P. Carmelo Casile: “Il missionario, un segno di conversione”

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Venerdì 31 agosto 2018
«Il missionario, un segno di conversione» è il titolo di una riflessione sviluppata da P. Carmelo Casile, missionario comboniano, lungo gli anni passati a Huánuco (Perù), come catechesi per i novizi, poi ripresa a Roma, per il
Corso di Rinnovamento comboniano, e, finalmente, rivista durante questa estate 2018. «Quando ho cominciato a lavorare nella formazione – confessa P. Carmelo [nella foto] –, “la conversione” era un argomento non molto gradito; la parola d’ordine era “autorealizzazione!”: era l’argomento più frequente e che accalorava di più. Forse questa diffidenza verso la conversione ci ha portati alle “amarezze” di questi ultimi decenni che hanno afflitto tutti noi, e che si sono acuite in questi giorni. Comunque “la conversione” mantiene sempre la sua attualità e capacità di darci slancio nel nostro cammino di discepoli missionari. In questo cammino mi sembra che la nostra Regola di Vita ci offra preziose indicazioni, che vanno riscoperte per noi e per quelli a cui siamo inviati».

IL MISSIONARIO, UN SEGNO DI CONVERSIONE

Missionari comboniani in Piazza San Pietro a Roma.

II primo destinatario dell'attività evangelizzatrice è lo stesso missionario. La continua conversione di sé alla Buona Notizia, che è chiamato ad annunciare, fonda e dà credibilità alla sua attività. [cfr. Regola di Vita (RdV, nn. 46; 20; 99) e Ratio Missiones (RMi, nn. 87-90)]. Ciò dipende dalla natura stessa della missione e dagli uomini ai quali il missionario è inviato.

Infatti, per vivere la vita apostolica con la radicalità che questa gli chiede, il missionario è chiamato a vivere in un continuo «ardore di santità» (RMi 90) e in una continua tensione verso la conversione, come corrispondenza al dono ricevuto. Quanto più il missionario è cosciente del dono ricevuto, tanto più intensamente avverte l’esigenza d’impegnarsi a corrispondere alla chiamata divina nelle scelte concrete della vita attraverso un cammino di continua conversione, per portare l’annuncio del Vangelo alle nazioni (cfr. RdV 20; 56; 82; 82.1; 85).

Inoltre, l'essenza dell'uomo, e a titolo speciale del missionario, è essere-da-e-di-Dio ed essere-per-Iddio: «L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. … la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola quella divina» (GS 19a; 22e).

Ma quest’unione non può essere sentimentale e incoerente, come se Dio fosse un giocattolo o una “scappatoia” per i momenti di angoscia o per il momento della fine della vita; l’unione con Dio dà vita, quando è una unione di autentico impegno e alleanza con Lui, in modo tale che sia una unione vitale, mediante la quale Dio sia il mio “tutto”, il “tutto” che dà significato pieno alla mia vita.

L’evangelizzazione, per tanto, postula la conversione sia del missionario sia delle persone a cui è inviato; in questa dinamica il missionario, nel suo cammino di fede nel mondo e per il mondo (RdV 16), diviene segno di conversione e strumento di comunione e di dialogo, che interpella tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero, dentro e fuori della Chiesa.

I

L’EVANGELIZZAZIONE,

RAGIONE DELLA VITA DEL DISCEPOLO MISSIONARIO,

POSTULA LA CONVERSIONE

«Chi cerca di fare ed agire in favore degli altri, o del mondo, senza approfondire la conoscenza di sé, la propria libertà, integrità e capacità di amare, non avrà niente da dare agli altri. Comunicherà loro nient’altro che il contagio delle proprie ossessioni, aggressività, delusioni riguardanti fine e mezzi e ambizioni, egocentriche»[1].

«Per mantenersi fedeli alla propria vocazione e rispondere adeguatamente alle nuove esigenze di una Chiesa e di una società civile in trasformazione, i missionari sono chiamati a una continua crescita in Cristo e identificazione al carisma dell’Istituto. Perciò hanno un incessante bisogno di essere evangelizzati, di convertirsi e di rinnovare i contenuti e i metodi teologici, culturali e professionali del loro servizio missionario»: RdV 99; cfr. RdV 21.1.

«Il pensiero perpetuamente rivolto al gran fine della loro vocazione apostolica deve ingenerare negli alunni dell'Istituto lo spirito di Sacrifizio.

Si formeranno questa disposizione essenzialissima col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime.

Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui. Il distacco, che ha già fatto dalla famiglia e dal mondo, non è che il primo passo: essi cercheranno di andar sempre più consumando il loro olocausto, rinunciando ad ogni affetto terreno, abituandosi a non far caso delle loro comodità, dei loro piccoli interessi, della loro opinione, e d'ogni cosa che li riguardi; perché anche un tenue filo, che rimanga, può impedire un'anima generosa di elevarsi a Dio. Sarà perciò continua la pratica dell'abnegazione di se stessi, anche nelle piccole cose, e rinnoveranno spesso l'offerta intera di se medesimi a Dio, della sanità, ed anche della vita. Per eccitare lo spirito a queste sante disposizioni, in certe circostanze di maggior fervore faranno tutti insieme una formale ed esplicita dedica a Dio di se stessi, esibendosi ciascuno con umiltà e confidenza nella sua grazia anche al martirio». (Regole 1971, Cap. X, S 2720-2722).

INTRODUZIONE: essere evangelizzatore, oggi

L’umanità di oggi, sempre più sottratta all’influsso vitale del visione religiosa della vita, è insidiata dal rischio di cadere nella gabbia del narcisismo, privandosi così di quel dinamismo d’amore che solo può aprire l’essere umano alla relazione con l’Altro e farlo crescere nella giusta relazione con se stesso, con gli altri e il creato.

In effetti, “il panorama internazionale, se da una parte presenta prospettive di promettente sviluppo economico e sociale, dall'altra offre alla nostra attenzione alcune forti preoccupazioni per quanto concerne il futuro stesso dell'uomo. La violenza, in non pochi casi, segna le relazioni tra gli individui e i popoli; la povertà opprime milioni di abitanti; le discriminazioni e talora persino le persecuzioni per motivi razziali, culturali e religiosi, spingono tante persone a fuggire dai loro Paesi per cercare altrove rifugio e protezione; il progresso tecnologico, quando non è finalizzato alla dignità e al bene dell'uomo né ordinato ad uno sviluppo solidale, perde la sua potenzialità di fattore di speranza e rischia anzi di acuire squilibri e ingiustizie già esistenti. Esiste inoltre una costante minaccia per quanto riguarda il rapporto uomo-ambiente dovuto all'uso indiscriminato delle risorse, con ripercussioni sulla stessa salute fisica e mentale dell'essere umano. Il futuro dell'uomo è poi posto a rischio dagli attentati alla sua vita, attentati che assumono varie forme e modalità” (Benedetto XVI)[2].

D’altra parte, «oggi sono innumerevoli coloro che attendono l'annuncio del Vangelo, coloro che sono assetati di speranza e di amore»[3]. Questa stessa umanità, infatti, è contrassegnata dalla ricerca del religioso o del sacro. Non è difficile costatare che l’uomo d’oggi è alla ricerca di nuove spiritualità, religioni e filosofie capaci di dare una risposta al senso dell’esistenza. La domanda spirituale che si credeva ormai tramontata, è chiaramente percettibile anche nella nostra società occidentale. Gli itinerari sono molteplici, le proposte tra le più svariate e inaspettate, a tal punto che sembrano talvolta inintelligibili se non addirittura incoerenti, aprendo le persone al rischio dello spiritualismo e del sincretismo religioso[4].

Molti contenuti che si convertono in un fattore importante per il cammino spirituale del cristiano del nostro tempo, provengono da espressioni culturali orientate allo studio e all’impegno nella soluzione dei problemi del mondo attuale.

È indicativa, per esempio, l’espressione culturale delle Carovane, che consiste in una manifestazione culturale che ha come filo conduttore la conoscenza del mondo in cui viviamo, per mezzo d’incontri con testimoni e autori di saggi, racconti e raccolte di poesie significativi che caratterizzano il nostro tempo. È una corrente culturale che va alla ricerca delle cosiddette Città invisibili: espressione che richiama la necessità di svelare i molti mondi possibili al di là della nostra cultura e del nostro sistema sociale occidentale.

Si scopre così come i paesi del Sud del mondo c’insegnano prospettive diverse, testimoniano di altre priorità, apportano un nutrimento vitale al nostro sapere e mettono in questione i nostri stili di vita. Nasce così una corrente di spiritualità laica, che va in cerca di un nuovo umanesimo; essa si propone di formare persone “riconciliate con se stesse, con gli altri e con la natura, capaci di pensare e di vivere in maniera diversa, per portare l’umanità da una situazione di estrema competitività ad una situazione di estrema solidarietà”.

In questo contesto entrano i temi quali “sviluppo, ambiente, pace”, la lotta contro le grandi emergenze sanitarie e ambientali, contro l’indigenza di milioni di esclusi dalle leggi dell’economia moderna; la cooperazione internazionale, il mercato equo e solidale, ecc.

In questo stesso contesto entra anche la ricerca del silenzio come «uno spazio necessario per ritrovare la nostra identità, per non perderci in sterminati campi incolti dove i sogni, come le piante, inaridiscono e muoiono», perché in «questa nostra età tanto progredita tecnologicamente e tanto umanamente regredita, (…) la nostra vita scorre in mezzo al chiasso, tra fiumi di parole spesso inutili che servono solo a coprire le nostre incertezze, il disaggio interiore quando siamo a contatto con gli altri». È tempo quindi «di rivalutare il silenzio: esso solo ci consente di ritagliare spazi di buonsenso per non essere travolti dal ritmo incalzante dell’arroganza dilagante, per intrecciare un dialogo sereno con noi stessi e con gli altri»[5].

Nel campo più specifico della spiritualità cattolica si propone una spiritualità che punta a formare «l’uomo trascendente»[6], «una spiritualità della politica»[7]. Questa sfocia nella virtù della «carità politica», cioè nella passione per l’uomo, come impegno per promuovere i suoi diritti fondamentali, la giustizia e la pace, sottolineando la dimensione sociale del Vangelo; nella «carità cosmica», cioè aperta all’amore del creato; nella «carità intellettuale», cioè aperta alle diversità culturali, impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso, nell’annuncio del Vangelo nella prospettiva dell’evangelizzazione delle culture, ecc.

La risposta a questo scenario così stimolante «viene a noi credenti dal Vangelo. È Cristo il nostro futuro e il suo Vangelo è comunicazione che "cambia la vita", dona la speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell'umanità e dell'universo (cfr Spe salvi n. 2).

San Paolo aveva ben compreso che solo in Cristo l'umanità può trovare redenzione e speranza. Perciò avvertiva impellente e urgente la missione di "annunciare la promessa della vita in Cristo Gesù" (2Tm 1,1), "nostra speranza" (1Tm 1,1), perché tutte le genti potessero partecipare alla stessa eredità ed essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo (cfr Ef 3, 6). Era cosciente che priva di Cristo, l'umanità è "senza speranza e senza Dio nel mondo” (Ef 2, 12) - senza speranza perché senza Dio» (Spe salvi, 3). In effetti, «chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (Ef 2, 12) (ivi, 27)»[8].

L’umanità di oggi, per entrare in un autentico cammino di liberazione redentrice, ha bisogno di uomini nuovi, di “figli di Dio”, che attingendo all'amore di Cristo "l'attenzione, la tenerezza, la compassione, l'accoglienza, la disponibilità, l'interessamento ai problemi della gente"[9], promuovano un mondo nuovo.

Occorrono “uomini nuovi per un mondo nuovo”. Questi uomini nuovi sono quelli che nascono dall’incontro con il Cuore di Cristo trafitto sulla Croce, in cui Dio rivela pienamente il suo amore per il genere umano. Un amore che diventa modello e dinamismo d’amore per la crescita integrale dell’uomo.

Noi Missionari Comboniani, per dono di Dio, abbiamo scelto di appartenere a un gruppo di “uomini nuovi”, nati sotto la guida di san Daniele Comboni dall’incontro personale con il Cuore trafitto di Cristo Buon Pastore, che diviene epicentro nello sviluppo permanente della vita e libertà interiori di ciascun missionario, corroborato nella condivisione dei beni spirituali nella comunità (Cfr. RdV 99; 81-85).

Dalla novità che sgorga dall’incontro continuo con il Signore Gesù, nasce in noi la nostra identità di evangelizzatori del mondo di oggi, che si esprime nel progetto di lasciare tutto e dedicarci completamente e incondizionatamente a spargere nel mondo, assetato di speranza e d’more, il profumo della carità di Cristo (cfr. RdV 3-5).

Le note che seguono sono un tentativo di sottolineare i tratti essenziali dell’evangelizzatore, uomo nuovo e figlio di Dio, e della novità di vita che egli è chiamato ad annunciare e proporre.

1.1 L’evangelizzazione non tollera la manipolazione ideologica né l’industrializzazione

Per noi Missionari Comboniani, in virtù del dono della vocazione, l’evangelizzazione è la ragione della nostra vita. Essa ci fa “prigionieri di Cristo per i gentili” (Ef 3,1), ci spinge quindi verso i lontani che non conoscono ancora Cristo, o non ne hanno sperimentato ancora l’amore liberante (RdV 20; 46; 56; 60-61), consapevoli che non è un vanto predicare il Vangelo, ma un compito e una gioia (cfr. 1Cor 9, 16).

Questo compito e questa gioia sono in noi l’eco dell’esperienza degli Apostoli, in particolare di Paolo, che tanto ha influito nell’ “impeto” apostolico di san Daniele Comboni.

Paolo, infatti, «sulla via di Damasco aveva sperimentato e compreso che la redenzione e la missione sono opera di Dio e del suo amore. L'amore di Cristo lo portò a percorrere le strade dell'Impero Romano come araldo, apostolo, banditore, maestro del Vangelo, del quale si proclamava "ambasciatore in catene" (Ef 6, 20). La carità divina lo rese "tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Cor 9, 22). Guardando all'esperienza di san Paolo, comprendiamo che l'attività missionaria è risposta all'amore con cui Dio ci ama. Il suo amore ci redime e ci sprona verso la missio ad gentes; è l'energia spirituale capace di far crescere nella famiglia umana l'armonia, la giustizia, la comunione tra le persone, le razze e i popoli, a cui tutti aspirano (cfr Enc. Deus caritas est, 12). È pertanto Dio, che è Amore, a condurre la Chiesa verso le frontiere dell'umanità e a chiamare gli evangelizzatori ad abbeverarsi "a quella prima originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (Deus caritas est, 7)»[10].

Benedetto XVI, in sintonia con lo slancio missionario degli Apostoli, ricorda a tutta la Chiesa e ribadisce

  • che resta necessaria e urgente la prima evangelizzazione in non poche regioni del mondo;
  • che il mandato di Cristo di evangelizzare tutte le genti resta una priorità, poiché «il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la vita e la missione essenziale della Chiesa» (Ev. Nunt., 14);
  • che la Missione «è ancora agli inizi e noi dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio (RMi, 1)»;
  • che «oggi sono innumerevoli coloro che attendono l'annuncio del Vangelo, coloro che sono assetati di speranza e di amore».

E conclude affermando che «quanti si lasciano interpellare a fondo da questa richiesta di aiuto che si leva dall'umanità, lasciano tutto per Cristo e trasmettono agli uomini la fede e l'amore per Lui! (cfr Spe salvi, 8)»[11].

Il nostro posto nella Chiesa, per tanto, è tra quanti si lasciano interpellare a fondo da questa richiesta di aiuto e consacrano la loro vita a Dio per portare il suo Nome alle nazioni (RdV 20; 46).

Tuttavia, nell’attuale momento storico, ognuno di noi, in grado diverso, riceve l’influsso di varie tendenze, come

  • l’ambizione che uno si possa gestire da sé, in modo autonomo, e ordinare la sua vita secondo il proprio calcolo e progetto;
  • il relativismo e l’indifferenza religiosa, che svuota di significato e di attrattiva il trascendente, riducendolo a ornamento o tornaconto personale;
  • una mentalità naturalista, che si limita a prendere in considerazione le realtà intra-mondane (psichiche e sociali), giudicandole uniche e assolute, e che esclude la glorificazione escatologica.

Le scienze che studiano la vita umana individuale e associata sono prevalentemente naturalistiche, si limitano all’immediato, a ciò che è evidente e si può provare positivamente. Ci trasmettono regole e schemi molto “intelligenti”, ma a volte poco “sapienziali”, cioè prive di un autentico approccio alla vita “nel e secondo lo Spirito”. Ci si allontana così da quella capacità di “autotrascendenza” almeno potenzialmente presente in ogni persona umana, che spinge alla ricerca del Volto nascosto, e dalla visione cristiana della vita come pellegrinaggio verso l’Eternità (cfr. Regole 1871, cap. X).

Con molta facilità e senza renderci conto, questo contesto ci può portare ad un comportamento di tipo materialista e relativista nella comprensione e pianificazione della nostra stessa vita consacrata e dell’attività evangelizzatrice. È da tener presente che queste tendenze influiscono in modo diverso secondo l’età delle persone e le esperienze culturali. Allora le nostre discussioni, la ricerca di soluzioni, le conclusioni sull’attività evangelizzatrice effettuate in un clima non autenticamente “spirituale”, finiscono per creare in noi una mentalità impresariale e amministrativa, come se si trattasse di un’associazione con finalità soltanto efficientiste, frutto delle capacità di negoziato fra varie correnti.

Così corriamo il rischio di manipolare e industrializzare l’evangelizzazione e di trasformarci in suoi funzionari. Una volta entrati in questa logica, si afferma facilmente l’individualismo e il protagonismo, e quindi diventa una necessità il principio del “divide et impera”, per cui si trova la giustificazione per ogni iniziativa prettamente personale. Il risultato è quello di portare noi stessi e le persone che pretendiamo evangelizzare all’esperienza della Torre di Babele, invece di quella del giorno di Pentecoste a Gerusalemme.

In effetti, a Babele gli uomini, con atteggiamento orgoglioso ed egoista, volevano costruirsi una città e farsi un nome promovendo un’unificazione massificante ed oppressiva, e così hanno provocato la confusione delle lingue e la dispersione dei popoli (Gen 11,1-9); mentre a Gerusalemme, quando lo Spirito scende, popoli diversi sentono i discepoli parlare la propria lingua e riescono a capirsi e a comunicare le grandi opere di Dio. Nel cuore delle persone, lo Spirito sposta il centro di interesse: ormai non è più la ricerca egoista di sé stessi o il farsi un nome, ma tutti parlano un unico linguaggio, annunciando tutti la stessa gioia, quella della partecipazione all’amore redentore di Dio svelato e donato ad ogni creatura nel Nome di Gesù, Crocifisso-Risorto; la loro vita ormai gravita su questo Nome, che è al di sopra di ogni altro nome e che è al centro della vita dei cristiani, della loro preghiera e della loro missione.

Allora si comincia a vivere con la disposizione interiore con cui Gesù si è consegnato al Padre e ai fratelli; si comincia a vivere ogni istante di vita con la sua passione d’amore. La vita, raggiunta dalla forza dell’amore del Crocifisso-Risorto, cioè dalla logica pasquale, diviene una lenta e interminabile gestazione dell’uomo nuovo, «riflesso» della luce di Cristo per gli uomini del nuovo secolo e del nuovo millennio (cfr. NMI 54).

1.2 L’evangelizzatore dà agli uomini il Dio di Gesù Cristo

Evangelizzare è anzitutto lasciarsi amare e abitare da Dio e irradiare questa Presenza con la vita e la parola davanti agli uomini e le donne che la Provvidenza pone sul nostro cammino.

Questo è il dono che le persone, coscientemente o incoscientemente, aspettano sempre dall’evangelizzatore. C’è infatti in ogni persona un istinto profondo messo nel suo cuore dallo Spirito Santo, che la spinge a uscire da sé e ad aprirsi all’accoglienza dell’Altro a cui perdutamente affidarsi. Dio non è un prodotto della psiche umana, ma elemento antropologico costituivo dell’essere umano. Per questo, gli uomini, nonostante le apparenze, non lasceranno di cercare il Volto di Dio. L’uomo continua a cercare l’Assoluto e nel suo faticoso cammino ha bisogno di chi gli riveli il Volto del Signore.

«Il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'Invisibile. Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell'uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda» (E N 76,9).

L’evangelizzatore è quel cristiano che vive intensamente davanti agli uomini il fatto di essere figlio di Dio-Padre ed è disposto ad aiutarli a incontrare il Volto di questo Dio, camminando insieme, mano nella mano con loro, verso Colui che è il Tutto della vita (Sir 43,29).

«Se tutti gli uomini volessero mettersi in cammino verso Dio - nella speranza di vedere, di sentire, di toccare ciò che la fede fa già loro intravedere - la terra non sarebbe per ciò stesso trasformata in un immenso monastero. Al contrario. L'universo sarebbe ancora più traboccante di attività umane.

Ci sarebbero sì ancora coloro che andrebbero a nascondersi nella solitudine; ma l'intera umanità continuerebbe ad occuparsi, più a fondo ancora, di questa terra e di questa umanità divenute entrambe trasparenti alla presenza e all'attività divine. L'umanità sarebbe più attiva e più contemplativa, e Dio si prenderebbe il gusto di venire alla sera, dopo il lavoro, a conversare con gli uomini. Le giornate non sarebbero come queste grigie domeniche dalle messe tristi e dalle predicazioni vuote e senza sale.

Ci sarebbero ancora nel mondo delle cadute e dei peccati; ma ci sarebbe grande gioia nell'esaltazione dell'atto creatore del Signore: la realizzazione dell'opera creatrice sarebbe, nella sua integrità, tanto di Dio quanto dell'uomo... Ma non c'è dubbio che sia un sogno lontano per tutta l'umanità. Ragione di più perché coloro che ne sentono il desiderio cerchino ancora più ardentemente il volto di Dio.

Molti uomini cercano Dio, ma molti di più lo cercherebbero se sapessero come fare. Essi hanno forse cercato senza trovare. Alcuni si lasciano sedurre da metodi aridi e ardui che promettono loro la pace dell'anima e un'illuminazione assai problematica...

C'è tuttavia un maestro più sicuro di Cristo? Il suo metodo è semplice. Esso richiede meno esercizi e più amore»[12].

Dio e Cristo, il Maestro sicuro per arrivare a Lui! Ecco il Tutto della Chiesa e quindi dell’evangelizzatore.

Evangelizzatore è solo colui che non cessa di supplicare: «Indicami la tua via, così che io ti conosca, e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa gente è il tuo popolo» (Es 33,13); colui che è divorato da un unico desiderio: «Mostrami la tua Gloria!» (Es 33,18); colui che è innamorato di una unica ricchezza: Dio (Mt 13, 44-46) e che alimenta un'unica passione: Cristo (2Cor 5,6; Fil 1, 21-23); colui che è interessato ad un unico progetto: che tutti siano uno in Dio (Gv 17,21) e la cui vita grida il Vangelo.

L’evangelizzatore, per il fatto di vivere sommerso in questo Ambiente Divino, non lascerà di occuparsi delle grandi sfide del mondo di oggi, già ricordate, e vigilerà contro la tentazione dello spiritualismo, senza lasciar mai di essere veramente “spirituale” in tutta la sua attività.

Il termine “spiritualismo” designa quell’atteggiamento del cuore che non prende tutta la persona, tutta la vita e il suo ambiente come realtà che deve essere trasformata e rigenerata in Cristo, ma immagina che deva agire soltanto in qualche cantuccio dell’anima.

Persona “spirituale” nella Chiesa è colui che vive “nel e secondo lo Spirito di Dio”: è un modo di vivere che abbraccia corpo, anima, spirito, aspirazioni, sofferenze, attività; un fatto globale che si riferisce alla persona umana integrale e ad ogni tipo di relazione umana.

Persona “spirituale” è colui che ha raggiunto il superamento della barriera tra il sacro ed il profano. Tale superamento non è dovuto ad un calo di coscienza della distanza incolmabile tra Creatore e creatura; al contrario, si fonda sulla certezza che Dio è il mio Signore di misericordia, il mio personale potente Salvatore, perciò egli non può non essere il Signore di tutta la mia realtà, anche la più povera, la più umile, la più terrestre, la più malata: anzi è mio Signore fin dentro il mio peccato. Per questo, l’uomo “spirituale” non stabilisce graduatorie tra cose più o meno spirituali e cose più o meno materiali e non vede molta differenza tra il culto liturgico e l’attività di promozione umana, tra andare ad un ritiro e prestarsi nei piccoli lavori domestici…

Il vero problema, invece, per la persona spirituale è discernere la volontà di Dio in un preciso momento della sua vita, “perché Dio è Dio, e non sempre le sue vie e i suoi pensieri sono le nostre vie e i nostri pensieri” (cfr. Is 55,8)[13].

1.3 L’evangelizzatore dona Dio agli uomini, accogliendo nella propria vita Gesù, dono del Padre

L’evangelizzatore, abitato da Dio, non inventa la Buona Notizia da se stesso, né la riceve dagli uomini, ma dallo stesso Dio nella comunità ecclesiale, il cui Capo è il Signore Gesù.

Il Padre non comincia imponendogli qualcosa da dire, ma si autocomunica a lui nel suo Figlio, Gesù Cristo.

Nel nostro tempo, le persone aspirano profondamente a trovare il senso della vita. La cultura di massa promossa dal capitalismo e dal socialismo materialisti, continuano a ridurre le persone a funzioni, a pedine di un gioco, a pezzi di una macchina, di un sistema, che impedisce di assaporare la vita; le mete da raggiungere mediante le persone sono l’efficienza in vista del nuovo ordine economico- finanziario…

La meta primordiale del cristiano e, per titolo peculiare del missionario religioso, è accogliere nella propria vita il Figlio di Dio, che si offre ubbidiente al Padre per la salvezza di tutti, rivelando agli uomini che Dio-Padre ama ogni persona con amore gratuito e misericordioso (cfr. Rom 8, 31-39).

L’evangelizzazione, per tanto, non è una strategia, ma una Persona, Gesù Cristo, accolto gioiosamente nella mia vita e da me irradiato nel mondo.

Il compito del missionario e di ogni cristiano è vivere in Cristo, lasciarsi vivere da Lui, e convertirsi così sempre più in persona-lettera, nelle quale Dio Padre dà al mondo Gesù, o in persona-via, per mezzo della quale Dio arriva fino agli estremi confini della terra per essere il Dio-con-noi nel Figlio Gesù.

Evangelizzare, allora, è proclamare con la vita prima di tutto e sempre che vivere è un dono del Padre, un dono che Egli ci dà ogni momento in Cristo Gesù. È un dono sempre nuovo secondo la ricchezza infinita di Dio che si dà a noi nel Figlio e la limitazione umana con capacità di apertura verso l’Infinito; un dono, per tanto, che deve essere accolto costantemente e che, una volta accolto, suscita stupore, meraviglia, rendimento di grazie, gratitudine, lode; contemporaneamente crea un atteggiamento di povertà e di infanzia spirituale; fa crescere nella libertà, nella gioia e nella speranza; toglie ogni pretesa nei confronti di Dio e la durezza verso il prossimo; introduce nel mondo delle Beatitudini, dove né la persecuzione né la sofferenza riescono a togliere la gioia.

Il frutto dell’accoglienza costante de Figlio di Dio nella vita dell’evangelizzatore è precisamente la Beatitudine, l’atteggiamento gioioso di chi vive tutta l’esistenza ed ogni avvenimento come dono del Padre e impegno verso i fratelli in vista della costruzione del Regno di Dio, come avvenimento nel quale Dio gli fa il dono gratuito di se stesso, comunicandogli la vita e la missione in Cristo Gesù.

Allora essere evangelizzatore è trasformarsi gradualmente in una “sequentia Sancti Evangelii”, cioè in una pagina viva e aperta del Vangelo, nella quale tutti sanno leggere e capire Gesù Cristo, anche gli analfabeti, perché è un linguaggio esistenziale, detto quindi non tanto con le parole ma nel vissuto della vita.

In questo modo l’evangelizzazione diviene entusiasmante e rivela le infinite ricchezze del Cuore di Gesù Buon Pastore agli uomini di oggi; fa dell’evangelizzatore un segno e un testimone della vita del Signore Gesù, l’unico in cui si trova la salvezza, giacché non è stato dato agli uomini sulla terra altro Nome nel quale possano essere salvati (Cfr. At 4, 1-12).

Tuttavia, per l’evangelizzatore, essere segno trasparente della salvezza di Dio, presente e operante in lui, non significa essere impeccabile. Quando, per tanto, si riconosce peccatore e lontano dall’essere trasparenza viva del Figlio di Dio, supplica con fiducia e sofferenza il Signore, “ricco in misericordia”, chiedendogli perdono e la guarigione del cuore ferito. Appena si mette in questo atteggiamento, è già segno di salvezza per gli uomini peccatori: testimonia, infatti, che crede in Dio e non in se stesso, e manifesta agli uomini fragili come lui il perdono e la misericordia che Dio Padre gli da in Cristo Gesù. Questa testimonianza è ancora più luminosa quando è accompagnata dall’amore e dal perdono comunitario, quando è frutto che nasce in una comunità di fratelli che si amano e perdonano.

Così l’Unico Inviato, l’unico Dono di Dio Padre all’umanità, Gesù Cristo, stando presente in modo peculiare nell’evangelizzatore, in lui si mette a disposizione di tutti gli uomini, per farsi Dono e Beatitudine in ciascuno che lo voglia accogliere, finché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,18).

1.4 Evangelizzazione e liberazione umana

Alla luce delle precedenti puntualizzazioni è chiaro che l’attivismo esteriore orientato all’efficientismo, non è né evangelizzazione né liberazione o promozione umana, ma distruzione umana di se steso e degli altri che si pretende liberare (cfr. MR 15). Esiste un’attività, che se non è realizzata in un vero clima “spirituale”, fa violenza alla stessa persona che la svolge, portandola o alla frustrazione (stress, depressione…) o alla esaltazione (esibizionismo, protagonismo), e tradisce il prossimo. L’autentica promozione umana è crescita integrale di entrambe le persone che intervengono nel processo; è un problema di qualità di vita, non di quantità, che riguarda l’evangelizzatore e l’evangelizzato; tende a comunicare tutta la vita che Cristo è venuto a portare in abbondanza, tenendo unite tutte le grandi dimensioni del mistero della persona umana: «la sua origine, la sua natura biologica e configurazione spirituale, il suo destino per l’eternità e il suo legame con il tempo e la storia, la sua aspirazione alla vita e all’amore, la realtà quotidiana della morte e dell’odio» (Stima di sé e kenosi, p. 5).

Alla persona umana, riconosciuta nella sua dignità e libertà, è necessario che l’evangelizzatore doni anzitutto se stesso, amandola in Cristo. Quando l’evangelizzatore dona se stesso, spinto dalla presenza di Gesù in lui, allora si può stancare e sentire il peso del lavoro che svolge, riconoscerà la sua fragilità e troverà i tempi e i modi per riprendere le forze; ma mai crollerà disfatto né frustrato né amareggiato o privo di speranza e di vita; mai sarà alienato a causa del successo. Trova, infatti, pace e gioia nella consegna di sé incondizionata e amorosa, per mezzo della quale si prolunga nel tempo e nello spazio la consegna di Gesù al Padre e agli uomini (Cfr. Lc 22,14-20).

Tutto il resto verrà come conseguenza e sviluppo della vita in Cristo, in forma appropriata, secondo le esigenze delle circostanze.

1.5 L’evangelizzatore segno di continua conversione e rinnovamento nel Signore Gesù

L’evangelizzatore accoglie costantemente il Figlio di Dio nella propria vita e rivela le infinite ricchezze del suo Cuore divino al mondo, quando vive la sua conversione a Gesù come un evento assolutamente personale.

La conversione, infatti, è “a Gesù”, non ai valori cristiani o al cristianesimo. È un evento assolutamente personale, che permette al discepolo di rivolgersi con verità a Cristo, riconoscendolo e proclamandolo come “il mio Signore Gesù”.

Questo rapporto personale, diretto, con il suo Signore, è l’obiettivo che il credente deve ricercare come centro della sua vita.

La condizione e il segno di questo incontro è la “trafittura del cuore” (At 2,37), cioè l’intima coscienza della salvezza ottenuta “per me” dalla morte del Signore che “io stesso” ho ucciso con il mio peccato.

Il rapporto personale con il Signore Gesù nasce dunque dall’annuncio kerigmatico di Pietro: “Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36).

Finché l’evangelizzatore non si riconosce in quel “voi”, non può entrare, rimanere e crescere in una intima conoscenza di Gesù. La salvezza di Gesù è per me che l’ho crocifisso. Il mio essere uccisore è paradossalmente la mia salvezza. Se accetto di essere l’uccisore di Gesù e sento trafiggermi il cuore, egli diviene il mio Signore che mi dà la vita e quindi ho un salvatore da annunciare.

Questo paradosso terribile è l’evento che scatena in me e mi mantiene nella vera e continua conversione, la quale è vissuta non tanto come una comprensione intellettuale o come impegno etico-pratico, ma anzitutto come una dolorosa-gioiosa “trafittura del cuore”. Un colpo al cuore che scuote tutta la mia esistenza e dal quale, solo, può scaturire la vita rinnovata sotto il signorio di Gesù (cfr. 1Tim 1,12-17).

Così vivere in stato di continua conversione al Signore Gesù come frutto della “trafittura del cuore”, di cui parlano gli Atti degli Apostoli, diviene il segno e il sigillo della conversione e dell’appartenenza al Signore Gesù, a questo Gesù da me crocifisso e da Dio costituito Cristo e Signore.

Allora il volto di Gesù che traspare nella vita e nelle parole dell’evangelizzatore è nello stesso tempo tenero e misericordioso, forte e glorioso. Gesù appare in lui, anzi tutto, come il chinarsi di Dio sulla sua persona, il suo Salvatore potente, colui che nessuno e niente, nemmeno il peccato, può separare da Lui (cfr. Rom 8,31-39.

Succede, allora, che di fronte al peccato il discepolo di Gesù non si scandalizza, ma si riempie di compassione verso il peccatore e gli annuncia l’urgenza della conversione mosso dalla sua stessa esperienza di conversione.

La tenerezza di Gesù non è tuttavia un alibi per una vita appagata, alienata in una immagine di Dio rassicurante e tranquilla.

Gesù nella sua tenerezza non è un ingenuo e indifferente bonaccione, ma il condottiero energico della grande battaglia dell’uomo contro il male e il peccato, contro ogni meschinità, cattiveria e menzogna: la battaglia della santità.

Gesù è il Crocifisso-Risorto, il Signore glorioso, Colui che Dio ha costituito Signore, che continua a compiere nella vita dell’evangelizzatore lo straordinario passaggio dalla morte alla vita, quella insperata e incredibile risurrezione narrata da Ezechiele nella visione delle ossa aride (Ez 37,1-10), di cui è protagonista lo Spirito Santo, perché allo Spirito e solo a Lui appartiene il prodigio della risurrezione.

Protagonista, per tanto, di questa conversione al “mio Signore Gesù” è lo Spirito Santo. Il medesimo Spirito creatore che aleggiava sulle acque; lo stesso Spirito che anima, ispira, conduce, guida i grandi personaggi biblici: Gesù compreso. A questo Spirito appartiene il potere di farci riconoscere il crocifisso Gesù come il Signore, il Kyrios, permettendoci di dire: Gesù è il Signore (1Cor 12,3). Questa espressione che costituisce la fondamentale proclamazione di fede, la sintesi di tuta la rivelazione biblica, coinvolge l’anima cristiana e la spinge a gridarla in ogni suo annuncio e a testimoniarla nella vita vissuta.

Questo Spirito, per tanto, opera nell’evangelizzatore il prodigio del continuo passaggio dalle distorsioni di una vita centrata su se stesso alla vita piena nel Signore Gesù.

Sotto l’azione dello Spirito, nel cuore dell’evangelizzatore Gesù è vissuto come il Signore glorioso, che lo attira dall’alto della croce come un amante (“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”, Gv 12 32), come una mèta, come una vetta del monte, come il più intimo degli amici (cfr. Gv 15,12). Più questa azione è intima e forte, più Gesù appare glorioso e refrattario a qualsiasi riduzione che l’uomo tenta sempre di fare con Dio per trasformarlo in idolo: il grande peccato biblico che sta sempre in agguato….

Per questo, la dimensione della “gloria” è imprescindibile nell’incontro con la persona di Gesù; mai Gesù potrà essere ridotto a una ideologia, a un sistema di pensiero o ad un comportamento etico. Gesù non è il completamento, il coronamento della nostra vita interiore, una specie di supporto per alzare il livello della nostra statura spirituale o del nostro impegno per gli altri e farci così compiacere di noi stessi.

Una tale riduzione è paragonabile al gesto di uccidere di nuovo il Figlio di Dio ed esporlo all’ignominia (cfr. (Eb 6,6).

Quando l’evangelizzatore non vive nel dinamismo della conversione al suo Signore Gesù, allora diviene incapace di evangelizzare con efficacia, cioè di offrire Gesù al mondo come unico Signore e Salvatore. La testimonianza evangelica non è trasparente; non si vede che la salvezza di Dio in Cristo Gesù è a disposizione ed è offerta nella persona dell’evangelizzatore. Le persone non captano più l’annuncio che Dio si dà e perdona in Cristo Gesù: questa è la prima affermazione che faccio con la mia vita e le mie parole, quando mi sottraggo alla grazia della conversione, che mi spinge verso la “sublime conoscenza di Gesù Signore” (Fil 3,8) e così non permetto che Cristo viva in me con trasparenza e intensità.

Allora succede che le persone capiscono cose sbagliate per il modo con cui io vivo la mia relazione con Gesù: possono capire che Dio è uno sfruttatore crudele, un padrone esigente ed austero che mi condanna al vuoto del cuore e allo stesso tempo mi esige risultati immediati ed esteriori, che premia la mia capacità di lavorare indipendentemente dalla situazione del mio cuore in rapporto a Lui, che è incapace di dar senso alla mia vita, giacché non riesce a rinnovare realmente il mio cuore, a colmare di senso la mia vita e illuminarla di gioia.

Quando l’evangelizzatore si rende conto che non sta vivendo con libertà e gioia la sua vita di discepolo missionario, ciò che deve fare è chiedere perdono a Dio con umiltà e povertà. Allora, ancor prima di essere guarito totalmente dal suo peccato, si trova già nell’atteggiamento corretto di chi è salvato da Dio e discepolo del Signore.

In chi vive questo atteggiamento gli altri vedranno che Dio è misericordioso, salva e rigenera, e così saranno evangelizzati da questo “frutto dello Spirito” che è la conversione.

Al contrario, se continua a predicare e a moltiplicare “opere”, senza vivere il dono di Dio, gli faranno capire che è potente e importante, ma non entreranno in contatto e non approfondiranno la salvezza di Dio, rimanendo nella superficialità religiosa o nell’angoscia dei loro cuori. Ovviamente questo cammino di conversione rimane incompleto, se gli manca la dimensione comunitaria.

II

IL MISSIONARIO,

SEGNO DI CONVERSIONE,

STRUMENTO DI COMUNIONE E DI DIALOGO

Dopo aver riflettuto sulla centralità della conversione nella vita dell’evangelizzatore, ora è interessante vedere come la Regola di Vita presenta la dinamica della conversione al missionario comboniano.

2.1 La conversione esperienza-chiave nella vita del missionario

RdV 47.1; 48.2; 54; 82; 82.1; 99

Parlare della missione-oggi è un’impresa difficile. Infatti, come affermava già l’Evanglii Nuntiandi (1975), la missione è una realtà complessa, perché abbraccia la vita religiosa, sociale, culturale e politica dei popoli, come anche la vita individuale, familiare e sociale. Nello stesso tempo è una realtà entusiasmante, “una nobile avventura”, perché è orientata alla costruzione di quei “cieli nuovi e terra nuova”, che Dio sogna e verso i quali tutti gli uomini anelano. Il missionario è uno che sogna in compagnia con Dio; e non sogna rimanendo ozioso, ma tenendo le maniche rimboccate e le mani sporche e callose.

Nell’ampio orizzonte della missione merita una particolare attenzione un aspetto che spesso oggi è sorvolato, taciuto come se fosse un tabù: la conversione. Tuttavia per Gesù la conversione è la condizione sine qua non, indispensabile, per accogliere il Regno di Dio: «Il tempo è compiuto – proclama all’inizio del ministero pubblico - e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,14-15). Poco prima della Passione non abbassa il tono: «Se non vi convertite, perirete tutti allo steso modo» (Lc 13,3). Il discorso di Pietro, il giorno di Pentecoste, che inaugura l’era missionaria della Chiesa, si conclude con queste parole: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo» (At 2,38).

La missione è anzitutto la grande opera di Dio Padre per trasformare radicalmente il nostro cuore e la nostra mentalità, le nostre culture, la nostra vita sociale secondo il modello che è Gesù Cristo. E quest’opera richiede precisamente conversione, inversione di marcia nel cammino della nostra vita. Il missionario, accogliendo in prima persona l’invito di Gesù alla conversione, diviene strumento qualificato nelle mani di Dio, per proporre tale conversione a livello personale, culturale e sociale (cfr. RdV 56; 62-63).

Il missionario, come operaio al servizio del Regno, implora incessantemente “Venga il tuo regno” (RdV 48). Pregava così quando era bambino tra le braccia della mamma. Dio ascoltò quella preghiera, e lo chiamò a seguire Gesù Cristo (RdV 21-22), per essere apostolo e annunciatore di questo Regno (RdV 80), che “è la stessa persona di Gesù”. Così, lascia il padre e la madre, la famiglia, la casa, la patria per essere operaio a servizio del Regno a tempo pieno.

Per il missionario il Regno di Dio è la pietra preziosa di fronte alla quale tutto il resto assume un valore secondario (cfr. Mt 13,44). Il missionario è uno al quale Dio concesse l’inestimabile grazia di mettere il Regno di Dio al di sopra di tutto. Regno che vuol dire accogliere il fascino della persona di Gesù, il Vangelo, la volontà di Dio, la solidarietà con i più poveri, la condivisione di ciò che uno è ed ha, consumandosi nell’amore per gli uomini come Lui (RdV 3-5). Il missionario è uno che, entrato decisamente nel cammino di conversione al Regno di Dio, diviene strumento per l’avvento di questo Regno tra i popoli che ancora non hanno accolto Colui che di questo Regno è qui sulla terra la realizzazione perfetta: Gesù Cristo.

La conversione, per tanto, è l’avvenimento-chiave per capire l’attività evangelizzatrice ed è un’esperienza insostituibile per divenire missionario (cfr. RdV 47.1; 48.2; 54; 82.1; 99). Conversione che vuol dire cambiamento di visione, di mentalità e di prassi causato da Dio mediante la sua Parola e il suo Spirito. Non è un avvenimento naturale, né una trasformazione spontanea. È dono di Dio-Padre per mezzo dello suo Spirito. È Dio Padre che “attrasse” alla sequela radicale di Gesù gli Apostoli, Paolo, Francesco Saverio, Daniele Comboni, Charles de Foucauld…..

Il voto di castità, povertà e obbedienza, che molti missionari professano, tra i quali ci siamo anche noi Missionari Comboniani (cfr. RdV 10; 22; 25-35), è segno della loro conversione a Cristo Gesù, della accoglienza radicale del Regno di Dio nella loro vita. Ed è anche segno di questa conversione la loro vita in comunità fraterna (cfr. RdV 23; 36-44), con confratelli che provengono da altre nazioni, continenti e razze (RdV 18), con i quali condividono la preghiera, il lavoro, i beni. Sì, perché la conversione a Cristo abbatte le barriere, le ostilità e le differenze, come dichiara Paolo nella lettera agli Efesini: il Regno di Dio è cattolico e non settario o razziale.

2.2 Un cammino impegnativo

RdV 56; 56.2-3; 57; 57.1-6; 59; 59.1-5; 69.3

Certamente il missionario, annunciando il Vangelo, coopera con lo Spirito Santo nel cambiare il cuore delle persone, agendo nel profondo dell’uomo, lì dove si prendono le decisioni, dove si annida l’amore e l’odio, la benevolenza e l’egoismo, lo sfruttamento o la giustizia, l’adulterio o la fedeltà…

Il profeta Ezechiele, annunciando il tempo di Cristo Gesù, segnala questo grande rinnovamento: «25Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, 26vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. 27Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme. 28Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Ez 36, 25-28).

Non meno esplicito è il grande missionario Paolo: «15Su alcuni punti, vi ho scritto con un po' di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio16per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo.17Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. 18Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all'obbedienza, con parole e opere, 19con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo» (Rom 15,15-19).

La conversione è un cammino nello spirito che inizia con l’esperienza forte del Catecumenato, che dura da un minimo di alcuni mesi a un massimo di 2-4 anni, per permettere che il non-cristiano sia permeato gradualmente dal messaggio di Cristo, si liberi dalle paure e abitudini pagane, faccia l’apprendistato della preghiera ed entri come membro attivo e impegnato nella comunità cristiana.

L’accompagnamento dei catecumeni sarà di stimolo al missionario stesso per progredire nel suo cammino di conversione e cosi mantenersi in crescita per tutta la vita nella sua identità di discepolo missionario (RdV 85). Egli, infatti, proviene da un cammino di conversione analogo a quello del Catecumenato. Storicamente, infatti, si può affermare che il Noviziato è nato all’ombra del Catecumenato e trova in esso il suo punto di riferimento più luminoso ed ispiratore. Dovrebbe sentirsi, per tanto, a suo agio nell’ambiente del Catecumenato, dove si può stabilire un rapporto di reciprocità tra il missionario e il catecumeno, che porta entrambi ad arricchirsi e a crescere sia a livello umano sia spirituale.

Ma può il missionario nella sua azione evangelizzatrice coniugare simultaneamente il dialogo e la conversione, due realtà che appaiono così opposte? La pratica del dialogo sottolinea l’accoglienza, il rispetto dei valori che sono presenti nelle diverse culture, religioni e religiosità popolari; invece il cammino di conversione mette l’accento piuttosto sulla necessità di un cambiamento profondo, di un nuovo inizio, di girare la pagina della vita… La risposta può essere facile in teoria, ma molto complessa nella pratica. La storia della missione testimonia che alle volte l’insistenza sulla conversione è stata così forte fino a generare disprezzo e rifiuto di tutto ciò che stava fuori del mondo cristiano. Altre volte si è insistito tanto o ancora oggi si insiste sul dialogo e il valore delle religioni fino al punto da rendere impercettibile la chiamata alla conversione.

Il missionario vive il dialogo mediante iniziative e atteggiamenti molto concreti: impara la lingua del posto, si sforza di capire e adattarsi agli usi sociali, apprezza la religiosità che apre il cuore a Dio, cerca di capire le paure e i tabù, entra nelle varie classi sociali di un popolo, propone – mai impone - il messaggio di Gesù Cristo… (cfr. RdV 56-59; 62).

2.3 Un personaggio scomodo

RdV 58.3; 61, 61.1-9

D’altra parte il Vangelo è qualcosa di veramente nuovo che rivoluziona le religioni e le culture. Alla luce del Vangelo, rispetto non significa mitizzare le culture e lasciarle come stanno. C’è una evangelizzazione delle culture o una ri-evangelizzazione di società cristiane o postcristiane, che le scuote nel loro essere più profondo. Parlò di ciò in termini molto chiari Paolo VI nel numero 20 della Evanglii Nuntiandi:

«Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Costituzione «Gaudium et Spes» partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio.

Il Vangelo, e quindi l'evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l'evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna.

La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l'incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata».

C’è un giudizio del Vangelo sulle culture, sulle tradizioni degli antichi, del quale Gesù ha dato un chiaro esempio e al quale nessuna cultura può sottrarsi. Esiste il pericolo di rifiutare il Vangelo in nome delle tradizioni degli antichi, come hanno fatto i farisei (Mc 7,1-13).

Il missionario Paolo di Tarso quando arrivò in Grecia e a Roma, non chiese ai greci e ai romani che rinunziassero alla loro grecità o romanità, ma relativizzò molto il loro orgoglio personale affermando: «28Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Ciò che salva non è la cultura, ma la fede e la relazione personale con Cristo Gesù, vissuta in culture differenti. Ciò richiede la disponibilità a cambiare mentalità e prassi culturale, quando si oppongono al Vangelo, anche se sono antiche e venerabili.

Allora si capisce la ragione per la quale il missionario a volte diviene un personaggio scomodo e oggetto di persecuzione. Il messaggio che egli porta, crea uno sconcerto culturale, propone un cambiamento di religione, di stile di vita e di valori, che può originare senso di disonore e ribellione tra coloro che sono abituati da millenni ad una certa visione della vita. I cristiani non sono stati accusati dagli imperatori romani di essere atei, perché rifiutavano la mentalità e le pratiche tradizionali della religione ufficiale, politeista e sottomessa all’Impero? Paolo non esigeva ai romani di farsi ebrei, per accettare Cristo Gesù Signore; ma condannava senza reticenze un certo modo di vivere dei romani di allora (Rom 1,18-32), che era contrario a Cristo, e li stimolava a creare in Cristo una nuova romanità in continuità e discontinuità con la prima. Ciò il missionario continua a proporlo agli africani, agli asiatici, ai cristiani scristianizzati…

Il Vaticano II, al n. 17 della Lumen Gentium, trattando del “Carattere missionario della Chiesa”, aiuta il missionario a coniugare conversione e dialogo quando scrive: «Predicando il Vangelo, la Chiesa […] procura che quanto di buono si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato a gloria di Dio, confusione del demonio e felicità dell'uomo». (cfr. anche GS 11; AG 8 e 9).

2.4 Situazione di peccato

RdV 61.2.5.9; 73.3

L’immagine del missionario nella mentalità della gente, e che molte volte egli stesso proietta, è legata all’aiuto ai più poveri, alla lotta contro la lebbra, la fame, la siccità, l’analfabetismo, l’emarginazione dei popoli più indifesi, l’accoglienza dei migranti, fino all’impegno per la Giustizia, la Pace e l’integrità del Creato…

Sì il missionario è un agente della promozione umana, nella sua attività di evangelizzazione si impegna per la liberazione integrale dell’uomo dal peccato, dalla violenza, dalla ingiustizia, dallo sfruttamento, dall’analfabetismo, dalla fame (cfr RdV 60-61). La storia delle missioni di ieri e di oggi  è una splendida testimonianza di ciò, soprattutto se ci rendiamo conto che la parola missionario include oltre i Sacerdoti anche i Fratelli missionari, le Suore e un buon numero di volontari laici.

Il Sinodo dei Vescovi su “La giustizia nel mondo” del 1971 si espresse in termini molto chiari: «L’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo» (Introduzione, 6).

Il dinamismo della conversione ci aiuta a calibrare meglio l’impegno per la giustizia nell’insieme dell’attività evangelizzatrice. Infatti, oltre il peccato personale che abbiamo già ricordato parlando della conversione del cuore, ci sono situazioni di peccato, meccanismi perversi, peccati sociali (cfr. Reconciliatio et penitencia, n.16 e Sollicitudo rei socialis, tutta la Parte V). Si tratta di guerre, sfruttamento, consumismo sfacciato dell’emisfero Nord del mondo di fronte alla crescente povertà del Sud del mondo, del culto del profitto a qualunque prezzo del mondo capitalista-finanziario, del razzismo, del fondamentalismo, del tribalismo, della produzione e commercio di armi…

I missionari, presenti nelle “periferie geografiche ed esistenziali” del mondo di oggi, sono testimoni qualificati delle tragiche conseguenze per la maggior parte dell’umanità delle strutture di peccato indicate. La loro denuncia è particolarmente appassionata perché amano la gente e fanno causa comune con essa, e di questi poveri sono molte volte l’unica voce che può raggiungere l’opinione mondiale. E non è solo denuncia basata nell’analisi delle situazioni, ma anche proposta e impegno per cammini nuovi di comportamento e iniziative. Quanti missionari, soprattutto Fratelli, Suore e laici, son impegnati in questa lotta!

Il missionario è inviato a smascherare le situazioni di peccato sociale e a rovesciarle con la promozione dei valori del Regno: pace, giustizi, diritti sociali, solidarietà, rispetto dei più deboli, rinuncia al consumismo, rispetto e salvaguardia dell’ambiente, diritto alla libertà religiosa… Mediante la conversione personale a Cristo e quella strutturale ai valori del Regno di Dio apre e mantiene aperto il cammino verso quei “cieli nuovi e terra nuova”, che secondo l’Apocalisse costituiscono l’obbiettivo finale del disegno di Dio (cfr. GS 39; AG 9).

2.5 Andare per ritornare, divenendo agente di comunione e di dialogo

RdV 57.2

Il missionario è un cristiano dalla doppia appartenenza. Egli, infatti, mandato dalla Chiesa, dipende dalla Gerarchia della Chiesa che l’accoglie e della Chiesa che lo invia. Vive così ai confini della Chiesa visibile, esposto ad altri mondi, in continuo contatto con religioni non-cristiane e con culture ancora non trasformate dal fermento evangelico, a volte in situazioni umane di estrema povertà ed emarginazione.

Vive in mezzo ad esse come un uomo di fede, che vede Dio presente e attivo in queste situazioni e scopre valori religiosi, culturali e sociali che hanno dato impulso a popoli interi a vivere con speranza e dignità per centinaia di secoli: il sentimento di Dio e il fascino del Mistero nei popoli di ogni angolo della terra, la preghiera nelle religioni orientali, la trascendenza di Dio nell’Islam, la saggezza nei proverbi africani, la pazienza nella sofferenza e la gioia di vivere nei poveri…

Nello stesso tempo come agente della prima evangelizzazione, scopre che il Vangelo è un messaggio nuovo e originale anche là dove ci sono valori religiosi e morali profondi. Tutto ciò gli permette di arrivare ad una maggiore comprensione del Vangelo, ad arricchire la sua riflessione teologica e la sua stessa vita consacrata, a promuovere nuove modalità dell’esperienza della vita cristiana, a trovare nuove espressioni liturgiche…

In questa funzione di mediazione, di costruttore di ponti, il missionario vive sempre obbediente ma cosciente e affascinato da una Chiesa che non è àncora, ma barca che avanza solcando il mare della storia come segno e sacramento di salvezza per il genere umano. Mai come nella missione, in mezzo ai problemi concreti dell’umanità, la Chiesa si sente escatologica, cioè al di là di quello che è oggi verso “nuove primavere”.

In questo cammino della missione, il missionario, vivendo sul confine della Chiesa visibile che lo invia e di quella che lo accoglie, stimola la Chiesa intera ad avere cuore di madre: « L'amore di una madre infatti è molto simile alla carità di Cristo di cui parla l'apostolo Paolo. Se noi avremo il cuore di una madre o, più precisamente, se ci proporremo di avere il cuore della Madre per eccellenza: Maria, saremo sempre pronti ad amare gli altri in tutte le circostanze e a tener vivo perciò il Risorto in noi. [...] Se avremo il cuore di questa Madre, ameremo tutti e non solo i membri della nostra Chiesa, ma anche quelli delle altre. Non solo i cristiani, ma anche i musulmani, i buddisti, gli induisti, ecc. Anche gli uomini di buona volontà. Anche ogni uomo che abita sulla terra» (Chiara Lubich).

Questa vita di mediazione tra le Chiese vissuta dal missionario, favorisce un rinnovamento e arricchimento della spiritualità cristiana, della prassi pastorale e un ampliamento della cattolicità della Chiesa e della sua vitalità tra le genti.

Infatti stiamo vedendo la Chiesa arricchirsi con nuove teologie nate nelle giovani Chiese, che stanno dando vitalità anche alle Chiese della “prima ora”, da dove sono partiti i primi missionari. Ci sono inoltre libri dove la Parola di Dio o l’esperienza religiosa cristiana è presentata ed approfondita mediante dinamiche e testi presi da libri sacri di altre religioni, dai loro proverbi, parabole, storie, aneddoti …

«La prima Chiesa (quella di Gerusalemme) ha dovuto ascoltare Paolo. A Paolo fu concesso di “andare ai pagani”, perciò di uscire “fuori”; ma di fatto Paolo rientrò, ritornò dentro la Chiesa, ma con una ricchezza di scoperta su Gesù Cristo, sul Vangelo, sulla missione salvifica della Chiesa, capace di conferire novità di dono, di luce e di crescita per la stessa Chiesa che l’aveva inviato agli altri» (L. Sartori).

Per tanto, la missione sta a servizio dell’evangelizzazione dei non-cristiani e della ri-evangelizzazione per la continua conversione e rinnovamento della Chiesa stessa, a cominciare dallo stesso missionario, che è chiamato ad essere nella Chiesa segno di questa conversione, strumento di comunione tra le Chiese e di dialogo tra le religioni.

2.6 Il messaggio di padre Aleksandr Men' (1935-1990)

Il 19 settembre 1990 veniva assassinato a colpi d'ascia, accanto alla sua casa sulla strada che portava in chiesa, padre Aleksandr Men', prete ortodosso infiammato d'amore per Cristo[14].

Nato a Mosca il 22 gennaio 1935 in una famiglia di origini ebraiche, venne battezzato a sette mesi in una chiesa catacombale tenuta da un gruppo di credenti che rifiutavano di collaborare con le autorità sovietiche.

Nel 1958 fu espulso dal collegio a motivo delle sue convinzioni religiose. Ordinato prete nel 1960, cominciò ad animare con immensa creatività un movimento di ri-evangelizzazione usando anche i moderni mezzi di comunicazione. Profondamente radicato nella tradizione della sua Chiesa seppe collaborare con i credenti delle altre confessioni cristiane, come pure essere attento a quelli di altre religioni: il suo amore per Cristo così come lo aveva respirato nella sua Chiesa lo rese capace di quel medesimo amore. Divenne presto una personalità di spicco soprattutto tra gli intellettuali; fu lui a fondare la Società biblica russa e ad aprire una università ortodossa. Il KGB si interessò a lui e soprattutto fu allarmato dalla Sua entusiasmante attività missionaria. Una frase era solita comparire sulle labbra sorridenti di padre Aleksandr Men': «Cristo ci obbliga a "sentire Dio vicino», perché come prega la divina liturgia bizantina «colui che è presente in ogni cosa, ogni cosa porta a compimento».

A soli 12 anni intuisce, quasi per contrasto con le pressioni comuniste, la sua vocazione al sacerdozio come servizio ad assicurare la signoria di Cristo sul mondo a partire dal proprio cuore. Se è chiaro il terribile contrasto tra l'ideologia comunista e il mite messaggio del vangelo di Gesù Cristo, è ancora più chiaro per quest'uomo di Dio che il combattimento contro le incarnazioni storiche di una logica contraria a quella del Vangelo comincia nel proprio cuore e nella risoluzione a scacciare dalla propria interiorità le passioni negative per dare lo spazio principale – il più bello, come avviene per le icone nelle case dei credenti ortodossi – proprio al Cristo quale unico Signore della storia.

Infatti, se si dimentica il male che tenta di dominare nel proprio cuore, si rischia di esaurirsi nella critica senza convertire la propria vita e, così facendo, senza dare il proprio apporto alla conversione del mondo.

Al cuore della sua spiritualità troviamo una sensibilità particolare verso la bellezza della vita che riteneva come una realtà affascinante, tanto da ripetere a quanti – giovani e vecchi – lo ascoltavano: «Tutto è gioia, anche il sacrificio». Secondo la migliore tradizione ortodossa, sapeva parlare alla mente interessando il cuore. E in questa modalità seppe preparare i tempi nuovi senza coinvolgersi in nessuno schieramento, ma cercando di essere totalmente assorbito dal suo compito che era quello di preparare un angolo a Cristo nel cuore della Russia... un angolo che ora si va dilatando. Due chiese sono già sorte sul luogo del suo assassinio che da molti viene considerato un vero martirio, il cui aguzzino o aguzzini rimangono ancora sconosciuti. La sua preghiera forse lo ha accompagnato anche nel momento più solenne della sua vita: «Ti amo, Signore, ti amo più di ogni altra cosa al mondo, poiché tu sei la vera gioia, l'anima mia».

Corso di Rinnovamento, Roma Ottobre 2008
Casavatore, agosto 2018

 

[1] I Voti: un tesoro in vasi di argilla, p. 32.

[2] Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.

[3] Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.

[4] Jean Vernette, Nuove spiritualità e nuove saggezze. Le vie dell’avventura spirituale, Ed. Messaggero 2001.

[5] Cf Romano Battaglia, Silenzio, Rizzoli maggio 2005, luglio 20053.

[6] Cf Alberto Degan, L’Uomo trascendente. Progetto Missionario di Dio, EUROPRINT, Rovigo 2005.

[7] Cf: - Marco Guzzi, La nuova umanità. Un progetto politico e spirituale, Ed. Paoline 2005; 20052;
A. Riccardi, La Pace preventiva. Speranze e ragioni in un modo di conflitti, San Paolo 2004;
Giordano Frisino, Per una spiritualità della politica, Editrice Esperienze 1996.

[8] Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.

[9] Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.

[10] Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.

[11] Cf. Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2008.

[12] Da: Yves Raguin, Cammini di contemplazione, Gribaudi 1972, pp. 23-26.

[13] Cfr. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, 1.

[14] L’autore di questo profilo biografico è fratel Michael Davide, in Messa quotidiana, EDB, Ottobre 2008.