Mercoledì 14 ottobre 2015
P. Antonio Villarino ha aperto oggi i tre giorni (14, 15 e 16 ottobre) di programmazione delle attività della comunità della Curia, per l’anno 2015-2016, con una riflessione-ritiro sul recente XVIII Capitolo Generale dei Missionari Comboniani e la sua stretta relazione con l’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii gaudium”. Una breve relazione con alcune domande, per la riflessione dei missionari che vivono e lavorano nella Direzione Generale dei Comboniani, a Roma. P. Villarino ha avuto come punto di riferimento la bozza del documento finale del Capitolo, approvata dai capitolari, attualmente in fase di revisione, prima della pubblicazione definitiva.

 

P. Antonio Villarino
ha presieduto
la Messa.

 

Il XVIII Capitolo Generale
dei Missinari Comboniani
e l’Evangelii Gaudium


Introduzione

Inizio questa mia riflessione con una breve introduzione sull’esperienza capitolare, così come l’ho vissuta:

  1. Questo è stato il primo Capitolo della nuova era dell’Istituto comboniano, un’era segnata dalla presenza di molti comboniani africani, giovani maturi che hanno partecipato all’assemblea capitolare con libertà, competenza e identità comboniana. Questo fatto ci ha dato molta speranza. Non una speranza basata su supposizioni, ma sul fatto reale che abbiamo molti giovani confratelli che vivono il carisma, amano la missione e vogliono partecipare alla vita dell’Istituto. La multiculturalità dei capitolari non è stata un problema ma un dono, una gioia, una fonte di vitalità e di speranza.
  2. È stato un Capitolo vissuto con intensità e allo stesso tempo con serenità. Il risultato più evidente è la facilità con cui siamo arrivati ad eleggere il nuovo Consiglio Generale e ad approvare il documento finale. Certamente, ci sono ancora degli elementi da ritoccare nello Statuto e nella dinamica capitolare perché diventino un miglior strumento di discernimento e di guida per la vita dell’Istituto. Ma abbiamo fatto già parecchia strada.
  3. Il documento finale – molto più breve e diretto dei documenti precedenti – non è perfetto, ma, a mio avviso, offre un’ispirazione nella linea dell’Evangelii gaudium e delle indicazioni pratiche, che possono diventare preziose per un rinnovamento dell’Istituto, se noi siamo disposti ad accoglierli con umiltà e generosità.
  4. Il Capitolo è stato fortemente segnato da questa Esortazione apostolica e dal magistero di Papa Francesco. Un segno di questa costante presenza, possiamo vederlo nelle numerose citazioni che se ne fanno, anche se sono solo un piccolo riflesso del numero di volte che l’Esortazione apostolica è stata citata nell’aula capitolare e nei gruppi di lavoro.

Penso che un buon modo per interpretare e assimilare il documento capitolare sia proprio quello di approfondire queste citazioni dell’Evangelii gaudium. Ed è quello che vi propongo per questo ritiro:

1. La gioia del Vangelo, propria dei comboniani, è la vita donata (Ispirazione)

“Chiamati a vivere la gioia del Vangelo: una vita donata a Gesù e al suo popolo è una vita bella che dà gioia (EG 268)”. Così comincia il quarto numero dei sei con cui il Capitolo spiega il tema ispiratore: “Discepoli missionari comboniani, chiamati a vivere la gioia del Vangelo, nel mondo di oggi”.

Il testo capitolare mette subito in relazione quest’affermazione di Papa Francesco con un’altra, che noi ben conosciamo, di Comboni: “Il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la mia vita per voi” (SS 3159).

Ecco una delle chiavi che il Capitolo, seguendo la EG e Comboni, ci offre per diventare missionari gioiosi: dare la vita. Mi fa ricordare la famosa frase di Tagore: “la vita, la riceviamo gratis e la meritiamo donandola”. O quell’altra del vangelo: soltanto chi consegna la propria vita l’avrà in abbondanza. La fonte della nostra gioia e della nostra pienezza di vita non è nient’altro che la nostra stessa vita donata, consegnata.

La gioia che cerchiamo non è una gioia a “buon mercato”. Il Capitolo dice: “è una gioia a caro prezzo: per difendere la vita delle pecore dobbiamo affrontare lupi e ladri. Ce lo ricordano i nostri martiri. Noi Missionari Comboniani viviamo veramente la nostra identità quando amiamo con passione la gente e lottiamo perché tutti gli uomini e le donne possano vivere con una vita piena, più umana e degna”.

Questa frase capitolare mi fa pensare, inoltre, all’esempio di Ezechiele Ramin, che, come sappiamo, non era un uomo perfetto, ma, come riconoscono quelli che lo hanno conosciuto “aveva un sogno” e invitava i contadini di Cacoal a lottare per un futuro migliore: “Abbiate un sogno”, diceva. E lui ha consegnato la sua vita lottando per questo sogno. Non è tanto importante sapere se aveva ragione o no, ma sapere che ha consegnato la sua vita per la vita di altri.

Il Capitolo cita qui il numero 268 della EG, che significativamente ha come titolo: “Il piacere spirituale di essere popolo” e dice così: La Parola di Dio ci invita anche a riconoscere che siamo popolo: «Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio» (1 Pt 2,10). Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo. Così riscopriamo che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato. Ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa appartenenza (EG 268).

In linea con tutto questo, il Capitolo ricorda l’icona del Buon Pastore e della Vita: Io sono venuto perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza (Gv 10,10). Unendo i testi della liturgia di San Daniele Comboni e della Evangelii gaudium, possiamo ricordare che il pastore fa “causa comune” e condivide l’odore delle pecore, perché queste abbiano vita.

Una domanda per la nostra meditazione: Vivo troppo centrato su me stesso o riesco a vivere per gli altri? Come posso dare ancora di più la mia vita?

2. Vogliamo essere un Istituto “in uscita”, con un sogno: passare dalla globalizzazione dell’indifferenza alla globalizzazione della tenerezza (Missione)

Dopo la succinta ma, a mio avviso, molto efficace descrizione dell’identità comboniana contenuta nel tema ispiratore del Capitolo, il documento capitolare si trattiene brevemente sulla situazione del mondo, della Chiesa e dell’Istituto. In questo capitoletto si citano due numeri della EG: 54 e 20. Attraverso questi due numeri, il Capitolo ci fa capire la chiamata alla conversione missionaria che lo Spirito ci fa come Istituto in questo momento della storia, in tre passi.

a) La “globalizzazione dell’indifferenza” (EG 54)

Per capire quanto viene detto nel numero 54, ci è di aiuto leggere prima l’ultima parte del numero 53 sulla cultura dello scarto: Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”. (EG 53)

Il numero 54 dice: In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo (EG 54).

Una domanda per la nostra meditazione: Sono caduto anch’io nell’indifferenza, nell’incapacità di provare compassione? Con l’età, con il lavoro routinario sono diventato indifferente?

b) Davanti a questo mondo caratterizzato dalla cultura dello scarto e dell’indifferenza, la Chiesa è chiamata a raggiungere tutte le periferie con la luce del Vangelo

Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr. Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17). A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (EG 20).

Una domanda per la meditazione: Da quale comodità dovrei uscire io? Da quale routine dovrebbe uscire la mia comunità?

c) Un Istituto in uscita: la conversione missionaria alla quale siamo chiamati

Davanti alla realtà attuale del mondo e della Chiesa, il Capitolo sente la chiamata a sognare e a convertirsi:

“Veri discepoli-missionari-comboniani, ci ispiriamo al Cuore di Gesù appassionato per il mondo, vogliamo continuare all’ascolto di Dio, di Comboni e dell’umanità, sapendo cogliere e proporre nella missione di oggi i segni dei tempi e dei luoghi” (22).

Questo desiderio di conversione si concretizza in cinque proposte:

* “Strutture semplici, condivise ed accoglienti ci rendono più umani, più vicini alla gente e più felici. Al contrario dobbiamo evitare la tentazione di una vita borghese e comoda, isolata, impoverita nella sua spiritualità e poco appassionata per la missione” (23).

* Passare dal “protagonismo e dall’auto-referenzialità” al “servizio e alla collaborazione”.

* Fare un’evangelizzazione fondata sulla Parola ascoltata, vissuta e celebrata:

Non solamente l’omelia deve alimentarsi della Parola di Dio. Tutta l’evangelizzazione è fondata su di essa, ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e testimoniata. La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio «diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale».[Verbum Domini, 682] La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia (EG 174).

* Adottare “i poveri come compagni e maestri”:

Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». (Giovanni Paolo II, Omelia durante la Messa per l’evangelizzazione dei popoli a Santo Domingo, 11 ottobre 1984] Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa». (Giovanni Paolo II, Lett enc. Sollicitudo rei socialis, 30b dicembre 1987). Questa opzione – insegnava  Benedetto XVI – «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà». (Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale del Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi , 13 maggio 2007) Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro (EG 198).

* “Dalla paura che tende a ripiegarci in noi stessi, siamo invitati a convertirci alla fiducia in Dio e negli altri, che ci porta ad osare sogni grandi a partire dalla piccolezza” (24). Questo principio ci porta a alcuni atteggiamenti sulla missione oggi:

(I) Una riflessione continua sui contenuti teologici della missione e sui luoghi e sugli ambiti.

(II) Una conversione profonda della nostra pastorale missionaria che “esige abbandonare il comodo criterio del ‘si è fatto sempre così’ (EG 33) e dovrà combinare fedeltà al carisma, audacia e realismo.

(III) “Ispirati dall’invito di Papa Francesco vogliamo avviare una riflessione che dovrà portare a ‘ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi della evangelizzazione’ (EG 33), delle nostre comunità”.

(IV) Il Capitolo propone che il CG organizzi il modo in cui tutte le comunità faranno una riflessione metodica sulla EG e la LS, arrivando a una revisione della propria azione missionaria e ad una revisione a fondo degli impegni.

(V) In questa revisione degli impegni il Capitolo mette in risalto due realtà: la ministerialità e la missione in Europa.

3. Persone che incontrano Gesù (Persona)

Il Capitolo introduce nella categoria “persona” alcuni temi fondamentali della nostra vita: la spiritualità, il cenacolo di apostoli, l’interculturalità, la Regola di Vita, la formazione.

In questo capitoletto, il Capitolo cita sei numeri della EG (268, 235-236, 259, 262, 264), che mettono l’accento su cinque temi:

a) Nella comunità la persona non si annulla, ma si sviluppa

Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. Allo stesso modo, una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili (235)

b) Il modello non è la sfera ma il poliedro

Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti (236).

c) Evangelizzatori con Spirito: vite trasfigurate

Evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio (EG 259).

d) Evangelizzatori che pregano e lavorano

Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. Dal punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore. Tali proposte parziali e disgreganti raggiungono solo piccoli gruppi e non hanno una forza di ampia penetrazione, perché mutilano il Vangelo. Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività.[205] Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera, e mi rallegra immensamente che si moltiplichino in tutte le istituzioni ecclesiali i gruppi di preghiera, di intercessione, di lettura orante della Parola, le adorazioni perpetue dell’Eucaristia. Nello stesso tempo «si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione».[206] C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione, perché la privatizzazione dello stile di vita può condurre i cristiani a rifugiarsi in qualche falsa spiritualità (EG 262).

e) Evangelizzatori che fanno esperienza dell’amore di Gesù che ci salva

La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri (EG 264).

4. Ripensare obiettivi, strutture e metodi di evangelizzazione (Riorganizzazione)

Il Capitolo ha preso atto che “il nuovo contesto della società e della missione ci sfida ad essere audaci e creativi e a ripensare obiettivi, strutture e metodi di evangelizzazione e animazione missionaria, consapevoli di non poter rispondere a tutte le attese del nostro tempo. Guidati dallo Spirito Santo che ci precede su questo cammino, ci dedichiamo a tale servizio realizzandolo in un’esperienza di pienezza evangelica, anche nella debolezza (2 Cor 12, 10; Rm 5,20)” (38). In questo numero si fanno due citazioni della EG (33 e 27):

a) Dal “si è fatto sempre così” all’audacia e alla creatività

La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale (EG 33).

b) Un improrogabile rinnovamento ecclesiale

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva  Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale»[25] (EG 27).

Conclusione

Il Capitolo – scrivono i capitolari nella lettera finale – è stato “una celebrazione di fraternità e di passione condivisa per la missione. Ci ha accompagnato la sofferenza della gente con cui facciamo causa comune. È stata un’esperienza di gioia e di unità che ha stupito noi stessi: abbiamo riscoperto la bellezza della nostra vocazione missionaria comboniana”. E concludono: “Quando riceverete gli Atti Capitolari potrete star sicuri che sono veramente vostri: noi siamo stati strumenti di Dio. Tutti insieme possiamo incarnarli in atteggiamenti missionari pieni della gioia del Vangelo che oggi il mondo chiede con insistenza”.

P. Antonio Villarino,
Roma, 14 ottobre 2015