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“Non possiamo più affrontare una sfida ecologica isolandola dal suo contesto sociale, culturale e anche religioso. È in questione una diversa visione del mondo, che richiede conversione, cioé nuovi atteggiamenti e nuovi obiettivi negli occhi e nella pratica di ogni persona, chiesa e società”.
Roma, 14.12.2008

Il paradigma ecologico è una sfida per nuovi stili di missione: vedi articolo http://www.peacelink.it/latina/a/25245.html. Ci sono tre sfere di riflessione: la dimensione culturale, quella economica e la vita dei poveri. Non ha senso una proposta ecologica che non sia in costante interazione con questi tre aspetti. In questo articolo vogliamo approfondire la prima dimensione, quella culturale e religiosa.

Qual è uno dei pericoli attuali? Come dicono i giovani della periferia di São Paulo: “L’arte che libera non può venire dalla mano che rende schiavi”. Forse capita anche a noi -chiese, missionari e laici- di promuovere vuoti discorsi ecologici mantenendo, nonostante ciò, atteggiamenti e modi di pensare totalmente anti-ecologici.

Una visione distorta della realtà

Qualsiasi prassi di oggi deriva da idee e valori sedimentati da molto tempo nella nostra cultura, religione e visione del mondo.
Fin dai primi tentativi di spiegare l’origine del mondo, il senso della vita e il ruolo dell’essere umano nella creazione, riconosciamo l’influenza di un pensiero “viziato”.
La maggioranza dei miti della creazione nacque in epoche di conflitto sociale, come tentativi di giustificare gli squilibri della storia. Vivendo in tempo di conflitto, l’umanitá giudicava che esso fosse il riflesso di dinamiche violente nel cielo (conflitto tra divinitá). La cosmogonia di molte culture nacque proprio da questa interpretazione distorta iniziale. Il mondo è violento perché gli dei sono violenti o, almeno, sanno “farsi rispettare”!

Le relazioni tra tutte le creature continuarono a essere regolate da questo modello. Cos’è che ha valore e si afferma? La persona e il sistema che riescano a imporre un ordine violento, mettendo fine in questo modo a ogni conflitto. Si tratta della teologia e sociologia della forza, di relazioni dualiste e androcentriche, della competizione e della lotta per la sopravvivenza. La stessa natura, nelle sue regole più elementari di selezione naturale, conferma questo schema.

Anche diversi passaggi della storia della religione cristiana rafforzano questa lettura: si afferma un Dio forte, controllore, Padre-Patriarca, ordinatore del cosmo, dal quale non si può fuggire (e che punisce e corregge con fermezza chi disobbedisce all’ordine stabilito).
Al servizio di questo Dio esiste una casta privilegiata di funzionari scelti (sacerdoti, spesso appartenenti alla stessa etnia o allo stesso gruppo). Un sistema ben articolato organizza tutta la società secondo questa gerarchia divina immutabile: chi è nato per essere servo rimarrà servo, obbediente ad ogni regola indicata da Dio.
Consideriamo che il termine gerarchia deriva dalla parola greca hieròs, che significa santo. Il sistema di potere e le relazioni di autorità e obbedienza s’impongono automaticamente come derivate da Dio e con la sua benedizione.

Nell’antico Israele questa costruzione culturale generò e legittimò il sistema dei tributi e del Tempio: l’ordine religioso e quello socio-economico si sovrapposero, impedendo qualsiasi tipo di alternativa e garantendo la sicurezza sociale attraverso l’imposizione. Il biblista Sandro Gallazzi definisce l’essenza di questa religione come “Monolatria devastante”: non rimane il minimo spazio per la libertà e pluralità della vita. Il Tempio e l’Impero camminavano mano nella mano fin dal tempo di Gesù, e questa santa alleanza si ripropone nel corso di tutta la storia.

Il sistema di culto e sacrifici a Gerusalemme promuoveva la concentrazione di ricchezza in nome di Dio: da qui il tesoro del Tempio, la raccolta di offerte per la purificazione rituale, le tasse che il popolo doveva pagare tanto alla dominazione politica straniera quanto ai suoi alleati della gerarchia sacerdotale.

Religione anti-ecologica?

E’ interessante osservare come questa struttura politico-economica, con una forte influenza religioso-culturale, ha avuto fin dall’inizio un impatto violento anche in ambito ecologico: il sistema di sacrifici permanenti prevedeva un saccheggio consistente delle risorse del popolo e della natura, come ben sottolineano diversi passaggi biblici. Tra questi un passo del libro di Neemia, capitolo 10:
“Noi ci siamo imposti per legge di dare ogni anno il terzo di un siclo per il servizio della casa del nostro Dio: per i pani dell'offerta, per il sacrificio continuo, per l'olocausto perenne, per i sacrifici dei sabati, dei noviluni, delle feste, per le offerte sacre, per i sacrifici espiatori in favore di Israele e per ogni lavoro della casa del nostro Dio”.
“Tirando a sorte, noi sacerdoti, leviti e popolo abbiamo deciso circa l'offerta della legna da portare alla casa del nostro Dio, secondo i nostri casati paterni, a tempi fissi, anno per anno, perché sia bruciata sull'altare del Signore nostro Dio, come sta scritto nella legge”.
“Ci siamo impegnati a portare ogni anno nel tempio le primizie del nostro suolo e le primizie di ogni frutto di qualunque pianta, come anche i primogeniti dei nostri figli e del nostro bestiame, secondo quanto sta scritto nella legge, e i primi parti del nostro bestiame grosso e minuto, per presentarli nella casa del nostro Dio ai sacerdoti che prestano servizio nella casa del nostro Dio”.
Il consumo annuale di legno era enorme, per consentire ogni giorno l’olocausto (termine che letteralmente significa 'bruciare tutto'). Il sistema di sacrificio era basato sul concetto di sangue e fuoco come elementi di espiazione e di purificazione: per ottenere perdono dal Dio che mette ordine nella società occorreva lo spargimento di sangue delle vittime sacrificali, bruciando in seguito i loro corpi.

Gallazzi, in un articolo affascinante, espone una ricerca sul sincretismo nell'unico tempio di Iahweh fuori dal territorio di Israele: Elefantina, in Egitto (VIII-VI secolo prima di Cristo). Il culto javista è associato, in questo tempio, a un’altra divinitá, femminile.

Questo tempio non faceva concorrenza a quello di Gerusalemme: "È un culto di donne per la Regina del Cielo, culto non sacrificale, usando incenso, cibo e bevande; culto per l'abbondanza e la fertilità, culto popolare, che non richiede sacerdoti né templi, celebrato nella città e nelle aree rurali". "Memoria di una religiosità non escludente e di un javismo non ancora monoteista". Un altare senza sacrifici, simbolo evocativo di una società che rifiuta la violenza come mezzo di controllo sociale e ambientale. Inoltre, "la presenza di un culto a una divinità femminile doveva aprire alle donne spazi sociali che erano impensabili a partire da un culto puramente monoteista e maschile".

Esperienze religiose di questo tipo, senza voler semplificare con soluzioni politeiste, testimoniano che nel dialogo con altre culture, religioni e popoli "un altro Iahweh è possibile”!

Un cambiamento di epoca e cultura

Oggi é evidente l’affermazione di un modello di sviluppo aggressivo e irresponsabile. L’umanitá si trova ormai con le spalle al muro: con questo sistema distorto non ci sono vie d’uscita. "La nostra generazione assiste alla fine del disegno di sviluppo basato sul modello industriale – basato sul presupposto di natura come un pozzo senza fondo- e all'inizio di una civiltà basata sulla sostenibilità di tutte le forme di vita. La pietra miliare che separa queste due concezioni del mondo, senza dubbio, è la consapevolezza della crisi ecologica" (I poveri possiederanno la terra - Documento di vescovi e pastori del Brasile sull’ecologia, 2006).

Due concezioni del mondo: se vogliamo davvero cominciare una ‘purificazione ecologica della mente e del cuore', dobbiamo assumere una nuova visione del mondo, in tutte le sfere di esistenza e relazione.

La risposta alla crisi ecologica non può essere semplicemente una corsa a tappar buchi, cucire le ferite della terra. Oggi abbiamo urgente bisogno di un movimento di conversione radicale, così come in varie epoche bibliche il Padre della Vita ci ha chiesto, con voce di supplica e di comando.
Rajendra Pachauri, presidente del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), faceva riferimento a quest’urgenza, nel dire: "Quello di cui abbiamo veramente bisogno è una nuova etica".

Gallazzi, nell'articolo Vangelo della Creazione, spiega così: "Si tratta di un punto di vista nuovo. Come possiamo scorgere gli uccelli del cielo, se i nostri occhi vedono solo raccolti abbondanti e granai stracolmi? Come prestare attenzione ai gigli del campo, se il nostro sguardo è catturato da abiti di lusso, segni di gloria e potere? Uccelli e fiori ci sfidano, quindi, a cambiare logica, mutare mentalità".

Da tempo (fino ad oggi con piccoli cambiamenti reali), si riflette sulla necessità di cambiare ideali e modelli di riferimento, utilizzando come esempio i valori olimpici tradizionali: "citius, altius, fortius!" (più veloce, più in alto, più forte!). Il cambiamento che occorre costruire è "più lento, più profondo, con piú tenerezza".
Il modello produttivo consumista da sempre annuncia il vangelo dell’efficienza e della produttività, caratteristiche tipiche degli adulti machos. Valori come la creatività e la bellezza, al contrario, appartengono alla sfera più ampia di tutta l'umanità, senza limiti di età, genere, cultura o condizioni fisiche. Tutti possono apprezzare e generare bellezza, ognuno a modo suo.
Il motore del mondo neoliberista è la competizione. Ma cum-petere originariamente significava ‘cercare insieme' e faceva appello a valori oggi considerati deboli: la solidarietà e la condivisione.

Così, la maggior parte delle religioni devono realizzare un cambiamento radicale di obiettivo, concentrando i propri sforzi e raccomandazioni non più sulla salvezza individuale, ma sull’impegno per una redenzione collettiva, salvezza di tutto! Si tratta di una rivoluzione copernicana del nostro inconscio religioso: riuscite a immaginare il potenziale di una chiesa e di tutte le religioni assumendo questo cambio di paradigma?

Il gesto profetico del cacique indio che ha restituito la Bibbia a Giovanni Paolo II nella sua visita in Brasile denuncia proprio questo: tutti i popoli e la creazione intera esigono da noi cristiani una conversione profonda, capace di contagiare i modelli economici e sociali che si sono generati sulla base delle nostre costruzioni etico-religiose, lungo la storia.

Alcune linee guida essenziali per questa conversione? Un cambiamento coraggioso dall’individualismo alla pluralitá, dalla centralità dell'uomo alla circolarità delle relazioni con tutto il creato. Nel libro della Genesi, in modo affascinante, Dio parla al plurale: "Facciamo l'essere umano". E questo Dio plurale creò (crearono) l'uomo e la donna, per completarsi, perché nessuno da solo basta a se stesso. Fin dalla creazione è stato innestato in noi il principio di responsabilità reciproca.

Pertanto, è tempo anche di un'alleanza delle religioni per prenderci cura della casa di tutti. Come dicono le nostre sorelle Chiese della riforma, è tempo di guardare al mondo come un’unica "Comunità di vita" chiamata a "sostenere la vita".

Per approfondire

- “Confessare la fede in Cristo di fronte all’ingiustizia economica e alla distruzione ecologica”, Assemblea Generale delle Chiese Riformate, Accra 2004 – Inserto della rivista RIFORMA n. 45 - 19 novembre 2004
- Sandro Gallazzi, “Elefantina: outro Iahweh é possível”, RIBLA, n. 54, 2006
- Sandro Gallazzi, “O Evangelho da Criação, ensaio para a Campanha da Fraternidade” 2007
- “Os pobres possuirão a terra”, Documento dei vescovi e pastori evangelici del Brasile sull’ecologia, 2006

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Foto. Comboni Press.
Pigmei: scene di vita. Maboma (RDC)
È in questione una diversa visione del mondo