In Pace Christi

De Gaspari Umberto Vittorio

De Gaspari Umberto Vittorio
Date of birth : 15/11/1921
Place of birth : S. Eufemia di Borgoricco PD/I
Temporary Vows : 07/10/1941
Perpetual Vows : 07/10/1947
Date of death : 19/05/1993
Place of death : Verona/I

Aveva 13 anni Vittorio quando cominciò a parlare di vocazione missionaria al suo parroco, don Giovanni Finco. Questi, espertissimo nel settore (basti pensare che sotto di lui ben 93 tra giovani e ragazze abbracciarono la vita sacerdotale o religiosa), lo fece attendere ancora tre anni e poi gli disse che poteva partire.

Vittorio lasciava una famiglia che poteva considerarsi benestante. Accanto a una buona campagna, papà Giuliano possedeva anche una ben avviata fabbrica di scope.

La mamma, Perobon Teresa, se n'era andata da questo mondo dando alla luce due gemelli, per cui Vittorio, all'età di due anni, rimase l'ultimo di cinque fratelli, tre maschi e due femmine. Venne allevato dalla sorella Ancilla che aveva dieci anni più di lui. Questa "mammina" ricorderà come il piccolo Vittorio era di carattere mite fin da piccolo... "Con un pizzico di zucchero e un po' di pane, se ne stava buono buono per ore e ore".

La famiglia, ancorata fortemente alla religione, venne su con principi sani sotto la forte guida del papà. Inoltre la sofferenza non abbandonò mai quella casa: un'altra sorella, sempre malaticcia, dovette essere accolta presso una zia. Lo spirito di solidarietà e di condivisione, anzi la carità che era una cosa spontanea e normale in quella fortunata parrocchia, alleviò tanta sofferenza.

Di Vittorio ci resta la sua pagella di terza elementare. Porta la data: anno scolastico 1932-1935 e c'è la dichiarazione che l'alunno è stato promosso in quarta. Considerando che era nato nel 1921, c'è da chiedersi come mai nel 1935, quindi a 14 anni di età abbia terminato la terza elementare. La risposta ci è venuta dal Fratello stesso quando un giorno, con un po' di umorismo, disse che aveva fatto le tre elementari tre volte, per mettere solide basi alla sua formazione intellettuale.

Comunque, dopo le elementari, Vittorio - che nel frattempo aveva maturato la sua vocazione - partì per la scuola apostolica di Thiene, che dal 1919 accoglieva giovinetti desiderosi di consacrarsi alla missione come Fratelli.

Il giovanotto si mise subito con impegno per apprendere l'arte del falegname e del meccanico curando, nello stesso tempo, la sua formazione religiosa missionaria.

E' del 24 aprile 1939 la lettera con la quale Vittorio chiede al Superiore Generale di poter entrare in noviziato "sentendo un forte desiderio di andare in missione, pronto ad esporre la mia vita per la salvezza degli infedeli e disposto a lasciare papà, fratelli, zii, parenti ed amici per seguire la chiamata e gli esempi di nostro Signore". Iniziò il noviziato a Venegono il 1° maggio 1939 e lo completò a Firenze il 7 ottobre 1941, data della sua professione religiosa.

P. Todesco prima, e P. Patroni poi, scrissero di lui: "Ama il lavoro e la preghiera. E' buono, sincero, obbediente... Come salute è piuttosto debole e questa debolezza gli impedisce di dedicarsi al lavoro quanto vorrebbe, anzi gli causa qualche dubbio sulla sua vocazione".

"L'impegno nell'osservanza della vita religiosa - disse P. Patroni - e la confidenza verso i superiori fanno pronosticare bene della sua riuscita. Ama le pratiche di pietà e la vita di raccoglimento. Alla visita militare è stato fatto rivedibile per insufficienza toracica. Ha fatto per vari mesi il falegname, poi il campagnolo, quindi il cuoco. Riesce bene in tutto. Sarà un fervente religioso e un buon missionario".

Cuoco a Sulmona

Si era in piena guerra e le vie della missione erano chiuse per cui Fr. Vittorio De Gasperi fu inviato a Sulmona con l'incarico di cuoco in quel seminario missionario.

La sua disponibilità e la sua umiltà resero piacevole a lui e anche agli altri (fu un bravo cuoco) quell'incarico. La sua incombenza non gli impedì di trovare il tempo per intrattenersi a lungo davanti al Signore, specialmente quando gli altri erano a fare il pisolino pomeridiano o, alla sera, dopo aver lavato le ultime pentole.

Divenne subito l'amico dei ragazzi che trattava con molto rispetto, vedendo in essi i futuri missionari. Questi ricambiavano la stima prestandosi volentieri a dargli una mano nei momenti di emergenza. Profondamente umano, capiva immediatamente chi dei seminaristi aveva bisogno, ed era pronto a dare il suo aiuto.

Un giorno un ragazzo gli disse che sentiva tanto la nostalgia della mamma per cui era incerto se continuare su quella strada. "Vedi - gli rispose - verrà un tempo in cui dovrai lasciare la mamma per forza, se non altro quando ti sposerai. E allora non è meglio lasciarla adesso per il Signore? E poi, pensa che io sono rimasto senza mamma quando avevo due anni ed eravamo in cinque fratellini tutti piccoli". Il ragazzino si rasserenò e non pensò più a cambiare strada.

Con i primi in America

Nel settembre del 1947 ricevette finalmente l'ordine di partire. Ma non per l'Africa come aveva ardentemente desiderato, bensì per l'America, dove i Comboniani stavano per iniziare le loro opere. E qui cedo volentieri la penna a P. Alfredo Paolucci per una bella pagina di storia nella quale brilla come stella la santità di questo nostro Fratello.

"Fr. Vittorio De Gasperi fu il primo fratello, insieme a Fr. Angelo Macchi, a toccare le sponde dell'America il 16 settembre 1947. Con lui viaggiarono P. Chiodi ed il primo scaglione di scolastici destinato a sviluppare l'Istituto nel nuovo continente.

Mons. Mason aveva già trovato una diocesi accogliente: Cincinnati, P. Accorsi e P. Farrara avevano gettato le radici della provincia nord americana in due parrocchie nere della zona depressa; mentre P. Rizzi, con l'incoraggiamento delle autorità diocesane, l'aiuto dei confratelli e l'appoggio dei nuovi benefattori, era riuscito ad acquistare un terreno dove costruire il nuovo seminario comboniano nella periferia di Cincinnati. Su questo terreno i fratelli De Gasperi e Macchi cominciarono subito a lavorare.

A meno di un mese dal suo arrivo a Cincinnati, Fr. Vittorio emise la professione perpetua (7 ottobre 1947). Ottanta membri del gruppo missionario, appena formato da P. Accorsi, erano presenti alla cerimonia e alla messa delle undici, in onore della Madonna del Rosario.

Era l'inizio della nostra opera negli USA, e c'era aria di entusiasmo e di ammirazione da parte di tanti amici".

Tre doti

"Brother Vic, come tutti chiamavano Fr. Vittorio De Gasperi, era un Comboniano ben conosciuto per tre doti dominanti: la cordialità, con l'immancabile cornice del suo sorriso e del suo piacevole umorismo; la sua versatilità nel multiforme lavoro missionario che lo faceva passare senza sforzo da cuoco competente a capomastro dal tocco professionale; da camionista instancabile che raccoglieva stracci e mobili lungo le vie di Cincinnati, e che poi un gruppo di signore rivendeva per le missioni, a meccanico esperto che sapeva ricostruire un motore con pezzi racimolati qua e là. La terza dote di brother Vic era una eccezionale costanza, ispirata al sacrificio, nei lavori anche difficili. Per il suo bel modo di fare e per la sua bontà i ragazzi neri del ghetto lo chiamavano 'Brother Jesus'.

Lavoratore tenace, ogni volta che era chiamato per un'incombenza pesante, non diceva mai di no, come non rifiutava una birra o un bicchier di vino che i benefattori gli offrivano.

La sua spiritualità non si manifestava in aspetti drammatici o di effetto, ma era sobria e costante, piuttosto nel filone delle sane tradizioni comboniane che nell'improvvisazione superficiale, senza tuttavia condannare in massa le novità che venivano messe in atto nella Chiesa del post Concilio. Si può dire con certezza che egli non rubò mai un minuto alla sua preghiera di fronte ai lavori anche pressanti".

Il seminario

"Nel maggio del 1949 - prosegue P. Paolucci - arrivarono a Cincinnati altri tre fratelli, e l'8 luglio la ruspa rombava per lo scavo delle fondamenta del primo seminario comboniano negli Stati Uniti.

Brother Vic ebbe sempre una parte prominente in questa costruzione ed in numerose altre che seguirono. Il vescovo ausiliare mons. Rehring benedisse la prima pietra il 29 luglio alla presenza di una gran folla di gente.

I quotidiani di Cincinnati parlarono della nuova 'Società missionaria' e dei fratelli costruttori".

In Italia

Dopo due anni di permanenza negli Usa, al Fratello scadeva il permesso di soggiorno per cui dovette rientrare in Italia in attesa del rinnovo. Dopo un fugace saluto ai familiari, fu provvisoriamente assegnato alla comunità di Crema.

"Io ho avuto la fortuna di incontrarlo per la prima volta a Crema nel 1949 - scrive P. Giana - quando fu temporaneamente assegnato a quella scuola apostolica mentre aspettava il nuovo permesso per tornare negli Stati Uniti. Ero un ragazzino ed Fr. Vittorio vi si è fermato solo pochi mesi, eppure mi è sempre rimasto impresso nella memoria.

Ci siamo poi rivisti e siamo stati insieme a Cincinnati dal 1956 al 1963. Quanti bei ricordi! In lui, e in quanto lui raccoglieva dalla gente, ho sempre trovato ciò che mi era necessario".

In dicembre del 1949 Fr. Vittorio tornò dalla sua breve vacanza in Italia con due fratelli novizi. Ora i fratelli costituivano un bel gruppo che, sotto la direzione di Fr. Vittorio, portarono a termine varie costruzioni a Cincinnati, Monroe, Michigan ed altrove.

Nella nuova rivista missionaria comboniana “Frontier Call”, fondata nel 1948, vediamo la foto di Fr. Vittorio come cuoco nel 1949, in preghiera nel 1950, ed in giugno 1952 in tuta da muratore con una livella in mano mentre sta fabbricando un muro in blocchi di cemento.

Alla fine della giornata Fr. Vittorio qualche volta raccontava quanti blocchi aveva sollevato e messo in posizione.

Brother Vic prestò il suo servizio anche nella costruzione di altre missioni che stavano rapidamente sorgendo dalla California al New Jersey. A Cincinnati, nel 1953, costruì un rivestimento di blocchi nell'interrato della chiesa di S. Henry, ricavandone un salone dalla capacità di oltre mille persone".

In California

Il 12 dicembre 1960, Bro. Vic andò a Yorkville, Illinois, con un camion carico di mobili e di provviste, per contribuire a dare un buon avvio a quella nascente comunità.

In agosto del 1961 aiutò a trasferire lo scolasticato da Cincinnati a San Diego, California. Con 19 scolastici partì il 29 agosto da Cincinnati, guidando il camion carico di molte valigie e libri per la nuova biblioteca, mentre gli scolastici seguivano in tre pulmini e una auto, facendo tappa di notte in diversi conventi e scuole incontrate nel cammino in Oklahoma, Texas ed Arizona. Arrivarono a Pala, in California, il 4 settembre dopo aver percorso 3.500 chilometri.

Racconta uno scolastico del tempo: "Bro. Vic, con il suo carattere allegro, fece di quel lungo viaggio una piacevole e indimenticabile passeggiata che per noi giovani costituì un'esperienza importante".

Per le nuove Regole

In dicembre del 1967 Fr. Vittorio venne eletto membro della C.O.R.E. (commissione per la revisione delle Regole). Un lavoro grosso: rispondere, elencare e tabulare le risposte dei confratelli alle 200 domande della C.O.C.E. la commissione centrale di Roma.

Il fatto che sia stato scelto proprio lui per questo incarico, dice la stima che godeva presso i confratelli. Egli non deluse le loro aspettative partecipando generosamente e con illuminata sapienza ai raduni della commissione.

Nel 1974, poco prima di partire per l'Etiopia, Fr. Vittorio tornò a Yorkville a rimodernare e sistemare la casa per il noviziato trasferito da Cincinnati.

Addio all'America

A 55 anni di età e dopo averne spesi 30 per la provincia americana, Fr. Vittorio chiese di andare in Africa. Il vecchio sogno africano non si era mai assopito del tutto. Pur consumandosi per l'America, l'occhio e il cuore erano sulle sponde del Nilo dove gli sembrava ci fosse la vera, genuina missione.

"Siamo contenti di questa tua disponibilità e di questo tuo coraggio di partire per terre, diciamo così, ignote, alla tua età e dopo molti anni in paesi tanto diversi - gli scrisse P. Agostoni. E poi: - Approfitto di questa occasione per ringraziarti a nome mio e della Congregazione di tutto il lavoro che hai fatto in questi anni nella provincia statunitense. Questo ringraziamento non è una formalità, ma un sincero desiderio di esprimere i miei sentimenti per tutto quello che hai fatto. E' chiaro che il Signore è l'unica nostra ricompensa; tuttavia sapere che il nostro lavoro di tanti anni è stato apprezzato, è di conforto".

Le testimonianze scritte su di lui dai superiori in questo periodo sono edificanti. "Buon carattere, molto servizievole, buon religioso", scrive P. Rizzi. "E' stimato per la sua carità, operosità, sempre pronto ad aiutare tutti; e tutti ne parlano bene, sia all'interno che all'esterno" (P. Catellani). "Buono, obbediente, di ingegno versatile, esemplare" (P. Accorsi).

L'addio dagli Stati Uniti di Fr. Vittorio è stato una festa, anche se molte persone, tantissimi amici e confratelli avevano le lacrime agli occhi. Davvero Fr. Vittorio si era fatto amare e aveva lasciato il segno del passaggio di Dio in mezzo a quella gente. A distanza di anni era ancora vivo il suo ricordo tanto che, alla notizia della sua morte, la gente si è mobilitata come fosse mancato uno della famiglia.

Scrive Fr. Benetti, suo compaesano: "Prima che partisse per l'Etiopia, il parroco di Sant'Eufemia gli offrì una giornata missionaria. Fr. Vittorio accettò alla condizione di non dire nemmeno una parola. Egli, però, col suo silenzio e con la dedizione al lavoro nel tempo che rimase in paese, aveva fatto un lungo discorso. La gente diceva: 'Meraviglioso quel missionario che lavora di muratura, di idraulica e di falegnameria, con competenza e in silenzio'". Alla predica ci ha pensato, con disinvoltura e competenza, Fr. Benetti.

O sponde d'Africa...

Indubbiamente il passaggio repentino tra la cultura statunitense a quella etiopica provocò un piccolo trauma all'interno di Fr. Vittorio anche se egli non lo diede a vedere, preso com'era dalla gioia di trovarsi in Africa.

"Assegnato alla comunità di Fullasa nel vicariato di Awasa - scrive P. Giana - ha passato la maggior parte del suo tempo in quella missione dedicandosi a tutti i lavori di manutenzione, tanto necessari in una missione che era appena agli inizi e duramente provata dalla scarsità di acqua.

Fr. Vittorio, sempre disponibile in caso di bisogno, ha prestato brevi periodi di servizio anche nelle missioni di Miqe ed Arramo. Ha pure percorso non sappiamo quante migliaia di chilometri come autista di mons. Gasparini. Fu durante queste visite che tutti i confratelli ebbero l'occasione di conoscere ed apprezzare la bontà del nostro Fratello.

Salvo qualche chilo in più era lo stesso che avevo conosciuto a Crema e a Cincinnati: sorridente, gentile, sempre pronto ad aiutare... Gli anni e l'esperienza avevano reso la sua bontà più profonda, più matura. Per me Fr. Vic (anche in Etiopia abbiamo continuato a chiamarlo così) è l'esempio tipico del Fratello missionario buono, povero, senza pretese, che ha lavorato tutta una vita dando tutto ciò che aveva, con gioia e affabilità".

Maestro di povertà

"Dopo l'annuncio della sua morte - prosegue P. Giana, - controllando i suoi effetti personali per vedere se ci fosse qualcosa da trasmettere alla sua famiglia, non ho trovato che alcuni vestiti usati e qualche cosetta personale di nessun valore. Tutto questo non costituì una sorpresa per me. Conoscendo Fr. Vittorio da tanto tempo non mi aspettavo niente di diverso. Sono i missionari come Fr. Vittorio che ti fanno amare la vocazione missionaria, perché la vedi vissuta in tutta la sua pienezza".

"Ho vissuto con Vic per 15 anni - scrive Fr. Girelli. - Lo consideravo come mio padre e tante volte mi sono rivolto a lui per chiedergli consiglio e aiuto, in modo particolare quando mi trovavo in difficoltà. E non mi ha mai deluso. Era aperto a tutti, specie ai più poveri e bisognosi, ed era amato dai confratelli e dalla gente".

Quando ad Arramo si doveva cedere la missione agli Apostoli di Gesù, questi dovevano restare con i Comboniani per circa sette mesi. Dove sistemarli? Fr. Vic decise che era meglio dare loro le stanze migliori e... i padroni di casa potevano accontentarsi del seminterrato. Con le piogge e l'umidità di Arramo, fu veramente una bella avventura che non giovò minimamente alla salute dei missionari, ma la testimonianza di povertà e di amore offerta alla gente e ai sacerdoti africani non è stata dimenticata.

La gioia di essere attesi

"Tornando stanchi dalle visite alle diverse comunità cristiane - scrive P. Cipollone - la cosa più bella era trovare Fr. Vic alla porta ad aspettarci. A qualsiasi ora, appena sentiva il rumore della moto o della macchina, anche se era a riposare, veniva a salutare, a farci compagnia per il pranzo o per condividere un bicchiere. Se si rimaneva per strada per qualsiasi problema, bastava mandare un messaggero e Vic si presentava. Dimostrava questa sua disponibilità anche con la gente. Chi potrà contare le zappe, i coltelli, le pompe e altri utensili riparati da Vic per la gente?

Uomo semplice e senza esigenze, attaccato alla comunità e alla missione, era sempre attento che tutto funzionasse bene. Vedere questo fratello anziano, armato di scarponi, cappello di paglia e bastone, scendere per la lunga scarpata che porta alle sorgenti che riforniscono di acqua la missione di Arramo, per riparare le pompe, non è cosa che si dimentica facilmente. Scendeva adagio per non scivolare e più adagio ancora risaliva. Gran fiatone, alle volte qualche spintarella da parte di qualche operaio, e intanto al suo tocco tutto tornava a funzionare e c'era acqua per la missione, per la clinica e per la gente.

Andando alle volte a passeggio tra le capanne di Fullasa o di Arramo, grandi e piccoli gridavano salutando: 'Abba Vic, abba Vic!'. Mi mostravo geloso e scherzosamente gli dicevo: 'Tutti salutano te e nessuno saluta me che sono il parroco!'. Egli rispondeva con una risatina.

Fr. Vic non conosceva bene la lingua della gente in mezzo alla quale si trovava, eppure ha saputo cavarsela bene con gli amara, i sidamo, i guji e i gedeo. Con due parole in amarico, tre in sidamo e una in gedeo si faceva capire e riusciva a portare avanti i suoi lavori.

Ha lavorato per tutti e non faceva distinzione tra vescovo e provinciale, tra Comboniani e Comboniane, salesiani o gesuiti, spiritani e fidei donum. Le suore, che fossero della misericordia, medical sisters o francescane missionarie di Cristo, erano tutte sue sorelle. Bastava un fischio e correva con la sua 'scatola' degli attrezzi e una vecchia borsa per il cambio...

A proposito di cambio, non aveva bisogno di tanto. Il suo corredo era di un paio di scarponi (al pomeriggio, quando riposava, non se li levava neppure, tanto gli stavano comodi), un paio di scarpe per la domenica, due o tre paia di calzoni, qualche camicia, due maglie e un po' di biancheria. Quando andava in Italia riusciva a malapena a riempire un terzo della valigia. I doganieri non hanno mai avuto a che fare con lui, né pagava per l'extra peso o bagaglio appresso. Non era attaccato a nessuna cosa. Ciò che aveva in consegna era per tutti".

Omnibus omnia...

Prosegue P. Cipollone: "Nella conversazione era gioviale con tutti. Era americano con gli americani, italiano con gli italiani, africano con gli africani. Ha avuto sempre bei ricordi degli anni passati in Congregazione. Ricordava Sulmona e gli anni della guerra con tutte le sue avventure. Ricordava il lungo tempo passato negli Stati Uniti che sentiva come seconda patria.

E' sempre stato senza rimpianti per quanto la Congregazione gli ha dato o non gli ha dato. Di corsi di aggiornamento ne ha fatti uno. Fu molto felice: si trattava di uno dei primi corsi per Fratelli, molto movimentato per sedi e direttori diversi. Buon per lui e per i suoi amici che poterono passare un po' di tempo sui colli romani".

Profondamente umano

"Il suo senso di umanità gli ha tenuto sempre lontano la musoneria o quell'ascetismo esagerato e stucchevole che rende antipatici tanti individui. Per esempio, il bicchierino se l'è sempre bevuto, ma in compagnia e per la compagnia. Qualche volta, per ridar coraggio a un confratello valeva di più un bicchierino con Vic che tanti discorsi. In questo era davvero un buon 'direttore spirituale'. E quando preparava le cenette per compleanni, feste, ecc., i bocconi migliori erano sempre per gli altri. La sua fatica passava immediatamente quando vedeva gli altri contenti e rilassati.

Se poi parliamo di preghiera e di apostolato, Vic era un esempio per tutti. E' sempre stato fedele alla preghiera comunitaria e parrocchiale. Ascoltava la messa e recitava il rosario con la gente e nella lingua della gente anche se non capiva tutto. Questo costituiva per lui una forma di apostolato diretto. Non ha mai preteso che ci fossero celebrazioni in italiano o in inglese, dato che lui capiva bene queste due lingue. Si metteva in prima fila col suo libriccino che doveva cambiare a seconda della etnia con cui pregava, e avanti... Alla domenica era a fianco del sacerdote con il suo camice, aiutava nella celebrazione e distribuiva la comunione. Questa sua presenza sicuramente valeva più di tante prediche.

Vic, in conclusione, era un uomo felice e ha fatto felici gli altri. Cosa si vuole di più da un uomo, da un religioso, da un missionario?".

La morte come il sonno

"Quando alla sera uno è stanco e gli viene sonno, non ha paura di addormentarsi", ha detto il card. Colombo prima di morire.

Fr. Vittorio De Gasperi non ha neanche avuto il tempo di aver paura, perché il Signore l'ha preso nel giro di un'ora. Era rientrato a Verona dall'Etiopia nel settembre del 1992 per cure. Un'asma persistente lo tormentava e il cuore non faceva più il suo dovere.

Al Centro Ammalati di Verona Fr. Vittorio portò una ventata di ottimismo e di gioiosità. Sempre sereno e contento, si prestava a trasportare con la sedia a rotelle i confratelli, s'intratteneva parlando d'Africa e di missione, li incoraggiava. Tutti gli volevano un gran bene. Fr. Nane, quando seppe della sua morte, scoppiò in un pianto dirotto.

La mattina del 19 maggio 1993 doveva essere ricoverato all'ospedale per essere operato di vene varicose. Ma prima di partire ebbe un fortissimo attacco di asma. Fr. Duilio accorse subito cercando di affrettare il suo ingresso all'ospedale. Fr. Vittorio si riprese tanto da potersi recare a piedi all'auto che lo aspettava davanti alla portineria.

Appena giunto in ospedale, i sanitari constatarono che  il cuore stava cedendo, allora gli praticarono una flebo. Mezz'ora dopo, quasi senza rendersene conto, spirò. "Abbiamo perso un uomo di pace", ha esclamato P. Turchetti, suo compagno dei tempi d'America. "E' un autentico Fratello Comboniano come lo considera la nostra miglior tradizione", ha fatto eco P. Branchesi, altro compagno d'America. "Non apparteneva certo alla categoria dei duri, dei severi, dei rigidi o degli asociali. Vittorio ha vissuto la sua vita religiosa senza perdere la sua umanità. Amava tutti ed era amato da tutti; la sua sola presenza riempiva la casa, non l'ho mai sentito parlare male di nessuno", ha detto nell'omelia P. Valdameri.

Uno che lo conosceva bene disse: "A quest'ora di sicuro se la starà spassando con San Giuseppe e con tanti confratelli 'fratelli coadiutori' con un buon bicchiere di 'vin santo'. Tra di loro se la intendevano sulla terra, a maggior ragione se la intenderanno in Cielo".

Dopo il funerale in Casa Madre durante il quale parlò il suo provinciale e altri confratelli che avevano condiviso con lui la vita missionaria, la salma venne traslata nel cimitero del suo paese.

L'eredità che ci lascia è la gioiosa disponibilità ad ogni esigenza dei confratelli, della missione e della gente che, da autentico seguace del Comboni, ha amato con tutte le sue forze dedicandosi ai lavori più umili senza mai perdere il suo buon umore e la sua serenità.                       P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 182, aprile 1994, pp. 60-66