E' scomparso all’improvviso per collasso cardiaco. I Confratelli lo trovarono morto in camera. Era malato di influenza, ma nulla ne aveva fatto prevedere la fine.
Era nato a Vernate. nella bassa Milanese, il 20 luglio 1895 ma trascorse la sua infanzia nella vicina Moncucco. Gli studi ginnasiali li compì ne1 Collegio Salesiano di Milano, eccellendo sempre fino a meritare il primo premio. Si distinse pure nel Seminario Liceale di Monza, dove si dedicò con passione alla musica e alla pittura, che gli doveva servire negli Oratori diocesani e anche in Missione, soprattutto nella prigionia di Katigondo.
Durante la prima guerra mondiale prestò servizio militare. Ordinato sacerdote il 21 maggio 1921, fu destinato a Mozzate (Varese) come coadiutore, e si attirò la benevolenza della gente organizzando, per suggerimento di un parroco, una cooperativa agricola. Due anni dopo lo zio, Prevosto di Inzago, lo ottenne per l'Oratorio. Qui D. Giuseppe si dedicò alla formazione spirituale dei giovani, e ne formò una bella schiera e molti seguirono la vita sacerdotale, religiosa e missionaria. Devono a lui la vocazione parecchi Confratelli, e anche un Carmelitano (P. Benigno) di cui è stato introdotto il processo di canonizzazione. P. Beduschi, che capitò ad Inzago durante le ultime vacanze in Italia, diede la spinta decisiva a parecchi giovani.
Il 3 ottobre 1927, lo stesso D. Giuseppe Calegari chiedeva a Sua Eminenza il Card. Tosi il permesso di non ritardare oltre il compimento dei disegni di Dio a suo riguardo, dichiarando di non aver potuto mandare ad effetto, per motivi familiari, la sua vocazione missionaria sentita fin dagli anni di Teologia. Il giorno dell'Immacolata egli riceveva l'abito religioso a Venegono, e l'8 maggio 1929 emetteva la professione.
Fu inviato a Sulmona e a Padova, e nel 1933 partiva per l'Uganda. Prese parte alla fondazione di Kalongo, tra gli Acioli, staccata da Kitgum, insieme con un Fratello (Luigi Calderola), che era stato suo pupillo nell'Oratorio di Inzago.
A Kalongo restò fino al 1947. Già l'anno dopo il suo arrivo egli poteva notare i progressi del ministero, e scriveva: “Che differenza tra i primi safari dello scorso anno, quando a stento potevo avere 30 o 40 cristiani su 200 adulti, e l'ultimo che ho fatto in aprile nel quale ho notato una partecipazione si può dire in massa! Poi è anche ii modo con cui vengono e le cambiate disposizioni d'animo nei riguardi nostri. Anche come prestazione di lavoro, non ho che da esserne soddisfatto. In pochi mesi e col minimo contributo nostro hanno finito sulla linea di Patongo due belle chiese nuove, 4 scuole e riparate tre altre. Anche i ragazzi che in principio non volevano saperne di scuola ora sono entrati in bel numero e fanno bene”. Egli aggiungeva però sinceramente che questo l'aveva potuto ottenere più che col santo amor di Dio col santo timor di Lui, essendo convinto che se ci si accontentava di fervorini gli Acioli non si muovevano. L'istruzione religiosa nelle scuole e nel catecumenato fu il suo lavoro assiduo e giornaliero quando era in sede, mentre si dedicò in particolare all'assistenza dei cristiani dei villaggi con i “safari” frequenti e pieni di difficoltà per mancanza di strade e di mezzi di comunicazione. Non disdegnò di alloggiare in qualunque capanna per prolungare la sua assistenza ai lavori e finire la costruzione di cappelle e scuole. Si dedicava con grande spirito di dedizione e sacrificio alla visita dei cristiani, specialmente dei vecchi e malati, procurando di rintracciare i meno ferventi e sistemare le famiglie irregolari.
Tornò in Italia in aprile del 1947, dedicandosi al ministero, prima a Verona e poi a Sulmona. Date le sue condizioni di salute, e soprattutto il mal di fegato, si trovava così più a suo agio. Fu nuovamente in Africa da novembre del 1953 a gennaio del 1956, prima a Palotaka, poi a GuIu, come Superiore della scuola tecnica di Layibi.
Dopo il ritorno definitivo in patria, fu a Riccione, fino a luglio del 1960, poi a Crema e a Milano, dove il Signore lo chiamava al premio del suo lungo apostolato, R.I.P.
Da Bollettino n. 65, aprile 1963, p.725-6