Alla sua morte, Fr. Vantellino, aveva 72 anni; era nato infatti a Palazzolo Milanese il 21.7.1901. Entrato in Noviziato a Savona nel novembre del 1920, fece i primi voti a Venegono il 10 novembre 1922 e dopo solo pochi mesi, nel giugno 1923, era già in missione, tra gli Schilluk, dove lavorò per quasi 17 anni a Tonga, Yoynyang, Dewot e Lul, interrompendo la permanenza solo per un periodo di vacanze in Italia nel 1923. Dopo il periodo della guerra, che Fr. Vantellino passò a Verona, partì per Khartoum, nel 1946, e vi restò fino alla morte. Ecco come ricorda la sua morte e la sua figura P. Laner: Alle ore 4.05 del pomeriggio del l0 marzo u.s., mentre P. Mosciatti recitava le preghiere della raccomandazione dell'anima, Fr. Paolino emetteva il suo ultimo respiro. Il suo polso continuò a battere ancora per altri cinque minuti: quando la Suora infermiera si rivolse ai Padri, Fratelli, e Suore in preghiera attorno al letto dell'infermo e disse loro «È finito», ci fu un minuto di silenzio e costernazione davanti alla salma composta del nostro amato Fratello che così rapidamente, in silenzio e nella serenità, ci ha lasciati. Chi ha assistito Fr. Paolino nel momento del suo passaggio all'eternità e chi lo ha conosciuto durante la sua vita può realmente dire che se ne è partito in silenzio e senza disturbare nessuno, come in silenzio ed umiltà aveva passato tutta la sua vita al servizio di Dio e per il bene delle Missioni. Ho conosciuto Fr. Paolino nel lontano 1950 quando venni per la prima volta nel Sudan: lui ritornava dall'Italia già veterano d'Africa, io dal Libano e c'incontrammo al Cairo. Viaggiammo assieme in treno e sul battello fino a Khartoum. Ricordo come fosse oggi le allegre conversazioni durante il viaggio: mi parlò della sua esperienza missionaria nella Provincia dell'Alto Nilo: Lul, Malakal, Yoynyang, Denka, Shilluk e Nuer: tutti ricordi dei suoi primi anni passati nel Sudan. Mi fece pure vedere diverse fotografie, fra le quali una sul treno col «tarbush» in testa. A Wadi Halfa venne la Sig.na Mari Kosargi che sbrigò tutte le pratiche doganali e si fermò con noi per un paio d'ore. Arrivammo a Khartoum il giorno di san Pietro all’una del pomeriggio: ancora digiuni dalla mezzanotte, celebrai la S. Messa nella cappella del Comboni College e Fr. Paolino me la servì e fece la S. Comunione: era la prima Comunione che davo nel Sudan, e dalla medesima mano, Fr. Paolino ricevette la sua ultima comunione qui nella cappellina della Scuola Tecnica la mattina del giorno in cui ci ha lasciati per unirsi eternamente a Cristo. Durante gli anni cinquanta e sessanta, ovunque c'era una costruzione della missione a Khartoum, si trovava di sicuro Fr. Paolino: dirigeva e sorvegliava con tanta pazienza e carità gli operai ed eseguiva personalmente i lavori più delicati e difficili: S. Francesco, la Scuola Tecnica, Villa Gilda, il Seminario Minore e altre costruzioni furono innaffiati dai sudori di questo umile operaio di Cristo. Fu pure l'autista di Mons. Bini e poi di Mons. Baroni e per un lungo periodo sorvegliò e amministrò il giardino della Missione a Kobar. Solo Dio sa quanto abbia sofferto Fr. Paolino durante la sua vita: operato due volte al trigemino che gli causava dolori fortissimi, affetto da artrosi cronica, che lo costringeva a portarsi con fatica da un luogo all'altro con l'aiuto di un bastone; nonostante tutto questo cercava sempre di essere utile e di fare qualcosa per la missione ed i confratelli. Quando nel 1956 s'incominciò a stampare il giornale arabo «Al Salam», Fr. Paolino si mise con gran lena e sorprendente abilità a preparare i cliché e continuò in questo lavoro finché nel 1970 partì per vacanze e cure mediche; rimase per più di un anno a Verona, ma si sentiva come un pesce fuor d'acqua, un uccello con le ali tagliate: il suo cuore era qui nel Sudan, dove voleva spendere gli ultimi anni lavorando ancora per la sua amata missione; e a Khartoum ritornò all'inizio del 1972. Alla Scuola Tecnica, dove si era stabilito, era davvero di edificazione a tutti i confratelli; si era fatto un orario particolare per le pratiche di pietà non più di regola e ci teneva scrupolosamente senza dare nell'occhio ai confratelli. Aveva cominciato a fare ogni sorta di lavoro: aggiustare ventilatori, pompe elettriche, fornelletti e bollitori e già sognava di riprendere il suo lavoro in zincografia. Qualche giorno prima della sua morte aveva cominciato anche a fare candele e non è improbabile che l'esser stato troppo tempo esposto al sole per sciogliere la cera sia stata la causa prossima della sua morte. La mattina del l0 marzo Fr. Paolino assistette regolarmente alla S. Messa, fece colazione con noi e, durante la colazione, ci portò come al solito le ultime notizie: fu visto alle ore dieci fare la sua visitina in cappella, andava poi continuamente dalla stanza alla verandina di fronte sul cui parapetto aveva messo alcuni barattoli con della cera da sciogliere al sole. Era d'accordo con Fr. Manara che alle dodici lo avrebbe portato alla cattedrale per prendere un fornelletto elettrico per il suo lavoro. Un po' prima delle undici la Superiora di Omdurman di passaggio lo vide sulla verandina, intento al suo lavoro. Io che stavo scrivendo a macchina nella stanza attigua, l'ho sentito che batteva su delle latte nella sua stanza, ed erano le 10.40 esatte. P. Mosciatti, un po' prima delle 11, passò vicino alla stanza di Fr. Paolino e dalla porta aperta della verandina lo vide adagiato sul letto: credeva si riposasse come era solito fare a quell'ora, recitando il Rosario. Alle ore 11.15 volli andare a fare due chiacchiere con lui, picchiai due volte alla porta del corridoio che era chiusa e non avendo risposta aprii lentamente: vidi il Fratello disteso sul letto, credevo si riposasse: lo chiamai... mi avvicinai al letto: aveva gli occhi chiusi, rantolava e aveva un colore livido: lo chiamai ripetutamente per nome: nessuna risposta, nessun segno di conoscenza. Mentre andavo a prendere il medico, P. Mosciatti amministrò a Fr. Paolino l'Olio degli Infermi. Arrivò subito il Dott. Jamil, due Suore infermiere, il Padre Provinciale, P. Makram, P. De Bertolis ed altri Padri. Dopo le prime cure, iniezioni ed applicazione dell'ossigeno il caro Fr. Paolino riposava calmo sul letto, respirava quasi regolarmente ed aveva ripreso il suo colore naturale e si sperava potesse riprendersi nonostante la febbre altissima di 41'5". Anche il medico ci assicurò che se la febbre fosse scesa entro mezz'ora, il Fratello avrebbe ripreso conoscenza. Nonostante la continua applicazione di panni freddi sul corpo del paziente, la febbre rimaneva stazionaria: mezz'ora, un'ora, due, tre ore passarono e la febbre oscillava sempre fra 41'5" e 41'2". Fu chiamato anche un altro dottore, Abdel Halim; dopo essersi consultato col Dott. Jamil ed aver esaminato il paziente disse: «Il malato è molto grave, pregate Iddio». Pregammo assieme ed in privato, perché Dio ci volesse conservare il nostro amato Fratello, ma Egli volle prenderlo con sé per dargli la ricompensa dei suoi 50 anni spesi in terra di missione. Il medico scrisse sul certificato di morte la causa del decesso: «Malaria cerebrale con febbre altissima»: in realtà nessuno sa di preciso la vera causa della scomparsa di Fr. Paolino: tutti noi sappiamo però che la sua vita fu una continua testimonianza e presenza fra cristiani e musulmani durante i suoi 50 anni di Africa. Da lui dobbiamo imparare che il bene non fa chiasso e il chiasso non fa del bene! R.I.P.
Da Bollettino n. 102, 1 agosto 1973, p. 74-76