Il delicato ministero fu affidato al gallo perché fiuta l’aurora. Nel pieno della notte, mentre regnano le tenebre, lui sente già il profumo del mattino. Per nulla avaro, non tiene per sé la buona notizia, ma la grida a tutti. Anche a Pietro. Ciò che fa piangere il pescatore di Cafarnao è che perfino nella sua notte qualcuno fiuta già l’aurora; addirittura nella sua tristezza sta albeggiando. Perché non se ne accorge?

La legge del somaro
Domenica delle Palme e della Passione del Signore
Matteo 21,1-11 (benedizione delle palme)
Matteo 26,14-27,66 (passione del Signore)

Con la domenica delle palme e della passione del Signore iniziamo la Settimana Santa, chiamata pure la Grande Settimana. Dopo i quaranta giorni di preparazione, ci apprestiamo a celebrare il mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù (Triduo Pasquale). Un mistero tremendo e ineffabile, tenebroso e luminoso, davanti al quale rimaniamo stupiti, storditi ed increduli: "Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?" (Isaia 53,1). La Chiesa e i suoi figli vivono questa settimana come un ritiro spirituale, in comunione intima con il loro Signore. Il modo come viviamo questi giorni è uno dei segni della profondità o meno della nostra fede.

DOMENICA DELLE PALME, L'ASINA E IL SUO PULEDRO
Questa domenica ha due facce, due parti ben distinte. La prima: il rito delle palme, seguito dalla processione, caratterizzato dalla gioia e l'entusiasmo, segno profetico del trionfo della vita. La seconda: l'Eucaristia, con la proclamazione della Passione, contrassegnata dalla mestizia, dal fallimento e dalla morte.

Dal vangelo della benedizione delle palme (Matteo 21,1-11) vorrei richiamare l'attenzione su due dei suoi protagonisti: la folla e l'asina con il suo puledro. Innanzitutto, la folla che accompagna Gesù nel suo ingresso 'trionfale' in Gerusalemme, acclamandolo come Messia e suscitando lo scompiglio in città: "tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea»". Generalmente identifichiamo questa folla, presumibilmente costituita soprattutto da galilei, con la folla che giorni dopo chiederà la crocifissione di Gesù. Personalmente ritengo ingiusta ed improbabile questa identificazione. In una città che con i sobborghi aveva circa 100.000 abitanti e che a Pasqua poteva accogliere fino a 200.000 pellegrini, questa folla di galilei, per di più ritenuti degli esaltati, era naturale che finisse per disperdersi, forse anche delusa nelle sue attese messianiche su Gesù. La folla che chiederà la morte di Gesù, invece, era sobillata dalle autorità religiose della città e sicuramente formata da cittadini giudei. In ogni caso, una 'fede' alimentata da un entusiasmo facile e ambiguo si rivela sempre effimera e fondata sulla sabbia del sentimento.

La messianità di Gesù richiede un cambio profondo di mentalità. Per questo Gesù va a riprendere una profezia messianica dimenticata, che presenta un messia umile e mansueto che al cavallo preferisce l'asino, animale da soma (porta il peso degli altri) e di grandi orecchi (ascolto): "Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma" (Zaccaria 9,9; vedi anche Genesi 49,11). Gesù è il Messia che porta sulla croce i nostri pesi: "egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori" (Isaia 53,4). Per conseguenza, anche il cristiano deve fare lo stesso: "Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo" (Galati 6,2). "Perché tutta la legge di Cristo è la legge del somaro" (Silvano Fausti).

"Quando il cristianesimo, la Chiesa, ciascuno di noi, sapendo che l’unica modalità d’esistenza è il vivere come l’asino, comincerà ad ammiccare al ‘mondo’, ai re e ai potenti della terra, desiderando vivere ed essere come loro attraverso il potere, la ricchezza e il successo, allora si realizzerà una sorta di tragica ibridazione. Noi fatti per vivere come asini ci uniremo al cavallo, simbolo da sempre del potere mondano, e il risultato sarà ritrovarsi come muli, animali stupidi ma soprattutto sterili". (Paolo Scquizzato).

RICORDI PERSONALI...
La domenica delle palme evoca in me dei ricordi nostalgici dell'infanzia. Ragazzi e giovani, il sabato andavamo nel monte per cercare un bel ramo di alloro, il più alto possibile, che poi ornavamo di fiori. La domenica la chiesa sembrava una foresta ondeggiante, con piante alte anche diversi metri, profumando tutta la navata. Oggi i ramoscelli sono spesso così minuscoli e stilizzati, da essere ridotti a un simbolo 'insignificante', come tanti altri elementi della nostra liturgia, purtroppo.  
Un altro ricordo rimonta alla Pasqua del 2002, che ho trascorso a Gerusalemme. La domenica delle palme tutta la comunità cristiana scendeva dal monte degli olivi brandendo rami di olivo e cantando con gioia ed entusiasmo. Ricordo che qualche ragazzino palestinese ci tirava dei sassi. Un ricordo che mi fa pensare a tanti cristiani che non possono professare liberamente la loro fede in questa Pasqua. Sono 360 milioni (un cristiano su cinque in Africa, due su cinque in Asia e uno su 15 in America Latina).
Il mio pensiero va pure alle tante pasque vissute in Africa, caratterizzate dalla giovinezza e dall'entusiasmo, segno di una nuova chiesa che avanza e porta nuova vitalità alla vecchia cristianità. E ne abbiamo veramente bisogno!

ALCUNE PROPOSTE PER INTERIORIZZARE la Passione secondo Matteo (26,14-27,66)
Il racconto della passione è la parte più antica dei vangeli e potremo dire che è la loro colonna dorsale. I quattro evangelisti seguono lo stesso canovaccio, ma ognuno ha un suo particolare modo di narrare la passione, con delle prospettive teologiche e catechistiche diverse e con particolari dettagli nel loro racconto. Matteo sottolinea l'adempimento delle Scritture, particolarmente del "Servo sofferente" del profeta Isaia e del Salmo 21 (22). Gesù prima di essere parola è orecchio (Isaia 50,5).
Un modo di approccio al lungo racconto potrebbe essere di fissare l'attenzione su ogni personaggio che interviene in questo dramma (sono tantissimi: tra gruppi e singole persone sono una trentina!) e domandarci in quale/i ci vediamo rispecchiati. Ognuno di noi ha la sua parte in questo dramma. Ogni persona che interviene interpreta un ruolo in cui si compie la Scrittura. Quale parola si compie in me?
"Andate in città da un tale e ditegli: «Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli»". Un tale! Come mai non ha un nome? Perché quel tale sono io! Il Signore vuole fare Pasqua con me. Non viene solo, ma con i suoi! Cosa devo fare per accoglierlo?
Procurati un gallo! Tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza e infedeltà. Se non abbiamo un 'gallo' che ci sveglia, rischiamo di assopirci nel nostro peccato. Questo 'gallo' è la Parola di Dio e l'incrocio di sguardi con Gesù.
Buon ingresso nella Settimana Santa!

P. Manuel João, comboniano
Castel d'Azzano (Verona) marzo 2023
[comboni2000]

Il fiuto dell’aurora

Nell’ora buia e triste della Passione di Cristo, un unico personaggio svolse bene il suo compito, onorando il motivo per cui era stato creato. Fu così importante da essere menzionato in tutti e quattro i Vangeli. Si tratta di un gallo. Preciso come sempre, orgoglioso di essere il primo a cogliere le cose nuove, vestito del suo piumaggio colorato e solenne, a testa alta, con voce di petto, anche dalle profondità di quella notte il piccolo animale fece sentire il suo canto. Secondo Ambrogio di Milano, il Creatore plasmò il gallo in vista di quella notte, in vista di Pietro. Non deve stupire tanta attenzione, tanta finezza in Dio. Al pescatore di Galilea che si preparava ad abbandonarlo come tutti gli altri, il Signore dà il gallo come segnale, offrendogli lo spunto per il pentimento e aprendo il varco alle lacrime.

Perché proprio un gallo, e non qualcuno o qualcosa più all’altezza del dramma che si andava consumando una volta per tutte in quella notte? Innanzitutto perché quell’animale non teme il buio; l’oscurità non lo blocca, anzi lo risveglia come un’opportunità, quasi che ci fosse qualcosa da scoprire perfino là dove non ci sarebbe nulla da vedere. Perciò si muove a suo agio anche nella notte.

Inoltre, il delicato ministero fu affidato al gallo perché fiuta l’aurora. Nel pieno della notte, mentre regnano le tenebre, lui sente già il profumo del mattino. Per nulla avaro, non tiene per sé la buona notizia, ma la grida a tutti. Anche a Pietro. Ciò che fa piangere il pescatore di Cafarnao è che perfino nella sua notte qualcuno fiuta già l’aurora; addirittura nella sua tristezza sta albeggiando. Perché non se ne accorge?

Che lo Spirito di colui che creò il gallo, lo Spirito di colui che lo inviò a Pietro, susciti uomini e donne che cantano nella notte.
[Giovanni Cesare Pagazzi – Vaticannews]

Dai rami di Osanna al legno della Croce

Is 50,4-7; Salmo 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14 - 27,66

Inizia con la Domenica delle Palme la grande settimana, la Settimana Santa, nella quale ogni cristiano è invitato a raccogliersi più intensamente nella meditazione della Passione del Signore nostro Gesù Cristo. Tuttavia, questa domenica fa ancora parte della quaresima, cioè dei quaranta giorni di rinnovamento spirituale che ci conducono al triduo pasquale.

I momenti più salienti dei riti liturgica di questa domenica sono tre: la benedizione dei rami d’olivo o delle palme, la solenne processione e la lettura della Passione di Gesù secondo Matteo. Inoltre, per desiderio del Papa Paolo VI, questa domenica è anche Giornata mondiale della Gioventù.

Le palme o i rami ricordano l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, la città santa, perché il popolo aveva trovato in lui il suo re e messia. Nella processione, il popolo cristiano è invitato ad accompagnare Gesù, re dei martiri, nel suo combattimento. Ognuno di noi è invitato ad accompagnare Gesù, non tanto in un tempio fatto di pietre preziose, quanto piuttosto nel tempio vivo delle anime redente e purificate dal preziosissimo sangue. L’inno: “onore e gloria a te, o Cristo, re e Salvatore”, afferma il sovrano diritto di Gesù a regnare nei cuori, nelle famiglie, nella società e in tutte le attività dell’uomo. I rami sono portati a casa, in ricordo del Signore vincitore della morte, come segno e augurio di pace. È la Passione di Gesù l’evento redentore, riconciliatore e perciò pacificatore.

Per quanto riguarda il racconto della Passione, ogni evangelista ha un suo modo di narrare le vicende che conducono Gesù alla morte. In contrasto con la concezione giudaica di un Messia trionfatore, Matteo cerca di dimostrare che Gesù è la realizzazione del “Servo sofferente” predetto tanti secoli prima dal profeta Isaia, quale servo ripone tutta la sua fiducia in Dio. In questo terzo canto del servo, Isaia mette in rilievo le profezie di un Messia umile ed oppresso, avveratesi in Gesù.

Le parole di Paolo, nella seconda lettura, dalla Lettera ai Filippesi, sono quasi una sintesi della vita e della missione compiuta dal servo divino. Egli seppe vivere in atteggiamento di obbedienza al Padre, e di servizio ai fratelli, fino al dono della sua vita. E il Padre lo ha proclamato Signore. Paolo invita i cristiani ad avere in sé “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”.

Il tema conduttore della liturgia della parola della Domenica delle Palme, che introduce nella Settimana Santa, sembra quindi suggerito da questo inno cristologico della Lettera ai Filippesi. In esso si contempla e si celebra il dramma di umiliazione ed esaltazione di Cristo, il dramma del suo abbassamento che culmina nella sua glorificazione e nella salvezza di tutti. È l’adempimento e la pienezza delle Scritture. Si tratta di una concreta attuazione di un progetto eterno d’amore del Padre al quale il Figlio, con identico amore, ha aderito, fino alla morte e alla morte di croce.

Inoltre, la Giornata della Gioventù si celebra questa Domenica delle Palme: perché sono stati soprattutto i giovani, col loro entusiasmo, a promuovere il trionfo di Gesù nel suo ingresso nella Città santa. È anche un atto di riconoscimento da parte della Chiesa verso i giovani, necessari per la speranza di un futuro cristiano. Essi sono d’altra parte più capaci di entusiasmo e di creatività. La Chiesa ne aspetta anche più disponibilità e più oblatività.
Don Joseph Ndoum

Domenica delle Palme
Annunciare un “Dio in Croce”. Per tutti!

Matteo 21,1-11: per la benedizione delle palme;
Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14-27,66: Vangelo della Passione

Riflessioni
Sul portale della Settimana Santa, che oggi comincia (Vangelo), c’è una domanda: “Chi è costui?” (Mt 21,10). Se lo chiedeva la gente della città, in agitazione, quando Gesù entrò in Gerusalemme, fra gli applausi dei simpatizzanti, seduto non su un cavallo da guerra o da corsa, ma su un’asina presa in prestito… Quell’ingresso fu un avvenimento missionario, un’epifania di Gesù alla gente. Un momento di trionfo effimero, proprio di un giorno soltanto; ma servì almeno per suscitare delle domande sull’identità di Gesù. La folla aveva una risposta pronta: «Questi è il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea» (Mt 21,11). Una risposta vera, ma sulle loro labbra era una risposta alquanto effimera, a giudicare dai comportamenti dei giorni seguenti; era piuttosto il momento di approfondire l’identità di quel sorprendente profeta da Nazareth. Così come hanno fatto alcuni pellegrini greci, giunti a Gerusalemme, i quali dissero a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21).

Le risposte alla domanda iniziale le troviamo in vari testi di questa Settimana speciale. Una prima risposta la dà Gesù stesso, provocato dalla richiesta di quei greci: Egli è il chicco di grano, che cade in terra e muore per produrre molto frutto (cfr. Gv 12,24); Egli è il Maestro che invita tutti a seguirLo per condividere la sua sorte (cfr. Gv 12,26); è il Signore che può affermare: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Il destino universale della sua morte in croce, elevato da terra, è chiaramente indicato anche nelle varianti dei codici antichi: attirerò ‘tutto’, ‘tutti gli uomini’, ‘ogni uomo’… La sua salvezza è offerta, come dono, per tutti coloro che, con cuore sincero, “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), cioè per coloro che, con fede, compassione e amore guardano il Cristo innalzato sulla croce (cfr. Nm 21,8; Zc 12,10). Questa fu l’esperienza sorprendente del centurione romano e degli altri soldati pagani, che, alla vista di quello che succedeva, dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,54). Gesù è davvero il Figlio di Dio, proprio perché è rimasto sulla Croce anziché scendere (cfr. Mt 27,40.42). Mentre i giudei lo rifiutano, i pagani lo riconoscono.

La chiave per capire chi è questo Figlio di Dio, che si fa chicco di grano, che muore in Croce per attirare tutti a sé, ce la offre l’evangelista Giovanni nell’Ultima Cena di Gesù con i suoi discepoli: “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1). È la dichiarazione di un amore estremo, aperto a tutti nello spazio e nel tempo. Parole che invitano a vivere la Settimana Santa in dimensione universale, contemplando ed annunciando un Dio in croce per tutti. S. Daniele Comboni aveva compreso quanto fosse necessario per i suoi missionari formarsi in questa contemplazione e lo raccomandava nella sua Regola: “Si formeranno questa disposizione essenzialissima (spirito di sacrificio) col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime”. (Scritti, n. 2721).

La lunga narrazione (Vangelo) della condanna, passione ed esecuzione di un innocente va ben oltre i soliti fattacci di cronaca nera: contiene la ‘Buona Notizia’ di Cristo Salvatore, morto e risorto, che i missionari della Chiesa portano ovunque nel mondo intero. Da questo nucleo centrale del Vangelo, scaturiscono scelte e atteggiamenti fondamentali per i discepoli. Ne cito uno fra i tanti: il ripudio della violenza e dell’uso delle armi, come insegna Gesù a Pietro: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (v. 26,52). Una parola emblematica per i cristiani, che già l’apologeta Tertulliano (III sec.) commentava così: “Disarmando Pietro, Gesù ha tolto le armi di mano a ogni soldato”.

Il cantico del Servo (I lettura), che ascolta e non si tira indietro (v. 4.5), e soprattutto l’inno cristologico dei Filippesi (II lettura) cantano il ciclo completo di quel Dio-uomo in croce: la Sua preesistenza divina, lo svuotamento volontario, l’abbassamento fino alla croce, la glorificazione con il nome di Signore, davanti al quale tutti sono invitati all’adorazione, “a gloria di Dio Padre” (v. 11). La gloria del Padre è la meta a cui tende tutta l’azione missionaria della Chiesa. Oltre all’obbedienza filiale, l’inno dei Filippesi “ci mostra anche l’aspetto di solidarietà con i fratelli: Cristo è diventato simile agli uomini, ha assunto la nostra condizione umile; anzi, si è fatto solidale con le persone più criminali, con i condannati alla morte di croce” (Albert Vanhoye). (*)

Il messaggio della Passione resta sempre una strada in salita, ma porta alla Vita. Davanti alla Passione di Gesù, nessuno è un mero spettatore. Ognuno è attore, ha un ruolo, oggi, nella Passione che Gesù continua a vivere nel suo Corpo mistico, nella famiglia umana. I protagonisti della Passione siamo noi. Dietro le figure di Pietro, di Pilato, di Giuda, dei Sommi sacerdoti, della folla, possiamo vedere il volto di ognuno di noi. Quale ruolo abbiamo nella Passione oggi? Da che parte stiamo? Bene per noi se scegliamo il ruolo di Simone il cireneo (v. 32), della moglie di Pilato (v. 19), del centurione (v. 54), le pie donne, Magdalena, Maria, Giovanni, Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo… Il ruolo del cristiano, e in particolare del missionario, è quello di Cireneo, solidale con i crocifissi della storia, portatore della salvezza operata da Gesù.

Parola del Papa

(*) “Penso con ammirazione soprattutto ai numerosi sacerdoti, religiosi e fedeli laici che, in tutto il mondo, si dedicano all’annuncio del Vangelo con grande amore e fedeltà, non di rado anche a costo della vita. La loro esemplare testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di burocrati e di diligenti funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’ardore di portare a tutti la consolante parola di Gesù e la sua grazia. Questo è il fuoco dello Spirito Santo. Se la Chiesa non riceve questo fuoco o non lo lascia entrare in sé, diviene una Chiesa fredda o soltanto tiepida, incapace di dare vita, perché è fatta da cristiani freddi e tiepidi”.
Papa Francesco
Angelus, domenica 14.8.2016

P. Romeo Ballan, MCCJ

Tema di approfondimento

Di che cosa fu vittima Gesù?
Perché è morto in croce? – Non poteva evitarlo?
Chi ha voluto la sua morte?

Domande grosse che sfidano la nostra fede e la nostra comprensione del mistero. Risposte della Bibbia e della teologia attuale...

In passato, a queste domande, una certa teologia ci dava questo tipo di risposte: Gesù è morto in croce per fare la volontà del Padre (!?!). Questa è una risposta incompleta dal punto di vista biblico, rischiosa e sorpassata, perché ci ha presentato il Padre come colui che ha voluto sacrificare il suo Figlio per salvare il mondo. Questo tipo di spiegazioni ha creato/favorito l’immagine di un Dio violento, di un Dio che ha sete di giustizia, di vite sacrificate, di sangue, tanto sangue!

“È una bestemmia – dice il teologo Ernesto Balducci – pensare che Dio abbia voluto la morte del suo Figlio”. Gesù è stato messo in croce dagli uomini del potere religioso e politico, che l’hanno giudicato e condannato, perché dava loro fastidio. Il Padre non ha pianificato la sua morte.

Sono proprio i profeti, in particolare Isaia, che più volte smentiscono questa immagine violenta di Dio: Io non bevo il sangue dei sacrifici, io non mangio la carne dei tuoi agnelli (cfr. 1,11-17).

E Gesù stesso lo ratifica: Misericordia io voglio e non sacrifici (Mt 9,13).

Il Dio della Bibbia non vuole sacrifici. Non chiede vittime.

Gesù non ci chiede il sacrificio della nostra vita.

Gesù invece dona la sua vita e chiede anche a noi di amare fino in fondo e donare la nostra vita.

In questo sta la grande novità del messaggio evangelico: non è più Dio che chiede sacrifici agli uomini, ma è Lui stesso che si dona-sacrifica per noi (Ermes Ronchi).

Cristo è morto per amore, in piena sintonia con il Padre. È morto amando e perdonando! Alla presenza di sua Madre Maria! Ma senza che tale morte fosse stata pianificata, programmata o voluta dal Padre, né da Gesù.

Davanti alla cospirazione degli uomini del potere religioso-politico che lo uccisero, Dio aveva varie alternative da gestire con la sua scienza e onnipotenza divina:

  1. Fuggire/scomparire/nascondersi, come aveva fatto altre volte;
  2. Annientare il loro piano, impedire/togliere loro la libertà, vanificare le loro trame;
  3. Rispondere male per male, vendicarsi, distruggerli con dodici legioni di angeli (Mt 26,53);
  4. O rispettare la libertà umana, con la responsabilità delle decisioni erronee; accettare il groviglio delle complicità umane, che avrebbero portato Gesù alla morte. In una parola: accettare/assumere i dati di fatto; rispondere bene per male, vincere il male con il bene…

Gesù aveva detto: “Amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,44). La metodologia sociale e la prassi della “nonviolenza” trovano in queste parole il loro fondamento, la forza e il contenuto. Ma l’opzione di Gesù Cristo è ancora più sublime!  

L’opzione n. 1: sarebbe stato solo un rimandare il problema; Gesù non scappa, ma assume/affronta.

L’opzione n. 2: è contraria allo stile di Dio, che sempre rispetta la libertà di chiunque.

L’opzione n. 3: sarebbe la risposta umana, “occhio per occhio” ormai superata dal Vangelo di Gesù.

L’opzione n. 4: è la risposta divina, la risposa della Sapienza misteriosa di Dio: vincere il male con il bene, eliminare il veleno dell’odio, spezzare la catena della vendetta, inaugurare la via dell’amore, l’unica forza in grado di vincere l’odio, la vendetta, il peccato e ogni cattiveria.

Perché la misericordia e il perdono sono più forti di ogni male e alla fine vinceranno.

L’amore è più forte. Perché “Dio è amore”.

Questa è la scelta di Dio-Trinità d’amore: su questa scelta Padre-Figlio-Spirito sono in piena comunione! Questa, e solo questa, è la volontà-il piano della Trinità Santa, anche se ciò comporta la passione del Figlio. Alla fine (cioè, nella risurrezione) si rivelerà la vittoria del piano di Dio; E noi saremo salvi! Una scelta dura, esigente, dolorosa per il Figlio, che la soffrirà nella sua carne innocente. Ma dura anche per il Padre e lo Spirito, che misteriosamente sono “presenti e soffrono” con il Dio-Figlio crocifisso.

Gesù accetta tale volontà divina e la riempie di tutto il Suo amore divino e umano. Egli soffre senza mai vendicarsi, senza odiare nessuno, senza rancori di sorta, mai! Gesù va alla morte amando e perdonando, in piena libertà e comunione con il Padre e lo Spirito, abbandonandosi con totale fiducia alla volontà del Padre. È questo il dramma straziante che contempliamo nella preghiera di Gesù nel Getsemani. Davanti all’imminente passione, Gesù sperimenta tutta la resistenza e la riluttanza della Sua carne umana (paura, tristezza, solitudine, morte…) e chiede al Padre di evitare quel passaggio, ma, al tempo stesso, si rinnova amorosamente nella Sua adesione piena al piano divino: “non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Così fino alla fine: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Solo alla luce dell’amore possiamo capire la logica di Dio nella passione-risurrezione di Gesù.

«Non è – come troppo spesso siamo tentati di pensare e come molte volte è stato affermato nella tradizione teologica – la volontà di un padre perverso che chiede la morte del figlio, ma una volontà di amore e salvezza che Gesù annuncia con la sua parola e manifesta nelle sue opere. Il rifiuto di questo dono da parte non solo dei pagani (cfr. Lc 18,32), ma anche delle autorità religiose ebraiche (cfr. Lc 9,22), degli “uomini” (Lc 9,44), di “questa generazione” (Lc 17,25), dei “peccatori” (Lc 24,7), è la vera causa della passione e morte del Cristo. Tutti – anche noi – siamo responsabili della sua morte. Ma sfuggire a questa morte (e il fatto che Gesù la prevedesse significa che era libero di farlo) avrebbe significato anche rinunciare a testimoniare l’amore di Dio fino all’estremo».

(da un testo del Monastero di Bose, 18-11.2019).

Tutti – anche noi – siamo responsabili della sua morte! Perché Gesù affronta una morte così crudele, con tutto il suo amore divino-umano, per smuovere/piegare i nostri cuori induriti dal peccato e per insegnarci a camminare nell’amore e nella fedeltà al Dio della Vita.

Sul portale del Cenacolo, all’inizio dei misteri del Triduo Sacro, l’evangelista Giovanni ha scritto la chiave di lettura per comprendere il senso e il valore di ciò che succede nella passione-risurrezione: “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Una frase che illumina tutto il panorama della nostra salvezza.

San Pietro ci istruisce sul significato, la portata salvifica della passione-morte-risurrezione di Cristo: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2,21-25).

Nella sua passione-morte-risurrezione Cristo ci ha dato l’esempio di una vita nuova secondo il Cuore di Dio. Ora ci attira a Sé come figli, ci abilita (togliendoci il peccato), ci dà la Sua grazia-forza, perché Lo seguiamo, sostenuti dallo Spirito, sulla via delle Beatitudini, per la gloria del Padre.

Buona Settimana Santa