In Pace Christi

Arrighi Carlo

Arrighi Carlo
Date of birth : 09/07/1912
Place of birth : Cantù CO/I
Temporary Vows : 07/10/1932
Perpetual Vows : 07/10/1937
Date of ordination : 02/04/1938
Date of death : 04/04/1984
Place of death : Rebbio CO/I

Il suo parroco garantì che «Carlo Lorenzo Arrighi tenne sempre ottima condotta religiosa e morale. In questi ultimi tempi frequenta con maggiore pietà ed assiduità la santa comunione» (Cantù, 9 gennaio 1927). Da Cantù, dove era nato il 9 luglio 1912, Carlo passò alla nostra scuola apostolica di Brescia. Qui vi rimase per tre anni e mezzo, fino alla quarta ginnasio. Il 13 agosto 1930 fece domanda di entrare in noviziato anche se non aveva fatto la quinta. Gli fu concesso. A 20 anni compiuti, il 7 ottobre 1932, emise i primi Voti a Venegono. Fu prefetto dei ragazzi a Troia... «Non dimentico mai le cavalcate che facevo con lui e con De Lai» dice Fratel Pio Gasparotto, e a Padova ... «Prima di andare a scuola in seminario - afferma Fratel Cristele - sgusciava dentro la dispensa e si riempiva le tasche di frutta; era robusto e aveva sempre fame». Con i ragazzi ci sapeva fare, perché era molto vivace, scherzoso e sempre contento. Al momento opportuno, però, riusciva a farli rigare dritto. Nelle testimonianze dei confratelli che sono cresciuti nelle nostre scuole apostoliche di Troia e di Padova, troviamo parole di elogio per l'intraprendenza di Arrighi. Anche i giudizi dei superiori concordano in questo: «È un ottimo religioso e missionario. Forse si dedica troppo ai lavori materiali di meccanica e falegnameria. Però è molto zelante nei suoi doveri di ministero» . Che fosse un uomo portato per le cose pratiche più che per quelle teoriche lo dice anche il fatto che, in tutta la sua vita missionaria, scrisse ai superiori una sola lettera la quale comincia con queste parole: «Questa volta faccio uno sforzo: ripulisco la ruggine dalla penna per non mancare di porgerle i miei più sentiti e cordiali auguri per San Gaetano». Arrighi non aveva bisogno di scrivere perché era un uomo contento e soddisfatto della sua vita, così come veniva, giorno per giorno.

Ordinato sacerdote a Padova il 2 aprile 1938, fece per un anno l'economo a Como e poi, nel 1939, partì per il Sudan meridionale. Mupoi e Raffili per 9 anni come «soldato semplice », un po' di vacanza in Italia, e poi di nuovo giù fra le zanzare di Raffili (1948) . Ma non doveva restarci molto. La sua vera missione stava per cominciare.

L'uomo dell’acqua

La missione di Raffili, tra i Belanda Bor ebbe uno strano destino: per ben quattro volte dovette cambiare di posto allo scopo di seguire le migrazioni della gente. Ultima tappa di questi spostamenti fu una collinetta in luogo salubre nei pressi di Kpaile. Kpaile quindi deve essere considerata come la naturale continuazione di Raffili. E Kpaile assorbirà gli ultimi 16 anni di vita africana di padre Arrighi, come superiore. Il problema numero uno di questa missione fu quello dell'acqua. Nonostante i 6 pozzi scavati con enormi sacrifici, per avere un po' d'acqua bisognava percorrere i 21 chilometri che separarono Kpaile da Raffili per dissetarsi. Alla fine del 1950 la missione si spostò su una terza collina (anche la seconda si era mostrata priva di acqua), e qui, alla sola profondità di 7 metri si trovò una vena buona e abbondante. «Merito di questi laboriosi inizi - dicono le cronache del tempo - va a padre Arrighi e a Fratel Pagliani e poi a Fratel Gilli e a Fratel Zanetti». Padre Broggini per festeggiare l'avvenimento, vi arrivò portando la statua della Madonna Pellegrina. La casa per i maestri, la scuola femminile e maschile e le altre opere che un po' alla volta sorsero coprendo la collina, innalzarono le «azioni» di padre Arrighi. La sua notorietà divenne così vasta che, quando un uomo si uccise saltando giù dal furgone di Fratel Gilli, egli riuscì a tener calma la folla e a dimostrare che il fratello era completamente innocente. Durante l'epidemia di vaiolo del 1954 padre Arrighi mise mille volte a repentaglio la vita per non lasciar morire nessuno senza i conforti religiosi. Altrettanto fece quando scoppiò la meningite. Il suo esempio e quello dei confratelli, che toccò punte di eroismo, finì per smuovere le masse verso la Chiesa. Anche con i malati di lebbra padre Arrighi ci sapeva fare e si donava senza risparmio. Sorsero intanto dormitori ed aule per gli scolari e i catecumeni. Accanto all'officina fu costruito il magazzino- granaio; più in là cera la segheria. Padre Arrighi, naturalmente, passava il suo tempo libero a progettare e costruire banchi e sedie, porte e finestre. Nel 1957 cominciarono a correre voci che il Governo avrebbe nazionalizzato le scuole. Padre Arrighi si diede subito d'attorno per costruire la casa dei missionari (che fino allora alloggiavano in un dormitorio della scuola). Contemporaneamente venne scavato un ultimo pozzo, il sedicesimo della serie, perché la missione, ingrandendosi, aveva sempre più bisogno di acqua. Il motore e la pompa, che procurò a Khartoum, rifornirono i locali di acqua corrente. Nell'unica lettera ricordata, padre Arrighi invitava padre Briani, Generale, a visitare la missione. «Kpaile è bella e attraente. Acqua corrente in tutte le stanze e luce elettrica. Venga e vedrà. Anche il lavoro nostro prosegue bene. Però il nodo si stringe sempre di più, ma noi facciamo ogni sforzo per tirare il fiato e continuare nella lotta ... ».

Un sogno rimasto sogno

Continua la lettera: «Anche il permesso della chiesa è di là da venire. Forse ce lo daranno per il giorno del giudizio! Ma anche allora domanderò di poter tornare a Kpaile per costruirla e così farla in barba al diavolo» (Kpaile 28 luglio 1961). La chiesa, per la quale padre Arrighi aveva riservato il posto migliore sulla sommità della collina, resterà un sogno. Prima della chiesa in mattoni, il Padre aveva voluto costruire quella spirituale, fatta di uomini, di donne, di vecchi e di bambini. Nella vicina Raffili era sorto il noviziato dei Fratelli Indigeni. A Kpaile i catecumeni aumentavano sempre di più. Nessuno voleva morire senza sacramenti. La tribù aveva il suo primo sacerdote, Pietro Magalasi, segno che del lavoro se n'era fatto. Perché era anche il momento della chiesa in mattoni. Ma ormai i tempi stavano cambiando . I cristiani erano visti di malocchio e una sorda persecuzione serpeggiava qua e là. Il Signore benediceva in altro modo ... un esempio: la grande siccità del '59 aveva affamato la popolazione. Dopo tre giorni di inutili danze forsennate di tre stregoni e di grida della gente sulle tombe degli antenati e presso i trofei di caccia, gli stregoni stessi sentenziarono che non pioveva perché la gente non andava alla preghiera. Il grande capo, allora, informò il Padre che lui con tutta la gente sarebbero arrivati in missione per la preghiera la domenica seguente. Padre Arrighi ne approfittò per parlare della fiducia nella Provvidenza e per scuotere gli animi intiepiditi. Finì il sermone assicurando che il giorno dopo sarebbe arrivata la pioggia. Durante la notte si scatenò il diluvio. La gente tirò le conclusioni. Le scuole intanto furono nazionalizzate e per i missionari e i cristiani la persecuzione si fece palese. Per contro, i seminaristi della zona erano una ventina e due degli aspiranti alla Congregazione dei Fratelli. I missionari però erano allo stremo delle forze. Agli acciacchi dovuti al super lavoro, per padre Arrighi si aggiunse il malanno agli occhi che si trascinava da molti anni. Così arrivò il 1964, l'anno dell'espulsione in massa.

Vent'anni di animazione

Restavano ancora vent'anni di vita a padre Arrighi. Dopo alcuni mesi trascorsi a Milano in Via Giuditta Pasta come coadiutore, passò definitivamente alla casa di Rebbio dove si dedicò ad una intensissima attività sacerdotale: ritiri, incontri, confessioni. La sua parola facile e convinta lo fece conoscere e ricercare nella zona, soprattutto dai vari gruppi che lo volevano come animatore. Finché la salute glielo permise servì la comunità come economo mostrandosi estremamente disponibile e servizievole con i confratelli della casa e con quelli di passaggio. La casa di Rebbio occupava un posto di preminenza nel cuore del Padre in quanto era stato lui, con Padre Figini, ad acquistarla e a trasformarla da Vetreria qual era in seminario per futuri missionari. Poi il cuore cominciò a non funzionare bene. Si sottopose a tre operazioni. Dopo la terza il suo fisico già troppo provato, non riuscì a farcela. La malattia è stata la «debolezza » in cui il Signore si è potuto pienamente manifestare. Nella sofferenza, infatti, si è vista la tempra apostolica di padre Carlo. Durante una celebrazione comunitaria volle ricevere l'olio degli infermi esprimendo sentimenti bellissimi. Il suo ottimismo, anche quando il male era acuto, non venne mai meno, anzi ci scherzava. Mezz'ora prima dell'ultima operazione chiese a un amico di recitargli l'Ave Maria (era devotissimo alla Madonna. Ogni anno organizzava pellegrinaggi a Lourdes) e ai confratelli: «Pregate per me; se non ci vedremo, mi vedrete voi». Morì assistito dalle suore e dai confratelli della casa di Rebbio. I funerali si svolsero nella sua parrocchia di San Teodoro a Cantù, dove fu sepolto. Il ricordo che ci lascia è quello di un missionario gioviale e sereno con tutti, anche nei momenti di tribolazione, ed entusiasta della sua vocazione.            P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 142, luglio 1984, pp. 66-69