In Pace Christi

Eleuterio Andrea

Eleuterio Andrea
Date of birth : 14/04/1913
Place of birth : Caprara PE/I
Temporary Vows : 07/10/1932
Perpetual Vows : 07/10/1938
Date of death : 10/01/1991
Place of death : Port Sudan/SD

Se a Port Sudan, dove fr. Andrea curava la chiesa parrocchiale da oltre trent'anni, si chiedesse alla gente chi era fr. Andrea Eleuterio, tutti resterebbero con la bocca aperta e risponderebbero: "Non lo sappiamo". Se invece si chiedesse chi era "Il Fratello", tutti: copti, mercanti arabi, studenti, musulmani, gente della strada, notabili, protestanti e pagani risponderebbero a una voce: "Il Fratello è colui che aveva cura della chiesa, che parlava con tutti, che sorrideva sempre, che non diceva mai di no a nessuno, che aveva una speciale predilezione per i piccoli e per i poveri, che non ti domandava mai a quale religione appartenessi, che era sempre disposto a darti un buon consiglio...". E la litania degli elogi continuerebbe ancora a lungo. Il titolo più bello, tuttavia, riconosciuto da tutti indistintamente e riservato al "Fratello" era quello di "uomo di Dio". E questo titolo, per la gente di Port Sudan, ha un'importanza tutta particolare.

E' veramente chiamato

Aveva 16 anni Andrea quando cominciò a muovere le acque per entrare tra i missionari comboniani che aveva conosciuto attraverso la stampa e anche di persona durante una predicazione al suo paese. Già da due anni sentiva la chiamata alla vita missionaria, solo che il suo parroco, don Lorenzo Di Giulio, volle lasciar tempo al tempo per accertarsi della sua vocazione. Quando il 31 ottobre 1929, don Lorenzo prese la penna in mano per scrivere ai superiori dei Comboniani, si espresse in questo modo:

"Molto reverendo Padre, il giovinetto Andrea Eleuterio, mio parrocchiano e raccomandato da S. E. mons. Carlo Pensa, vescovo di Penne, è infervorato di venire presso codesto Istituto per le Missioni Africane, ma nulla può dare, e nemmeno può procurarsi il corredo elencato, essendo povero alla lettera. E' figlio di un mutilato con otto figli!

Il giovinetto che le consegno io stesso è veramente chiamato, e da due anni coltiva la vocazione missionaria. La sua pietà è così edificante che il popolo lo chiama un santerello vivente. Prega persino quattro volte al giorno davanti al Santissimo Sacramento, e la sera, quando la chiesa è chiusa, si mette in ginocchio dietro il muro! Incredibile, ma vero. Egli è serio, umile, sano di mente. I genitori sono dispostissimi a farlo venire, ma possono dargli il solo vestiario che indossa.

L'Istituto troverà in lui un catechista vero, poiché troppo difficilmente potrà diventare sacerdote avendo ormai 17 anni e frequentato solo la terza elementare. Attualmente fa il calzolaio e potrà certamente essere utile anche in questo all'Istituto.

A breve giro di posta mi faccia sapere se lo accetta e così subito lo accompagnerei io stesso, portando i certificati occorrenti...".

Come si vede, fr. Eleuterio è partito da una situazione di estrema povertà. Papà Giuseppe era il portalettere del paese, prima che fosse colpito dalla menomazione di cui ha parlato il parroco, e mamma Enrichetta Beccheria faceva la casalinga.

La vocazione alla vita missionaria di Andrea, non nasceva da una necessità di "campare la vita" (come qualcuno inizialmente poteva pensare) avendo egli la sua modesta professione come garzone in una bottega di calzature. La conferma dell'autenticità di questa vocazione ci viene nientemeno che dal Vescovo di Penne che, in una sua visita, era rimasto ammirato dalla pietà, condotta e retta intenzione del giovane. Il Vescovo aggiungeva che se i missionari non lo avessero accolto, lo avrebbe indirizzato verso qualche altro Ordine o Congregazione, "dimostrando il giovane segni evidenti di chiamata divina alla vocazione religiosa".

Il più piccolo dei suoi figli

Provvisoriamente, Andrea Eleuterio venne accolto nella casa di Sulmona in attesa di accedere al noviziato. L'impressione che lasciò nei superiori fu veramente in sintonia con quanto il parroco e il vescovo avevano detto di lui.

Finalmente, in data 27 marzo 1930, Andrea scrisse al p. generale dei Comboniani:

"Il più piccolo dei suoi figli di Sulmona le chiede la grande grazia di poter entrare nel noviziato. Siccome io ascolto questa bella vocazione, questa bella ispirazione che il Signore mi ha dato, il mio buono e zelante superiore mi ha invitato a scrivere questa lettera a lei, raccomandandomi al Signore affinché scrivendo, lei mi conceda la grazia di entrare in noviziato per consacrarmi tutto al Signore allo scopo di diventare vero Figlio del Sacro Cuore, e per poter un giorno convertire tanti e tanti moretti dell'Africa con la preghiera, con il lavoro e con tutta la mia anima e il mio spirito.

Mio caro Padre, non ho altro da dirle. La cosa che le raccomando è di concedermi questa grazia di cui l'anima mia ha molto bisogno, e io voglio ascoltare l'ispirazione che Dio mi ha dato. Io spero che il Signore mi conceda di diventare davvero santo...".

Stupisce la grafia, la sintassi e il contenuto di questa lettera, scritta da un giovane che aveva frequentato fino alla terza elementare. La sua lettera, inoltre, dovette essere accompagnata da una del superiore di Sulmona (che non possediamo) se p. Vianello, il 31 marzo, quindi quattro giorni dopo la lettera di Eleuterio (allora le poste funzionavano), rispose: "Il Rev.mo p. Generale accetta l'aspirante Eleuterio Andrea in qualità di fratello coadiutore".

Il primo aprile 1930 Andrea Eleuterio fece la sua entrata nel noviziato di Venegono Superiore. Risparmio ai lettori le considerazioni di p. Bombieri, maestro dei novizi, perché non faremmo che ripetere, in modo ancor più accentuato, quanto di bene è stato detto su questo confratello.

Fatta la vestizione il primo gennaio del 1931, quindi dopo 9 mesi di postulandato (sotto sotto si temeva che si facesse missionario per trovare una soluzione al problema del "mezzogiorno") emise i Voti il 7 ottobre del 1932, con due mesi di anticipo sulla data normalmente stabilita. Segno che ogni dubbio era stato largamente fugato.

Ciabattino a Thiene     

Dopo i Voti troviamo fr. Andrea a Thiene dove rimase per quattro anni. Il suo ufficio: calzolaio. Stupisce la testimonianza di un fratello che fu con lui in quel periodo: "Un lavoro umile, quello del calzolaio, che, pure, lo teneva occupato parecchio con tutti i ragazzi che allora c'erano a Thiene. Più volte sentii fr. Andrea dire: 'Riparo le scarpe dei futuri evangelizzatori'; e maneggiava il cuoio, il filo e i chiodi quasi stesse compiendo un rito. Certamente aveva in mente ciò che la Scrittura dice a proposito dei piedi degli evangelizzatori".

La sua attività non si esauriva tutta al bischetto da ciabattino, ma trovava il tempo per assistere i ragazzi, per dare una mano nell'orto e in cucina e, soprattutto, per attendere alla chiesa verso la quale aveva una inclinazione tutta particolare.

"Tutti si erano accorti - prosegue il fratello sopra citato - che le preferenze di fr. Andrea erano per la chiesa e in particolare per il servizio dell'altare. Insomma, stare più vicino possibile al tabernacolo era la sua più grande soddisfazione".

Una pagina amara

Il sogno giovanile di andare in Africa a catechizzare i Moretti, come aveva scritto nella sua prima lettera da Sulmona, si stava finalmente avverando.

Nel novembre del 1936 giunse a Yoynyang, sud Sudan, con l'incarico di fratello ad omnia. Questa missione si trovava (l'imperfetto è di obbligo) nella zona di Tonga-Lul... dove p. Beduschi aveva compiuto meraviglie di apostolato, dove fr. Giosuè Dei Cas aveva costruito la sua santità eroica e aveva contratto la lebbra, al confine tra le tribù dei Nuer e degli Scilluk, gente ostile e difficilissima da accostare e da convertire al cristianesimo.

Per sei mesi all'anno la missione era isolata dal resto del mondo da un immenso acquitrino che forniva zanzare in quantità con tutte le miserie che si accompagnano a una simile situazione. Per muoversi e per visitare i villaggi dei Neri, come per raggiungere il Nilo sul quale ogni due mesi passava il battello, era indispensabile la barca. Eppure queste missioni erano le più amate dai Comboniani, perché qui maggiormente avevano sofferto e pagato di persona.

Fr. Andrea si dedicò subito alla chiesa, all'orto (quante tribolazioni per salvare un po' di verdura che veniva sistematicamente divorata dagli insetti o dagli animali), e alla manutenzione dei fabbricati.

Il 7 ottobre 1938 il Fratello emise i Voti perpetui nella povera chiesa della missione. Li ricevette il superiore, p. Marco Prina.

Quando già i Comboniani raccoglievano abbondanti manipoli di conversioni in quella zona difficilissima e ostile, arrivò da parte del Nunzio apostolico, mons. Ribery, un anti italiano fino al midollo, l'ordine di lasciare la zona per cederla ai missionari di Mhil Hill, i quali avrebbero dovuto adottare un nuovo metodo di evangelizzazione che può essere riassunto in questa frase: "Attendere che gli Africani vadano spontaneamente alla missione, anziché i missionari andare nei loro villaggi". I nuovi venuti, che con il suddetto metodo si trovarono praticamente disoccupati, chiesero che le suore e i fratelli comboniani continuassero a rimanere in quelle missioni per i lavori manuali.

Senza ulteriori commenti, ma solo per quel rispetto alla storia che ognuno che scrive dovrebbe avere, dobbiamo dire che, sia i fratelli, come le suore divennero quasi "schiavi e schiave" dei nuovi padroni. E scrissero nel libro della loro vita autentiche pagine di eroica santità, mossi solo dall'amore che portavano a Cristo crocifisso e alla gente del luogo. Ed è meglio non dire di più.

Per dovere di cronaca è giusto aggiungere che mons. Ribery, quando si rese conto del grave torto che aveva fatto nei confronti dei Comboniani, cercò di riparare ottengo loro il permesso di viaggiare sui battelli governativi che facevano la spola sul Nilo usufruendo della prima classe, mentre prima usavano i barconi riservati agli Africani.

Quanto a fr. Eleuterio, il p. generale gli scrisse: "Ho già predisposto affinché voi possiate passare alla missione del Bahr el Ghazal e che possibilmente vi mettano tra i Denka".

Al Comboni di Khartum

Invece di andare tra i Denka, fr. Eleuterio si trovò al Collegio Comboni di Khartum con l'incarico di cuoco e di sacrestano. A queste incombenze già pesanti per se stesse, se pensiamo alla comunità dei 28 confratelli insegnanti cui doveva pensare e a quella di più di 200 studenti che prendevano i pasti in un secondo turno, si deve aggiungere la sorveglianza notturna degli studenti nei dormitori. Un lavoro estenuante che portò avanti per molti anni. "Arrivava alle 10 di sera - scrive p. Castelletti - dopo un'ora di adorazione passata davanti al tabernacolo, alla quale non rinunciò mai, e poi si concedeva il riposo... con un occhio solo (si fa per dire) perché la sua sorveglianza era attenta e responsabile".

Lavorò con notevole impegno, ma... le note a suo riguardo, quanto all'arte culinaria, lasciano molto a desiderare. Scrive p. Sina: "Il Fratello è un buon religioso, ma non mostra molta capacità ed iniziativa nel suo ufficio di direttore di cucina, il che, in una comunità così numerosa come quella del Comboni, dà occasione a lamentele. Lo stesso effetto ha sui convittori. Possibilmente il Fratello dovrebbe essere sostituito in tale ufficio".

E alla voce: "Giudizio dei confratelli", si legge: "Assai favorevole per ciò che riguarda la pietà; molto sfavorevole per ciò che riguarda il suo ufficio di cuoco".

Il superiore di Circoscrizione, p. De Negri, cerca di mettere le cose a posto con questa nota: "Credo non abbia avuto nessuna preparazione per il suo ufficio in cucina. Come sacrestano tiene la chiesa del Collegio come un gioiello". Noi vorremmo aggiungere che la povertà di Yoynyang, dove mancavano anche le cose più elementari, non aveva certo contribuito a fare di fr. Eleuterio un abile cuoco; mentre dalle parole di p. De Negri si delinea sempre di più la vocazione specifica del Fratello: sacrestano, che poi era l'inclinazione che si portava dentro dall'infanzia.

P. Giuseppe Castelletti, che ha trascorso tanti anni fianco a fianco con fr. Andrea, dice: "Andrea, secondo me, era un uomo che poteva essere ordinato sacerdote con tutta tranquillità. Era ricco di buon senso, di prudenza, di pietà. Inoltre era molto intelligente e traboccava di amore per Cristo e per le anime. Cosa si può chiedere di più a un sacerdote?".

A Port Sudan

Nel 1940, dopo due anni di servizio al Collegio Comboni, venne inviato a Port Sudan. Abbiamo già parlato di questa missione dove il grado di umidità è così elevato da far gocciolare i fili del telefono, dove le case sono costruite su palafitte per allontanarle dal suolo impregnato di acqua, dove l'acqua dei pozzi sa di sale e dove perfino l'aria che si respira è salmastra. Tutto ciò contribuisce a danneggiare la salute dei missionari, specialmente il fegato.

Mentre l'Italia era in guerra, fr. Andrea svolse là il suo apostolato, sempre come addetto alla casa ma con una speciale preferenza per la chiesa.

Ma poi, nonostante tutto, si rimpianse la sua presenza in cucina al Collegio di Khartum per cui nel 1943 tornò al suo antico ufficio. Sì, forse non ci sapeva fare con le pentole e con gli intingoli, ma in compenso esercitava una grande carità con i confratelli e con i giovani.

"Era attentissimo alle necessità di ciascuno - scrive p. Castelletti - e si accorgeva se qualcuno aveva qualche bisogno particolare. Non gli importava di moltiplicare i pentolini purché lo stomaco di ciascuno funzionasse bene. Sì, devo dire che la carità lo distingueva dagli altri".

Dopo 10 anni di questo lavoro (a furia di riprovarci aveva imparato il mestiere con soddisfazione dei confratelli), fu inviato alla scuola tecnica come addetto all'officina. Vi rimase fino al 1963, anno in cui, dopo 27 anni di missione, poté venire in Italia per qualche anno di vacanza.

Dal 1969 alla morte fu nuovamente a Port Sudan. "Sono stato con lui dal 1986 al 1989 - scrive p. Crescentini.- Posso dire che non è passato giorno senza che fr. Eleuterio non mi desse qualche buon consiglio, qualche sublime esempio soprattutto quanto a fedeltà alla preghiera, assiduità al lavoro e modo di trattare con la gente.

Passava molte ore in chiesa. Credo che non abbia mai perso una pratica parrocchiale. Era molto impegnato anche in quelle 'fantasie' che rendono più attraente il culto: luci, fiori, drappi. Chi non ricorda, poi, i suoi presepi ammirati da tutti, cristiani e non cristiani?

Era un fratello ad omnia, come quelli di una volta. Attendeva alle mille cosette della scuola, casa e chiesa, desideroso di apprendere di più per essere più utile alla missione. Memorabile il suo impegno di autodidatta della lingua inglese. Se la cavava pure in arabo. Doveva avere un solido buono spirito, assimilato negli anni della formazione e a contatto con altri confratelli, per es. fr. Fabbro. Ogni tanto ricordava i loro pasti frugali del tempo di guerra, ma posso dire che tale abitudine alla frugalità è stata una sua caratteristica per tutta la vita. Durante la Quaresima prendeva un po' di carne e frutta solo alla domenica.

Nel suo comportamento è sempre stato giovanile, anche nel colore dei vestiti. Ha guidato la macchina fino alla fine. Gli piacevano le nuotate nel Mar Rosso per ammirare pesci e coralli del luogo.

La sua opera più grande sono i 55 anni passati nella terra del Comboni, di cui 32 a Port Sudan, tutti spesi per il Signore in una dedizione umile e preziosa".

Come seme fecondo

Una settimana prima della morte il Fratello subì un incidente stradale, ma tutto sembrava essere andato per il meglio. Invece, il 10 gennaio, la morte lo colse improvvisamente. Il dottore, che non sapeva dell'incidente, scrisse che morì per collasso cardiaco,. "E' da escludere un infarto - scrive p. Puttinato - perché la faccia è rimasta serena, con il suo colore naturale. Quando venne interpellato il medico che lo aveva curato in occasione dell'incidente disse che sicuramente si era trattato di embolia cerebrale".

Il corpo, lavato e rivestito con la veste bianca, fu composto nella sala della comunità con il condizionatore d'aria che funzionava al massimo. In un primo tempo si pensò di trasportarlo a Khartum, ma poi, in pieno accordo con la volontà espressa dal Fratello stesso e seguendo il desiderio della gente di Port Sudan, si decise di fare la cerimonia funebre nella chiesa che aveva tanto amato e curato per lunghi anni.

Venerdì mattina, verso le 10, la chiesa era piena all'inverosimile. E non solo di cattolici. C'era gente perfino sulla piazza antistante. Eleuterio "il Fratello" per eccellenza di tutti, ha dimostrato in questa circostanza quanto fosse stimato, amato e pianto.

"A noi religiosi, padri e suore - conclude p. Puttinato - fr. Andrea lascia l'esempio della fedeltà alla propria vocazione missionaria e, in particolare, fedeltà alla preghiera quotidiana, intensa e prolungata.

Ogni sera, dopo cena, passava non meno di un'ora nella 'sua' chiesa a pregare. Ogni mese chiedeva a me o a qualche altro sacerdote di celebrare una santa messa per le anime dei suoi parenti e genitori.

Poi è stato sepolto nel cimitero di Port Sudan per essere seme di vita cristiana tra questa popolazione buona, ma che presenta parecchie difficoltà in rapporto alla fede cristiana. Un testimone autorevole come fr. Andrea, sarà certamente lievito fecondo di vita cristiana".

A Khartum l'arcivescovo ha presieduto una concelebrazione in Cattedrale per fr. Andrea alla quale hanno partecipato soprattutto padri, fratelli e suore.

Mons. Zubeir, nella sua omelia, ha detto che oggi più che mai il Sudan ha bisogno di missionari e di fratelli della tempra di fr. Eleuterio. E' il pensiero di tutti coloro che l'hanno conosciuto, che ora pregano per lui e che chiedono intercessione ed aiuto. Lo ha sempre fatto per tutti sulla terra, lo farà ancora meglio dal cielo.                     P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 171, luglio 1991, pp.39-45