Mercoledì 1 marzo 2017
I missionari comboniani che lavorano nelle comunità dei paesi europei – Italia, Spagna, Portogallo, Regno Unito (London Province), Polonia, Germania e Austria (Provincia di Lingua Tedesca – DSP) – si ritroveranno dal 7 al 13 marzo prossimo a Maia (Portogallo), per valutare e programmare le loro attività di evangelizzazione e animazione missionaria a livello di continente. Per l’occasione, p. Benito De Marchi ha fatto una riflessione sugli Atti Capitolari 2015 – documento conclusivo del Capitolo dell’Istituto comboniano del 2015 – con l’obiettivo di “incoraggiare a sviluppare intuizioni e intenzioni rimaste incompiute”. P. Benito, alla fine della riflessione, ha messo anche delle domande che possono essere di aiuto nella condivisione e nel dibattito comunitario durante l’Assemblea Europea della Missione a Maia.

Appunti per un’ermeneutica teologica
degli Atti Capitolari 2015

Chiaramente gli Atti Capitolari si sono ispirati all’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco per ridefinire e ricreare la missione comboniana nel mondo d’oggi. Di questo riferimento essenziale si deve tener conto in una lettura interpretativa degli Atti stessi. Leggendo pertanto gli Atti Capitolari alla luce dell’Evangelii Gaudium, qui si indica una traccia teologico-ermeneutica, mettendo in evidenza innanzitutto alcune parole chiave degli Atti stessi, già comprese nel loro titolo ma ricorrenti nel testo capitolare stesso, per poi ‘incoraggiare’ a sviluppare intuizioni e intenzioni rimaste incompiute.

I - Affermazioni: Cinque Parole-Chiave della proposta capitolare

1. Discepoli

Seguendo la visione teologica di “popolo di Dio” specifica dell’Evangelii Gaudium che pone al centro dell’esperienza cristiana la sequela di Gesù  prima di ogni altra specificazione, gli Atti Capitolari  vedono il comboniano fondamentalmente come discepolo - un discepolo tra altri discepoli, sia pure con un suo proprio carisma, come del resto ogni altro discepolo.

Anche nel fare missione, il comboniano rimane un “discepolo”, attento ad imparare prima ancora che ad insegnare; come discepolo egli segue il Maestro che lo precede anche nella missione, più che a portarlo là dove il Maestro non sarebbe ancora arrivato.

Tutto ciò sottolinea come il comboniano, non solo a livello puramente personale ma nello stesso ruolo vocazionale-istituzionale, rimanga un uomo “in ricerca” e un “pellegrino”. L’incontro col Maestro Gesù è e rimane un “evento-in divenire”.

In quanto egli ricerca il Signore, in un incontro e una conoscenza sempre più profondi, il discepolo viene anche a testimoniarlo agli altri e a invitare altri ad unirsi a lui in una condivisione di cammino: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [...] noi lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1: 1-4). Il suo cammino missionario è un tutt’uno con suo cammino di discepolo, come una sua esplicitazione e una sua risultanza.

Al tempo stesso, camminando con altri – siano essi pure discepoli di Gesù o uomini e donne in ricerca di significato, di libertà vera e di vita in pienezza, il missionario viene a suo volta aiutato a scoprire sempre più il suo Maestro e a individuarne le tracce nei vari contesti storici: “Siamo riconoscenti anche per il dono di essere evangelizzati dalle persone e dai popoli con cui camminiamo e ci sentiamo accompagnati da un sentimento di gratitudine a Dio per la sua vicinanza” (Atti,6).

È come dire che, come già nell’Evangelii Gaudium, la parola “discepolo” diventa il “nome” stesso del soggetto del discorso capitolare, mentre le altre parole “missionario” e “comboniano” ne rappresentano specificazioni aggettivali.

Una tale impostazione del discorso capitolare comporta una ricaduta di carattere fondante sulla comprensione e pratica della missione, che gli Atti hanno esplicitato solo in parte e piuttosto di passaggio.

  • La missione è prima e dopo tutto un seguire il Signore là dove egli va, rintracciando i segni del sua presenza nel groviglio delle situazioni storiche e nella fatica del cammino umano.
  • Il missionario rimane sempre un pellegrino, in un cammino di fede alla scoperta di Dio attraverso la sequela di Gesù. Questo anelito profondo di Dio e quanto egli con gioia scopre del mistero di Dio e del sogno che Dio ha per il mondo, egli lo condivide con gli altri. “Vogliamo continuare a camminare tra la gente come pellegrini” (Atti, 6); “Sogniamo un istituto di missionari “in uscita” (EG 20), pellegrini con i più poveri e abbandonati (RV 5), che evangelizzano e sono evangelizzati attraverso la condivisione personale e comunitaria della gioia e della misericordia …” (Atti, 21).
  • Una missione essenzialmente umile, dall’interno di una condivisione di vita e cammino, di fatica e ricerca, con altri uomini e donne, e nel riconoscimento delle proprie fragilità e debolezze. “Anche la Chiesa partecipa della stanchezza e del disorientamento  del  mondo … essa  è  tormentata  dagli scandali …” (Atti, 9); “Comportamenti incoerenti con la vocazione alla vita consacrata e missionaria …” (Atti 32); “Siamo invitati a testimoniare con umiltà la bellezza della nostra vocazione” (Atti, 19).

2. Missionari

Il primo e fondamentale aggettivo del discepolo di Gesù è quello di essere discepoli “missionari”, non nel senso che si diano dei discepoli che sono chiamati ad essere missionari a differenza di altri che invece non lo sarebbero.

Come già compreso in quanto detto appena sopra, “discepolo” e “missionario” formano un tutt’uno. Il fatto stesso di camminare dietro il Maestro diventa una testimonianza davanti al mondo e disegna una “via” di vita, uno stile di “umanità”, un modo nuovo di essere umani. Il vissuto della sequela diventa il cuore stesso della missione: testimoniare vivendo il discepolato, vivere il discepolato per testimoniare il Signore e la sua salvezza.

Il Maestro che si segue è il “Missionario di Dio”, ripieno di Spirito di Dio, “per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4:18). Non si è discepoli di Gesù solo per se stessi, ma perché il mondo sia salvato (cf. Gv 3:16-18), partecipando all’unzione “spirituale” di Gesù.

Questa affermazione fondamentale del “discepolo” come “discepolo missionario” comprende una ulteriore caratterizzazione della missione.

  • La missione affonda le sue radici nell’esperienza concreta dell’incontro personale con Gesù Cristo, fonte di una profonda liberazione che apre alle necessità degli altri e di una gioia autocomunicativa: “L’incontro vivo con Gesù il Cristo, morto e risorto per la vita del mondo, è la fonte del nostro essere missionari comboniani (RV 21,1). È da questa esperienza fondante che scaturisce la nostra vocazione” (Atti 1).  La vocazione missionaria è così collegata direttamente con la chiamata alla fede e radicata nella partecipazione all’“unzione spirituale” di Gesù che trova nel battesimo il suo segno sacramentale.
  • Come parte costitutiva del discepolato, la vocazione missionaria, tutt’altro che fare dei missionari un corpo a parte, riafferma il loro radicamento all’interno della comunione del Popolo di Dio, come segno ed espressione della Chiesa tutta, sempre e ovunque missionaria, in forza appunto del suo essere “discepola” di Gesù, al di là non solo di ogni concezione ‘territoriale’ della missione ma anche della stessa concezione poco biblica della “missio ad extra”. Come comunità di “discepoli missionari”, la Chiesa si costituisce “in tutte le regioni della terra in uno «stato permanente di missione»” (Evangelii Gaudium 25).
  • Missione alla maniera di Gesù: Gesù che proclama la buona notizia ai poveri, ai quali fa dono di sé diventa il soggetto, il contenuto e il modello della missione. “Veri discepoli-missionari-comboniani, ci ispiriamo al Cuore di Gesù appassionato per il mondo” (Atti 21), mantenendo “gli occhi fissi in Gesù Cristo che ci introduce alla contemplazione del mistero di Dio ma anche nel mistero dell’uomo dove lo troviamo presente nella sua ricchezza e diversità” (Atti 28).
  • Missione per attrazione: una missione che pone al centro la sequela di Gesù opera innanzitutto per via di testimonianza, come visibilizzazione della storia di Gesù e della novità liberatrice che essa introduce nella storia umana. Essa integra il motivo matteano dell’“andare verso l’altro” con quello giovanneo del “venire e vedere” (Gv 1:39). In questo senso potrebbero essere interpretate le varie indicazioni operative offerte dagli Atti Capitolari, intese cioè ad “essere” prima ancora che “fare” missione.

3. Comboniani

“Comboniano” è il secondo aggettivo che negli Atti Capitolari qualifica il discepolato missionario come vissuto nella nostra Congregazione; vale a dire, la nostra partecipazione all’unzione messianica di Gesù, il Missionario del Padre, si colloca nella scia dell’esperienza carismatica di Comboni, senza per questo perdere il tratto proprio e originale dell’incontro personale di ciascuno di noi con Gesù nello Spirito.

Un tale riferimento all’esperienza carismatica di Comboni, come non limita l’originalità dell’esperienza spirituale di ciascuno, così non restringe l’ampiezza e la gamma di significato del discepolato missionario di Gesù. Significa piuttosto che di quel discepolato sono illuminati ed esplicitati alcuni aspetti particolari.

Con questo, gli Atti Capitolari intendono riaffermare ancora una volta l’identità propria dei Comboniani all’interno della comunione dei discepoli missionari di Gesù. Al tempo stesso, tuttavia, essi introducono una dinamica di continuo discernimento. L’identità tratteggiata può essere compresa solo come identità comboniana aperta ad una piena e sempre nuova traduzione del discepolato missionario in tutta la sua integrità negli scenari del tempo presente. Si tratta di aprire di continuo la tradizione dell’Istituto all’azione ri-creativa dello Spirito, perché il carisma comboniano stesso liberi tutte sue inedite potenzialità di testimonianza missionaria, in una permanente negoziazione fra la tradizione comboniana, la storia di Gesù, i “segni dei tempi” e la ricchezza spirituale-carismatica propria di ogni confratello. Gli Atti sembrano recepire questa istanza quando affermano che “Veri  discepoli-missionari-comboniani,  ci  ispiriamo  al  Cuore di Gesù appassionato per il mondo. Vogliamo continuare nell’ascolto di Dio, di Comboni e dell’umanità, per cogliere e indicare nella missione di oggi i segni dei tempi e dei luoghi” (Atti, 22), fino a parlare a questo riguardo di una “profonda conversione”: “Una conversione profonda della nostra pastorale missionaria “esige  di  abbandonare  il  comodo  criterio  pastorale  del ‘si è fatto sempre così’” (EG 33) e dovrà conciliare fedeltà al carisma, audacia e realismo” (Atti, 44.2).

Tra i tratti specifici di un’eredità carismatica comboniana, gli Atti ricordano in modo sintetico “il Buon  Pastore, segno di una vita liberamente donata affinché tutti la ricevano in pienezza; la croce, da cui il cuore aperto di Cristo ci invita a prenderci cura gli uni degli altri; l’Africa, icona della ricchezza umana e culturale del mondo, ma anche del grido dei poveri evangelizzati ed evangelizzatori (Atti, 3).

4. Chiamati a vivere la gioia del Vangelo

Ispirandosi sempre all’Evangelii Gaudium, gli Atti identificano il contenuto stesso del discepolato missionario con l’esperienza gioiosa della liberazione, della “vita buona” \ “vita bella” (Atti, 4), come frutto dell’incontro con Gesù e con il Padre\Abba della tenerezza e della misericordia che Egli testimonia.

Oltre ogni sentimentalismo spirituale, l’espressione “gioia del Vangelo” suggerisce un cambiamento profondo nella comprensione dell’esperienza cristiana e della missione.

  • Innanzitutto, una riqualificazione della fede cristiana nel suo insieme, da sistema religioso-morale ad esperienza di “grazia”: esperienza di Dio-Dono che genera vita in abbondanza e libera, anche se questo cammino di grazia, vita e libertà ha il suo alto prezzo; un ricupero cioè del Vangelo nel suo significato originale e pieno di “buona notizia”.
  • In secondo luogo, una riqualificazione della missione: la missione non riguarda tanto fare dei cristiani quanto invece comunicare la gioia di essere amati in modo incondizionato e liberante da Dio, come rivelato nella storia di Gesù, e far sì che questa “buona notizia” raggiunga come tale ogni persona e gruppo umano. Il tradizionale scopo della missione di “far conoscere (il nome di) Gesù a quanti ancora non lo conoscono” si traduce nel far “sperimentare” [il senso biblico del ‘conoscere’] questa buona notizia a tutti coloro ai quali nella vita mai arriva una buona notizia. Il discepolo missionario di Gesù non annuncia il vangelo “come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile” (EG, 14). “Annunciare la Buona Notizia ai poveri”, è la definizione che Gesù dà del suo ministero: nel linguaggio biblico, i ‘poveri’ non sono semplicemente dei ‘non-credenti’; anzi, per lo più essi sono persone aperte a Dio, ma che, vittime di disgrazie e ingiustizie, soffrono anche il suo silenzio e il suo apparente abbandono. In qualche maniera, la proclamazione di Gesù a Nazareth e il suo grido a Dio sulla croce, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15:34 = Salmo 21 [22]) si richiamano a vicenda. Così gli Atti possono dire: “Noi missionari comboniani viviamo la nostra identità quando amiamo con passione la gente e lottiamo perché tutti gli uomini e le donne possano vivere una vita più umana e degna” (Atti, 4), specificando che “«Fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22)» (LS 2)” (Atti, 8). Una Chiesa per sua natura missionaria è una Chiesa non arroccata in se stessa, tutta preoccupata di fare più proseliti, ma piuttosto una Chiesa “in uscita”, per raggiungere con la buona notizia del Vangelo i più poveri e abbandonati e con essi farsi pellegrina verso la terra della promessa, “i cieli nuovi e la terra nuova, nei quali abiti la giustizia” (2 Pt 3:13; cf. Rev 21:1-5)”.
  • In terzo luogo, una comunicazione della gioia del Vangelo attraverso la testimonianza di una vita liberata per e nella gioia: come missionari ci saremmo aspettati di sentirci dire Chiamati ad annunziare \ testimoniare la gioia del Vangelo; invece il testo degli Atti dice “Chiamati a vivere”, in corrispondenza col soggetto della frase identificato con i  “discepoli”. Il discepolo innanzitutto vive la sequela, e solo vivendo annunzia e testimonia ad altri una novità  di vita.  È  ribadita la precedenza dell’imparare e del mostrare \ visibilizzare il Vangelo nell’atto stesso della missione. San Francesco usava dire ai suoi frati, “Predicate sempre il regno di Dio, se necessario anche con parole”. Essere segno dell’azione liberatrice di Dio, un segno che attira, trascina, dà nuova speranza e diventa sorgente di gioia. In questo senso gli Atti aprono la strada ad una re-interpretazione del tratto comboniano di “piccolo cenacolo di apostoli”: “Vogliamo vivere un rapporto di comunione con Dio e condividerlo con chi ci sta accanto. Vogliamo leggere la vita e la storia alla luce della fede e assumere un nuovo stile di vita e di comunione, fondato su scelte evangeliche. Sentiamo il profondo bisogno di una spiritualità che ci guarisce e umanizza, capace di integrare la nostra e altrui umanità con i suoi limiti, fragilità e incoerenze. Una spiritualità basata sulla Parola di Dio ascoltata, vissuta, celebrata e annunciata, che tocchi e ispiri tutte le dimensioni della nostra vita missionaria in ambito personale, comunitario, di missione, economia e governo (EG 174)” (Atti, 29-30).

5. Nel mondo di oggi

L’ultima parola chiave degli Atti Capitolari è il “mondo di oggi”, non solo come il luogo circostanziale in cui si compie la missione, ma piuttosto come “il luogo teologico”, che entra come fattore importante nella definizione e pratica della missione. Il momento storico, con le suoi tratti caratteristici, le sue istanze e provocazioni e i suoi drammi e bisogni, rappresenta un insieme di “aspettative kerigmatiche” che sfidano la missione proprio nella sua specificità di “buona notizia” di Dio . La missione è così sollecitata a farsi ascolto del mondo, a entrare in una familiarità con esso, e ad aprirsi in un atteggiamento di ospitalità verso la sua storia e le sue culture, le sue critiche e le sue domande.

  • Del mondo di oggi gli Atti Capitolari pongono l’accento sul suo carattere di globalità e multiculturalità. Questo apre il discorso degli Atti ad una visione della missione come un evento globale e plurale: missione ovunque, eppure con volti diversi. Entro questo nuovo orizzonte missionario, che supera la divisione tradizionale tra territori cristiani e territori di missione, per la prima volta gli Atti parlano di “missione comboniana in Europa: “I cambiamenti epocali degli ultimi decenni hanno avuto un impatto anche sulla missione comboniana in Europa. Non è più sufficiente pensare al continente europeo come territorio dove svolgere solamente animazione missionaria e promozione vocazionale. Anche in Europa siamo chiamati ad avere “il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20)” (Atti, 46.1).
  • In particolare, gli Atti Capitolari, come già l’Evangelii Gaudium, leggono il mondo di oggi dalle “periferie esistenziali”, viste come luoghi rivelatori della dinamica che sottosta ai processi socio-economici delle nostre società, e vedono il movimento della missione come un’uscita della Chiesa verso tali periferie che attendono la buona notizia del Vangelo.

II - Incoraggiamenti: Aspetti della proposta capitolare da sviluppare

Nel loro insieme, gli Atti Capitolari sono senz’altro ricchi di spunti.

Per lo più, tuttavia, essi fanno da eco all’Evangelii Gaudium, senza arrivare ad un’approfondita, articolata e integrata visione missionaria. Talora sotto la veste di parole nuove rimangono attivi vecchi paradigmi. Una certa ambiguità di linguaggio percorre il testo capitolare.

Qui si indicano alcuni di questi limiti, ma in modo critico-propositivo, come suggerimenti atti ad approfondire  e sviluppare il discorso avviato dall’assemblea capitolare.

1. Il mondo di oggi da “luogo teologico” a “luogo teologale”

Il testo capitolare dice che “il mondo di oggi è il luogo teologico in cui siamo chiamati a spargere e a coltivare i semi della riconciliazione e dell’amore” (Atti, 5). Benché tutto ciò sia vero, si deve, tuttavia, aggiungere che esso è luogo teologico perché “luogo teologale”, dove cioè lo Spirito di Dio e il Maestro Gesù, precedendo la Chiesa e i discepoli, hanno già seminato e continuano a seminare e coltivare i semi del  regno di Dio. Il punto d’ingresso della missione è la presenza universale e l'attività  dello Spirito Santo: un'evangelizzazione efficace deve iniziare col riconoscere dove Dio è già al lavoro, e affiancarsi a Lui in quello che lì sta avvenendo. Questo rende anche la crisi che oggi il mondo attraversa un tempo favorevole. In questo senso, la descrizione che del mondo di oggi gli Atti Capitolari danno sembra parziale e troppo negativa. Sarebbe infatti sbagliato guardare al mondo di oggi con una mentalità di accerchiamento.

2. Reinterpretare il riferimento cristologico della missione in un orizzonte pneumatologico

Il limite sopra indicato nella lettura del tempo di oggi riflette un’impostazione del discorso missionario in chiave troppo poco pneumatologica. Certo la presenza dello Spirito nella missione è ricordata a più riprese nel testo degli Atti. Ma, come già nell’Evangelii Gaudium, il riferimento all’azione dello Spirito non struttura il discorso sull’evangelizzazione. In una prospettiva trinitaria, è necessario dare una enfasi maggiore alla missione dello Spirito, la quale,senza detrimento alla missione del Figlio Gesù, la colloca invece nell’orizzonte della promessa biblica di una nuova terra e di un nuovo cielo, e rappresenta  un fresco approccio alle varie istanze e tematiche della missione nel mondo di oggi, dalla salvaguardia del creato e dalla liberazione degli oppressi al dialogo interreligioso e interculturale.

3. Dalla missione vero periferie esistenziali  alla missione dai margini

Gli Atti Capitolari fanno propria l’istanza dell’Evangelii Gaudium di uscire verso coloro che stanno nelle “periferie esistenziali” per portare loro l’abbraccio di Dio e la gioia del Vangelo ed affermano anche di voler là camminare come pellegrini con i più poveri e abbandonati. Ma questo aspetto di camminare assieme alla gente delle periferie andrebbe integrato maggiormente in modo da far ripartire la missione dalle periferie stesse, sì che appaia più chiaramente che il luogo vero della Chiesa è il mondo dei poveri ed esclusi, e che alla fine sono i poveri e gli esclusi stessi a sfidare il mondo con la buona notizia del Vangelo.

La liberazione degli oppressi ed esclusi è un aspetto essenziale della missione dello Spirito per una pienezza di vita: come per Gesù,  si è riempiti di Spirito Santo per liberare gli oppressi. Ma ancor più, l'allineamento dello Spirito di Dio con quanti sono spinti ai margini opera un rovesciamento nel movimento stesso della missione che non va più dal centro alla periferia, ma dalla periferia al centro: “la missione non può essere fatta solo da chi ha potere ai senza potere, dai ricchi ai poveri, dai privilegiati agli emarginati” (Together towards Life: Mission and Evangelism in Changing Landscapes. New WCC Affirmation on Mission and Evangelism, No. 38). Gli emarginati ed esclusi sono trasformati in “partners principali nella missione di Dio”, in profeti di una pienezza di vita per tutti (Ibidem, 37, 107).

Un simile spostamento nel movimento della missione aiuterebbe a superare un certo protagonismo missionario che ancora persiste anche negli Atti dell’ultimo Capitolo, e secondo il quale l’altro rimane ancora troppo un destinatario e l’oggetto dell’agire missionario, non importa quanto compassionevole ed altruistico. La missione è non solo una missione ‘centrifuga’ dell’andare verso gli altri per portar loro la salvezza, ma anche una missione ‘centripeta’ di ricevere/accogliere quanto lo Spirito fa crescere ovunque per il grande banchetto del regno di Dio. Il che implica che l’evangelizzatore stesso sia innanzitutto colui che è ospitato e sa godere dell’ospitalità di coloro ai quali intende svelare il volto del Dio “accogliente”.

In fondo, anche l’inserzione nel mondo dei poveri, se non vuol essere una intromissione e una nuova violenza verso i poveri, implica un essere accolti da loro, un sapersi nutrire dei loro doni e un partecipare al loro cammino di liberazione e alla loro lotta e fatica per scendere dalla croce sulla quale sono stati inchiodati. È evidente che da un punto di vista della pratica missionaria la missione dai margini comporta tutta una revisione di stile di vita delle comunità dei discepoli missionari, un preciso discernimento sulla localizzazione stessa delle comunità  e sui mezzi di evangelizzazione. Essa richiede soprattutto una chiara collocazione socio-politica delle comunità missionarie, le quali devono saper affrontare la realtà della violenza, dell'oppressione, dello sfruttamento e della sofferenza inflitta ed accettare gli inevitabili conflitti. Come Gesù nella sua missione affrontò le forze di male  che costringevano la gente a vivere in un mondo di morte, e non ebbe paura di provocare uno scandalo che alla fine lo condusse alla morte in croce, così la proclamazione della buona novella del regno di Dio non può non nominare e denunciare i poteri che oggi mantengono la gente in catene e violano il mondo di Dio.

4. Missione della “Famiglia Comboniana” e nella “Chiesa Locale”

A più riprese gli Atti Capitolari richiamano una missione fatta insieme come “famiglia comboniana” dai Missionari Comboniani del Cuore di Gesù (MCCJ), dalle Suore Missionarie Comboniane (SMC), dalle Missionarie Secolari Comboniane (MSC) e dai Laici Missionari Comboniani (LMC) (cf. Atti, 34-35, 44.14). È tuttavia necessario arrivare a creare concrete forme di comunione e di presenza, nelle quali, in particolare, sia in atto un processo tale di integrazione che consenta alla missione nel suo insieme di assumere i caratteri di una missione anche “al femminile”  e “al secolare”, capace di proclamare l’avvento di un mondo nuovo, libero da oppressioni, riconciliato nelle sue differenze e in cammino verso una vita piena.

Così pure gli Atti Capitolari sottolineano come, in una Chiesa ovunque e sempre missionaria, la Chiesa locale costituisca, nei vari contesti storici, il soggetto primario ed unitario della missione. Ma, al di là  di enunciazioni di principio, poco altro viene organizzato o suggerito. In particolare, non vengono prese in considerazione le ricadute di tali enunciazioni sulla riorganizzazione dell’Istituto dei Missionari Comboniani, prima tra tutte il ruolo preminente della comunità comboniana nel processo di decentralizzazione dell’Istituto stesso.

III - Domande per un approfondimento ed appropriazione personale e comunitaria della proposta missionaria degli Atti Capitolari 2015

1. Comprendendo la missione come il cammino stesso del “discepolato”, gli Atti Capitolari abbozzano un nuovo quadro della missione.

  • Cercando di dare maggiore forma a questo abbozzo, come diremmo che cambi l’immagine tradizionale di missione? Che cosa ne conseguirebbe per la prassi missionaria?  
  • Con quali contenuti specifici dell’eredità missionaria comboniana potrebbe questa nuova visione e prassi missionaria riallacciarsi ed interagire? Come verrebero questi contenuti del nostro carisma reinterpretati e ricreati, liberando magari potenzialità nascoste, sì da diventare riferimenti importanti per un modo nuovo di essere missione?

2. Facendo eco all’Evangelii Gaudium,  gli Atti Capitolari indirizzano a vedere  il senso e la verità della missione in una esperienza condivisa di “grazia” che liberi vita in abbondanza - una “vita buona” per tutti: nell’evento, cioè, del Vangelo che sorprende come veramente una “Buona Notizia”, fonte di gioia in/per un mondo triste.

  • Quali potrebbero essere le forme nelle quali questo evento di grazia può concretizzarsi nei vari contesti storici in cui ci troviamo? In quale maniera può l’annuncio del Vangelo arrivare alla gente come  la “buona notizia” tanto attesa e forse non più sperata? Come potremmo noi, col nostro modo di vivere e attraverso il nostro ministero, essere parte integrale ed attiva del realizzarsi di questo evento di grazia ? Quale ne sarebbe il “costo” a livello sia personale che istituzionale ed ecclesiale ?
  • Quali ne sarebbero le ricadute sui modi e sulla sostanza stessa della nostra comunicazione missionaria? Non è che la stessa fede cristiana nel suo insieme abbia bisogno di essere riqualificata ed espressa in  modo nuovo e fresco, ripartendo dal suo nucleo più profondo di un Dio che in Gesù crocifisso entra nella passione della creazione e della storia e si fa “dono donato”?

3. Gli Atti Capitolari ci invitano a guardare al mondo di oggi non solo come il luogo dove la missione si compie, ma piuttosto come un fattore qualificante per la comprensione e pratica della missione stessa. Anzi, la logica del discorso dell’Evangelii Gaudium, a cui gli Atti si ispirano, ci porta a riconoscere nel mondo e nella storia il luogo dove lo Spirito e il Signore sono al lavoro, facendo crescere il Regno di Dio, prima e al di là di noi e della Chiesa stessa – un tempo di grazia nonostante tutto.

  • In quale maniera tutto questo ci spinge ad un rapporto nuovo, fatto di empatia e coinvolgimento, col mondo d’oggi, specificamente nei vari contesti della missione? Come possiamo “abitare” da discepoli missionari questo tempo che ci è dato? Quali sarebbero i punti focali e le modalità di un dialogo missionario con la società in Europa?
  • Quali sono i segni della presenza ed azione di Dio e i semi del suo Regno che possiamo scoprire come tracce da seguire nel nostro cammino di discepoli missionari, tanto da diventare parte della nostra programmazione missionaria per i prossimi anni?

4. Gli Atti Capitolari individuano nell'inserimento nelle periferie esistenziali di oggi il "punto di accesso" ad un rapporto missionario costruttivo con il mondo. La missione si configura così come un’uscita verso le periferie per farsi cammino assieme a chi è lasciato ai margini del vivere sociale e religioso.

  • Qual’è la portata teologica e pratica di un tale spostamento (déplacement) della missione, da “missione fatta da chi ha potere ai senza potere, dai ricchi ai poveri, dai privilegiati agli emarginati” a “missione fatta dai senza potere a chi ha potere, dai poveri ai ricchi, dagli emarginati ai privilegiati”?
  • Quale sfida evangelica rappresenta tutto questo per gli stessi poveri ed emarginati, e per il loro cammino di liberazione/redenzione? In che modo possono trasformarsi in “partners principali nella missione di Dio”?
  • Che cosa significa questo spostamento nel movimento della missione per il nostro ministero per/con gli immigrati e rifugiati, soprattutto se inteso come una priorità della nostra missione in Europa? Quali sono le ricadute concrete sul senso stesso di questo ministero come anche sulle modalità del suo esercizio?
  • Come sarebbe il nostro stile di vita e di prassi missionaria ridefinito da una missione dai margini? Quali ne sarebbero le conseguenze per le nostre strutture e la loro collocazione, e per la gestione economica della Congregazione?

5. Come già in precedenti Capitoli, anche gli Atti del Capitolo 2015 incoraggiano una missione della “Famiglia Comboniana”.

  • Quali sono le remore che ritardano la realizzazione di questo “voto”, condiviso anche dalle altre componenti della Famiglia Comboniana?
  • Perché si abbia una missione della “Famiglia Comboniana”, sono sufficienti una maggiore collaborazione e un maggiore coordinamento tra MCCJ, SMC, MSC e LMC e le varie forme di missione che queste componenti della Famiglia Comboniana esprimono, e cioè missione al “maschile” – al “femminile”, al “religioso” – al “secolare”, al “presbiterale” – al “laicale”? O si richiede anche una reciprocità e una certa osmosi tra queste dimensioni della missione – un imparare le une dalle altre, sì da comporre una figura di missione che sia sempre comunque un po’ al “poliedro”? Quali potrebbero essere i passi necessari perché ciò possa avvenire?

6. Gli Atti Capitolari riaffermano che la Chiesa è ovunque e sempre in stato di missione, e che la Chiesa locale rappresenta, nei vari contesti storici, il soggetto primario della missione, e perciò anche il nostro carisma comboniano va vissuto ed esercitato nella comunione della Chiesa locale e a servizio della sua missionarietà.

  • Quali iniziative concrete e quali nuove forme ministeriali potrebbero garantire un maggiore e più significativo inserimento delle nostre comunità e della Famiglia Comboniana in quanto tale nella dinamica evangelizzatrice della Chiesa locale, e specificamente in Europa?
  • Un tale inserimento richiede certo una collocazione sul territorio. Ma per questo è necessario o comunque sufficiente assumere la cura di parrocchie? Come andrebbe in ogni caso qualificata una presenza comboniana di tipo parrocchiale?
  • È possibile un effettivo inserimento nella comunione della Chiesa locale come soggetto della missione senza una corrispondente trasformazione dell'organizzazione dell'Istituto stesso? In particolare, quale modello di decentralizzazione dell’Istituto potrebbe meglio corrispondere alla realtà di comunità comboniane inserite nella dinamica evangelizzatrice delle Chiese locali?

P. Benito de Marchi
Febbraio 2017