In Pace Christi

Gritti Alessandro

Gritti Alessandro
Date of birth : 17/10/1911
Place of birth : Alzano Lombardo BG/I
Temporary Vows : 07/10/1932
Perpetual Vows : 07/10/1938
Date of death : 18/03/1989
Place of death : La Paz/MEX

La vita di fr. Gritti ebbe un inizio molto tribolato. Ragazzino timido e mite, voleva a tutti costi diventare sacerdote missionario. Nel 1923, a 12 anni, lasciò i genitori (Donato ed Elisabetta Omacini) ed entrò nella scuola apostolica di Brescia. Ben presto, però, si accorse che i libri e i compiti non erano pane per i suoi denti. Alle interrogazioni si bloccava non riuscendo a spiccicar parola, di fronte ai compiti si sentiva sperduto.

Dopo sei mesi di quella vita, era disperato e i superiori... pure, per cui gli fecero la proposta di diventare Fratello. Ma Alessandro, incoraggiato da un buon monsignore, tentò la via del seminario. Sudando le fatidiche sette camicie, arrivò alla quarta ginnasio senza riuscire a superarla.

E dovette nuovamente tornarsene al paesello. Eppure la voce di Dio che lo chiamava alla vita consacrata era limpida, insistente. E anche il pensiero della missione lo tormentava di giorno e di notte.

Il Signore mi vuole Fratello

Intanto viveva da giovane esemplare aiutando il parroco nelle attività parrocchiali. Un giorno, però, stanco della lotta interiore che portava avanti da troppo tempo, disse a se stesso: "Il superiore di Brescia aveva ragione. Certamente si ricorderà ancora di me e mi aiuterà. Se non ho la possibilità di diventare sacerdote, posso sempre diventare Fratello. Forse è proprio questa la strada che il Signore ha segnato per me".

Il 17 dicembre del 1929 (aveva 18 anni), prese la penna in mano e scrisse: "Reverendissimo Padre Superiore, è giunta l'ora anche per me, ossia si è verificato ciò che lei stesso ha detto prima che io mi allontanassi dal suo Istituto. Lei avrà già compreso di che cosa intendo parlare e che cosa ho intenzione di fare. Dopo la mia breve permanenza in Istituto, ritornai a casa e vi rimasi per un anno. Poi, col buon consiglio di mons. Santo Balduzzi, che anche lei conosce, decisi di andare in seminario. Colà, da principio, sembrava che le cose andassero bene, ma poi, verso la fine del primo anno, cominciarono ad andar male. Non mi scoraggiai, anzi, con costanza aumentai le mie premure e le mie forze.

Quest'anno, per mia propria volontà, decisi di starmene a casa, sempre però con l'idea di tornare alle care missioni come fratello coadiutore. Mi consigliai con il mio direttore spirituale e domandai il consenso al Prevosto. Ora attendo anche da lei una parola che spero rassicurante".

Il superiore fece venire il giovanotto all'Istituto Comboni di Brescia per un colloquio che risultò positivo. Altre visite seguirono la prima e aiutarono il giovane a mettere bene a fuoco la sua vocazione, per cui lo si mise in contatto con p. Bombieri, padre maestro a Venegono Superiore.

Ma un altro ostacolo si parava davanti: i genitori. Essi non vedevano di buon'occhio la scelta del figlio per cui tentarono di ostacolarlo. Il prevosto, don Leone Remigio Negroni, si mise dalla parte di Alessandro e, insieme, superarono l'ostacolo.

"In questi pochi giorni cerco di fare il possibile per prepararmi ad entrare nel giardino del Signore", scriveva il giovane il 28 gennaio 1930. Poi aggiungeva: "Quanto sono contento! Il Signore mi ha ancora benedetto. Sia ringraziato e contraccambiato con una vera mia corrispondenza facendo la sua santa volontà e donandomi tutto a lui per il bene delle anime".

Trepida attesa

Nonostante queste buone disposizioni, la conferma dell'accettazione da parte dell'Istituto tardava ad arrivare. Alessandro, allora, tornò a fare la domanda dicendo che "essendo a casa dal seminario da sette mesi, mi sento sperduto. Per cui non vedo l'ora di entrare. Aiuto, è vero, i miei genitori, ma hanno poco da fare. Leggo, scrivo, faccio conti e prego; ma poi, per tutto il resto della giornata, che fare? Maria Santissima sia mia madre e avvocata pietosa e mi assista in questo momento così difficile".

Il prevosto aggiunse alla lettera queste parole: "Raccomando vivamente per l'esaudimento la domanda del giovinetto Alessandro Gritti, con le migliori speranze per la sua condotta religiosa e morale e nella certezza della sua ottima riuscita". Era il 26 febbraio 1930.

L'11 marzo 1930 p. Vianello comunicava a p. Bombieri l'avvenuta accettazione da parte del padre generale di Alessandro Gritti come fratello coadiutore. Il giorno 25 di quello stesso mese Alessandro partecipò alla professione solenne di una sua sorella suora e il 30 entrò nel noviziato di Venegono Superiore. Il lungo e faticoso cammino per seguire la sua vocazione era terminato.

Cuoco e guardarobiere

Nella cartella personale di fr. Gritti mancano le osservazioni del padre maestro sul suo cammino spirituale. Dai sentimenti che esprime nella domanda per i Voti possiamo arguire che il novizio ce l'abbia messa tutta per essere un buon fratello.

"Conosco bene la mia debolezza, la mia pochezza di spirito, la mia indegnità, ma confido nella bontà e misericordia del Signore. Da parte mia posso assicurare di essermi sforzato per acquistare le virtù inerenti ai santi Voti".

Il 7 ottobre 1932 fece la professione temporanea e poi fu inviato per un anno a Padova e per altri cinque a Troia come cuoco. Erano tempi difficili per cui il cuoco doveva fare miracoli per preparare piatti gustosi e abbondanti con poca roba e di "ordinaria amministrazione". Chi è stato con Gritti a Troia assicura che ci sapeva fare, spinto più dall'amore verso i futuri missionari, la cui salute dipendeva dalle sue mani, che dalla materia prima di cui disponeva.

Nella domanda per la rinnovazione dei Voti, fatta da Troia il 12 settembre 1934, dice: "Se poi, alla rinnovazione dei santi Voti unisse anche l'andata alla missione, doppiamente sarei contento".

Dal 1938 al 1940 fu a Verona, Casa madre, come guardarobiere. Trascorse il periodo della Guerra a Como e a Crema (1940-1946) come addetto alla casa. "Silenzioso, umile, modesto, era di esempio ai ragazzi per la sua cordialità e spirito di servizio. Aveva la capacità di vedere le cose da fare prima che glielo si dicesse. Nella famiglia dei religiosi si metteva sempre all'ultimo posto con naturalezza e semplicità. Con la gente che veniva a farci visita o a portare qualche offerta (e Dio sa quanto avevamo bisogno di offerte in quel periodo) era di un'estrema delicatezza. Ma altrettanta ne usava con i poveri che chiedevano qualche cosa da mangiare. Un giorno lo udii esclamare: 'I poveri vanno trattati meglio di tutti, perché al bisogno uniscono anche l'umiliazione di tendere la mano'.

Dove il bisogno richiedeva la sua presenza, il Fratello andava senza dire che non era compito suo o cose del genere. Diceva solo che qualche altro avrebbe fatto certamente meglio di lui. Nonostante le molteplici occupazioni, lo vedevo anche nelle ore più calde del giorno, o alla sera tardi, sostare in preghiera davanti al tabernacolo o alla statua della Madonna. Ciò creava edificazione tra i ragazzi e anche tra i religiosi. Si vedeva chiaramente che amava la sua vocazione e faceva di tutto non solo per conservarla, ma per arricchirla con tanti meriti", così p. Dell'Oro.

Una lezione di carità

Dal 1946 al 1950 fu a Trento, sempre come addetto alla casa. Ricordo anch'io fr. Gritti in quel periodo. Allora ero ragazzo di prima media. Lo ricordo particolarmente per un fatto che mi è stato utile nella vita.

Un Padre che amava molto gli scherzi mi disse un giorno: "Se vuoi far arrabbiare fr. Gritti vagli vicino, mettiti le mani alla gola e digli: 'Fr. Gritti, ne ho un gozzo!'. Non capendo il senso di quelle parole, il tentatore mi spiegò che molti bergamaschi avevano il gozzo a causa dell'acqua che mancava di determinati elementi.

Io eseguii l'ordine a puntino, ma fr. Gritti, sapendo anche che quella cattiveria non poteva venire da me, mi chiamò in disparte e mi disse con molta dolcezza, ma con altrettanta serietà: "E' vero che c'è qualche bergamasco col gozzo, ma non tutti. Come vedi, io non ce l'ho. Poi non è colpa loro se sono così. Noi, però, non dobbiamo mai prendere in giro le persone che hanno qualche malformazione. Soffrono già tanto per quel difetto, senza l'aggiunta delle derisioni degli altri". Non ho mai dimenticato quella lezione. E quanto mi è giovata!

In missione

Nel giugno del 1950 fr. Gritti partiva finalmente per la missione. Sua destinazione fu il Messico. Faceva parte dei "fondatori" dell'opera comboniana messicana. Sua prima destinazione fu Santiago, una missione fondata nel 1821 e poi chiusa, come tante altre antiche missioni del Messico. Fr. Gritti fu tra coloro che la riaprirono nel settembre del 1950. Nel 1951 fu a Miraflores, nel 1952 a Città del Messico, nel 1954 a Tepepam, nel 1956 ancora a Città del Messico, nel 1957 a Sahuayo. In tutte queste missioni fr. Gritti fu "addetto alla casa".

Sempre come "addetto alla casa" fu a San Sebastian (Spagna) dal 1960 al 1963. In realtà, però, occupò i tre anni di permanenza nella diffusione e spedizione di Aguiluchos. Poi ritornò nuovamente in Messico per fare il portinaio a Sahuayo e l'addetto alla casa a Città del Messico (1967-1970).

Dal 1971 fu addetto alla cattedrale di La Paz e alle altre opere comboniane in quella città.

Come una mamma

Scrive mons. Giordani: "Delicato di salute, era delicato anche di cuore, davvero come una mamma, in modo particolare con i confratelli ammalati. Lo ammirai quando prestò assistenza a p. Pizzioli in clinica, due anni prima che questi morisse in seguito a due delicati interventi chirurgici.

Altre virtù che si notavano in fr. Gritti erano la fedeltà alle pratiche di pietà e l'ordine nella distribuzione del suo tempo. Non aveva energie da vendere, ma le sapeva utilizzare bene sia pure adagio adagio, ma con costanza e perciò con rendimento. Nei suoi lavori mostrava competenza e molto buon senso. Con le persone, poi, era di una squisita carità. Devo proprio dire che aveva cercato di riprodurre in sé i sentimenti del Cuore di Cristo, da vero missionario comboniano del Cuore di Gesù".

Un altro confratello che l'ha conosciuto dice: "Era di carattere buono, e schivo. Metodico in tutte le sue cose, lo si poteva definire un custode della vita religiosa. L'ha custodita per sé senza mai imporla agli altri. Accettò serenamente i servizi che gli venivano richiesti, dedicandosi soprattutto all'accoglienza dei confratelli. Questo dell'accoglienza sembra che sia stato uno dei carismi principali di questo nostro Fratello".

Un tumore, sopportato con coraggio e spirito di sacrificio fino alla fine, lo portò alla tomba. Anche nei dolori più atroci, il Fratello non si lamentava, bensì pregava e offriva le sue sofferenze per la Congregazione e per le vocazioni messicane. Siamo certi che il Signore ha accolto l'olocausto di questo servo fedele che della sua vita ha fatto un continuo, cordiale, umile e affettuoso servizio.          P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 164, ottobre 1989, pp.47-50