In Pace Christi

Albertini Pietro Stefano

Albertini Pietro Stefano
Date of birth : 03/08/1916
Place of birth : Levrange BS/I
Temporary Vows : 07/10/1941
Perpetual Vows : 07/10/1944
Date of ordination : 24/06/1940
Date of death : 05/02/1990
Place of death : Gordola/CH

"Il giovane è distinto per pietà, purezza di costumi, amore allo studio, spirito di disciplina. Tutto lascia sperare che, con l'aiuto di Dio, sarà un santo religioso".

Questa è la nota che il rettore del seminario diocesano di Brescia inviava ai Comboniani il 26 giugno 1939, quando il chierico Pietro Albertini, già diacono, si accingeva a lasciare la diocesi per entrare nella Congregazione dei Figli del Sacro Cuore.

Il travaglio era stato lungo e non privo di difficoltà come lo testimoniano le numerose lettere di p. Albertini, conservate nell'archivio dell'Istituto. Mentre da una parte il giovane chierico aveva "l'animo ricolmo di intima gioia" per aver trovato la sua strada, dall'altra c'era l'opposizione netta della famiglia che non intendeva in nessun modo lasciar partire per le missioni chi era ormai alle soglie del sacerdozio.

Per tutte, citiamo una lettera scritta da Brescia il 25 giugno 1939. Scrutando tra le righe si legge molto di più di quanto è scritto.

"Ho terminato 10 giorni fa gli esami e, grazie al Signore, l'esito è abbastanza buono. Sabato 24 giugno sono stato ordinato suddiacono. Impossibile esprimere a parole ciò che ho provato e sentito. Ho chiesto tante cose al Signore, ma in modo particolare la forza di perseverare; forza che, qualche volta, a causa delle difficoltà mi fa tremare.

Domenica 9 luglio sarò ordinato diacono nella cappella privata di Sua Eccellenza, assieme ad un altro aspirante missionario.

Ad assistere alla mia ordinazione di sabato scorso è venuto il mio babbo. Erano cinque mesi che non avevo una notizia da lui. L'incontro ebbe luogo dopo la cerimonia e fu ottimo. Direttamente, non volle mai accennare alla mia decisione; parlò però col mio rettore ed inoltre riuscii a tirarlo all'Istituto Comboni. Ebbe un lungo battibecco con p. Pizzolini, poi accettò di visitare la casa; accettò anche di incontrarsi col superiore. Il commiato dall'Istituto fu assai cordiale.

Da tutto il complesso mi pare che si sia rassegnato di molto, quantunque non sappia ancora capacitarsi come la mia partenza sia secondo giusta coscienza - come dice lui - specialmente di fronte agli altri fratelli. Ma la grazia del Signore completerà l'opera.

Ho consegnato i documenti richiestimi a p. Pizzolini; manca il permesso scritto dei miei genitori. A dir la verità, considerata ogni circostanza, non mi è sembrato opportuno costringere il babbo fino a questo punto, però se sarà necessario mi industrierò di ottenere anche questo permesso in qualche modo...".

Intanto il giovane aspirante missionario andò in famiglia per le vacanze. Il 10 agosto prese nuovamente la penna e scrisse: "I miei familiari sono abbastanza rassegnati, tuttavia in casa mi trovo assai a disagio, e non posso desiderare altro che entrare al più presto in Congregazione".

I superiori dei Comboniani gli risposero che poteva entrare alla fine di agosto, in modo da potersi preparare in serenità agli esercizi spirituali che sarebbero cominciati il 24 settembre. Ma ecco che, proprio in quei giorni, il babbo fu nuovamente ricoverato all'ospedale "per subire una seconda operazione di tumore". Quel tumore non ci voleva, per cui Pietro intensificò la preghiera per avere la forza di fare il passo decisivo. Scrivendo disse: "Sento davvero il bisogno di un aiuto tutto particolare dal Signore, perché sono solo contro tutti. Unico conforto è leggere e rileggere la biografia di san Luigi Gonzaga, specie in quella parte in cui si parla della lotta sostenuta per entrare in religione".

Finalmente il 6 settembre, con un terribile strappo al cuore e provocandone uno ancor più grande in quello dei familiari, entrò in noviziato a Venegono Superiore.

Novizio e sacerdote

Dopo 7 mesi dall'entrata - era intanto scoppiata la seconda guerra mondiale - i superiori decisero di ordinarlo sacerdote. Il Procuratore generale della Congregazione, chiese al Papa la facoltà di deroga dal Can. 567 in modo che Pietro Albertini potesse essere ordinato sacerdote dal vescovo di Brescia "nonostante abbia compiuto solo il terzo anno di teologia prima di entrare in noviziato, viste le attuali condizioni politiche".

Così, il 23 giugno 1940, il novizio Albertini venne ordinato sacerdote nel Santuario del Sacro Cuore presso l'Istituto Comboni di Brescia.

Il cammino spirituale per acquisire la perfezione religiosa e lo spirito della Congregazione fu sempre in crescendo, se stiamo alle testimonianze semestrali di p. Antonio Todesco, maestro dei novizi. L'ultima recita in questo modo: "Si mantenne sempre generoso e di volontà piena e risoluta. Comprese bene fin da principio lo spirito religioso e mostrò subito grande attaccamento all'Istituto e alla sua vocazione religiosa-missionaria. Ama la preghiera, la carità e l'osservanza regolare. La sua soggezione e il suo spirito di adattamento sono assai buoni. E' di buon ingegno e di pari criterio. Adattabile in tutto, è umile e generosamente laborioso. Anche la salute è buona".

Tra i ragazzi

Emessi i primi Voti il 7 ottobre 1941, fu destinato a Crema come reclutatore ed economo nel seminario minore che i Comboniani avevano appena aperto in quella città.

La casa di Crema era fatiscente per cui occorsero buone braccia per renderla abitabile e faccia tosta per sollecitare gli aiuti dei benefattori in un momento in cui la vita era dura per tutti. P. Albertini non si perse d'animo e, per tre anni, batté la zona in cerca di ragazzi desiderosi di farsi missionari, e del cibo necessario per mantenerli. In quest'opera fu coadiuvato egregiamente da fr. Olindo Norbiato, un battitore per il Regno di Dio di prim'ordine, un uomo di fronte al quale anche il diavolo diventava un angelo buono.

Visto che il Fratello se la cavava così bene, p. Albertini venne inviato nell'Istituto Comboni di Brescia con il compito esclusivo di "reclutatore", cioè animatore vocazionale.

Quanti comboniani, oggi, devono la loro vocazione, dopo Dio, a p. Albertini! "Aveva dei modi gentili, delicati, per cui riusciva subito a farsi benvolere dai sacerdoti e dai genitori. Quando inceppava in qualche particolare difficoltà, tirava fuori la sua esperienza personale, la testimonianza della sua vita, ciò che la fedeltà alla vocazione gli era costata, e anche i più duri crollavano".

P. Albertini non si accontentava di raccogliere i ragazzi dopo averli accuratamente selezionati, ma li seguiva uno ad uno in modo da instillare in loro un amore sempre più grande alla vocazione e alle virtù necessarie ad un futuro religioso missionario. Dimostrò tanta capacità in questo ministero che i superiori, nel 1947 lo inviarono a Carraia come padre spirituale dei piccoli seminaristi di quella scuola apostolica.

Dal 1948 al 1951 coprì l'incarico di superiore nel medesimo seminario. I ragazzi che furono con lui portarono tutti il ricordo di un Padre che era un amico, un fratello maggiore, un consigliere amabile.

In Brasile

Gli anni erano passati, e anche p. Albertini, come tanti altri trattenuti in Italia dalla guerra, scalpitava per partire per la missione. I superiori lo ascoltarono destinandolo, nel 1952, al Brasile dove i Comboniani era arrivati l'anno prima.

Sua immediata destinazione fu Serra, per passare, l'anno seguente, a Balsas. Terra arida e povera dove c'era tutto da fare. I Comboniani lavorarono sodo con grande spirito di sacrificio. Scrisse p. Parodi (poi vescovo di Balsas): "Il 90 % della gente è costituito da poveri, per non dire schiavi. La missione è grande come il Piemonte, la Liguria e la Lombardia messe insieme. Il menù della nostra cucina è costituito da riso, fagioli e carne secca (quando c'è), senza pane, senza vino, senza verdura. La posta arriva ogni quattro mesi. Per muoverci usiamo la barca o il mulo".

P. Albertini, dopo aver imparato la lingua, si dedicò subito alle visite ai malati, alle conferenze ai genitori, al catechismo ai bambini. Intanto si cominciò a dissodare un pezzo di terra per trasformarla in orto in modo da consentire ai missionari un'esistenza più umana.

Dopo un anno di quella vita di frontiera, p. Albertini venne inviato a Rio e a San Paulo come procuratore e parroco. Ormai egli aveva il suo stile missionario che era quello di accostare le singole persone, specialmente i giovani, per dialogare con loro e, un po' alla volta, condurli a Dio attraverso la vita sacramentale. Con i confratelli di passaggio si mostrò sempre premuroso anche se alle volte "c'era poco da spartire".

Fu poi parroco a Joao Neiva, ma intanto a Balsas sorse il seminario. Chi poteva diventarne rettore? P. Albertini che con i ragazzi, anche brasiliani, aveva dimostrato di saperci fare.

Si tuffò nel nuovo ministero con vero entusiasmo e dedizione, ma intanto la salute perdeva colpi. Un'ulcera gastrica gli faceva passare parecchie notti in bianco con conseguenza di irrequietezza e di spossatezza durante il giorno.

"Il fisico - scrisse il Provinciale del Brasile - influisce moltissimo sul morale del Padre. Alcuni giorni è pieno di entusiasmo e lavora anche oltre le proprie forze, altri soffre di terribili depressioni per cui non è in grado di portare avanti i suoi compiti".

Una mazzata in testa

Nel 1974 ricevette l'invito di tornare in Italia per un periodo sufficiente a rimettersi in salute e per dare una mano alla Provincia. Fu una mazzata in testa.

"Con franchezza tutta bresciana - rispose - le manifesto il mio stato di angustia, causato dalla sua comunicazione. Da una parte c'è la volontà, il desiderio sincero di non venir meno allo spirito di disponibilità; dall'altra ci sono delle ragioni che credo di dover esporre". E qui mise giù quattro punti nei quali manifestava la sua paura di non sapersi adattare alla nuova mentalità che era venuta formandosi tra i confratelli d'Italia, specie i più giovani. Non aveva tutti i torti se pensiamo che quelli erano gli anni della crisi. Inoltre diceva che in Italia di missionari ce n'erano anche troppi, mentre in Brasile scarseggiavano. "Temo di fare un fallimento, in Italia, accentuando il complesso di depressione che alle volte mi prende". "Padre - concludeva - io sono disponibile e sempre pronto all'obbedienza, anche se penso che vi deluderò nonostante la mia buona volontà".

Nell'aprile del 1974 lo troviamo a Lucca, prima in cura e poi come superiore. Non si era sbagliato quando aveva manifestato la sua paura a rientrare in Italia. Il clima, infatti, era notevolmente cambiato rispetto a 25 anni prima. Egli, con onestà e chiarezza, chiese ai superiori di poter ritornare in Brasile dove ormai si sentiva a suo agio.

Dal 1975 al 1977 fu rettore del seminario di Balsas e poi parroco a J. Monteiro. Ce la mise tutta per dare sempre il meglio di sé anche quando quella terribile depressione veniva a disturbare le sue giornate.

Una tappa importante

Dal 1980 al 1981 p. Albertini fu a Roma per il Corso di aggiornamento. Era la prima volta che si fermava nella sua vita missionaria per riflettere con più calma, per aggiornarsi e per pregare più intensamente.

"Ho scoperto che questo periodo costituisce una tappa importante per la mia vita missionaria e ringrazio il Signore di averlo potuto fare", scrisse al suo Provinciale. Al termine del Corso compilò quattro lunghissime e fitte cartelle, quasi una riflessione sugli anni di missione, sottolineando risultati e manchevolezze. Affrontò il tema della comunità, del lavoro di evangelizzazione, degli anziani in America latina, dei seminari e della formazione, degli Indios e dei poveri. Nelle sue osservazioni si nota molto equilibrio e conoscenza delle situazioni.

Anche la malaria

Verso la fine del 1981 era nuovamente in Brasile, a Jaru (Rondonia). Dopo tre mesi di presenza in quella parrocchia fu colpito da un forte attacco di malaria. "E' perfino ridicolo questo fatto - scrisse. - Nessuno dei nostri che vivono qui da anni ha avuto la malaria. A me è capitata solo dopo tre mesi. Altrettanto mi è successo quando giunsi in Brasile per la prima volta: dopo tre mesi fui colpito dalla malaria".

Nonostante l'età e gli acciacchi aveva ancora la forza di seguire pastoralmente 38 comunità, alcune lontane 60 chilometri dal centro. "Il lavoro non mi spaventa, ma ho lo strano presentimento di non resistere e perciò di dover lasciare questa gente senza assistenza spirituale". Ancora una volta si vedeva il missionario autentico preoccupato più della salute delle anime che della sua salute fisica.

Quella strana malaria gli lasciò uno strascico di artrosi che gli rendeva difficoltosa la deambulazione per cui fu consigliato di ritornare in Italia per vedere se era possibile rimettere le cose a posto. Dopo un ricovero all'ospedale di Borgo Roma nel giugno del 1983, si trasferì a Gordola. I sanitari di Verona, infatti, gli avevano detto che l'operazione era rischiosa e perciò sconsigliabile. Nel Cantone di San Gallo lavorava un suo nipote come fisioterapista per cui aveva serie probabilità di farsi curare.

"Benedetto anche l'ospedale - scrisse. - Ci si annoia da morire, ma è anche tempo di buona riflessione e di preghiera. Qui in Europa siamo come pesci fuor d'acqua e, nelle nostre case, noi brasiliani siamo visti con diffidenza... Non ho mai sentito tanto il bisogno e la disposizione di pregare per le nostre missioni del Brasile e per la Provincia. Se dovessi restare qui, sarebbe un boccone amaro rassegnarsi alla volontà di Dio".

Lasciando la clinica fisioterapica nell'ottobre del 1983 poteva scrivere: "Grazie a Dio, tutto bene, benché la gamba destra resti un po' difettosa. Tutto questo è un regalo degli anni: più ne passano e più lasciano tracce. In novembre spero di essere nuovamente in Brasile".

Cursum consummavi

Da S. José do Rio Preto, in data 21 ottobre 1986, p. Albertini scriveva che sentiva il bisogno "anzi la necessità" di un periodo di completo riposo spirituale e fisico. "Dopo - aggiungeva - mi dichiaro disponibile a tappare qualsiasi buco, meno, però, che nello scolasticato o in altre case di formazione".

Il vecchio educatore, il mago dei giovani, aveva capito che il suo tempo era passato. Ora andavano di moda altri metodi, altri sistemi che lui non condivideva, per cui preferiva mettersi in disparte per non disturbare, per non intralciare. Nella stessa lettera scrive: "Cursum consummavi... fidem servavi".

Poco dopo si trovava di nuovo e definitivamente nella comunità di Gordola anche se l'assegnazione ufficiale alla Provincia italiana reca la data del primo gennaio 1988.

Para matar saudade

"A Gordola mi trovo bene. Sono sotto sorveglianza di tre miei nipoti: un medico, un fisioterapista e una radiologa (la famiglia del Padre si era trasferita in Svizzera da anni n.d.r.). Il Brasile, oltre l'artrosi generalizzata mi ha lasciato una fastidiosa infezione intestinale prodotta da un germe tropicale. Ma, nonostante tutte queste miserie, ho la possibilità di fare ministero. Conosco tanti sacerdoti e sento una grande soddisfazione a trattare con la gente semplice delle vallate".

I confratelli del Brasile lo consolavano con lunghe lettere piene di notizie interessanti. "Grazie delle vostre lettere serviu para matar um pouco a grande saudade. Posso confermare che qui mi trovo veramente bene. Ho ministero fin che voglio. L'artrosi va peggiorando, ma sono ben contento di poter offrire, con la preghiera, qualche sofferenza per le nostre missioni e per i nostri confratelli di costì. C'è, però, una spina che ferisce amaramente: eccetto il superiore, p. Coser, che ci difende, tutti gli altri sono antibrasiliani. Ho constatato che è inutile discutere e allora faccio silenzio e sopporto".

Anche con queste piccole contraddizioni e con i suoi alti e bassi che costituivano ormai la sua croce inseparabile, controbilanciati però da tante soddisfazioni spirituali, il Signore stava preparando il suo missionario all'incontro con lui. Questo ebbe luogo il 5 febbraio 1990 alle ore 10. Il Padre soffriva da qualche giorno di influenza che degenerò ben presto in insufficienza cardiaca. Chiese e ricevette tutti i sacramenti in un'atmosfera di particolare fervore. Poi, assistito dai confratelli e dal medico, si spense serenamente nella casa di Gordola. La sua salma riposa nel cimitero della cittadina.

Che p. Albertini, infaticabile animatore missionario e uomo di grande cuore specie nei confronti dei poveri e degli umili, ottenga alla nostra Congregazione tante e sante vocazioni dall'Italia e dall'America latina.                P. Lorenzo Gaiga

Da MCCJ Bulletin n. 168, Ottobre 1990, p. 46-52