"Ho udito la tua voce, Signore. Dicevi: 'Chi manderò? Chi vorrà andare?'. Ed io ti rispondo: 'Signore, eccomi, manda me'".
Queste sono state le parole di Isaia 6,8 che Egidio, giovane di 18 anni, ha pronunciato nell'intimo del suo cuore dopo il discorso di fr. Landonio nella chiesa di Castellanza.
Proprio così! La vocazione di p. Grassini è stata accesa dalla testimonianza di un fratello missionario comboniano che ha avuto il coraggio di parlare ai giovani della sua parrocchia in un giorno del 1960.
Egidio era il maggiore di tre fratelli, due maschi e una femmina, che provenivano da una famiglia di cristiani e di lavoratori. Papà Giuseppe e mamma Moroni Giuseppina erano operai tessili. Con l'esempio di una vita di lavoro, diedero ai figli la testimonianza della fede vissuta nell'intimo della famiglia e nell'ambito della società.
Fin da piccolo Egidio mostrò due caratteristiche: la predilezione per i fiori e una gran poca voglia di studiare. Frequentava la parrocchia e l'oratorio (allora in costruzione), ma non fece parte del corpo dei chierichetti. Gli pareva un privilegio troppo grande per lui, che non disdegnava di compiere qualche marachella con i compagni, servire il Signore così da vicino.
Quando frequentava la scuola, pregò più volte lo zio di tagliargli il braccio destro per non essere costretto a tenere quella benedetta penna in mano (!). Lo zio, però, gli diceva che il braccio, a suo tempo, gli sarebbe servito per lavorare. E su questo i due si trovavano d'accordo.
Terminata la quinta elementare a Castellanza, il ragazzino andò a lavorare presso un fornaio di Legnano. Inizialmente dava una mano presso il forno, in seguito venne incaricato di portare il pane ai clienti. Questa incombenza gli piaceva, perché gli consentiva di fare delle grandi biciclettate lungo le vie del paese.
In seguito, però, trovò una miglior sistemazione come calzolaio, prima al deschetto come riparatore, e poi in fabbrica, presso la ditta "La Vittoriosa".
Quando ormai scoccava l'ora del servizio alla patria come militare, ci fu l'incontro col compaesano fr. Landonio, e si accese la scintilla della vocazione missionaria.
I genitori non si mostrarono entusiasti del progetto del loro primogenito, anzi lo contrastarono energicamente. Dopo aver sfoderato tutti gli argomenti, si appellarono al suo risultato negli studi. Con quella voglia di studiare che aveva dimostrato durante le elementari, come poteva cimentarsi in un'impresa simile? E poi, missionario, voleva dire Africa, voleva dire pericolo... Egidio, che sembrava il tipo più remissivo del mondo, quando vide messa in serio pericolo la sua vocazione, tirò fuori le unghie. Di fronte alla sua determinazione, e sentite le parole rassicuranti del parroco, papà e mamma si quietarono, anzi, ringraziarono il Signore per un dono così grande alla loro famiglia.
A marce forzate
Egidio entrò a Crema dove i Comboniani avevano il seminario per "le vocazioni adulte". In due anni completò le medie e in altri cinque conseguì il diploma di maestro elementare.
Inutile dire quanto costassero al nostro giovane quelle interminabili ore di studio! Solo il grandissimo amore alla sua vocazione, che sentiva proprio genuina, gli diede la forza di andare avanti. E poi la preghiera. Davvero Egidio divenne un uomo di preghiera. Quando non ne poteva più, si recava nel santuario della Madonna, annesso al seminario, e si raccomandava alla Madre di Gesù, sommo ed eterno sacerdote, perché gli desse una mano per andare avanti.
Indubbiamente, il primo impatto con la vita missionaria è stato assai doloroso perché ha dovuto sottomettersi alle regole del seminario minore. Ma dopo un sofferto inizio si è sempre sentito a suo agio.
"Giovane di buona volontà, di intensa preghiera e di sacrificio", scrissero i superiori e lo mandarono a Firenze per la filosofia (71-73). Dopo il tirocinio del postulato, Egidio passò al noviziato di Venegono (73-75) ed infine a Kampala per lo scolasticato (76-79).
Quest'uomo, che avrebbe sofferto tanto nella sua vita, dimostrò sempre una grande predilezione per i sofferenti. A Venegono volle riservata a sé la cura di p. Sacco. Così anche in missione si adopererà per sollevare le sofferenze dei confratelli e della gente.
Emise la professione temporanea a Venegono il 17 maggio 1975 e quella perpetua a Kampala il 15 marzo 1978.
Egidio stesso, scrivendo dei suoi anni passati in Uganda come scolastico ebbe a dire: "Quel periodo è stato per me di aiuto nell'approfondimento della mia vocazione missionaria. Non mi sono mancate le occasioni di partecipare alle fatiche e alle gioie dei nostri confratelli nel lavoro missionario".
Quando arrivava in una comunità nuova, faceva fatica ad entrare nel clima, ma poi superava quella paura che gli era connaturale. Forse soffriva di un leggero complesso di inferiorità, soprattutto per l'incapacità di parlare bene le lingue (questo fu sempre il suo punto debole). Certamente l'inserimento nella vita apostolica, anche come studente, contribuì a fargli superare, in parte, questo ostacolo. Nella parrocchia di Mbuya, Egidio curò particolarmente la liturgia e dimostrò di saperci fare con soddisfazione sua, prima di tutto, e poi anche degli altri.
Ben identificato
Suoi formatori a Kampala furono i pp. Francesco Pierli e Paolo Serra. Essi convennero che l'andata in missione per lo scolasticato aveva reso concreta, in tutte le sue implicazioni, la scelta missionaria di Egidio. Egli, piuttosto schivo e portato a chiudersi in se stesso, ha saputo accettare gli altri così come erano. Sul campo di lavoro vedeva eroismi di zelo, ma anche le debolezze e le difficoltà del vivere e del lavorare in comunità.
Col clero locale è stato molto aperto, per cui è riuscito ad accettarlo attraverso il contatto cordiale con i seminaristi con i quali studiava. Nei sacerdoti africani ha visto la realizzazione del piano del Comboni: salvare l'Africa con l'Africa.
Con la gente si è sempre mostrato molto aperto, anche se in questo aspetto il progresso è stato relativamente piccolo perché non conosceva la lingua locale e parlava poco l'inglese, specie nei primi anni. Poi, però, si è fatto più disinvolto e sicuro.
Predilezione per i più necessitosi
Un altro aspetto della spiritualità di Egidio, che lo avvicinava al Comboni, era la predilezione per i più poveri e bisognosi. Appena gli era possibile, andava a trovare gli anziani e gli ammalati per dire loro una parola di conforto o, se non altro, per un saluto e un sorriso. Essi lo attendevano con gioia e non smettevano di stringergli la mano in segno di riconoscenza.
Calmo, paziente, con una buona dose di sottile e discreto umorismo, si è inserito bene nella vita dello scolasticato quanto alle cose da fare. Più difficoltoso è stato il suo inserimento a livello di gruppo, e ciò, ancora una volta, per la mancanza della conoscenza della lingua.
Una cosa, tuttavia, colpì gli educatori: Egidio non si lasciava coinvolgere nelle critiche e nei pettegolezzi propri delle convivenze.
Fedele alla preghiera comunitaria e all'ora di preghiera personale, doveva continuamente vigilare sul suo desiderio di fare. Le attività materiali, alle quali era portato grazie anche al suo spirito pratico, potevano distrarlo dallo studio e dalle attività intellettuali.
Grazie a questa sua concretezza, ha dimostrato grande responsabilità nel portare a termine gli incarichi che gli venivano affidati per il buon andamento della comunità.
Anche in Uganda la scuola fu la sua croce e il suo martirio. Scrive un confratello: "La tensione prima degli esami era tale che si ammalava regolarmente, così doveva rimandare la prova e magari affrontarla oralmente e in italiano con i professori che avevano studiato in Italia. La difficoltà dello studio della lingua non gli impedì, tuttavia, di comunicare con la gente semplice attraverso la sua capacità di capire e di immedesimarsi nelle situazioni altrui".
Quando scrisse al p. generale per la sua destinazione, disse: "Mi troverei bene in Uganda, perché ormai conosco la lingua e la gente. Però mi mandi dove c'è bisogno, purché non sia un paese dove la lingua è troppo difficile (non l'Italia, però)".
Scrive p. Filippi: "Persona simpatica e di molto buon senso, era capace di sdrammatizzare le situazioni e creare comunità anche nei contesti meno facili. Attento ai bisogni degli altri era sempre pronto a servire i più umili e bisognosi. La sua stabilità emotiva lo preservò da errori negli imprevisti della vita".
Avveduto ricercatore
Dopo alcuni mesi di permanenza in Uganda, gli venne assegnata dalla scuola una ricerca sulla parrocchia di Mbuya dove esercitava il suo ministero come scolastico. Egli, senza scomporsi eccessivamente, mandò il "compito" a p. Agostoni che aveva seguito fin dall'inizio il nascere di quella parrocchia. Questi fece un lavoro da par suo facendo fare un figurone allo studente.
"Cosa volete - diceva a chi lo rimproverava per il trucco - c'è chi sa, e c'è chi sa far fare".
Per emettere i Voti perpetui due mesi prima della scadenza dei tre anni dei Voti temporanei, i superiori dovettero chiedere la dispensa a Roma. La ragione di tale richiesta era la seguente: la Conferenza Episcopale Ugandese stabiliva un unico periodo, il mese di aprile, per le ordinazioni sacerdotali. Se Egidio non avesse emesso i Voti perpetui per quella data, avrebbe dovuto essere incardinato in una diocesi, procedura che in Uganda era particolarmente difficile e complicata.
La Santa Sede gli concesse la deroga con una certa difficoltà perché voleva che tutti si adeguassero alle norme della "Renovationis Causam". Quindi sollecitava i formatori dei noviziati e scolasticati a pensare per tempo alle future scadenze dei loro alunni.
Missionario in Malawi
P. Egidio Grassini fu ordinato sacerdote a Brescia il 3 marzo 1979, nella chiesa del Sacro Cuore (presso i Comboniani). Preferì quella chiesa che era stata il primo santuario dell’Istituto (la fondazione risale al 1900), e per di più dedicato al Sacro Cuore, speciale patrono dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù.
Anche se nel frattempo era diventata parrocchia della diocesi di Brescia, p. Egidio volle ricevere proprio lì l'ordine del presbiterato. Vescovo ordinante fu mons. Luigi Morstabilini, ordinario di Brescia.
Dopo i solenni festeggiamenti al suo paese natale, si accinse a partire per la missione del Malawi (vi fu destinato dal primo gennaio 1979) previo un corso di inglese in Inghilterra. Insomma, la croce della lingua, nonostante gli anni trascorsi in Uganda, gli pesava sulle spalle.
Mandandolo in quella missione, il p. generale gli scrisse: "L'immagine di Cristo sia sempre impressa nella tua persona in modo che sia visibile anche ai fratelli". Queste parole costituirono il programma della sua vita e la testimonianza degli ultimi anni di sofferenza.
Era, allora, provinciale del Malawi p. Luciano Franceschini. P. Egidio gli scrisse: "Ti devo dire la verità: questa destinazione mi ha colto di sorpresa in quanto ero sicuro di rimanere in Uganda. Comunque sono felice ugualmente. L'importante per me è di poter ritornare in missione. Il p. generale mi ha detto di trascorrer almeno tre mesi in Inghilterra per migliorare il mio inglese. Credo che anche tu sarai contento".
P. Franceschini condivise l'idea, poi lo rasserenò assicurandogli che in Malawi la gente era ben disposta a ricevere la Parola di Dio, e a lui sarebbe stato riservato un lavoro puramente pastorale, proprio come desiderava.
Poi aggiunse un particolare sulla vita che i missionari conducevano in Malawi, e che allora costituiva una novità. "Qui ogni missionario collabora nella ricerca degli aiuti finanziari per mandare avanti le missioni. E tutto ciò che riceve finisce in un fondo comune. Il superiore provinciale, poi, distribuisce un tanto ad ogni missionario e si impegna per i lavori che ogni singola missione deve mandare avanti. Ti dico questo perché tu possa metterti in sintonia con questo modo di fare".
Era veramente un bel metodo che sollevava dalle angustie tanti missionari e che poi fu adottato anche dalle altre province.
Il primo luglio 1979 p. Egidio giunse a Chipini, in Malawi, con l'incarico di vice parroco. Aveva 37 anni e cominciava con entusiasmo la sua attività missionaria.
Parola e Sacramenti
P. Grassini impostò il suo lavoro nella gioia accompagnata da una notevole dose di entusiasmo che gli dava la carica giorno dopo giorno.
Trascorsi tre anni a Chipini, passò a Gambula come superiore locale (1982-1984), quindi fu parroco a Chiringa (1984-1987), poi a Phalombe (1987-1990), quindi passò nuovamente a Gambula, sempre come parroco, dal 1990 al 1991, anno del suo rientro in Italia per cura.
Stando alle testimonianze dei confratelli sappiamo che l'impegno con cui esercitava il ministero missionario era veramente serio. P. Egidio camminava sul binario Parola di Dio e Sacramenti. Era convinto che questo fosse il metodo per vivere e far vivere Cristo in maniera viva, sincera e concreta. A questo aggiungeva il dono totale della sua vita, una vita impegnata senza risparmio e senza riserve.
La sua caratteristica principale fu il servizio. Egli sapeva donarsi tutto a tutti, senza tante parole, anzi in maniera piuttosto schiva, umile e semplice, ma eloquentissima nei fatti.
Non c'era giovane o anziano che non lo conoscesse e che quando lo vedeva non corresse a lui come si fa con un amico carissimo.
Tra le sue attività va annoverata la costruzione di scuole, specie nelle zone più abbandonate. Era sicuro, e lo diceva ripetutamente, che solo l'istruzione avrebbe cambiato il volto dell'Africa.
Omnibus omnia
P. Egidio possedeva l'auto. Eppure preferiva muoversi a piedi o in bicicletta alla maniera dei vecchi missionari. "L'auto - diceva - ti impedisce di fermarti e di parlare con la gente". Usava la bicicletta anche per condividere la condizione della gente, in genere povera e costretta ad andare a piedi o in bici. "E' tanto bello - diceva - mettersi sullo stesso piano dei nostri fedeli!".
Questo farsi tutto a tutti, come indica San Paolo, lo portava a mangiare e bere ciò che i cristiani gli offrivano quando andava a visitare i loro villaggi. Per tutti aveva una parola, una battuta scherzosa, un incoraggiamento.
Davvero è stato un seminatore di pace, di gioia, di speranza, di impegno cristiano e di serenità. Se aveva delle predilezioni erano per i più poveri, i più deboli, gli ammalati e gli anziani.
Ma anche in comunità p. Egidio è stato un uomo meraviglioso. Sempre stando alle testimonianze dei confratelli, sappiamo che era il primo ad alzarsi al mattino per preparare e servire una buona tazza di caffè caldo ai confratelli che salutava con un largo e cordiale "buon giorno".
Nei momenti liberi coltivava l'orto e si occupava delle galline e dei conigli, tutto per avere sempre qualcosa di buono per i confratelli quando andavano a trovarlo.
Non sono mancati casi di difficoltà quanto a convivenza, eppure ha saputo adattarsi sia alle persone che alle situazioni con semplicità e carità.
"Anche quando ci radunavamo per i nostri incontri - dice un confratello - la presenza di Egidio dava serenità e gioia. Era saggio e umile e con le sue battute smontava tante situazioni alle volte difficili".
Egidio ha voluto tanto bene ai confratelli e alla gente, ma si è anche fatto voler bene. Perfino l'arcivescovo, uomo piuttosto riservato, si è interessato più volte e con insistenza della sua salute. E gli ha anche scritto dicendogli che lo voleva ancora in diocesi. P. Egidio era davvero un servo fedele, e lo spirito di servizio è stata la sua caratteristica come missionario per la gente e come confratello per i missionari. Il non poter servire e il dover essere servito sarà la sua sofferenza più grande durante la malattia.
L'ombra della croce
1987, sette agosto. P. Egidio si trovava a Castellanza, suo paese. La situazione della famiglia era molto precaria. Ma sentiamo p. Egidio stesso:
"Prima della mia partenza dal Malawi pensavo di essere di ritorno per i primi di settembre; ora non so se ce la farò per la fine di settembre. Finora non mi sono mosso da casa. La mia mamma dev'essere assistita giorno e notte. Una paralisi le ha tolto il movimento e la parola.
Due settimane fa anche mio padre è stato ricoverato all'ospedale per la stessa malattia. Non so quale santo mi abbia aiutato. Dopo due giorni ha ripreso a camminare e a parlare con sorpresa di tutti. Ho preso il Signore per il collo e mi ha esaudito. Uno sì, ma due sono troppi".
Appena la situazione è entrata in una certa normalità, il Padre è tornato immediatamente nella sua missione di Phalombe.
Un nuovo martirio
P. Egidio Grassini ha inaugurato un nuovo genere di martirio che può colpire i missionari e le suore che lavorano a contatto con tanta sofferenza particolarmente in Africa. Questo martirio si chiama AIDS.
Come la gran parte dei missionari, anche p. Egidio fu colpito dalla malaria. Ma la sua fu una malaria cattiva, perniciosa, che gli procurò una preoccupante forma di anemia.
Le sue condizioni erano così gravi, che la sorella e il cognato andarono a trovarlo quasi per raccogliere il suo ultimo respiro. Invece riuscì a cavarsela grazie a una serie di trasfusioni che gli vennero praticate con sangue prelevato da africani.
Guarì dall'anemia, ma nelle sue vene era entrata la piovra dell'AIDS che un poco alla volta lo avrebbe demolito.
In occasione della visita dei familiari (1986), battezzò una bambina dandole il nome di Raffaella, proprio come una sua nipotina che era nata in quei giorni a Castellanza e che aveva quello stesso nome.
Nel 1991 p. Egidio venne in Italia per il funerale del papà. Vi giunse, però, quando il genitore era già stato sepolto da due giorni.
Già da tempo non stava bene. Si era fatto vedere all'ospedale di Phalombe e gli avevano riscontrato un po' di diabete e altri disturbi. Le forze lo abbandonavano sempre di più e non volevano tornare nonostante cure e ricostituenti. Inoltre le gambe gli dolevano fino a rendergli faticoso il camminare.
Fece una visita specialistica all'ospedale Niguarda di Milano. Gli trovarono una ciste e... l'AIDS.
P. Egidio non ha mai detto a nessuno come accolse quella notizia. Possiamo immaginare che la risonanza nel suo spirito non sia stata tanto diversa da quella che provò p. Damiano De Veuster quando si sentì dire: "Ha la lebbra!": una sensazione di smarrimento.
Immediatamente anche in p. Egidio la fede ebbe il sopravvento. Aveva la coscienza tranquilla; sapeva che quella terribile malattia gli era venuta addosso senza sua colpa, per cui chinò la testa e offrì la spalla alla croce. Ma quanta sofferenza!
Il 5 novembre del 1991 (p. Egidio era ancora al Niguarda) vennero i suoi fratelli a trovarlo. Il cappellano, che li vide per primo, disse loro: "P. Egidio ha da parlarvi". Capirono che si trattava certamente di qualcosa di grosso. Dopo aver fatto loro coraggio, il Padre manifestò la sua malattia.
"E' l'ora della preghiera - disse - di tanta preghiera perché il colpo è duro... Vi pregherei di non farlo sapere alla mamma".
A Verona, presso il Centro Malati, e con molti ricoveri all'ospedale, continuò il suo lento cammino verso il Calvario.
Un mese prima della morte, la mamma, che usava la sedia a rotelle causa la paralisi, volle andarlo a trovare. P. Egidio ne approfittò per comunicarle la sua prossima fine. Volle essere lui, infatti, a dare alla mamma una tale notizia. E la preparò con argomenti di fede e di... paradiso.
La mamma non riuscì a trattenere le lacrime, ma poi, sentendo il figlio che le faceva coraggio, che le diceva di essere contento di andare a vedere il volto del Signore e della Madonna, e poi avrebbe incontrato anche il papà e tanti africani che aveva mandati avanti nella Casa del Padre, la povera donna si rasserenò anche se nel suo cuore la sofferenza era grande.
Mamma Giuseppina, prima di lasciare la stanza, disse: "Offriamo insieme questo sacrificio, figlio mio".
"Sì, mamma, per le missioni del Malawi e per l’Istituto. Io prego anche per te e per i miei fratelli perché accettiate la mia malattia e ciò che il Signore vorrà per me con spirito cristiano".
Ti giuro che...
P. Egidio trascorse l'ultimo periodo della sua vita all'ospedale di Borgo Trento (Verona) dove era assistito giorno e notte dai confratelli e da personale specializzato.
Mai un lamento, mai una parola di stanchezza. Solo verso la fine si lasciò sfuggire un "non ce la faccio più". Era l'eco del lamento di Cristo nell'orto degli ulivi e sulla croce.
Poi accennò di voler dire una parola al viceprovinciale che gli era accanto. Questi si piegò verso di lui.
"Con tutto quello che si dice di questa malattia, io sento il dovere di farti un giuramento, qui sul letto di morte... Ebbene, sappi che non sono mai venuto meno ai miei Voti con la grazia di Dio e con l'aiuto della Madonna. Altra è la causa di questo mio male".
Poi si raccolse in preghiera alternando momenti di lucidità a periodi di coma, finché si spense come una fiamma che ha esaurito il suo alimento. Erano le ore 4,30 del 17 ottobre 1993.
Ha detto p. Filippi: "Accolse con grande fede e coraggio la malattia che sapeva non gli avrebbe concesso che pochi anni di vita. Fece sue le parole di Giobbe: 'Dio ha dato, Dio ha tolto, sia benedetto il suo nome'".
A Verona, benché malato, metteva gli altri malati al centro della sua attenzione e nei primi tempi, quando stava meglio, era di aiuto e di incoraggiamento ai confratelli che condividevano con lui la sofferenza e la malattia.
Una lettera post mortem
P. Roberto Cona, al termine della messa funebre, celebrata in Casa Madre, ha voluto leggere una lettera indirizzata proprio a p. Egidio. La riportiamo.
"Carissimo p. Egidio, ho chiesto di poterti parlare a nome anche di tutti i confratelli anziani e malati del secondo piano. Mai ti abbiamo sentito lamentare o protestare, né verso Dio, né verso gli uomini, per la tua situazione.
Sei passato in mezzo a noi in punta di piedi, cercando di non disturbare nessuno. Tu, per gli altri, stavi sempre bene e tutti accoglievi con gioia e affabilità, trasformando ogni incontro in una festa, specialmente per i tuoi cari e per i compagni di missione del Malawi.
Quando qualcuno di essi ti chiamava al telefono, con uno sforzo immane trasformavi perfino la voce per apparire in buona forma. La tua voce era gioiosa e a tutti dicevi: 'Sto meglio, sto migliorando', mentre noi ti avevamo visto alzarti con fatica dalla tua poltrona e camminare a stento verso l'apparecchio telefonico.
Io posso testimoniare il tuo amore, il tuo attaccamento alla missione del Malawi dove ti eri ammalato.
Grazie, p. Egidio, per i grandi esempi di fiducia e di abbandono in Dio che ci hai dato. Ottieni anche a noi la grazia di non perdere mai la serenità e la speranza nonostante la sofferenza, proprio come hai fatto tu".
Il p. generale, scrivendo alla famiglia, ha sottolineato le linee fondamentali della spiritualità di p. Egidio. "Lascia un ricordo di bontà e di semplicità di cuore, di disponibilità e di carità, di amore alla missione, di una gioia profonda che sapeva comunicare a tutti".
Queste sue caratteristiche costituiscono l'eredità più bella che p. Egidio Grassini lascia ai suoi familiari e ai suoi confratelli.
Dopo il funerale in Casa Madre, la salma è stata traslata al suo paese natale. P. Lorenzo Gaiga, mccj
Da Mccj Bulletin n. 182, aprile 1994, pp. 67-73