Lo chiamavano "Gesù Bambino" perché era arrivato nella sua prima missione, Rejaf, proprio il giorno di Natale del 1938, ma il nomignolo gli rimase appiccicato per tutta la vita perché Angelo aveva l'animo del fanciullo. E lo conservò tale fino alla morte. Le sue due principali caratteristiche furono la semplicità e un amore grandissimo alla missione, come vedremo da qualche sua lettera.
Proveniva da una famiglia di dieci fratelli che tirava avanti a fatica con il lavoro del papà. La povertà non impedì, anzi favorì, un maggior attaccamento alla preghiera e alla pratica religiosa. Angelo frequentò le scuole con profitto e l'oratorio con entusiasmo. A Saronno superò gli esami di ammissione alla scuola media con scarsi risultati.
Era il 15 luglio 1923. Il prevosto aveva avvisato i ragazzi che in un determinato pomeriggio ci sarebbe stato un missionario che avrebbe parlato sul problema delle missioni. Angelo, quel giorno, decise di andare prima a dare un'occhiata ad alcuni nidi di sua conoscenza e poi avrebbe fatto in tempo ad ascoltare anche il missionario. Invece un nido tirò l'altro per cui arrivò in chiesa quando il predicatore stava lanciando le sue ultime bollenti battute. Una di queste suonava così: "Allora, chi tra di voi desidera farsi missionario?" Angelo si sentì come fulminato da quella domanda e avrebbe voluto rispondere: "lo!". Ma si trattenne ... Gli venne in mente che era povero e che per studiare occorrevano tanti soldi. E poi aveva anche una spalla un po' più alta dell'altra ... Chinò la testa quasi vergognoso lasciando che l'eco delle parole del missionario rimbombassero tra le volte della chiesa. Ma risuonarono anche nel suo cuore. E a lungo. Portò il segreto della sua vocazione per due anni, senza parlarne a nessuno. Finché un giorno, non potendone più, si aprì con il coadiutore. E gli disse che da tanto tempo sentiva il desiderio di andare in Africa a "battezzare i moretti". Quando la notizia arrivò agli orecchi della mamma, una vera santa donna, ella sgridò il figlio dicendogli: "Perché non hai ascoltato la voce del Signore? Non sai che per essere contenti nella vita bisogna fare sempre e bene la volontà di Dio?".
Il prevosto (quello di presentare un parrocchiano in un istituto era un lavoro da prevosto) prese il ragazzo ormai quattordicenne e lo accompagnò all'istituto Comboni di Brescia. "Siamo un po' avanti con gli anni rispetto agli altri! - obiettò il superiore - e i voti non sono più così lusinghieri" . "Mi ascolti, reverendo padre, - insisté il prevosto - lo faccia studiare e non si pentirà. Qui c'è stoffa buona, glielo assicuro e poi ... i frutti tardivi sono i migliori".
Il superiore era p. Bombieri e si prese direttamente cura del giovane. Questi si tuffò sui libri cercando di spremere le meningi più che poteva. P. Bombieri curava anche l'anima di Angelo e spesso lo rimproverava accusandolo di mancanza di sincerità. "No, Padre, io le dico sempre tutto, non le nascondo proprio niente!". "Non è possibile - ribatteva l'altro - alla tua età avrai delle tentazioni e non me ne parli mai! ". "Come vuole che mi vengano le tentazioni con tutto quello che ho da studiare. Gli insegnanti sono la mia più grossa tentazione. Non sono mai contenti di ciò che imparo ... Ma le tentazioni che dice lei io non so neanche che cosa siano! ".
Dopo p. Bombieri arrivò p. Francesconi. Questi per via del profitto negli studi e per la spalla, fece un crocione rosso sul nome di Angelo, il che significava "a casa". Stessa sorte era riservata a p. Alghisi. I due giocarono d'astuzia e, conoscendo il debole del superiore, per una settimana, ogni sera prima di andare a letto, andavano nella sua stanza, si inginocchiavano e chiedevano la benedizione. P. Francesconi, all'ottavo giorno, disse: "Scusatemi ragazzi; mi ero sbagliato su di voi. Vedo che siete molto pii; non abbiate paura: andrete avanti e diventerete due bravi missionari". Appena usciti dalla stanza, i due si diedero una gomitata e si strizzarono l'occhio. La loro vocazione era assicurata.
In quattro anni Angelo riuscì a superare le tre medie e le due ginnasiali. E con ottimi risultati questa volta.
Verso il sacerdozio
Il 12 settembre 1930 Angelo entrò nel noviziato di Venegono Superiore. Era contento e, nella sua ingenuità, ripeteva che l'Africa era ormai a portata di mano. Nella lettera di domanda per l'ammissione al noviziato aveva scritto: "lo sottoscritto d'anni 18, già da 4 anni nella scuola apostolica, allo scopo di santificare prima me stesso, e poi di convertire i poveri infedeli dell' Africa centrale, chiedo con tutto il desiderio di cui è capace questo piccolo cuore di essere ammesso nella bella schiera dei novizi. Ciò che mi spinge a fare questa domanda non è altro che il desiderio sincero di essere un giorno missionario di quel Cuore che ha tanto amato gli uomini. Sono sempre il suo caro figlio Angelo Lombardi" (Brescia 3 luglio 1930). Le ultime parole così confidenziali si spiegano in quanto il padre maestro al quale erano rivolte era proprio quel p. Bombieri che tanta cura si era presa di Angelo, quattro anni prima. "In questi due anni di noviziato - scriveva alla fine Angelo - ho cercato di apprendere bene le obbligazioni della vita religiosa. Ho appreso in particolare quali obblighi si assumono facendo i Voti di povertà, castità ed obbedienza, e mi sono sforzato nell'esercizio delle virtù. Mi sono reso conto della pochezza del mio spirito e della mia debolezza. Ma io confido unicamente nella misericordia del Signore che mi vuole bene".
E p. Bombieri come la pensava? "E' sempre bambino nel suo modo di pensare e di fare. E' bravo e buono, ma ha bisogno di essere sempre guidato, forse anche da grande". Questo giudizio sarà condiviso pure da altri confratelli in missione.
Missionario
Il 7 ottobre 1932 Angelo emise i Voti e partì subito per Verona dove frequentò il liceo e la teologia presso il seminario vescovile. L'undici settembre 1938 fu ordinato sacerdote. Tre mesi dopo, come abbiamo detto, era già in Africa a Rejaf. Vi rimase ininterrottamente fino al 1950 (12 anni) alternando la sua attività di "coadiutore" tra Rejaf - Okaru - Loa.
Dopo un anno di vacanze trascorse a Riccione (1950-'51) tornò di nuovo nel Sudan meridionale, presso le missioni dove ormai aveva lasciato il cuore. Dal '57 al '60 fu superiore a Kworijik. Quello di superiore non era precisamente il suo mestiere, tuttavia la grande semplicità e la bontà del cuore supplirono egregiamente alla mancanza di iniziativa che era consona al suo temperamento. Dimostrò invece maggiori capacità come insegnante presso il seminario di Okaru dove rimase dal 1960 al 1964, data dell'espulsione in massa di tutti i missionari dal Sudan meridionale. L'anno trascorso a Pordenone come addetto al ministero ed insegnante (1964-'65) fu come un periodo di esilio. P. Angelo parlava continuamente del Sudan, pregava per il Sudan, soffriva per il Sudan fino a farsene una malattia. La sua situazione spirituale è ben delineata in una lettera che scrisse al p. generale. Se questa lettera dice i limiti del padre, rivela ancor di più l'amore per la missione che ha sempre caratterizzato la sua esistenza. "Pordenone 31 marzo 1965. Reverendissimo padre generale, quando sua Paternità Reverendissima, è stato qui a Pordenone, per darmi un po' di speranza nella mia continua tristezza, mi ha detto di tenermi pronto per essere mandato in missione. Come lei ben ricorderà io ne fui contentissimo e le promisi che sarei andato avanti a fare il mio lavoro con grande diligenza. Ebbene, Rev.mo Padre, da quel giorno sono passati ormai, se non sbaglio, più di due mesi, ed io sono ancora qui nella mia tristezza e vana speranza. Rev.mo Padre, lei mi conosce anche troppo bene. Perché allora permette che soffra tanto? lo non posso più aspettare. Quanto più il tempo passa io divento sempre più vecchio e quel che è peggio mi attacco sempre più a questa terra che non è mia, perché chi ha passato tanto tempo in Africa (io vi passai 25 anni) non può più rassegnarsi a vivere in Italia. Rev.mo Padre generale, la prego vivissimamente di non farmi invecchiare qui in Italia mentre posso lavorare ancora molto in Africa. Naturalmente io vorrei ritornare nel Sudan, ma se questo non si apre, penserei che anche la terra dell'Uganda è buona. Anche là ci sono neri, e tanti, da salvare. Mi mandi da Mons. Tarantino, che penso mi riceverà molto volentieri. Io colà comincerei subito a lavorare perché come lei sa, so molto bene e l'inglese e la lingua Madi. Dunque, Rev.mo Padre, che aspetta? Di salute sto bene e sono pieno di buona volontà, di desiderio di lavorare e di riguadagnare il tempo perduto. Lei dirà: e la scuola? Ormai siamo in aprile e ci avviciniamo agli esami e poi le vacanze che mi potrebbero già trovare in Africa. Vede, Rev.mo Padre generale, ciò che mi spinge a domandarle questo grande favore è la grande paura che provo che col lungo andare, finirò per attaccarmi al quieto vivere qui in Italia e così perdere lo spirito missionario che ancora mi anima. Poi ho già 50 anni e più; quindi ancora 10 e poi sono fuori uso. Quindi, Rev.mo padre, la prego tanto tanto, mi metta in lista e non mi faccia soffrire più oltre, tanto più che adesso è ricco e ha tanti missionari a sua disposizione tutti buoni e desiderosi di partire. Chiedendole la sua comprensione prima e la sua benedizione, mi dico sempre di sua Paternità Reverendissima, suo umilissimo figlio in C.J. P. A. Lombardi FSCJ".
Quando arrivò il sospirato permesso di andare in Uganda, p. Angelo scoppiò in un inno di gioia: "Sapevo che lei avrebbe mantenuto le sue promesse ... Il Signore è troppo buono con me ... Ora intensifico la mia preparazione spirituale per poter fare qualcosa e riparare le magagne passate". Poi un tocco molto delicato: "Mia mamma è contenta che parta ancora una volta per le missioni e mi ha dato la sua benedizione dicendomi: 'E' vero, è un gran sacrificio, ma dobbiamo saperlo fare per amore del Signore e per la nostra salvezza"'. La lettera, lunghissima, termina con un pensiero al Sudan: "Povero nostro Sudan! Poveri preti! Poveri seminaristi! Poveri cristiani! C'è proprio da pregare e da soffrire molto perché venga finalmente il sole! ".
Koboko e Adjumani lo ebbero ancora come coadiutore dal 1965 al 1971. Poi un anno di vacanze in Italia e quindi a Moyo come cappellano dell'ospedale. P. Angelo amava parlare ed ascoltare, senza fretta, senza agitazione. E ciò incontrava il gradimento degli africani, per cui passò un periodo molto sereno. E poté fare anche del gran bene. Erano gli "ultimi regali" che il Signore gli faceva prima della lunga passione.
Il Calvario
La salute intanto cominciava a venir meno. Benché il padre avesse poco più di 60 anni, si sentiva estremamente stanco nel corpo e abbattuto nello spirito. In più, una forma di artrosi lo stava piegando, per cui doveva usare il bastone. Rimpatriato, si ritirò a Verona e poi a Gordola in riposo per vedere se gli tornavano le forze e il coraggio. Le cure a Verona tra il 1978 e il 1980 si dimostrarono poco efficaci. Allora si ritirò ad Arco di Trento, deciso a dedicare la sua vita esclusivamente alla preghiera e all'offerta dei suoi disturbi. Questa accettazione è esplicita in una lettera al padre generale: "Dopo aver provato a destra e a sinistra questo e quest'altro rimedio con la speranza di rimettermi in salute e di poter tornare in missione, penso e credo, nel Signore, che sia venuto il momento di decidermi a dedicare il tempo che il Signore mi concederà, alla preghiera e all'offerta dei miei disturbi per il bene delle anime. Rinunciare all' Africa, lei lo sa, mi costa sangue. Ma prima di tutto, solo e sempre la volontà del Signore".
Nel 1979 aveva scritto: "Mi hanno detto che non guarirò più. Ma questo non fa niente perché ciò non mi impedisce di essere missionario lo stesso, anzi, posso esserlo in un modo migliore. La mia malattia consiste in un continuo alto e basso: tre mesi sto bene, tre mesi sono depresso da morire. E sempre così. Ma io mi accetto per amor del Signore e delle anime. Anzi le dico, reverendo padre generale, che questa non è una malattia, ma un grandissimo dono. Quando ero piccolo mia mamma mi diceva che dobbiamo essere tristi solo quando non abbiamo niente da soffrire. Soffrire con Gesù è bello, anche se durante la sofferenza si vede tanto buio. Preghi tanto per me".
Ad addolcire questo suo calvario ci fu l'ordinazione sacerdotale del comboniano p. Ambrogio Piazza, suo secondo cugino. P. Lombardi amava raccontare che, al rientro dalla missione per un po' di vacanze, incontrando sua cugina le aveva detto: "Io sto diventando vecchio. Non daresti uno dei tuoi figli perché prenda il mio posto quando non ci sarò più?". La donna rispose: "Li darei anche tutti, se Dio volesse". P. Angelo, mentre iniziava il suo difficile cammino di malato, ebbe la gioia di vedere il parente partire per la missione.
Come poteva, cercava sempre di animare missionariamente quanti avvicinava. Un giorno a Verona parlò ad un gruppo di zelatrici della vocazione missionaria. Poi disse ad una bambina che lo aveva ascoltato con particolare attenzione: "Ti faresti missionaria?". "Sì - rispose costei - ma la mamma avrà qualche difficoltà perché sono figlia unica". "Ebbene, dì subito alla mamma di farti una sorellina". Sotto queste battute (e ne diceva tante) c'era un grande amore per la missione. Fu proprio questo amore a sostenerlo nei quasi quindici anni di tribolazione, insieme alla carità di p. Ponzoni. Nel 1986 andai a predicare gli esercizi spirituali ai confratelli di Arco. P. Lombardi, alla mia domanda sul suo stato di salute, rispose: "Finché vive Ponzoni, ce la farò anch'io. E' una mamma". Infatti 18 giorni dopo la morte di p. Luigi,' anche p. Angelo l'ha seguito in Cielo.
Scrive fr. De Gasperi da Arco: "Non ho conosciuto la vita di p. Lombardi quand'era in missione. Mi dicono che era assiduo specie nell'insegnamento del catechismo ai ragazzi, cosa che faceva volentieri e con frutto perché nel cuore era uno di loro. Qui ad Arco gli siamo stati tanto vicini e, nonostante i suoi acciacchi seguiva con fedeltà tutte le pratiche di pietà. Qualche volta si lamentava ma era la sua depressione che lo tormentava. Tuttavia reagiva rifugiandosi in chiesa. Un giorno lo udii esclamare: Almeno i miei lamenti ascoltali tu Signore, che pur ti sei lamentato nell'Orto! '.
La morte improvvisa, il 25 settembre ore 12.30 ci sorprese. Non ce l'aspettavamo, perché eravamo appena seduti a tavola per il pranzo. Il medico ha diagnosticato che è stato vittima di un infarto fulminante". La sua salma riposa nel cimitero del suo paese. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 157, aprile 1988, pp. 73.78