In Pace Christi

Montolli Vittorio

Montolli Vittorio
Date of birth : 06/04/1908
Place of birth : Quinto di Valpantena VR/I
Temporary Vows : 07/10/1932
Perpetual Vows : 07/10/1938
Date of death : 22/02/1993
Place of death : Verona/I

Una lettera di p. Vianello scritta il 29 giugno 1930 al p. maestro di Venegono, ci consente di intravedere il dramma che ha segnato l'inizio della vocazione di fr. Montolli. Una vocazione sofferta, contestata e contrariata dal papà che non voleva privarsi di un figlio di tanto valore... Ma ascoltiamola:

"Carissimo Padre, eccomi a disturbarla ancora. Mercoledì o giovedì di questa settimana (2-3 luglio) le mandiamo un aspirante fratello laico di Quinto Veronese che per sottrarsi all'opposizione di suo padre, d'accordo col rev.mo p. Generale, fa una specie di fuga. Si chiama Montolli Vittorio, di 22 anni, congedato dal servizio militare giovedì scorso. Prevediamo che, se non verrà subito, cioè prima di rimettersi al lavoro (è un buon falegname) non la si finirà più. Egli viene a Venegono portando ai suoi la ragione di vedere il posto e la vita, ma spera di non ritornare più indietro. Perciò, venendo così di sorpresa, non porta con sé né documenti, né corredo, che seguiranno più tardi. Raccomandiamo a lei e a p. Pizzioli questo figliolo che ci fece sempre buona impressione ed è di ottima condotta. Lo sostengano nei primi giorni... Ha fatto il servizio militare a Merano: 10 mesi e 21 giorni, quindi non ha neanche bisogno delle testimonianze del Vescovo castrense".

Era piccolo piccolo

Fr. Montolli era un gigante come statura. Eppure, quando nacque, primo di sei fratelli, era così piccolo che ebbe come culla una scatola da scarpe con un po' di cotone.

Poi cominciò a crescere molto rapidamente. Come tutti i bambini giocava e combinava qualche marachella essendo assai sveglio e intelligente.

Appena terminate le scuole elementari, andò da uno zio paterno per imparare il lavoro di falegname. Apprese bene e in fretta il mestiere. La domenica frequentava con buoni risultati la scuola di disegno presso la chiesa di Sant'Eufemia, a Verona. La passione per il disegno lo accompagnò per tutta la vita.

Ottenuto il diploma, fu assunto nella grande azienda Galtarossa come modellista e vi rimase fino al momento di partire per il servizio militare.

Nei momenti liberi dal lavoro, si dedicava con passione allo sport e alla caccia. Questa passione era così forte che, una domenica, invece di andare alle funzioni, andò col fucile sui monti, naturalmente all'insaputa dei suoi genitori. Dopo aver preso diversi uccelli, per puro caso non uccise un uomo: aveva confuso il cappello di un viandante con un grosso volatile. Il copricapo volò per aria crivellato di pallini, ma nessuno di questi toccò la testa del padrone del cappello. Da quella volta Vittorio promise di non andare più a caccia nei giorni di festa.

Per la sua precisione nel tiro col fucile conseguì molti primi premi nelle gare militari. "In cuor mio - disse un giorno - pensavo che quella precisione nella mira mi sarebbe venuta buona in Africa, dato che proprio sotto la naja maturò in me l'idea della missione".

La vocazione

La vocazione missionaria di Vittorio Montolli si accese alla lettura di Nigrizia, rivista che leggeva durante il servizio militare. E durante il servizio militare entrò in contatto con i missionari comboniani facendosi conoscere da p. Vianello. Trascorreva le libere uscite e i giorni di licenza in Casa Madre passando molte ore in chiesa o a colloquio con i missionari reduci dalla missione.

Come abbiamo visto dalla lettera di p. Vianello, appena compiuto il suo dovere con la patria, invece di tornare a casa dove lo aspettavano i genitori e i fratelli, Vittorio si diresse deciso presso la sede dei Comboniani e chiese di passarvi la notte. Come l'operaio del Vangelo che, dopo aver messo mano all'aratro non si volta più indietro, anch'egli chiese di passare direttamente al noviziato.

Questo comportamento si spiega dal fatto che Vittorio, avendo accennato al suo desiderio di farsi missionario ai genitori, si sentì opporre un netto rifiuto.

Papà Giocondo, oste e venditore ambulante, aveva riposto tante speranze in quel figlio operoso e obbediente. Ma questi ripeteva a se stesso che bisogna prima obbedire a Dio e poi ai genitori.

Mamma Emma, donna di grande fede, era contenta della scelta del figlio e, sotto sotto, lo incoraggiava a non venir meno ai suoi propositi e ogni volta che passava davanti alla chiesetta della Madonna dell'Altarol (chiesetta che si trova sulla strada tra Poiano e Quinto) si fermava a pregare per la perseveranza nella vocazione di Vittorio.

In tutte le sue lettere dall'Africa, Vittorio chiedeva ai fratelli, e in particolare al fratello Bruno al quale era particolarmente affezionato, di non passare mai davanti a quella chiesetta senza recitare un Ave per lui.

La fuga

Il 7 luglio 1930, dopo quella notte passata in Casa Madre, Vittorio approdò al noviziato di Venegono. La sua era stata una fuga vera e propria che aveva lasciato con tanto di naso familiari, parenti ed amici. In noviziato s'impegno con la sua miglior buona volontà ad acquistare le virtù proprie di un missionario e di un religioso. Egli, abituato com'era alla disciplina militare, trovò quella "scuola" molto leggera anche se non mancavano i sacrifici; sacrifici d'altro tipo rispetto a quelli che doveva affrontare in caserma, ma sempre sacrifici. L'amore alla vocazione e agli Africani, che sperava di raggiungere presto, misero le ali al suo fervore.

Il 18 gennaio del 1931 fece la vestizione e il 7 ottobre del 1932 la professione religiosa. Come si vede, solo un anno e 9 mesi di noviziato, invece dei due prescritti dalla regola. Questo fatto ci dice più di tante carte (che non troviamo nella sua cartella) quale devono essere stati la condotta e il cammino spirituale del giovane Montolli.

Un confratello che è stato con lui in missione ha detto: "Sappiamo che i novizi sono famosi per il loro fervore; sappiamo anche che questo fervore, col passare degli anni, si affievolisce un po', almeno nella sua forma esteriore; ebbene, vedendo come era Montolli da anziano, dobbiamo dire che da novizio doveva essere il non plus ultra".

Sono proprio contento

Che fr. Montolli sia stato un fratello pienamente realizzato, contento della sua vocazione e della sua situazione di Fratello, lo dimostrano anche le sue poche lettere che ci sono rimaste.

Appena emessi i Voti, fu inviato al Cairo come addetto alla falegnameria. Erano i tempi in cui c'era ancora tanto da fare in questo settore. Egli, nella domanda per la rinnovazione dei Voti, disse: "In questo tempo mi sono trovato molto bene e sono proprio contento. Con la grazia di Dio, che invoco ogni giorno con la preghiera, mi sento di corrispondere alla vocazione. La prego, Padre, di avvertirmi sempre delle mie mancanze e di dirmi senza paura quello che posso fare di meglio. Di salute sto bene. Quando crederà bene mi mandi in missione. Io ci vado volentieri, anzi con desiderio (11 agosto 1933).

L'anno dopo, 1934, affermava che era molto contento di vivere la vita religiosa e che, corrispondendo alla grazia del Signore nel modo migliore possibile, rendeva contenti i superiori. Al termine aggiungeva che era sempre in attesa dell'ordine di partire per la missione.

Wau: Sudan meridionale

Proprio nell'aprile del 1933 arrivò, per fr. Montolli, il permesso di partire per la missione. Sua destinazione: Wau nel Sudan meridionale.

La notizia della partenza del giovane missionario accese d'entusiasmo tutti i suoi compaesani che vedevano in lui il rappresentante della comunità parrocchiale "che si avventura sulle tenebrose contrade dell'Africa a portare la luce del Vangelo". Le cronache del tempo proseguono dicendo che, per la festa di addio a fr. Montolli, "in paese ci fu grande festa con suono delle campane e accompagnamento di tutta la popolazione alla stazione del tranvai". In treno raggiunse Venezia e, di lì, s'imbarcò per il Cairo. Era il 21 maggio 1933.

Dopo un anno e quattro mesi di acclimatizzazione al Cairo, partì per il centro dell'Africa usando il treno e il battello.

P. De Marchi, per non fargli fare la professione a bordo del battello, gliela anticipò di una decina di giorni.

A Wau fr. Montolli fu inviato immediatamente nella falegnameria dove c'era molto da fare grazie allo sviluppo che cominciavano ad avere le missioni in quella zona. In Wau stessa, dopo l'apertura di tre scuolette musulmane, s'impose la costruzione di una scuola cattolica per arginare il fervore dei discepoli di Maometto. Fr. Montolli preparò i serramenti per la scuola del Mucta che venne inaugurata solennemente da mons. Orler. Intanto sorgevano nuove cappelle nel territorio zande, tra i Bviri, i Golo e i Bongo. I gruppi dei catecumeni che si accostavano al battesimo erano sempre più numerosi, i cristiani vivevano sul serio la loro fede, l'Azione Cattolica entusiasmava i giovani...

Tanto fervore di opere doveva essere "pagato". Il 16 settembre del 1935 fr. Montolli si ammalò seriamente. Il medico gli praticò un'iniezione e la reazione immediata fu disastrosa. Lo stato del malato, gravissimo, perdurò per un paio di giorni. Il medico non sapeva più cosa fare, allora i confratelli lo raccomandarono alla Ledokowska e subito dopo cominciò a riaversi.

Oltre che bravo falegname ed esperto cacciatore, fr. Montolli si rivelò ottimo detective.

Siamo all'inizio del 1937. In missione si compiono continue ladrerie. Il Fratello dispone una sua trappola speciale. Con un filo attaccato al grilletto del fucile, puntato però verso l'alto, il ladro dovrebbe rivelare la sua presenza. Ed ecco, infatti, che nel bel mezzo della notte si ode la fucilata. La missione balza in piedi in cerca del malandrino che riesce a darsela a gambe, ma lascia segni tali della sua presenza che, al mattino, la polizia riesce ad individuarlo e acciuffarlo.

In febbraio ci fu la benedizione della prima fornace di 110.000 mattoni che sarà subito seguita da altre. La falegnameria, sotto la pressione delle nuove costruzioni, doveva moltiplicare il lavoro. Con Montolli lavoravano parecchi giovanotti che apprendevano l'arte del falegname. Egli era buono e paziente con questi apprendisti. Parlava la loro lingua ma, più ancora, parlava la lingua dell'amore che tutti comprendevano.

Ricordando la mamma

Fr. Montolli ha scritto tante lettere ai familiari, e tutte meriterebbero un commento. Ne riportiamo una scritta alla mamma in data 27 luglio 1945, nella quale appare l'animo delicato e sensibile di questo missionario.

"Cara mamma, ho una cosa da confidarti. In questo lungo silenzio e distacco, l'unica cosa che mi manca e di cui sento il bisogno sei proprio tu. Sì, lo confesso, le mie labbra molte volte ti chiamano, ti invocano, ma non vedendoti, non sentendo la tua cara parola e la tua mano dolce sopra la mia testa, mi rivolgo alla Madonna della quale non mi è mai mancato il conforto. Sì, ho sempre sperimentato in Maria la mia Mamma. Ma ti prego tanto, cara mamma, di dirlo anche tu alla Madonna che sia sempre la mia Mamma, che faccia le tue veci, che la senta vicina sempre. Altro non ti chiedo, mamma, che questo gran favore. Te lo chiede il tuo Vittorio che scrive con le lacrime agli occhi. Io ti ringrazio di cuore e prego per te.

Perdonami, mamma, e non pensare che io mi trovi male o poco contento. No, tutt'altro. Solo è una mia debolezza oppure, dirò meglio, è un grande desiderio di essere amato e amare da figlio la Mamma del cielo, e desidero pure di vederla amata da tutti. E ora dammi anche tu la benedizione...".

Il 1946 fu un anno di sofferenze per la missione di Wau. Alle ore 13,00 del 17 luglio morì mons. Orler, "il buon pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle" hanno detto concordemente tutti i missionari; il 30 fr. Montolli dovette partire per l'Italia per un po' di vacanza e per rimettersi in salute. Lasciava dietro di sé un ottimo lavoro ben compiuto e un folto gruppo di giovani che mandavano avanti la falegnameria guidati da alti bravi fratelli. Il primo novembre, sempre del 1946, a Mboro, circoscrizione di Wau, venne ucciso con una lanciata p. Arpe. Era il secondo martire comboniano dopo p. De Lai.

Alla scuola tecnica

Fr. Montolli frequentò un corso di inglese a Londra per apprendere la lingua, quindi ritornò nuovamente a Wau (1947-1954). Questa volta come incaricato della scuola tecnica, che tanto bene faceva parlare di sé, e che per Wau e la zona circostante era diventata un'istituzione apprezzatissima anche dalle autorità inglesi.

Fra parentesi è bene ricordare che questa scuola è stata la "felice causa" della fondazione di Wau. Infatti quando i Comboniani, nel 1905, avevano chiesto agli inglesi di stanziarsi a Wau, zona esclusa ai cattolici, ebbero il permesso proprio in vista della fondazione di una scuola artigiana.

Fr. Montolli vi giunse nel novembre del 1947, giusto in tempo per assistere all'intronizzazione del nuovo vicario apostolico, mons. Edoardo Mason.

Il primo luglio del 1948 ebbe inizio la "provincia del Bahr-el-Ghazal" con quartiere generale a Wau. Ciò costituì un impegno in più per tutti, anche per fr. Montolli, che venne incaricato della scuola tecnica. Il suo lavoro, tuttavia, si estese oltre le pareti della scuola. Infatti fabbricò mattoni, costruì cappelle nei villaggi circostanti, montò infissi e capriate. Tutti ricordano la sua capacità come intagliatore del legno. "Faceva di quei lavori - dice p. G.B. Zanardi che fu con lui - che tutti ammiravano e tutti si domandavano come facesse a domare il legno quasi fosse una materia molle".

Con p. Matordes iniziò e diresse i lavori per la costruzione della chiesa di Tonj che venne inaugurata il 16 marzo 1950 (anno santo). Fu una festa che lasciò il segno nella popolazione grazie anche alla banda musicale che per la prima volta si recava in quella missione. Per la costruzione e il completamento dei lavori fr. Montolli seppe responsabilizzare molto bene i ragazzi della Scuola tecnica che non delusero le aspettative dei missionari, della gente e delle autorità. Anche su questo punto è importante la testimonianza di p. Zanardi: "Montolli aveva un influsso benefico e determinante sugli alunni, come più tardi lo avrà con i Brothers a Rafili. Parlava poco, ma il suo esempio era più eloquente di qualsiasi discorso. E i giovani vedevano e valutavano".

Il 7 aprile fu la volta della cappella di Yrol, opera sempre di fr. Montolli aiutato dai ragazzi della scuola. Dopo la benedizione solenne, sempre con i ragazzi, il Fratello si recò in devoto pellegrinaggio fino a Kenissa, l'antica S. Croce, in riva al Nilo, che vide i primordi dell'esperienza missionaria di Comboni e dei suoi compagni. Fu un momento di intensa commozione.

L'11 luglio, nozze d'argento di mons. Mason, venne benedetta la prima pietra della erigenda cattedrale di Wau. D'ora in poi gli sforzi del Fratello e dei suoi giovani, saranno orientati al completamento di quell'opera.

Istruttore e formatore

Mentre fervevano i lavori, fr. Montolli tornò in Italia per la sua seconda vacanza; solo qualche mese perché, ancora nel 1954 si trovava a Rafili come istruttore dei Brothers Religiosi indigeni. In questo delicato ufficio si dimostrò, oltre che bravo tecnico, ottimo religioso e valido testimone di come si vive la consacrazione a Dio con i Voti religiosi.

Dopo tre ani di intenso lavoro ci fu l'inaugurazione della cattedrale di Wau. "Gli ultimi due mesi - dice il diario - furono testimoni di febbrile attività non solo di fr. Adani come capo direttore, ma anche di tutti gli altri fratelli impegnati nei vari rami: dalle suore che curarono tutti gli arredi agli aspiranti Brothers di Rafili, che sotto la guida di fr. Montolli fecero di tutto".

A Rafili (1957) fr. Montolli rischiò la vita. Aggredito all'improvviso da un bufalo ferito dal capo Angelo a due chilometri da casa, passo quindici giorni immobilizzato all'ospedale di Wau e poi dovete zoppicare per oltre un mese. Si salvò grazie al suo sangue freddo: la belva ferita tentò in tutti i modi di sollevarlo con le corna ma il Fratello si mantenne incollato al terreno impedendo il peggio. Ciò che non fece il bufalo lo ottenne, quasi, una terribile infezione ad un molare che spinse il Fratello sull'orlo della fossa. Fortunatamente non era la sua ora.

Intanto iniziarono i segni di un'epoca nuova che stava venendo avanti. Ed erano segni non propriamente rassicuranti. Il 31 agosto 1951 tutti gli operai delle officine della missione fecero una specie di ammutinamento senza un particolare motivo. Lo sciopero tornò a loro danno in quanto non percepirono il salario. Il gesto, tuttavia, lasciò perplessi i missionari, anche perché già si sentivano voci di una possibile indipendenza del Sudan. Questa avrà luogo nel 1956.

Scrive p. Benini: "Mi riporto agli anni Cinquanta quando esisteva a Wau una ben organizzata Scuola Tenica nella quale lavoravano con p. Matordes i Fratelli Colussi, Mariotti, Zanetti e Montolli. Circa 60 ragazzi vi vivevano come in un collegio e venivano educati nelle scienze tecniche e pratiche, ma soprattutto imparavano a diventare bravi cittadini e buoni cristiani.

Fr. Montolli era incaricato anche dello sport e dell'atletica. Ricordo una sua accesa partita di pallone disputata tra i suoi ragazzi e quelli della scuola governativa. Vinsero i ragazzi del Fratello e fu un delirio di esultanza. Lo portarono in giro per la città a suon di tamburi.

Un giorno Montolli e Zanetti arrivarono a Nzara, che dista 300 Km da Wau, con i ragazzi per una tregiorni scautistica. Mi preoccupai subito per il loro alloggio e cibo. 'Niente paura - mi ha risposto fr. Montolli col suo solito candore - abbiamo tre sacchi di farina per la polenta e un buon fucile per il companatico. Per l'alloggio ci bastano tre aule delle scuole'. Infatti tutto si svolse nel migliore dei modi con soddisfazione generale".

I bisognosi e il cammino della Chiesa erano sempre al vertice dell'attenzione del Fratello. "I lebbrosi e i catechisti mi pare che siano poco aiutati", scrisse da Mboki al p. Generale. E chiese aiuti. Quando arrivavano soldi o pacchi, ringraziava immediatamente con espressioni veramente sentite.

Intanto accusava la sua "gamba sifolina" che non gli permetteva di fare quanto avrebbe voluto, specie a riguardo delle visite ai malati e ai profughi dei villaggi lontani.

L'uomo della carità

Se in comunità fr. Montolli era un uomo gustosissimo, servizievole, disponibile e sempre contento, anche con la gente, specie con i più poveri, esercitava la carità in maniera eccellente. Leggiamo dal diario di Rafili: "Otto poveri, vecchi e ciechi, ricevono regolarmente razione di farina, carne, sesamo e arachidi. Altri trenta circa ricevono razioni supplementari settimanali". Quasi alla chetichella, per non dare nell'occhio, fr. Montolli assisteva alcuni malati di lebbra che vivevano appartati. Portava loro cibo e medicine, ma soprattutto s'intratteneva a parlare, consolandoli nella loro afflizione. Ad alcuni rifece le capanne, confezionò sandali utilizzando copertoni di camion e donò qualche coperta. Inutile dire che questa carità otteneva belle conversioni.

A Rafili la fattoria prendeva forma. Il motore di tutto era fr. Guadagnini, ma anche Montolli con i suoi giovani, di tanto in tanto dava una mano. "Sono state piantate 416 piantine di caffè - dice il diario. - Furono coltivati razionalmente granoturco, arachidi e manioca. Sono stati iniziati esperimenti con le viti, col frumento e altri generi... A proteggere i raccolti dai ladri sono stati assoldati due poliziotti: uno diurno per i quadrumani e uno notturno per i bimani, ma sembra che i ladri di ambo le specie siano più esperti dei poliziotti stessi".

Nel 1957 il Governo cominciò a prendersi le scuole elementari maschili. E apparvero subito gli inconvenienti: maestri che si assentavano dal posto, alunni che dovevano macinarsi il grano, ruberie di oggetti dalle missioni, lavoro agricolo diminuito o abolito completamente, alcune scuole rimasero con un numero insufficiente di maestri... insomma si cominciava già a sentire odore di persecuzione.

Anche il cielo si chiuse quanto a pioggia, per cui tutte le missioni della zona dovettero scavare pozzi più profondi in cerca d'acqua. Un povero stregone che aveva sotterrato una pentola d'acqua accendendovi sopra il fuoco, secondo l'opinione pubblica fu la causa di quella siccità, per cui gli abitanti gli fecero passare la voglia di fare lo stregone. Ed era un cristiano. Fu grazie a fr. Montolli se non ebbe la peggio.

Pordenone, Pellegrina, Roma

L'espulsione in massa di tutti i missionari nel 1964, costrinse anche fr. Montolli a dire addio a quella terra che aveva sinceramente amato e per la quale non aveva risparmiato fatiche.

A 56 anni di età si trovò a Pordenone come istruttore nella scuola falegnami per i futuri Fratelli. "Sembrava - dice un testimone - che avesse come un complesso di timidezza nei confronti dei giovani che frequentavano la scuola. 'Io vengo dal bosco - diceva il fratello. - Qui avete macchinari nuovi e moderni che io neppure conosco'. Alla prova dei fatti, tuttavia, apparvero subito il valore e la competenza di fr. Montolli che col suo sorriso, il suo buon umore (nonostante la vicenda del Sudan gli pesasse) e il suo buon esempio si dimostrò subito un maestro impareggiabile".

Dopo un anno di quella esperienza, fu trasferito a Pellegrina, vicino a Verona. Occorreva un fratello "virtuoso e paziente" da mandare nell'azienda agricola, con uno sviluppato allevamento di galline, che i Comboniani mandavano avanti. La pazienza, più che con le galline, occorreva con la padrona di quella azienda, un'anziana signorina che, alla sua morte, avrebbe lasciato tutto ai Comboniani. Questi, tuttavia, emigrarono prima del luttuoso evento con buona pace di tutti.

Dal 1965 al 1966 troviamo fr. Montolli a Roma, impegnato nelle opere di falegnameria per la casa generalizia in fase di realizzazione. Lavorò sodo come era suo stile, edificò i confratelli e cominciò a importunare i superiori perché lo mandassero in missione. Si era accorto, infatti, che l'Italia non era più per lui.

Nella Rep. Centrafricana

Fu esaudito e il 7 giugno 1966 ricevette il cartellino con l'obbedienza che lo destinava alla Repubblica Centrafricana "Addetto ai profughi sudanesi".

Trovarsi con la sua gente, parlare la lingua che aveva imparato negli anni giovanili, sentire le notizie che arrivavano dal Sudan, dove infuriava ormai la persecuzione e i cristiani davano esempi di autentico eroismo, fu come un'iniezione di giovinezza per fr. Montolli. Si buttò anima e corpo nell'attività, sviluppando l'aspetto caritativo che era quello di cui c'era maggior bisogno.

Le missioni di Agbosi prima, di Mboki, Bangui-Boda, Mongumba e Grimari poi, lo videro attivissimo, disponibile e contento. Non mutò il suo modo di fare rispetto agli anni di Wau, riuscendo gradito a tutti, confratelli e africani.

In una sua lettera al Procuratore di Roma esprime il suo rammarico per essere obbligato ad acquistare una mercedes per il vescovo. "E' una macchina troppo lunga, troppo larga e troppo bassa per questi posti. Era più pratico e conveniente un altro modello ma... così vogliono e così sia".

Nella stessa lettera descrive un po' la sua giornata... "Comincio alle 4 del mattino". Poiché a quell'ora è buio, si deve ritenere che il Fratello iniziasse così presto il suo colloquio con Dio, per continuarlo poi con gli uomini.

"Un giorno - scrive fr. Schiavone - dissi a fr. Montolli che i rifugiati continuavano a chiedermi che cosa avevamo portato per loro. Egli, dopo aver riflettuto un po', rispose: 'Di' loro che abbiamo portato Gesù Cristo'. Una sera avevamo avanzato un piatto di minestra e verdura. Allora dissi a Montolli: 'Vorrei portare questo avanzo al fratello sudanese, a Cassiano che è rifugiato con i postulanti'. E lui: 'Non farlo, piuttosto chiamalo a cena con noi... Fratello, se prima dell'espulsione non li abbiamo trattati bene, trattiamoli meglio adesso'. Amava davvero i suoi giovani. E soffriva enormemente quando si accorgeva che gli raccontavano delle bugie. Gli pareva che nel saper dire la verità con franchezza consistesse la vera personalità e la maturità di un uomo".

Un'esperienza tutta particolare per fr. Montolli fu la visita a un villaggio di pigmei. Il contatto con quella gente semplice e primitiva che vive di niente nel folto della foresta, ha toccato profondamente il nostro Fratello tanto che, in seguito, anche quando era in Italia, cercava di far giungere qualcosa ai "suoi piccoli amici", come soleva chiamarli.

Il desiderio del nostro Fratello era quello di terminare in missione i suoi giorni, ma quando gli dissero che la salute non reggeva più, egli stesso, con molta umiltà e senso di realismo, disse: "Se resto qui sono solo di disturbo. Inoltre costringerei qualche confratello a badare a me, mentre c'è tanto da fare. Ho lavorato finché sono stato capace; ora continuerò a dare una mano alla missione con la preghiera e l'offerta dei miei malanni".

Conosco la tua fede e la tua dedizione

Nel 1981 p. Calvia, Generale, comunica a fr. Montolli (ricoverato al Centro Ammalati di Verona) il suo trasferimento alla provincia italiana.

"So che questa mia ti causerà un po' di pena ma conosco la tua fede e la tua dedizione per cui sono sicuro che accetterai le disposizioni dei superiori. Sono sicuro che a Pordenone, collaborando con i Fratelli, ti sentirai nuovamente giovane tra i giovani...".

"Nessuna pena - rispose il Fratello - perché anche lontano non lascio la missione che amo con il cuore, ed offro tutto al Signore. La sua grazia arriva dappertutto. In questa occasione esprimo la mia gratitudine alla Congregazione che mi ha dato la possibilità di fare qualcosa".

P. Villotti aggiunge: "Il Fratello ora sta benino. Ha ripreso un 80% della funzionalità della gamba e del braccio destro. E' sereno e di ottimo esempio a tutti".

Il Fratello si ristabilì così bene che, nel 1982, era nuovamente nella Repubblica Centrafricana. Il p. Generale gli scrisse: "Altri possono meravigliarsi di questa tua destinazione. Noi no, perché ti conosciamo bene". E il Fratello: "Con questa destinazione il Signore mi ha fatto un grande dono. Cercherò di mostrare la mia gratitudine nell'accettare volentieri tutto quello che i superiori mi chiederanno. Non posso fare quanto vorrei, ma vedo che in qualche cosa sono utile. Mi trovo bene e sono proprio contento anche se cammino con tre gambe. Il Signore vuole così e per me va bene".

La mia vita è bella come sempre

Ma nel 1986, troviamo fr. Montolli nuovamente a Verona, al centro Malati. "Ti assegno alla provincia italiana dal 1ø gennaio 1987 - gli scrisse il p. Generale. - Continua ad essere sereno, a seminare gioia e tanta preghiera per le missioni e le vocazioni dei Fratelli. Offri al Cuore di Gesù i tuoi acciacchi e prega per me e per il consiglio generale".

"Da due anni mi trovo al secondo piano di Verona - rispose il Fratello. - Ho capito che il Signore mi vuole ancora qui. Vivo serenamente pregando e ringraziando perché trovo che con la sua grazia mi fa essere sempre felice. Offro tutto per le vocazioni, per la Congregazione, per l'Asia dove stiamo andando e per i confratelli malati. La mia vita è bella come sempre".

E' l'ultima lettera di fr. Montolli. Ora restano le testimonianze di chi è vissuto con lui.

"Fr. Vittorio Montolli - scrive p. Roberto Cona - è stato per tutti una lezione di vita missionaria e di adesione alla volontà di Dio. Tornato dall'Africa per l'ultima volta, già molto sofferente, passò questi ultimi anni sopportando dolori fortissimi che offrì per le missioni dove aveva lavorato, in particolare per la conversione dell'ex imperatore  del Centrafrica Bokassa. Recentemente era felice perché gli avevo comunicato che, nella prigione dove si trovava, Bokassa aveva cominciato a leggere la Sacra Scrittura.

Quando gli domandavo come andava, mi rispondeva: 'Benissimo'. Ma i dolori diventavano sempre più forti. Da alcuni mesi non riusciva più a leggere. Solo a fatica, con la lente di ingrandimento recitava le preghiere del manuale. Di rosari ne recitava tanti. Spesso si alzava con fatica alle tre del mattino e cominciava la sua lunga serie di Ave Maria che si interrompevano solo al momento della colazione. Nelle sue ultime confidenze si lamentava che non riusciva più a ricordarsi tutto il Padre Nostro o l'Ave Maria. Io gli dicevo: 'Tu comincia e lascia al tuo angelo custode il resto'. E Vittorio sorrideva contento.

Nelle ultime settimane della sua vita passava lunghe ore in chiesa, vicino al tabernacolo, stringendo fra le mani il manuale delle preghiere. 'Cosa ne fai del libro se non riesci a leggere?', gli chiesi un giorno. 'Stringo questo libro e dico a Gesù che gli recito tutte le preghiere in esso contenute'.

L'ultimo incontro con lui l'ho avuto qualche giorno prima della morte. Mi disse chiaramente: 'Penso che questa sia l'ultima volta che chiedo l'assoluzione dei miei peccati. Me la dia per tutti i peccati della mia vita. Sento che Gesù mi chiama in paradiso'.

Il paradiso! Fr. Vittorio se l'è certamente meritato e ora là ci aspetta tutti con il suo sorriso cordiale e silenzioso".

Ogni settimana il Fratello riceveva la visita del nipote medico e dei suoi familiari che gli volevano un gran bene. Egli ogni giorno metteva da parte qualche biscotto prelevato dalla sua porzione e lo metteva nel cassetto per i nipotini. Questi, quando arrivavano, andavano diritti al cassetto a prendere i biscotti. Era una scenetta da Fioretti vedere la gioia con cui quei piccoli sgranocchiavano i biscotti dello zio missionario. Dicevano che erano benedetti e che facevano bene più delle medicine.

Fr. Nicola Schiavone scrive: "Una volta andai a trovarlo al 2ø piano di Casa Madre e mi disse: 'Sai, non chiedo più al Signore di chiamarmi lassù, perché se vado lassù non ho più l'occasione di soffrire per lui'. 'Ma soffrite proprio così tanto?', continuai. Sorrise furbescamente e poi aggiunse: 'Mi hanno sentito qualche volta a lamentarmi?'. No, non si era mai lamentato, eppure i dottori affermavano che doveva soffrire molto".

Ormai il Fratello doveva muoversi con la sedia a rotelle tanto le sue condizioni erano peggiorate, finché, nel giro di pochi giorni, si spense per insufficienza respiratoria e cardiaca.

Ora riposa nel cimitero del suo paese. Di lui resta il ricordo di un autentico comboniano, pienamente realizzato nella sua vocazione di Fratello le cui caratteristiche sono state la disponibilità e la gioia. Che il Signore ce ne mandi tanti come lui.      P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 180, ottobre 1993, pp. 55-61