Sabato 6 ottobre 2018
Fin dal suo inizio, l’opera comboniana si è sempre caratterizzata come forza di trasformazione e di rigenerazione dell’umanità umiliata, disprezzata, schiavizzata e reietta. San Daniele Comboni l’aveva espresso molto bene: l’opera comboniana doveva essere a servizio dei “più poveri e abbandonati”, della “Infelice Nigrizia”, contro il flagello della schiavitù (cfr. “schiavismo” nell’indice degli Scritti, nn. 2188-2190) e contro il commercio delle armi (S. 3349); inoltre, nel Piano, egli aveva previsto la formazione dei quadri ecclesiastici e laici, per la rigenerazione dei propri fratelli e sorelle in ogni ambito della vita umana, religiosa e sociale.

Il terreno comprato alla Ghesirah (Zamalek), in Egitto, e in seguito il villaggio di Malbes, in Sudan, sono stati passi concreti per la realizzazione di quanto San Daniele aveva intuito.

Gli eredi di Comboni, consacrati e laici, motivati dal Progetto di Dio e dal carisma, hanno sempre dato risposte efficaci e coraggiose, adattandole ai luoghi, alle circostanze e alle necessità nei vari periodi storici: privilegiando la formazione scolastica e professionale, la promozione di centri per la cura e la salute, l’emancipazione della donna, la denuncia contro gli abusi e le ingiustizie coloniali in un primo tempo e quelle perpetrate dai capi indigeni in un secondo tempo, senza sottrarsi alle persecuzioni, alle espulsioni e, in alcuni casi, anche al martirio.

Il legame tra annuncio del Vangelo e promozione della dignità umana è sempre stato un binomio inscindibile per l’opera della famiglia comboniana, ed è una caratteristica identitaria che li rende unici e originali nell’impegno missionario.

Cambio di paradigma

Dal Concilio Vaticano II, soprattutto attraverso la Costituzione Pastorale “Gaudium et Spes” (GS, promulgata nel 1965), la Chiesa, sentendosi “realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (GS, 1) avverte l’urgenza di “camminare di pari passo con l’attento ascolto dell’annuncio evangelico per trovare, di volta in volta, le forme di essere Chiesa nell’oggi e di vivere da cristiani nel mondo nella maniera più appropriata, sempre in sostanziale fedeltà al messaggio rivelato dal Cristo, Signore della storia” (GS, 45).

All’interno della Gaudium et Spes, i Padri Conciliari propongono un nuovo paradigma di riferimento, poiché invitano la Chiesa tutta a mettersi in ascolto dei segni dei tempi e lasciarsi interpellare da situazioni dell’umanità spesso drammatiche, invitando i cristiani a effettuare un cambio di rotta: non più ponendosi in contrapposizione o con indifferenza di fronte al mondo ma assumendo al contrario un atteggiamento di interazione. La Chiesa, difatti, come depositaria della rivelazione, è chiamata a fornire nelle varie circostanze storiche un confronto sempre rinnovato tra messaggio del Vangelo e situazione della società; essa ha inoltre il compito di valutare ogni situazione e avvenimento con intelligente discernimento per portare alla luce gli effetti dell’azione di Dio nella storia e per identificare, denunciare e contrastare ciò che deturpa la dignità dell’uomo e l’integrità della natura.

L’orientamento conciliare segna una svolta fondamentale nel servizio della carità poiché, alla luce del Vangelo, i cristiani sono invitati a fare discernimento, ad analizzare la complessità della realtà, ad andare alla radice dei mali che affliggono l’umanità e a cercare soluzioni adeguate in collaborazione con le organizzazioni e i movimenti cristiani e laici ai quali sta a cuore la realizzazione di un mondo possibile e vivibile per tutti.

Pochi anni dopo, nel Sinodo dei Vescovi del 1971, questa prospettiva, acquista maggiore spessore poiché “l’azione per la Giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mondo, sono una dimensione costitutiva dell’annuncio evangelico, cioè della missione della Chiesa per la redenzione dell’umanità e la sua liberazione da qualsiasi situazione oppressiva”. A questa affermazione faceva eco la parola di Paolo VI nel discorso finale diretto ai padri Sinodali: “Voi avete testimoniato che la Chiesa, nel momento storico difficilissimo che attraversiamo, avverte chiaramente il dovere di fare un nuovo sforzo per l’instaurazione di una più perfetta giustizia fra gli uomini, sia prendendo maggior conoscenza dei bisogni presenti del mondo, sia offrendo esempio di giustizia essa stessa, sia rivolgendo le sue sollecitudini verso i poveri e gli oppressi, sia educando le coscienze all’azione per la giustizia sociale, sia infine promovendo e assumendo iniziative di ogni genere a sollievo dei miseri, le quali siano quasi la testimonianza visibile della sua carità nel mondo e servano di stimolo agli altri per incamminarsi sulla stessa via”. Parole chiare e significative che descrivono nel dettaglio l’impegno per i valori di Giustizia, Pace e Integrità del Creato.

Questa nuova visione viene ripresa in seguito dai vari Sinodi continentali che la sottolineano aggiungendo aspetti peculiari per ogni realtà. Nel Sinodo per l’Africa si afferma che “la promozione di questi valori deve essere parte anche del programma pastorale di ogni comunità”; quello per l’America sostiene che “persone differenti di fedi debbano sentirsi motivate (…) a lavorare assieme per la pace e la giustizia”; il Sinodo per l’Asia asserisce che “la Chiesa si interessa di tutti gli uomini e donne senza distinzione, impegnandosi a costruire con loro una civiltà dell’amore, fondata sui valori universali della pace, giustizia, solidarietà e libertà, che trovano la loro pienezza in Cristo”; infine, nel Sinodo per l’Europa, si mette in evidenza l’urgenza del bene universale e la soppressione del debito delle nazioni povere.

L’opera comboniana, inserita nell’azione missionaria della Chiesa, non rimane insensibile a questi orientamenti. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II dedica molti incontri comunitari, provinciali e capitolari alla revisione delle sue Costituzioni preparando in questo modo la Regola di Vita, documento nel quale vengono raccolte motivazioni e linee operative. La Terza Parte, quella che descrive il servizio missionario, è fondamentale poiché è lì che si sottolinea l’importanza della solidarietà con il popolo che i missionari e le missionarie servono (RdV 60) e la liberazione integrale nell’ evangelizzatrice (RdV 61).

La testimonianza e il martirio aprono strade nuove

Nel Capitolo dei Missionari Comboniani, tenutosi a Roma nel 1985, l’impegno per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato prende corpo sullo slancio della scia aperta dalla Regola di Vita, specialmente con la scelta prioritaria dei “Valori del Regno” come obiettivo imprescindibile nell’evangelizzazione per una liberazione integrale. La decisione non fu facile: nella presentazione di questa priorità e nelle motivazioni che l’accompagnavano, quello che più causava resistenza e disagio era l’impegno socio-politico e la dimensione sociale del Vangelo che proponevano i confratelli provenienti dall’America Latina. L’approvazione di questa priorità fu sofferta e ottenne il numero appena sufficiente delle preferenze richieste dallo Statuto del Capitolo solamente a causa del martirio di Padre Ezechiele Ramin, ucciso a Cacoal nello Stato della Rondônia, in Brasile, proprio durante il Capitolo. Il suo coraggio e la sua scelta di difendere gli indios e i senza terra spinse alcuni a vincere i propri dubbi e ad aprire l’orizzonte verso una liberazione integrale e un impegno incarnato nella realtà dei poveri, condividendo le pene, i dolori e le gioie di una vita piena.

Il Capitolo del 1997 dedica la quarta parte al tema: “Missione è: impegno per la Giustizia e Pace” (AC 1997 nn. 107-118). In questa sezione vengono messe in evidenza le ragioni storiche di questa scelta, l’urgenza e la necessità di un nuovo modo di pensare l’impegno missionario, insieme ad alcune proposte concrete di azioni da effettuarsi a vari livelli. Nonostante la lunga e bella tradizione dell’opera Comboniana in questo impegno, il Capitolo parla di molti missionari che ancora non si sentono coinvolti in questo campo e che non riescono a rispondere con azioni concrete ai segni dei tempi e alle grandi sfide del mondo odierno. Lungimirante è l’invito del Capitolo a comunicare con chiarezza: “Vogliamo infatti che il tema di giustizia e pace passi dalla testa al cuore: l’agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo” (Sinodo dei Vescovi 1971, La Giustizia nel mondo, 6).

Significativa è la lettera che, in seguito, i tre consigli generali della Famiglia Comboniana indirizzano a tutti i confratelli e consorelle in occasione dell’anno giubilare del 2000, per incoraggiarli a vivere la vocazione Comboniana con rinnovato impegno per la giustizia, pace e l’integrità del creato. Il paradigma di questa lettera risulta profondo e allo stesso tempo originale, dal momento che invita gli eredi del Comboni a vivere la giustizia come relazione che genera vita: “In questo mondo ferito siamo chiamati a trovare risposte concrete e a raggiungere tutti gli uomini e donne senza distinzione, sforzandoci di costruire con loro una civiltà di amore, fondata sui valori universali della pace, giustizia, solidarietà e libertà e integrità del creato. Vogliamo approfondire la nostra consapevolezza sulle cause e conseguenze dei problemi attuali e promuovere fra noi un nuovo modo di pensare e di agire” (n. 16). Per dare concretezza a questa scelta viene costituito l’ufficio generale di Giustizia, Pace e Integrità del Creato, invitando Padre Anton Maier come responsabile ad tempus per animare e sostenere nelle province questo orientamento. La scelta non fu casuale, perché padre Anton aveva assunto da tempo questo nuovo modo di pensare e di agire in Sudafrica durante il periodo dell’apartheid in un primo momento e in seguito nella North American Province (NAP) con l’impegno di advocacy insieme all’organizzazione inter-congregazionale di AFJN.

Il Capitolo del 2003 ribadisce le scelte fatte nel Capitolo del 1985 e al n. 46 degli Atti Capitolari insiste sul fatto che “Giustizia, Pace e Integrità del Creato è parte integrante della missione della Chiesa. A partire dal Capitolo del 1985 è stata una priorità del nostro Istituto e deve continuare ad esserlo, coordinata a livello centrale dal Segretariato Generale dell’evangelizzazione”; in seguito, sono dati degli orientamenti per le province (AC 2003 n. 47 1.2.3.) e per i continenti (AC 2003 n.48 1.2.3.).

Lo stesso avviene nel Capitolo successivo in cui viene sottolineato il prezioso lavoro di advocacy soprattutto a favore dei rifugiati e dei migranti (AC 2009 nn. 66 e 67).

Nell’ultimo Capitolo del 2015, si parla molto della riqualificazione della nostra presenza nei vari continenti, e tra i criteri specificati, Giustizia, Pace e Integrità del Creato viene indicato come fondamentale (AC 2015 n 45.3). Viene inoltre dedicata per la prima volta una sezione alla missione Europa dove “siamo chiamati ad avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (AC 2015 n. 46.1). Il concetto della missione globale si fa strada e ridisegna le nostre presenze, illuminati dal magistero di Papa Francesco con l’esortazione Evangelii Gaudium e l’Enciclica Laudato Si’.

“L’opera non morirà”

Nella prospettiva di mettere i valori del Regno come condizione necessaria per un’evangelizzazione incarnata nell’oggi, l’opera Comboniana ha senza dubbio percorso un buon cammino; tuttavia, rimane ancora molta strada da fare per quanto riguarda il coinvolgimento effettivo e affettivo di una parte di famiglia Comboniana. C’è stata una presa di coscienza circa l’urgenza e la necessità a livello di analisi della realtà e delle motivazioni ma si fa ancora fatica a tradurle nella prassi missionaria: sia negli stili di vita (a volte velatamente borghesi), sia nelle scelte operative, sia nel modo di gestire il denaro e le strutture che nel corso degli anni sono state realizzate. Succede anche che i confratelli e le consorelle tentino nuove vie di presenza e di condivisione con la vita e la realtà dei poveri, e che a volte suscitano “sospetti” e “perplessità”, venendo perciò a mancare loro l’appoggio, il sostegno e l’incoraggiamento per proseguire il cammino.

Il ministero di Giustizia, Pace e Integrità del Creato, come ci viene ricordato da oltre cinquant’anni, non può essere opzionale e solo appannaggio di alcuni che hanno questo “pallino”. In un cambiamento d’epoca, come spesso sottolinea Papa Francesco, ogni missionario e missionaria è invitato a mettersi in stato di missione. Questo, per coloro che evangelizzano secondo l’opera e il carisma Comboniano, significa soprattutto rigenerarsi per poter rigenerare. Rigenerarsi nello sguardo, nella visione, nella prospettiva, nelle scelte concrete e nello stile di presenza. Nel proseguire il cammino è necessario continuare a mettere al centro la vita e le aspettative dei poveri: quelli che il sistema neo-liberale considera come “scarto”; allo stesso tempo, è prioritario prendere a cuore la formazione di base e permanente, al fine di saper trasmettere lo spirito del carisma e lasciarsi sorprendere dai giovani, perché come in San Daniele Comboni, rimane salda la convinzione che “l’opera non morirà” (S. 4380, 5329).
P. Fernando Zolli – Combonianum