In Pace Christi

Dal Maso Silvio

Dal Maso Silvio
Date of birth : 03/11/1912
Place of birth : Arzignano VI/I
Temporary Vows : 07/10/1936
Perpetual Vows : 11/02/1939
Date of ordination : 16/04/1939
Date of death : 03/05/1979
Place of death : Pakwach/UG

LE DUE VITTIME DI PAKWACH

                Breve relazione sulla morte dei Padri Antonio Fiorante e Silvio Dal Maso

                (Scritta da P. R. Dellagiacoma su indicazioni di P. Dall'Amico, 14.5.1979)

                Sr. Paola, della comunità delle Suore di Maria Immacolata di Pakwach, ha riferito ad Angal quanto segue.

                Giovedì 3 maggio verso le 4 pomeridiane dei soldati si presentarono in missione a Pakwach e chiesero benzina. Il Padre fece presente che non ce n'era più e allora vollero controllare i magazzini. Trovarono della nafta e rotolarono il fusto verso la strada principale.

                Alla sera verso le 21-21.30 le Suore sentirono abbaiare i cani e gente che parlava ad alta voce nella casa dei Padri. Non si mossero. Subito dopo si presentò qualcuno al cancello delle suore, cercarono di aprire il lucchetto e poi si allontanarono senza forzarlo, dicendo in swahili che sarebbero tornati.

                Venerdì 4 maggio la Teresa, incaricata dei catecumeni e Sr. Paola, la superiora delle suore, trovarono la chiesa chiusa ancora alle 7 circa. Si portarono alla casa dei Padri e trovarono la porta d'ingresso spalancata, e così pure tutte le porte interne. Entrate nella stanza di P. Fiorante trovarono il Padre Fiorante supino a terra, nudo, con una corda legata (non stretta) al collo, e una ferita all'orecchio e una sulla tempia opposta (una pallottola entrata dall'orecchio e uscita dall'altra parte). La faccia era nera, senza segni di sangue fuori. Sulla schiena vi erano anche segni di colpi, presumibilmente era stato colpito con scarponi o fucile, il ventre gonfio. Non vi erano altri segni di battiture. La corda era legata ad una gamba del letto.

                P. Silvio era sdraiato a terra, con la faccia rivolta in alto, coperto solo di una canottiera o maglietta. Gli avevano legato i piedi insieme con uno spago. Aveva una ferita (di arma da fuoco) che attraversava il collo da un lato all'altro; aveva perso molto sangue e non aveva altre ferite. Nella mano sinistra stringeva il rosario.

                La casa era svaligiata, bottiglie di birra vuote per terra.

                Vista la scena la Suora fece uscire la donna, rivestì alla meglio i padri. Subito si adunò altra gente; 4 soldati locali tennero la gente lontana dalla casa. Cercarono altri soldati locali (sfuggiti dalle varie caserme e a casa loro). Decisero di seppellirli ad Angal dove c'erano ancora i Padri e Suore. Cercarono benzina e verso le 11 antimeridiane con una landrover dei soldati e un pick-up, misero i 2 cadaveri su due materassi sul pick-up, vi salì qualche soldato armato, mentre altri soldati armati di scorta salirono sulla landrover con le Suore.

                Arrivarono ad Angal verso mezzogiorno e un quarto. P. Bono era a dir messa fuori e li accolse P. Dall'Amico. I 2 cadaveri furono portati davanti all'altare in chiesa sui materassi, le Suore Pie Madri li lavarono, fasciarono le ferite. Nel frattempo scavarono un'unica fossa dove furono deposte le 2 bare una vicina all'altra. Fr. Magistrelli preparò 2 casse da morto. Dopo il suono del tamburo incominciò ad arrivare la gente che incominciò a pregare. Alle ore 17 concelebrazione con Mons. Paolo Jalcebo e i Padri Dall'Amico, Bono, Negrini che era lì da Orussi per caso. Ci saranno state circa 500 persone. Portate a spalle dalla gente furono sepolte, finendo verso le 18.30.

                Sr. Paola e la sua compagna restarono ad Angal, lasciando Pakwach vuota.

                La bara di P. Silvio era lunga 2 metri, quella di P. Fiorante 1.80. Furono seppelliti vicino alla tomba di Fr. Cò.

                Il sabato P. Dall'Amico e Fr. Gilli e alcune suore si portarono in Zaire. Rimasero Mons. Jalcebo, P. Bono, Fr. Magistrelli e 3 Pie Madri.

*****

Etiopia, Sudan e Uganda furono i tre campi di lavoro che impegnaro­no successivamente lo zelo missiona­rio di P. Silvio; tre attività interrot­te da tre guerre, pur di natura diversa. Tre volte coinvolto e sbal­lottato e finalmente barbaramente ucciso da eventi più grandi di lui. Due volte riprese il cammino della missione, modestamente, caparbia­mente, silenziosamente, come l'unico che gli fosse congeniale.

Nato in Pugnello di Arzignano, diocesi e provincia di Vicenza, fre­quentò il Seminario di Vicenza fino all'inizio della prima teologia. Ma­nifestata la sua intenzione di farsi missionario. Fu incoraggiato dal Vescovo (Mons. Rodolfi) e dal Rettore del Seminario, ma ebbe uno scru­polo che gli fece ritardare la do­manda e l'ingresso; lasciava a casa la mamma con una sola sorella. La mamma però dichiarò generosamen­te per iscritto che lasciava andare il figlio e non aspettava niente da lui e dall'Istituto.

Fu così che il 3 dicembre 1934, ventiduenne, Dal Maso entrò nel no­viziato di Venegono (VA), raccomandato da P. Vianello e accolto da P. Me­roni. Compiuto il noviziato emise la professione il 7 ottobre 1936 e dopo un anno di scolasticato a Ve­negono, terminò la teologia a Ve­rona. La seconda guerra mondiale era nell'aria e l'ordinazione sacer­dotale fu anticipata di qualche mese (16 aprile 1939).

Nell'ottobre dello stesso anno veniva inviato in Etiopia e spese otto anni, tra ministero e prigionia, parte a Gondar e parte ad Asmara. Un estratto di un giornale di Asma­ra di quegli anni gli attribuisce il merito principale della costituzione dell'Associazione Sportiva Santa Bar­bara al Villaggio Genio di Asmara.

Suor Franceschina Aquilino, che lo conobbe ad Asmara negli anni '40, nell'apprendere la sua morte, diede questa testimonianza, che ri­specchia fedelmente Padre Dal Ma­so: “Era rispettoso e affabile con tutti, era molto umile, rispondeva con un sorriso; chi cercava P. Dal Maso, se non era fuori per il suo ministero, lo trovava in chiesa con il suo rosario in mano. In casa era circondato dai ragazzi; con il suo sorriso buono era amato e rispettato da tutti. Non sembrava che ci fosse in casa, tanto era silenzioso, ma la sua partenza (da Asmara) ci ha la­sciato esempio di bontà e virtù re­ligiose che non abbiamo dimenti­cato”.

Terminata la guerra e la prigionia, non restavano prospettive di attività missionaria in Etiopia. Nel 1947, dopo una breve permanenza in Italia, otteneva di partire per il Sudan e precisamente il Bahr el Ghazal. Nel maggio il Vicariato era passato sotto la direzione di Mons. Edoardo Mason e, specie grazie alle scuole, era aperto alle migliori prospettive apostoliche.

Nel Bahr el Ghazal rimase fino all'ottobre 1963 - con una vacanza di 9 mesi nel 1952 - dapprima co­me coadiutore e poi come Superiore e parroco in varie stazioni tra i Denka: Mayen e Abyei, Thiet, Wa­rap e Kuajok. P. Bono attesta: “Tra i Denka tutti ricordano le sue fati­che là nelle paludi e i suoi viaggi quindicinali a cavallo, quando si poteva, o a piedi, per recarsi a visitare i cristiani della lontana Abyei (che rimaneva tagliata fuori per vari mesi all'anno a causa delle piogge)”. Il P. Dal Maso scriveva da Mayen nel luglio 1962: “Le do una bella notizia: il Governatore di Wau ci ha dato il permesso di ri­fare la nostra chiesa di Mayen, buttando giù la vecchia e rifarla più larga e più lunga [si noti che era appena uscita la Legge sulle Società Missionarie]: verrà una bella chie­sa. Deo gratias et Mariae... (Mayen) è la stazione più tagliata fuori e specie lo scorso anno con grande inondazione - acqua da per tutto...”. Dopo sedici anni di permanenza nel Sudan riceveva un ordine della polizia di andarsene “perché lo sco­po per cui era entrato nel paese non sussisteva più”.

Dopo alcuni mesi di vacanze stette per qualche tempo nella casa di Thiene ed aiutò nel ministero. Nel novembre 1964 partecipò al primo Corso di aggiornamento della Congregazione, fino al maggio 1965, e poi chiese di andare ancora in missione.

A 53 anni incominciava da capo il lavoro missionario nella zona Alur della diocesi di Arua in Ugan­da. L'apprendimento della lingua fu facilitato dall'affinità tra l'alur e il denka che aveva imparato nel Su­dan.

Incominciò il suo lavoro pastorale come coadiutore a War e Zeu; in quest'ultimo posto fu anche superio­re e parroco per un anno, ma dal 1967 rinunziò alla responsabilità di una parrocchia. Fu sempre disponi­bile per varie parrocchie della zona, finché nel 1972 fu destinato a Pa­kwach, sul Nilo, uno dei luoghi più caldi e infestati dalle zanzare.

P. Bono dà questa testimonianza: “Era un vero Missionario dello stampo antico, incurante di fatiche e disagi, venduto veramente alla causa di Dio, sempre in movimento per visitare i cristiani, per ammini­strare i Sacramenti, per confortare e consolare. Era poi uomo di gran­de preghiera. Si alzava al mattino prestissimo e subito in chiesa per la recita dell'ufficio e per la medita­zione e quanti rosari recitava sol­tanto la Madonna li avrà contati.

Quando poi era libero si trovava in chiesa davanti al Santissimo. Non amava troppo le novità dell'aposto­lato e preferiva i metodi antichi, ma sempre moderni”.

A riguardo della preghiera, tipico questo suo commento ad una frase letta nel “Bollettino” in cui si con­dannava la tendenza, in noviziato, ad accumulare le pratiche religiose. “Io invece penso che il noviziato va bene appunto perché ci sono molte pratiche religiose, come lo era ai nostri tempi: si pregava molto e mai nessuno ci ha detto che si pre­gava troppo e allora le cose anda­vano molto meglio di adesso".

La morte di P. Silvio Dal Maso fu improvvisa e violenta; eppure fu trovato con il rosario in mano!

Da una relazione di P. Luigi Sa­la, che purtroppo ci è giunta troppo tardi per poter essere riportata in­teramente, citiamo alcune frasi. “Eb­bi la fortuna di vivere accanto a P. Dal Maso per cinque anni nella missione di Pakwach. Vi arrivò nel gennaio 1972 dalle belle missioni delle montagne alur, ‘per qualche mese’: vi rimarrà fino alla sua tra­gica morte... Amava i safari, spe­cialmente nelle due zone particolar­mente dure di Mutir e Ragem. Fu a Mutir che venne eretto uno dei primi centri eucaristici della dioce­si, e la vita cristiana rifiorì.

In safari viveva nella più stretta povertà; camminava di capanna in capanna, instancabile. Di notte, il caldo, le zanzare e i pipistrelli gli impedivano il sonno; eppure P. Sil­vio ci viveva settimane intere e non si è mai lamentato.

Particolari cure ebbero da lui i chierichetti, l'Azione cattolica e i po­veri. Aveva un cuore sensibilissimo: quando gli morì tra le braccia il giovane cuoco che lo accompagnava nei safari, lo pianse come un figlio. Insisteva con i cristiani perché aiu­tassero i più bisognosi; era duro con chi, potendo, non voleva dare o pretendeva di ricevere senza ragione.

La sua povertà era assoluta. Si vestiva spesso di vestiti di seconda mano che arrivavano dall'Italia. La sua stanza non conteneva nulla di nuovo o costoso: nessuna macchina fotografica, né registratore, né altri oggetti superflui.

È stato un vero martire dell'obbe­dienza. Mandato a Pakwach ‘per qualche mese’, aveva espresso tante volte il desiderio di ritornare sui monti dove il clima era fresco e la fede dei cristiani più viva. Ma non essendo possibile una sostituzione, non insistette mai per essere trasfe­rito: ‘Questa - diceva - è una vera missione, difficile, con ancora molti pagani; sarebbe un tradimento la­sciarli soli'. Restò e vi trovò il martirio”.

Da Bollettino n. 125, luglio 1979, pp.75-79

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Etiopia, Sudan e Uganda:

i tre campi di lavoro che impegnano successivamente

lo zelo missionario di p. Silvio;

tre attività interrotte da altrettante guerre, anche se

di natura diversa.

Per tre volte ne è coinvolto

e sballottato. Tre volte riprende

il cammino della missione, modestamente, caparbiamente, silenziosamente.

Come fosse l’unica cosa

che gli riesce congeniale.

Alla fine, viene

crudelmente ucciso

da eventi più grandi di lui.

 

 

Nato nella diocesi di Vicenza, frequenta il seminario diocesano fino all’inizio della primo corso di teologia. Manifestata la sua intenzione di farsi missionario, è incoraggiato dal vescovo (mons. Rodolfi) e dal rettore del seminario. Ha però uno scrupolo, che gli fa ritardare la domanda e l’ingresso: deve lasciare la mamma con una sola sorella. La mamma, però, dichiara generosamente per iscritto la sua disponibilità a lasciar partire il figlio: «Non mi aspetto nulla né da lui né dall’Istituto. La volontà di Dio va sempre fatta». Così, il 3 dicembre 1934, a 22 anni, Silvio entra nel noviziato di Venegono Superiore (Varese). Ha una lettera di presentazione firmata dall’ex superiore generale dei Comboniani. p. Federico Vianello; ad accoglierlo in noviziato, un altro ex superiore generale: p. Paolo Meroni.

Fa la professione religiosa il 7 ottobre 1936. Termina i corsi teologici a Verona.

La seconda guerra mondiale è nell’aria e quindi l’ordinazione sacerdotale viene anticipata di qualche mese: 16 aprile 1939.

Nell’ottobre 1939 è inviato in Etiopia, dove trascorre otto anni, tra ministero e prigionia, in parte a Gondar e in parte ad Asmara. Un articolo di un quotidiano di Asmara di quegli anni gli attribuisce il merito principale della costituzione dell’Associazione sportiva “Santa Barbara” al Villaggio Genio di Asmara.

Suor Franceschina Aquilino, con lui ad Asmara negli anni ‘40, lo ricorda così: «Era rispettoso e affabile con tutti. Era molto umile. Rispondeva sempre con un sorriso. Chi cercava padre Dal Maso, se non era fuori per ministero, sapeva di poterlo trovare in chiesa con il rosario in mano. In casa era circondato dai ragazzi. Grazie al suo sorriso buono, era amato e rispettato da tutti. Era tanto silenzioso da dare l’impressione che non fosse mai in casa. Ci ha lasciato esempi di bontà e virtù religiose che non ho mai dimenticato».

 

Nel 1947, dopo una breve permanenza in Italia, parte per il Sudan, destinato al Bahr el-Ghazal. Vi sono molte scuole e le prospettive apostoliche sono ottimali. In Bahr el-Ghazal, p. Silvio rimane fino all’ottobre 1963: prima come coadiutore e poi come parroco in varie missioni tra il gruppo etnico denka: Mayen, Abyei, Thiet, Warap e Kwajok.

P. Lorenzo Bono attesta: «Tra i denka tutti ricordano le fatiche di padre Silvio, là nelle paludi, e i suoi viaggi quindicinali a cavallo, quando si poteva, o a piedi, per recarsi a visitare i cristiani della lontana Abyèi, che rimaneva tagliata fuori per vari mesi all’anno a causa delle piogge».

Dopo 16 anni di permanenza nel Sudan, riceve un ordine della polizia di andarsene, «perché lo scopo per cui è entrato nel paese non sussiste più». Ed è espulso con tutti gli altri dal Sud Sudan.

 

Dal novembre 1964, partecipa al primo corso di aggiornamento che l’istituto ha messo a punto per i propri membri. A maggio 1965 chiede di tornare in missione. Ed è accontentato: a 53 anni, incomincia da capo in Uganda, nella diocesi di Arua, fra il gruppo etnico degli alur. È coadiutore prima a War, poi a Zeu. Per un anno, è superiore e parroco di Zeu, ma rinunzia alla responsabilità di una parrocchia. Presta il proprio servizio in altre missioni, finché nel 1972 è destinato a Pakwach, sul Nilo, uno dei luoghi più caldi e infestati dalle zanzare.

Di questo periodo è ancora padre Bono a dare testimonianza: «P. Silvio era un missionario dallo stampo antico, incurante delle fatiche e dei disagi, venduto veramente alla causa di Dio. Era sempre in movimento per visitare i cristiani, per amministrare i sacramenti, per confortare e consolare. Ed era uomo di grande preghiera. Si alzava al mattino prestissimo per recarsi in chiesa per la recita del breviario e per la meditazione. Diceva molti rosari. Quando era libero, lo si trovava in chiesa davanti al Santissimo. Non amava le novità nell’apostolato: preferiva i metodi antichi, che lui definiva “sempre moderni”».

Avrebbe voluto tornare fra gli alur, ma restò a Pakwach e vi trovò il martirio. La sua morte arrivò improvvisa e violenta, eppure fu trovato con il rosario in mano.

(Dalla serie “I Martiri” preparata a Verona da P. Romeo Ballan, 14.9.2010)

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Padre Silvio Dal Maso

El misionero “de carga”

Consiguió no enojarse nunca. Toda su vida le atormentó una duda; el sufrimiento que causó a su madre con su despedida.

La casita a mitad de la pendiente, con el establo y el pajar al lado, estaba protegida por un grupo de árboles que le daban sombra durante el verano y la defendían del viento en los crudos meses invernales. En este paraje digno de un buen cuadro, en Pugnello di Arzignano, provincia italiana de Vicenza, nació el 3 de abril de 1912 Silvio Dal Maso, último de cuatro hijos: dos niñas y otro niño mayores que él.

Su madre, Stefania Marzotto, por la mañana y por la no che reunía a sus hijos delante del cuadro del Sagrado Corazón y les hacia rezar una "gloria" por Alfonsito que se había ido al cielo a los pocos meses de nacer, y tres "requiem" por su padre, muerto de pulmonía antes de que Silvio viniese al mundo.

Como hablar de eso a su madre

Estaba acabando sus estudios de primaria. Silvio crecía sano y robusto, así que es natural que se encargara de dirigir la pequeña finca. Era el único varón de la familia y siempre había mostrado inclinación a las faenas del campo.

Sabia perfectamente cuando era tiempo de arar, de sembrar, de cavar y de cosechar. Como no tenia padre, parecía un adulto prematuro y era más serio y reflexivo que los compañeros de su edad. Sin embargo, su madre, temiendo que su hijo no conociera la infancia, lo mandaba a jugar con los otros, aunque él, después de haber hecho las tareas y de estudiar la lección -en lo que ponía gran empeño-, decía:

-Me basta el sábado por la tarde y el recreo del colegio; ahora voy contigo al campo... También el trabajo es un juego, si se hace con entusiasmo.

La madre no insistía, porque el trabajo abundaba y Silvio no daba señales de aburrimiento ni de cansancio.

En realidad, a Silvio le encantaba estar lo mas posible con su madre porque sabia que pronto tendría que dejarla. Era un deseo secreto que llevaba en su corazón desde siempre y que se había acrecentado muchísimo después de su Primera Comunión.

Leyendo un libro de relatos misioneros le había venido el deseo de partir para aquellas tierras a "salvar almas". Además, su madre tenia la costumbre de rezar con sus hijos un Avemaría por los misioneros.

Su secreto se reveló un día que el párroco le pregunto qué pensaba hacer cuando acabara los estudios primarios.

-Quisiera ser misionero -respondió sencillamente. - ¡Misionero! ¿Y vas a dejar a tu madre para irte tan lejos? ¡No, el Señor no puede exigir esto de ti, no puede pedírselo a tu madre!

Silvio se puso triste, bajo la cabeza y, con la resignación propia del campesino ante una desgracia inevitable, respondió:

-Llevaba mucho tiempo pensándolo, pero si usted dice que me equivoco, procuraré no pensarlo mas. Sé muy bien que haría sufrir mucho a mi madre y a mi hermana. Y también para mi es un paso muy duro... Podré esperar un poco para ver si realmente estoy equivocado.

El párroco cerro los ojos y se quedo pensando en las ultimas palabras de su monaguillo. Como buen conocedor de las almas, había comprendido mas de lo que el niño había dicho. Silvio tenia vocación y la defendería, aunque con su carácter apacible no osaba oponerse al parecer del sacerdote.

-Oye, Silvio -le dijo el párroco al día siguiente al acabar la misa-, podrías entrar en el seminario diocesano. Dentro de doce anos serias sacerdote, tendrías tu parroquia y tu madre viviría contigo. (No te parece bien?

-¿Y Josefina?

-No pienses en ella. Es guapa y se casara a su tiempo.

-¿Se contentara el Señor con que yo sea párroco habiendo tantas personas que bautizar en Africa?

Al párroco le hubiera gustado responder que el Señor estaba contento, pero se callo porque no se sintió con derecho a reemplazar a Dios en una cuestión tan importante. Por eso se limito a decir:

-Mira, por el momento yo te aconsejo que vayas al seminario diocesano y luego ya veremos. Tu iras creciendo y comprenderás mejor la voluntad del Señor sobre ti.

-¿Corno me las arreglo para decírselo a mi madre?

-Si quieres, yo le hablaré.

Silvio callo un momento, luego dijo:

-No, no; gracias. Se lo diré yo esta noche antes de acostarme.

A la mañana siguiente el niño se presento en la iglesia radiante de alegría.

-Me dijo que esta contenta de que me vaya al seminario y hasta piensa que es una gracia que mi padre y mis hermanos me han obtenido desde el cielo.

     -¿Le has hablado también de los africanos?

     -No, he hablado solo del seminario. Usted me sugirió esperar para lo otro.

     El párroco sonrío frotándose las manos.

El eterno refrán

Silvio no encontró difícil la vida del seminario. Estaba habituado desde siempre al sacrificio y a las renuncias. Incluso, cuando estaba en casa, tenia que madrugar para ir a misa.

Cada vez que Silvio iba de vacaciones hablaba largamente con el párroco de su vocación.

-¿Sabe?, yo no estoy seguro de que éste sea mi camino. No concibo verme encerrado en una casa parroquial con 500 o 1.000 personas a mi cargo.

-Cálmate, Silvio: sacerdote diocesano o misionero, en cuanto a estudio es lo mismo. Sigue adelante y ya veremos.

-Siempre lo mismo: "ya veremos", señor párroco; pero yo estoy seguro de que en un seminario misionero me prepararía mejor a la vida de misión. En Vicenza nos preparan solo a ser buenos párrocos.

-Es lo mismo: basta amar al Señor y a las almas; el resto viene por si solo. Piensa en el caso de tu madre... Si tuvieras otro hermano, seria distinto; pero eres el único hijo.

-Ahí esta también Josefina.

-Josefina tendrá una familia suya, se ira de la casa dejando sola a tu madre.

-¿Y si ella la deja sola por un hombre, no puedo hacer lo mismo por el Señor?

- Tienes razón, perdóname... ¡Precisamente a ti te tenia que mandar el Señor la vocación misionera!

-Parece que usted se enoja con Dios porque ha escogido a uno de sus feligreses -comentó Silvio sonriendo.

Así acababan las vacaciones, pasadas entre la oración y el trabajo del campo con su madre. Pero durante las vacaciones de Pascua de tercero de teología, cuando le faltaba ano y medio para el sacerdocio, Silvio estaba mas serio que de costumbre. Su madre lo advirtió.

-¿Te rasa algo? No temas. Si no es tu camino, detente, por amar del cielo. Te casaras, trabajarás la tierra que te ha dejado tu padre o iras a una fabrica. Dicen que ahora los obreros están mejor que los campesinos. Tendrás tu familia y no te preocupes por mi.

-¡Qué cosas dices, mama! Es verdad que no estoy tranquilo, pero no es por el motivo que tu crees.

-Entonces, ¿por cuál?

-Lo pienso desde siempre, pero nunca he tenido el valor de hablarte de esto, porque pensaba que era prematuro. Hoy tengo que tornar una decisión. Sin embargo, no quisiera hacerte sufrir...

-¡Misionero! -exclamó su madre.

-¿Como lo sabes?

-Por los libros que tienes en tu cuarto y que has leído muchas veces. Lo he visto por las paginas, que están estropeadas.

-¡Así es! ¿Te disgusta, mama?

La mujer no tuvo fuerzas para responder. El amar materno y el amar de Dios luchaban terriblemente en su alma. ¿Pero corno podía censurar una decisión que ella misma había favorecido con sus palabras, su oración cotidiana y toda su vida?

-Irás muy lejos, en medio de muchos peligros. Quizá te mataran.

-Entonces seré mártir. ¿No te gustaría tener un hijo mártir?

-No me preguntes esas cosas, Silvio.

El obispo de Vicenza, monseñor Rodolfi, acogió con alegría y entusiasmo la noticia de que un clérigo suyo seria misionero. Lo bendijo y le encargo representar a la diócesis de Vicenza entre los africanos.

El superior de los misioneros combonianos, donde Silvio había solicitado ingresar, se mostró mas reacio.

-Eres hijo único, tu madre es viuda. Quizá mañana te necesitara y no podrás ayudarla... Ya sabes que el cuarto mandamiento, "honrar padre y madre", vale también para nosotros. Así es que piénsalo bien y, como dice tu párroco, luego ya veremos.

¡Esto si que no se lo esperaba Silvio! Volvió a casa de su madre desalentado. Ella, al contrario, respiro aliviada.

-El Señor no quiere que te vayas, hijo... Eso quiere decir que suscitará otra vocación en lugar de la tuya.

- Yo tengo vocación, mamá, y te aseguro que me hace sufrir terriblemente porque el pensamiento de dejarte me destroza el corazón.

A la mañana siguiente su madre estaba mas serena. Había rezado para tener la fuerza de hacer lo que los misioneros combonianos habían dicho a media voz: "Si realmente quieres marchar, será preciso que tu madre te firme un papel declarando que te deja libre y que no contará contigo ni con el Instituto para su vejez."

-Ayúdame a escribir ese papel, Silvio.

-¿Lo haces libremente, mamá? ¿Voluntariamente? -dijo con timidez.

-Díctame, Silvio, porque yo no entiendo mucho de esto.

Silvio dictó y su madre escribió lentamente con su mejor letra.

- Ya está -dijo al acabar-. Deposítala en seguida.

-¡Mama! -replicó Silvio teniendo el papel en sus manos Ahora era él el que vacilaba.

-El que ama a su padre o a su madre mas que a Mi no es digno de Mi. ¿Recuerdas esas palabras?

¡Vaya que si se acordaba Silvio! Las había meditado millares de veces, las había analizado, profundizado, para ver si decían eso exactamente o permitían alguna escapatoria. No había nada que hacer. Eran exactamente así: claras y tajantes.

Hacia África

La Segunda Guerra Mundial se veía venir, por lo cual los superiores decidieron anticipar unos meses la ordenación del P. Silvio. El16 de abril de 1939 el joven clérigo inclino la cabeza bajo las manos del obispo de Verona para recibir el Espíritu Santo que lo consagraba sacerdote.

Después de unas breves vacaciones en su casa y un poco de práctica del ministerio sacerdotal, podía marchar a África.

Fue destinado a Etiopía en calidad de capellán militar encargado de los italianos “civiles" y futuro fundador de misiones.

Junto con el Hermano Bonfanti se embarcó el 17 de octubre en Nápoles con dirección a Góndar.

Los seis primeros misioneros combonianos habían llegado a principios de diciembre de 1936 después de haberse detenido en Chercher.

Cuando llego allí el P. Silvio, Gondar y otras ciudades y aldeas hormigueaban de tropas italianas por la conquista de "un trozo de tierra al sol".

En las escasas fotografías de la época se ven a veces misioneros, soldados y colonos italianos en amigable conversación. De vez en cuando aparece también el uniforme impecable de un jefe... Los soldados, y sobre todo los civiles italianos, ayudaban gustosamente a los misioneros a construir las iglesias de misiones: misiones preciosas con piedras talladas, en las que aquellos jóvenes buscaban algo del pueblecillo dejado al otro lado del mar y el recuerdo de los familiares que esperaban su regreso con un buen montón de dinero y quizá con un poco de gloria. Los jefes solo se dejaban ver en el momento de cortar la cinta para la inauguración...

Ante esas escenas el P. Silvio Dal Maso, guiado por el buen sentido del campesino véneto, dijo un día a un amigo:

-Esta alianza entre la cruz y la espada no me gusta absolutamente nada. No es según el estilo del Evangelio... No sé como acabará.

Lo dijo en voz baja, porque eran tiempos en que ciertas cosas solo se podían decir "sotto voce" y a amigos fieles. La historia le daría la razón. En otra ocasión añadió al mismo amigo:

-Aunque amo a Italia, preferiría ser considerado solamente misionero de la Iglesia universal, no italiano.

Dijo esto no para renegar de su nacionalidad, sino porque estaba convencido de que el misionero debe estar desvinculado de toda cuestión política.

Se dedicaba a enseñar el catecismo sobre todo a los niños. Su mayor consuelo era cuando alguno de ellos le decía: "Padre, quiero ser  católico."

Prisionero

Después de Gondar el P. Silvio fue enviado a Asmara. Obedecio, aunque hubiera preferido la vida dura de misión a la vida un poco artificiosa de la ciudad.

Un periódico de Asmara de ese tiempo le atribuye el mérito de haber fundado la Asociación deportiva Santa Barbara en la aldea de Genio de Asmara: buen pretexto para reunir a mucha gente a la que podía explicar el catecismo.

Al ser derrotadas las tropas italianas, el P. Silvio y los demás misioneros acabaron en un campo de concentración.

"No tenemos miedo, escribió, también aquí se puede hacer el bien. Incluso yo diría que hay más necesidad del sacerdote que en otros lugares."

Esta frase resume su programa de vida entre los prisioneros. El 9 de septiembre de 1941 murió su madre. Al saberlo, lloro y dijo: " ¡Pobre madre, perdóname por haberte dejado sola!... Ahora desde el cielo puedes ver cuanto me ha costado también a mi la vocación misionera!"

Al terminar la Segunda Guerra Mundial y perder Italia sus colonias, los misioneros tuvieron que hacer sus equipajes y dejar aquella tierra abandonando muchas obras bien encauzadas. Una vez más la alianza entre la cruz y la espada no había funcionado bien.

Para el P. Dal Maso fue la primera de tres actividades apostólicas interrumpidas por otras tantas guerras. Destino realmente extraño para un hombre pacifico corno él.

Entre los pantanos de Sudán meridional

"¡Esto si que es vida misionera!", exclamó satisfecho el P. Silvio cuando en 1947, después de unas breves vacaciones en Italia, llegó a Wau, en el corazón de Sudan meridional. Precisamente ese año el vicariato había pasado bajo la dirección del comboniano monseñor Eduardo Mason, hombre que consideraba la escuela corno un medio importante de apostolado y de la que dependería el futuro de aquel país. Esta había sido también la sugerencia del Papa que había insistido diciendo: "Haceos cargo de la educación y de la escuela. Quizá perdáis en cantidad, pero ciertamente ganaréis en calidad."

-Cuente conmigo para todo, monseñor, pero no me encierre en una escuela. Se lo pido como un favor -suplicó el P. Dal Maso en la primera entrevista que tuvo con el obispo.

-Está la zona de los denka, que necesita misioneros valientes y pacientes. ¿Te sientes con animo de ir allí?

-Siempre he soñado con esa tierra. Leo con avidez los relatos de los padres Olivetti y Nebel. Precisamente eso es lo que quiero.

El Vicario apostólico miro a aquel hombre alto, de anchas espaldas y rostro cuadrado. Y sonrío. Sabia que el P. Silvio era paciente, sereno, capaz de hacer solo una sola cosa, pero bien hecha, resistente a la fatiga y sumamente respetuoso con la gente. Había contado con él en cuanto se entero del fin de las misiones etíopes.

-Has soñado con esa tierra -dijo el obispo reanudando la conversación-, pero quisiera decirte que no se trata precisamente de una "tierra", sino de un pantano, al menos en gran parte.

-Lo sé. Lo he atravesado para llegar basta aquí. Y le digo que me ha gustado.

El país de los denka es un enorme entretejido de ríos que con mucha frecuencia van a parar a grandes pantanos.

En la estación seca, de enero a abril, los pastores llevan allí sus rebaños en busca de pastos. La tierra negra y arcillosa, al secarse, se endurece mucho y toma un color gris. Pero cuando esta mojada se transforma en un mar de... jabón. En el periodo seco crece allí el sorgo, que es el principal alimento de los nativos. Otras zonas algo más altas, y por eso rara vez inundadas, se prestan para el cultivo del sésamo, los cacahuetes y otros productos. Esta es también la zona de las grandes selvas y de las palmeras. Hacia el sur el terreno se eleva hasta formar colinas y más al sur montanas de granito y de cuarzo. El estrato rocoso suele estar cubierto por una capa de tierra bastante fértil, sobre todo en los valles.

San característicos de esta región unos enormes depósitos excavados por la naturaleza en la roca rojiza. Durante las lluvias se llenan de agua y se cubren de hojas que forman una tapadera, de modo que se conserva el agua para apagar la sed de los animales y de los hombres durante la estación seca.

El tilo africano, el árbol más común en la estepa, da sombra y alivio a hombres y animales en las horas mas calurosas del día. En mayo y junio las lluvias caen a intervalos regulares; en julio y agosto san mas frecuentes y torrenciales, con verdaderas tormentas. En septiembre se hacen mas ligeras, y en octubre desaparecen.

Agosto es el mes de la abundancia para los denka. Se recoge el sorgo, y el pescado de las corrientes de agua llega hasta los patios de la aldea. Las vacas, alimentadas con hierba fresca y abundante, dan leche y mantequilla.

Las chozas, en general, están separadas por grandes terrenos de pastos, porque al denka le gusta vivir solo con su familia, sin que otros le molesten. Para evitar las inundaciones procura construir la choza en una altura. Las casas, muchas veces con un pequeño patio alrededor, son de barro con el techo de paja.

Una de las cabañas esta reservada para los padres y los niños más pequeños; las otras san para los hijos mayores: los muchachos y las jóvenes duermen en cabañas separadas. Las familias acomodadas tienen también la cabaña-establo, que puede tener un diámetro de 15 metros.

¿Quién es más listo?

Este era el país donde fue a vivir el P. Silvio. Las misiones de Mayen y Abyei, Thiet, Warap y Kuajok fueron muchos años testigos de su celo.

Los denka son valientes, independientes y amantes de la guerra, si alguien les quiere molestar. Ante ellos tuvieron que batirse en retirada hasta los árabes que en el siglo pasado habían penetrado en el territorio, atraídos primero por el marfil y luego por los esclavos. Contra las lanzas de los denka, escondidos entre la hierba alta, tiradas con gran fuerza y precisión no había nada que hacer.

El P. Silvio consiguió un caballo que lo llevaba de aldea en aldea, de cabaña en cabaña. Se presentaba siempre con la sonrisa en los labios y con la mano levantada en señal de saludo. En poco tiempo se difundió por el vasto territorio la fama de aquel misionero que no tenia nunca prisa, que se paraba a hablar con los ancianos debajo de los árboles durante horas enteras, sin dar señales de cansancio, que se entretenía con los niños.

Sus safaris duraban hasta quince días. El caballo llevaba en la grupa el altar portátil con lo necesario para la misa, algunas medicinas para los enfermos, tabaco para los ancianos y una botellita de agua potable, además de algunos alimentos y rapa blanca.

Las primeras persecuciones

Un día, después de dieciséis anos de permanencia en Sudan -con excepción de una breves vacaciones en 1952-, dos policías le comunicaron la orden de dejar todo y volver a su país.

- ¿Están seguros de que no se equivocan? -preguntó el misionero asombrado.

-Mire aquí su nombre. Ese es usted, ¿no?

Los policías no escucharon más y se llevaron al misionero al aeropuerto.

La guerra estaba ya a las puertas en Sudan y el P. Dal Maso era también esta vez una de las primeras victimas.

Se empieza desde el principio

Volver a empezar desde el principio, a los cincuenta y tres años, no es fácil, aunque se trate de un hombre acostumbrado a las fatigas y a las molestias.

Después de permanecer dos años en la casa misionera de Thiene, Italia, corno encargado del ministerio, el P. Dal Maso sintió la nostalgia de África.

War y Zeu son dos misiones en los montes al norte de Uganda en la zona habitada por los alur, pueblo que habla una lengua parecida al denka. El P. Dal Maso fue enviado allí y en seguida empezó a trabajar con su habitual afán, dedicándose sobre todo a visitar las aldeas y a la instrucción de los catequistas.

-Uganda puede convertirse pronto en otro Sudan. Tenemos que preparar sacerdotes nativos y catequistas que estén en condiciones de llevar adelante el ministerio, aunque faltáramos nosotros -dijo el recién llegado.

-Estamos trabajando ya en ese sentido, pero desde luego hay que actuar más y más de prisa -dijeron los otros.

Pocos meses después de su llegada, el P. Dal Maso fue nombrado superior de la misión de Zeu. Pero al poco tiempo dejo el cargo.

- Y o soy un sacerdote de a pie, no de mando -dijo-; déjenme trabajar entre la gente.

Los mosquitos de Pakwach

La misión de Pakwach se encuentra cerca de los pantanos a la orilla del Nilo: el calor es allí infernal; la humedad, permanente; los mosquitos, sapos, insectos y culebras, innumerables. Así es que era como para amedrentar a cualquiera. Y, por si eso fuera poco, la población era fría respecto a los misioneros y la religión. Muchos de los católicos habían perdido la moral y algunos también la fe. Muchos matrimonios entre cristianos no se celebraban ya en la iglesia, sino según el rito tradicional. En la misa dominical se veían las viejecillas y los niños de siempre. Hombres, poquísimos. Además, los protestantes no soportaban la presencia de los misioneros. Y lo decían en publico.

El P. Dal Maso se lanzó abiertamente al apostolado, aunque le habían dicho que en Pakwach no duraría más que uno o dos meses.

Sin preocuparse del cansancio ni de las molestias, entregado totalmente a la causa de Dios, consideraba que era un deber suyo ir a visitar a los cristianos para administrarles los sacramentos, para confortar y consolar, para animar y sostener. En cuanto estaba libre iba a la iglesia y se quedaba allí, ante el Santísimo, basta bien entrada la noche. Así terminaba su jornada, donde la había empezado."

De vez en cuando sentía la nostalgia de las montañas Alur. Le hubiera gustado volver con aquella gente sencilla, pero luego comentaba: "Esta es una verdadera misión, difícil, con muchos paganos todavía; seria una traición abandonarla."

El P. Arcangel Petri, gran amigo del P. Dal Maso, nos deja el siguiente testimonio: "Nunca olvidaré la hospitalidad que el P. Silvio daba a todos los misioneros de paso. Pakwach era una etapa casi forzosa. A todas las horas, como pobres, se encontraba siempre la acogida más cordial y amable del Padre."

A los misioneros les gustaba estar en Pakwach los días de fiesta solemne para asistir a un auténtico desfile de monaguillos con sus sotanas rojas y blancas. "De estos niños saldrán muchos catequistas y muchos sacerdotes, y nosotros podremos morir en paz, sin miedo de que la Iglesia ugandés se detenga", comentaba el P. Dal Maso con intima satisfacción.

Para él se acercaba la hora de la muerte. Llamaba ya, imprevista y violenta, a la puerta de su cuarto, llevándoselo junto con su compañero y superior el P. Antonio Fiorante.

El asesinato de los dos misioneros acaeció de noche, sin testigos. Durante el día los misioneros habían recibido unas visitas de los soldados de Amin, a los que entregaron lodo lo que les pidieron: coches, gasolina, víveres y dinero.

Las heridas en los cuerpos de los misioneros eran de armas de fuego que solo los soldados podían tener. El P. Dal Maso tenia un orificio de bala detrás de la oreja. Lo encontraron sentado en el suelo apoyado en la pared de la habitación. Entre sus manos apretaba el rosario. Respecto a los motivos que condujeron al asesinato de los misioneros solo pueden hacerse hipótesis. En Pakwach hay alguien que sabe como ocurrieron realmente las cosas, pero no puede o no quiere decir nada. Parece que los padres Dal Maso y Fiorante fueron asesinados por odio a la fe católica, por motivos religiosos, ya que su ministerio y su celo apostólico estaban quitando terreno a los enemigos de Dios y de la Iglesia.