelle osterie al fine settimana era il pretesto per stringere attorno a sé tanti compagni ai quali sapeva sempre dare un buon consiglio, una buona parola. Bonario con tutti, brontolava nelle avversità, ma non litigava, e poi tutto passava come un temporale estivo. A Dio che l'ha chiamato, ha dato tutto con entusiasmo, convinzione e tanto amore".

Dopo il servizio militare, trovò lavoro in una fabbrica di vernici che aveva una filiale in Germania. Vi fu inviato come specializzato nel settore. E proprio qui il Signore lo attendeva per chiamarlo alla sua sequela.

La vocazione

Da una lettera del settembre 1965, scritta da Wehingen a p. Leonzio Bano, ricaviamo le motivazioni della vocazione di fr. Renzo. Sentiamole: "L'intenzione di farmi missionario mi è venuta vedendo quante anime sono sulla strada che porta diritta all'inferno. Deve sapere che su 60 italiani che siamo qui, solo due o tre vanno alla messa alla domenica. Anch'io posso andarvi solo alla domenica, mentre quando ero al mio paese vi andavo tutti i giorni, anche feriali, e facevo pure la santa comunione. Qui la messa è in tedesco, ma il Signore è lo stesso. Ho capito che per aiutare gli uomini a salvarsi bisogna istruirli nella religione e aiutarli a pregare.

Rifletto spesso sulle parole di Gesù quando diceva: ''Cosa conta guadagnare tutto il mondo se poi si perde l'anima?''. Meditando queste parole e quelle che disse la Madonna ai tre pastorelli di Fatima, che cioè molti vanno all'inferno perché non c'è chi prega per loro, mi è venuta l'idea di farmi missionario. Così spero di salvare me stesso e anche gli altri, specie coloro che non conoscono il Signore.

Per avere il suo indirizzo, ho scritto al mio parroco che mi vuole bene e mi ha sempre seguito con amore. Come tipo io sono piuttosto rude e ho la coscienza un po' larga. Qui in Germania le tentazioni non mancano, ma io prego molto per stare in carreggiata e vedo che il Signore mi aiuta. Ma non vedo l'ora di venir via da questo posto anche se prendo molti soldi.

Scusi il mio modo di scrivere, ma ho fatto solo la quinta elementare molti anni fa. Aspetto una sua lettera che mi indichi come devo comportarmi in questo periodo per essere sicuro se il passo che voglio fare è giusto o no...".

Padre Leonzio Bano, dopo aver sentito il parroco di Forette di Castel d'Azzano, gli rispose. "Tutto mi fa sperare che si tratti di vera vocazione, fondata su motivi solidi. Sarò, perciò, ben lieto di darti il benvenuto tra i Missionari Comboniani. Non mi resta che pregare la Madonna che ti illumini e guidi dove sembra che Gesù ti chiami".

Novizio

Il 16 ottobre 1965, quindi un mese dopo la sua prima lettera, Renzo era già in Italia. Aiutato da p. Adriano Danzi, fece un periodo di prova a Pordenone dove poté constatare com'era la vita dei Fratelli. La trovò di suo gradimento per cui, senza indugi, entrò in noviziato a Gozzano. Era il 27 dicembre 1965. Fratel Renzo aveva 28 anni.

Nessuna meraviglia se il lavoro di lima e scalpello per modellare il suo carattere secondo lo stile del "comboniano perfetto" fu lungo e faticoso. Renzo aveva una certa età, ormai aveva acquisito certe abitudini e un'esperienza propria. Era stato lavoratore all'estero quindi conosceva il mondo un po' più a fondo rispetto ai ragazzini con i quali si trovava a condividere quel periodo di formazione...

P. Antonio Zagotto, maestro dei novizi, si mise di buona lena per aiutarlo a crescere e a scrostarlo da un modo di vivere piuttosto secolaresco. Fortunatamente fu coadiuvato in questo da una gran buona volontà da parte dell'interessato.

"Uomo di buon criterio, un po' spaccone quando racconta le sue avventure, e le racconta volentieri e bene con gran diletto dei compagni; rude e tagliato giù alla buona. E', però, adattabile e desideroso di imparare a pregare bene e a diventare un buon missionario. In comunità è cordiale con tutti e sempre di buon umore. Ha un grande amore alla sua vocazione. Queste doti lo aiuteranno certamente a superare lo spirito di autonomia, spiegabilissimo data la sua vita in Germania, e una certa superficialità nel prendere le cose del noviziato, propria di chi nella vita ha dovuto affrontare impegni molto seri.

Ha buon naso negli affari, è un po' spericolato nella guida, non capisce la regola del silenzio. Però ha mostrato impegno smettendo di fumare e si adatta al cibo comune. Insomma, c'è da lavorare, ma ce la farà".

A Gozzano Renzo frequentò le medie superando l'esame di terza presso le scuole pubbliche. Imparò a fare il cuoco e s'impratichì in meccanica.

Dopo due anni di assiduo lavoro su se stesso, il padre maestro convenne che "Ha fatto un buon cammino. E' deciso e impegnato. Mostra buona pietà e zelo per le anime e per le vocazioni: per la sua in particolare. Bisognerà guidarlo perché è portato ad eccedere nel lavoro materiale a scapito dell'attività spirituale".

Pausa in Italia

Il 9 settembre 1968 emise i voti temporanei e venne immediatamente inviato a Pordenone presso il CIF, come fratello studente. Vi rimase fino al 1970. In questo periodo risaltò ulteriormente la sua propensione per l'animazione missionaria e vocazionale. Quest'uomo sempre gioviale, sempre ottimista, capace di sdrammatizzare tutte le situazioni con una battuta alla veronese, faceva presa sui giovani che lo ascoltavano volentieri quando si recava nelle parrocchie portando la sua esperienza di ex operaio.

Insieme a p. Verdini organizzò diverse gare con la bicicletta "pro missioni", divenne addirittura amico di Moser e di Baldini. Egli stesso si dimostrò un provetto ed entusiasta ciclista.

A Pordenone fr. Petterlini frequentò anche il Corso teologico per Laici conseguendone il diploma con la nota "ottimo". Contemporaneamente si iscrisse a una scuola professionale per tipografi diventando un esperto nel settore.

Dal '70 al '72 venne dirottato presso la procura di Verona. Un ufficio così sedentario non lo entusiasmava, ma: "Sono disposto a fare quello che i superiori mi chiedono", scrisse. E si adattò con la solita allegria.

In Brasile

Finalmente nel 1972 poté spiccare il volo per il Brasile, diocesi di São Mateus, come incaricato della tipografia diocesana. Si mise nel lavoro con quell'entusiasmo e dedizione che gli erano propri, tanto che i superiori dovettero intervenire per frenarlo un po'.

Padre Andrea Pazzaglia, provinciale, scrisse: "E' direttore della tipografia e adempie il suo compito con senso di responsabilità e capacità. E' contento della sua vocazione, ha un carattere aperto e generoso. La tipografia gli impedisce il lavoro pastorale al quale si sentirebbe portato. Lavora con sacerdoti non comboniani, eppure se la cava molto bene ed è stimato". Nel 1975 emise i voti perpetui.

Promotore vocazionale

"Con questa lettera - gli scriveva padre Agostoni, superiore generale, nell'aprile del 1976 - intendiamo trasferirti alla Provincia italiana affinché possa mettere la tua esperienza a servizio della promozione vocazionale dei Fratelli. Grazie della disponibilità che mi hai espressa a voce.

Fratel Renzo si trovava a suo agio con i giovani, per cui si buttò nel nuovo lavoro con tutte le sue forze preoccupato com'era della scarsità di Fratelli. Lavorò bene, cercando anche di animare i confratelli che abitavano la casa di Pordenone.

La sua presenza entusiasta e ottimista contribuì a dare una boccata di ossigeno a quella comunità.

Da giovane, come abbiamo accennato, era stato un impegnato attivista nell'Azione Cattolica del suo paese, e ora cercava di applicare gli schemi, validissimi nei suoi anni giovanili, ai giovani con i quali trattava nelle parrocchie. I tempi erano cambiati, e anche la gente, tuttavia seppe adattarsi per cui riuscì a portare in Istituto delle buone vocazioni.

Ma la voglia di missione, di Brasile in particolare, gli bruciava nel cuore.

"Sono i Italia da 5 anni. Ho paura di dimenticare la lingua portoghese e come è fatto il Brasile... Tuttavia sono sempre a disposizione dei superiori", scrisse.

Una tegola in testa

Nel 1980 si era reso vacante l'Ufficio viaggi a Roma San Pancrazio.

"Oltre all'Ufficio viaggi c'è anche l'accoglienza ai confratelli. Un tipo come te farà certamente bene. Appena avremo trovato un sostituto potrai partire per il Brasile", gli scrisse il superiore.

Fratel Renzo obbedì senza ribattere parola ma, parlando confidenzialmente con un amico, disse: "Questa deviazione a Roma è una tegola in testa. Ma pazienza: ce ne sono anche di peggio".

Bisogna riconoscere che in quell'ufficio il nostro Fratello si trovò bene e fece trovare bene i confratelli che tornavano dalla missione. Andava a prenderli all'aeroporto, li accompagnava a casa e cercava che si trovassero a loro agio il più possibile. Con le sue solite battute e con qualche barzelletta di cui era prodigo faceva sorridere anche coloro che non ne avevano voglia.

La malattia

Nel luglio del 1981 partì per il Brasile come economo nella residenza provinciale di San Paolo. Il padre maestro, a suo tempo, aveva detto che Renzo possedeva un particolare fiuto negli affari. Era giusto che, finalmente, tirasse fuori questo suo talento.

Fece l'economo, ma non dimenticò il ministero spicciolo, specie tra i ragazzi e in particolare i ragazzi "più bisognosi" dimostrandosi in questo un vero seguace del Comboni.

Era nel culmine della sua attività quando una tegola ben più pesante della precedente, gli piombò sulla testa: una paresi lo immobilizzò per metà persona. Si era nel 1985.

Fu un duro colpo per un uomo così attivo. Ebbe anche dei momenti di scoramento, di sconforto, che superò aggrappandosi con tutte le sue forze alla fede. E intanto reagiva mettendocela tutta per riacquistare il funzionamento degli arti.

Trascorse il suo tempo parte a Verona presso il Centro Ammalati, parte a Pesaro e parte a Pordenone, concludendolo a Roma per il corso di aggiornamento. Ovunque cercò di rendersi utile come poté, e non smise mai i suoi esercizi fisici sostenuto dalla speranza di un prossimo ritorno in Brasile.

E questa speranza fece il miracolo.

"Ho la gioia di comunicarti che, con il consenso degli assistenti generali, ti ho assegnato alla provincia del Brasile Sud a partire dal 1° luglio 1992", gli scrisse il padre Generale.

L'angelo custode

A questo punto cediamo la penna a padre Carlo Faggion che ha inviato dal Brasile una bella testimonianza: "Ho vissuto con fr. Renzo Petterlini i suoi due ultimi anni di vita. E' venuto a Pedro Canario per caso, ma era Dio che lo mandava per essermi angelo custode.

Il carnevale di Conceição da Barra, dove si trovava, lo disturbava per lo strepito infernale che quell'orgia produceva di giorno e soprattutto di notte. Perciò chiese di poter venire a Pedro Canario per alcuni giorni. Io mi trovavo da solo in quel periodo e lo accolsi a braccia aperte anche perché era un vecchio amico e perché avevo lavorato alla FATMO di Verona con sua sorella Ornella".

Il giardino e i ragazzi

"Era venuto per riposarsi - prosegue p. Faggion - ma vedendo le tante cose da fare in casa, si rimboccò le maniche e si mise sotto senza risparmio. Poi dissodò un pezzo di terra per ricavarne un giardino e un orto. Ma questo lavoro manuale non gli bastava. Si accorse che c'erano in giro troppi ragazzi "di strada" e si dedicò a loro raccogliendoli, istruendoli e cercando di aiutarli in tutti i modi.

Trascorsi 10 giorni, visto che si trovava bene, chiese al p. Provinciale di restare a Pedro Canario. Gli fu concesso. Anzi, il provinciale gli disse: ''Resta là e fa' da angelo custode a p. Carlo che è da solo".

Fr. Renzo prese sul serio questa sua particolare missione che andava dal preparare il cibo ad aiutare nel ministero pastorale, dal richiamarmi alla puntualità nelle pratiche di pietà al correggermi fraternamente quando sbagliavo. Io accettavo di buon grado perché egli per primo mi dava l'esempio".

Renzo pregava e piangeva

"Nell'agosto del 1993 su Pedro Canario si abbatté una grave crisi di violenza. Bande di briganti terrorizzavano la città, e le autorità e la polizia sembravano non vedere per cui, dopo essermi consigliato col Consiglio pastorale, scrissi una letta al sindaco, al giudice e alle varie autorità locali e statali. La reazione fu violenta. Venni convocato nella seduta della camera municipale per dare spiegazioni di quanto avevo affermato nella lettera.

In un ambiente teso e pericoloso, io e fr. Renzo ci presentammo accompagnati dalle associazioni cattoliche e dal popolo. Il capo della polizia civile e militare, il procuratore, il pubblico ministero mi attaccarono.

Ma quando mi concessero la parola, si fece un grande silenzio. Spiegai le cose come stavano, accompagnato da scroscianti battimani da parte della gente. Renzo, invece, con la testa bassa, gli occhi umidi di lacrime e la corona del rosario tra le dita, pregava intensamente perché la Madonna mi mettesse sulle labbra le parole giuste.

Il successo fu pieno. La banda fu presa e furono puniti i poliziotti che l'appoggiavano. E a Pedro Canario tornò la pace".

Il centro comunitario

"La situazione di Pedro Canario è quella tipica delle periferie delle grandi città. Immigrati da altri stati dediti alle piantagioni di canna da zucchero, disoccupati, ladri, prostitute, drogati e... ragazzi di strada ad ogni angolo.

Fr. Renzo mi ripeteva ogni giorno che avremmo dovuto costruire un centro comunitario nei quartieri Saturnino Mauro e Cemate dove più di 10.000 abitanti vivevano quasi allo stato brado.

Ma dove trovare i mezzi? E poi anche lo spirito comunitario dei fedeli non sembrava preparato ad un'opera simile. Renzo insisteva, Renzo pregava, Renzo mi ripeteva che la Provvidenza ci avrebbe aiutato. E si cominciò. Ora il Centro è inaugurato e funziona a meraviglia. Alla cerimonia d'inaugurazione era presente anche la sorella Ornella che tanto fu vicina al fratello missionario e che, in qualche modo, cercava di rappresentarlo.

La gente, durante il solenne funerale di commemorazione di fr. Renzo, ha espresso il desiderio che una parte di questo Centro fosse dedicata proprio a lui che tanto si era battuto per quest'opera. Una targa di bronzo recita: ''In memoria di fr. Renzo Petterlini, missionario comboniano, amico e difensore dei ragazzi carenti''.

Non bisogna dimenticare che fr. Renzo aveva iniziato un Centro simile a Campo Erè. Nel 25° di professione, ricevette un telegramma proprio dall'opera di Campo Erè ed egli diceva che quel telegramma era il più bel regalo del suo 25°".

La preghiera di fr. Renzo

Negli ultimi tempi la preghiera era diventata l'occupazione principale di fr. Renzo. Al mattino alle 6.00 era già in chiesa ad attendere il confratello e insieme recitavano le lodi e poi seguiva la messa con il popolo dal suo banchettino a destra dell'altare. Per le sue letture preferiva i testi sull'amore e sulla misericordia di Dio. La corona era l'oggetto che teneva costantemente in mano, quando non lavorava, e di rosari ne recitava tre o quattro ogni giorno.

Tipo attivo ed energico, fu purificato dalla malattia, come egli stesso diceva. Era diventato più umile, più docile, più obbediente e cercava in tutti modi di compiere la volontà di Dio. Qualche volta esclamava: "Ma cosa vuole in Signore da me?". Si vedeva chiaramente che il Signore stava preparandolo all'incontro con Lui.

Nonostante il medico gli avesse detto che doveva fare riposo assoluto per via del cuore che non funzionava bene, egli amava intrattenersi nell'orto per far sì che sulla tavola ci fosse sempre qualcosa di buono. Che soddisfazione quando poté raccogliere le prime fragole veronesi, colte dalle piantine che la sorella Ornella gli aveva mandato da Verona!

Identificato

Davvero in fr. Renzo non c'era quella specie di trauma che si nota in qualche confratello. Egli si sentiva pienamente identificato con la sua vocazione. Era felice, soddisfatto, profondamente appagato, e lo diceva.

Ricordava volentieri anche gli episodi della sua vita, le corse in bici che gli avevano procurato qualche premio, il lavoro in Germania, gli amici dell'Azione Cattolica, le premure paterne del suo parroco don Remigio Soave che stimava moltissimo, la fidanzata che non lo aveva mai dimenticato... Eppure concludeva dicendo: "Ho fatto un taglio netto con tutto e non ho mai avuto rimpianti".

Con pari entusiasmo ricordava le imprese dei Fratelli comboniani che avevano costruito chiese e cattedrali in Africa, scuole e ospedali, e anche coloro che nel silenzio e nel nascondimento avevano resto un prezioso servizio alla Congregazione e alle comunità. Questi erano i temi delle sue conferenze di animazione dalle quali la figura del Fratello si illuminava e diventava affascinante.

La sua situazione sanitaria peggiorava per cui dovette lasciare il Brasile. Il giorno della partenza da Pedro Canario per tornare in Italia, ai giovani che lo festeggiavano parlò della vocazione missionaria e della necessità che qualcuno di loro prendesse il suo posto. Sentiva, infatti, che ormai la sua giornata terrena volgeva al termine. Da buon animatore vocazionale, volle ancora una volta insistere sulla necessità di avere tanti e buoni Fratelli comboniani. Queste furono le sue ultime parole... E oggi già esiste un centro vocazionale comboniano.

Sempre ottimista

Scrive p. Vialetto, suo provinciale: “L'ho sempre incontrato ottimista, amico e desideroso di essere disponibile alla gente e di una spiritualità semplice e profonda. Ha accettato la sua malattia con molta fede e non l'ho mai sentito lamentarsi perché prendeva la sua situazione come un segno della volontà di Dio. Quando qualche confratello passava dalla sua comunità era una festa, e faceva di tutto perché si trovasse a suo agio... L'ho visto all'ospedale di Verona e mi ha accompagnato fino all'ingresso. ''Manda qualcuno con p. Faggion - mi disse - perché è brutto restare da soli. Poi tornerò''. Ma le nostre strade, per allora, prendevano direzioni diverse".

Il fratello Lino afferma: "Nell'ultimo periodo della vita, noi familiari ci rendevamo conto della sua situazione quanto a salute. Lui no. Lui era sicuro di guarire perché doveva tornare ai suoi ninos de rua che lo aspettavano. Il Brasile era la sua vita. Ora se n'è andato, ma noi lo sentiamo vicino con il suo coraggio di affrontare le difficoltà, l'entusiasmo in tutte le cose che faceva, la grande semplicità della sua vita e la benevolenza e disponibilità verso noi e verso tutti. Insomma, la sua presenza nella nostra famiglia è ancora viva e ci fa bene, ci aiuta a vivere".

Un fatto

"Concludo con un fatto - scrive p. Carlo Faggion. - Dopo la morte di fr. Renzo, in quella stessa settimana, venne a trovarmi una donna disperata perché il marito l'aveva scacciata di casa per prendersene un'altra. Già da tempo la picchiava e picchiava i figli. Dopo aver ascoltato lo sfogo della povera donna la consigliai di non abbandonare la casa e di pregare fr. Renzo perché risolvesse il suo caso. Il giorno dopo vidi la donna e il marito che camminavano per la strada mano nella mano come due fidanzati. Poi insieme vennero in chiesa con i figli, si accostarono ai sacramenti e parteciparono alla messa.

Cos'era successo? Dopo essersi rivolta con fervore a fr. Renzo, la donna rientrò in casa e trovò il marito che la aspettava. Questi riconobbe i suoi sbagli, confessò tutto, mandò via l'intrusa e promise di ricominciare una nuova vita.

Ho la certezza che dal Cielo fr. Renzo continua a lavorare per la gente che ha tanto amata e per la quale ha bruciato le sue ultime forze".

Missionario in ospedale

Rientrato in Italia, fu ricoverato d'urgenza in Clinica Medica nel Policlinico di Borgo Roma per situazione di forte scompenso cardiocircolatorio, rivelatosi poi di origine renale. Con le cure mediche aveva ricuperato un po' di salute e già si prospettava la dimissione dall'ospedale, quando fu accertata la presenza di una neoformazione nell'intestino. Fu deciso l'intervento chirurgico che superò bene. A circa una settimana dall'intervento morì in seguito a un improvviso cedimento cardiaco. Ora riposa nel cimitero del suo paese.

Una dottoressa del Policlinico che l'ha curato, ci lascia questa testimonianza scritta: "Sono orgogliosa di averlo avuto come paziente. La sua fede, la sua accettazione della sofferenza come porzione indispensabile per un missionario, mi hanno messa in crisi. Più che per lo scompenso cardiaco-renale, direi che è morto d'amore per i suoi poveri che aveva sempre sulle labbra, di fronte ai quali egli si sentiva un privilegiato. A fr. Renzo si possono applicare le parole del Vangelo: ''Beati gli operatori di pace perché erediteranno la terra, beati gli affamati di giustizia perché saranno saziati, beati quelli che solidarizzano con chi soffre perché saranno consolati...''. Io non ho paura a pregarlo: ''Fratel Renzo, servo di Dio, prega per me''".

Renzo Petterlini ci lascia l'esempio di un vero fratello comboniano, sempre contento, laborioso, disponibile ed entusiasta della propria vocazione tanto da indurre altri a mettersi su questa strada. Che dal cielo ci ottenga altri fratelli come lui.    

P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 187, aprile 1995, pp. 66-74