Mercoledì 30 maggio 2018
Vorrei farvi partecipi di alcune considerazioni circa l’Animazione Missionaria e alcune proposte per la stesura di un Direttorio Provinciale di Animazione Missionaria. (Mariano Tibaldo, mccj).

Direttorio provinciale di animazione missionaria

Roma 30/5/2018

Cari confratelli, che il Signore vi riempia della gioia del Vangelo.

Vorrei farvi partecipi di alcune considerazioni circa l’Animazione Missionaria e alcune proposte per la stesura di un Direttorio Provinciale di Animazione Missionaria.

Il direttorio del Segretariato Provinciale della Missione (SPM) che vi ho inviato qualche tempo fa conteneva la ‘descrizione di lavoro’ del segretariato, delineava, cioè, la natura, i compiti, lo scopo e la struttura dello stesso. Il direttorio cercava di ovviare ad alcune mancanze presenti nei direttori del passato cercando di dare al segretariato un’identità precisa e un ambito di lavoro specifico. Non era infrequente che al SPM (o, come era chiamato, dell’evangelizzazione) fossero demandati compiti diversissimi che non appartenevano ai suoi ambiti di lavoro: dall’organizzazione delle assemblee provinciali a quella dei ritiri provinciali, per citarne alcuni. Molti direttori del SPM che ho letto, inoltre, contenevano molte affermazioni di principio ma senza delineare gli ambiti, gli scopi pratici e la struttura del segretariato che potessero aiutarne i membri a dare un apporto qualificato alla missione nella provincia.

La revisione del direttorio del SPM è ancor più necessaria in quanto il Capitolo Generale del 2015 ha deciso di accorpare il segretariato dell’evangelizzazione, dell’animazione missionaria e degli uffici (Laici e GPIC) in un unico segretariato. Il direttorio del SPM dovrebbe esprimere, quindi, questa mutata realtà.

Nell’ultima assemblea dell’Animazione Missionaria delle Circoscrizioni di lingua inglese dell’Africa ad Addis Abeba si è parlato più volte di un direttorio Provinciale dell’Animazione Missionaria (DPAM). Per prima cosa vorrei sottolineare la differenza tra il direttorio del SPM e quello dell’AM, soprattutto per quanto riguarda lo scopo dei due documenti. Il primo descrive il lavoro e il funzionamento di quell’organo tecnico-consultivo-operativo che è il SPM, il secondo descrive NON tanto il segretariato dell’AM (che ora è, appunto, accorpato al SPM) ma, piuttosto, che cosa si intenda per AM, quali gli obbiettivi, i compiti, i mezzi, le strutture, le persone coinvolte, i referenti ecc. Questo non toglie che nel segretariato della missione, vi sia un settore che s’incontra e discute sui problemi dell’AM, tenendo a mente, però, che la persona incaricata dell’AM è parte del SPM e l’AM non ne è che un settore.

Vorrei indicare alcuni punti fermi e dimensioni importanti dell’AM che dovrebbero orientare la stesura di un eventuale DPAM.

  1. Prima di tutto, mi sembra necessario rilevare come non sia più possibile pensare e ‘fare’ missione a settori, come se ognuno seguisse una sua specializzazione, senza tenere conto che tutte le dimensioni della missione sono con-presenti nell’attività missionaria. Ribadisco ciò che ho scritto per l’assemblea dell’AM ad Addis Abeba: “Ormai, i confini tra evangelizzazione, AM e vocazionale e Giustizia e Pace non [sono] più così netti come, probabilmente, lo erano un tempo, quando la missione era inquadrata in un paradigma geografico. Ora, chi fa AM, fa anche evangelizzazione ed è anche animatore vocazionale. Questo non significa che, in una circoscrizione, alcuni confratelli non abbiano dei compiti specifici di animazione vocazionale o missionaria. La complessità della missione e delle realtà locali lo richiede – per esempio, l’animazione dei gruppi missionari nelle parrocchie e dei giovani nelle scuole, la gestione delle giornate missionarie, il contatto con i benefattori e soprattutto la professionalità richiesta nel mondo dei media”.
  2. I Capitoli Generali (almeno dal 1991 in poi) hanno posto l’accento sul cambiamento del paradigma missionario che necessariamente ha coinvolto il modo di fare AM. Se la missione è annuncio evangelico e promozione dei valori del Regno, lo scopo dell’AM è quello di essere di stimolo alla Chiesa e alla società perché difendano la vita in tutte le sue dimensioni (AC ’09 n.180.2). Vorrei ribadire che lo scopo dell’AM è molto più ampio del semplice ‘parlare delle missioni’, chiedere preghiere e atti di solidarietà per le ‘missioni’, risvegliare la chiesa locale sul suo ‘dovere missionario’. Anche questo, certamente. Attingendo ai Capitoli precedenti, soprattutto al Capitolo del 2009 (nn. 183-185) ora l’AM ha il compito di:
    1. Sensibilizzare le chiese locali ad annunciare il Vangelo oltre le proprie frontiere (ma, aggiungo, anche dentro le proprie frontiere: quante ‘periferie del Vangelo’ ci sono dentro i confini di una chiesa locale?).
    2. Promuovere le cooperazione tra le Chiese, stimolando la conoscenza reciproca e la condivisione delle ricchezze e delle diversità della Chiesa universale.
    3. Annuncio profetico e di denuncia contro ogni ingiustizia e oppressione. Ricordo che anche il lavoro di lobbying e di advocacy fa parte del carattere profetico dell’annuncio missionario, come ci ricorda il Capitolo Generale del 2009 (AC ’09 n. 184).
    4. Formare dei leader perché siano essi stessi protagonisti di trasformazione.

In breve, il compito dell’AM è di:

  1. Informazione (che può diventare denuncia profetica).
  2. Formazione della coscienza missionaria del popolo di Dio.
  3. Proposta di solidarietà (preghiera e sacrificio, aiuto economico e proposta esplicita della vocazione missionaria in tutte le sue forme – AC ’97 n. 102).
  1. Vorrei aggiungere altre tre dimensioni che dovrebbero essere specificate nel DPAM:
    1. La necessaria collaborazione con tutte le forze locali e soprattutto con la Famiglia Combonian È importante che questa collaborazione sia definita nel DPAM: quali persone coinvolgano, le modalità del lavoro insieme ecc. L’animatore missionario, il cavaliere solitario di tante nostre pratiche di animazione nel passato, non ha più ragione di esistere, anzi, il suo lavoro può essere controproducente se non ha il sigillo della continuità nata da una collaborazione effettiv
    2. L’importante dimensione comunitaria: l’AM è un evento di comunità, sia come progettazione a livello di circoscrizione, zonale e locale, sia nella dimensione della testimonianza di una comunità che vive il Vangelo, comunità di accoglienza, ospitale, comunità dove le differenze culturali e caratteriali sono accolte e valorizzate. L’AM, prima di essere un compito di una persona specifica, è un evento comunitario che coinvolge tutte le comunità della Circoscrizione, ma, allo stesso tempo, l’AM comporta una progettazione comune del lavoro: perciò le strategie di azione, i mezzi, i referenti e i tempi di riunione del settore dell’AM devono essere chiaramente espressi nel direttorio. Il direttorio dovrebbe anche predisporre i modi e i tempi delle consegne per introdurre un nuovo animatore al compito che gli spetta.
    3. La preparazione dell’animatore missionario. Un elemento normalmente disatteso nella progettazione di circoscrizione ma che dovrebbe essere presente e chiaramente espresso nel DPAM (modi e tempi di preparazione, nonché la necessità di delineare l’identità dell’animatore).

In conclusione, ripensare l’AM nelle mutate condizioni del mondo, della missione e della Chiesa mi sembra un compito necessario e imprescindibile.

Carissimi confratelli, rimango a vostra disposizione per suggerimenti, contributi e/o correzioni. Grazie.

Vi porto nel cuore.
Con amicizia:
P. Mariano Tibaldo, mccj