Gesù chiama “Paraclito ” lo Spirito Santo. Nel breve brano evangelico, la misteriosa parola risuona ben due volte. Tra i significati del termine stanno “avvocato” e “difensore ”. Difensore di chi?

Lo Spirito Santo, la Memoria del Futuro!

Lo Spirito Santo... vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
Giovanni 14,15-16.23-26

La Chiesa celebra oggi la grande solennità della Pentecoste, la festa della discesa dello Spirito Santo, cinquanta giorni dopo la Pasqua, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli (vedi prima lettura). Con questa festa concludiamo il tempo pasquale.

Il calendario liturgico universale prevede, per questo giorno, come vangelo la cosiddetta “Pentecoste giovannea” (Giovanni 20,19-23), comune ai tre cicli A-B-C. La Chiesa italiana ha però fatto una scelta diversa: per quest’anno troviamo un testo composito (Gv 14,15-16.23-26), tratto dal discorso dell’ultima cena, in cui Gesù annuncia la venuta dello Spirito Santo. Gesù lo chiama Paràclito (paràklētos, in greco), un termine giuridico che troviamo solo nel Vangelo di Giovanni (quattro volte) e una volta in 1Gv 2,1. Paràclito può essere tradotto come Consolatore, Avvocato, Intercessore, Consigliere, Difensore... I rabbini dicevano che le nostre opere buone sono il nostro avvocato davanti a Dio. L’avvocato del cristiano, invece, è lo Spirito Santo!

La Pentecoste, che significa “cinquantesimo” giorno (dal greco), era una festa giudaica, una delle tre feste di pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme: Pasqua (Pesàh), Pentecoste (Shavuôt) e la Festa delle Capanne (Sukkôt), la festa autunnale del raccolto e memoriale dei quarant'anni nel deserto.

Si trattava originariamente di una festa agricola: la festa dell’inizio della mietitura del grano e dei primi frutti, celebrata il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua ebraica. Per questo era anche chiamata “Festa delle Settimane”, poiché cadeva sette settimane dopo la Pasqua.
Alla festa agricola di ringraziamento per i doni della terra venne poi associato il ricordo del più grande dono fatto da Dio al suo popolo: la Legge, la Torah, donata per mezzo di Mosè sul monte Sinai.

Pentecoste, l'apice della Pasqua

La Pentecoste cristiana è intimamente collegata alla Pasqua, formando con essa un tutt’uno. Nei primi secoli, infatti, il periodo pasquale di cinquanta giorni era celebrato nella gioia e nell’esultanza come “una grande domenica” (sant’Atanasio). La Pentecoste rappresenta l’apice della Pasqua: è la nostra Pasqua, la nascita della Chiesa e l’inizio della missione. Come il battesimo di Gesù diede inizio al suo ministero, così questo “battesimo nello Spirito” segna l’inizio della missione apostolica della Chiesa.

La Pentecoste non è una festa autonoma dello Spirito Santo, ma la festa del Cristo Risorto che trasmette il suo Spirito alla Chiesa. Per questo, secondo il Vangelo di Giovanni (20,19-23), il dono dello Spirito Santo avviene la sera stessa della domenica di Pasqua, quindi subito all’inizio. Gli Atti degli Apostoli (2,1-11), invece, lo collocano cinquanta giorni dopo, alla fine del periodo pasquale.

Potremmo allora domandarci: il dono dello Spirito è avvenuto il giorno di Pasqua o a Pentecoste? La divergenza tra il racconto di Giovanni e quello di Luca è solo apparente. Gli elementi del mistero pasquale – Passione/Morte, Risurrezione, Ascensione e Pentecoste – sono talmente importanti che i primi cristiani sentirono il bisogno di distanziarli, per viverli e approfondirli meglio. Così abbiamo tre giorni per la Risurrezione (prolungata nell’Ottava di Pasqua), quaranta giorni per l’Ascensione e cinquanta per la Pentecoste.

In realtà, però, si tratta di un unico e indivisibile evento teologico. Di conseguenza, la Pentecoste giovannea e quella lucana sono due modi complementari di esprimere la ricchezza dell’unico mistero pasquale. Alla nostra mentalità storicista, però, può sfuggire la finezza simbolica e teologica di questi racconti.

La missione dello Spirito Santo

Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù afferma che lo Spirito ha un triplice compito:
“[il Padre] vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre”; “[il Paràclito, lo Spirito Santo] vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
L'azione dello Spirito viene riassunta in tre verbi: rimanere, insegnare e ricordare!

RIMANERE. Il cuore del cristiano è abitazione dello Spirito Santo: “lo Spirito di Dio abita in voi”, dice san Paolo nella seconda lettura (Romani 8,8-17). Quando coltiviamo la consapevolezza di questa straordinaria realtà, vinciamo la tentazione di dubitare della presenzia di Dio nella nostra esistenza, come accadde all'antico Israele nel deserto: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Quante volte anche noi, nella storia travagliata che stiamo vivendo, ci chiediamo dove sia Dio. Dubitare che Dio sia l'Emmanuele è la tentazione per antonomasia, la radice di ogni altra tentazione.
Se lo Spirito abita in noi, è necessario curare questa coabitazione. Come farlo?
Ecco tre consigli di san Paolo:

  • «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio» (Efesini 4,30).
    E mi chiedo: cosa, nella mia vita, sta rattristando lo Spirito Santo?
  • «Non spegnete lo Spirito» (1 Tessalonicesi 5,19).
    E mi dico: quante volte ho spento lo Spirito rifiutandomi di ascoltare l’altro?
  • «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Galati 5,16-26).
    E mi interrogo: io mi lascio guidare dallo Spirito Santo o dallo spirito mondano?

INSEGNARE. Lo Spirito Santo continua il ruolo di Gesù Maestro: è il “Maestro interiore”. San Gregorio, in un’omelia pronunciata il giorno di Pentecoste del 591 nella basilica di San Pietro, affermava: “Se lo Spirito Santo non è presente nel cuore di chi ascolta, vana è la parola di chi insegna.” L'iconografia rappresenta papa Gregorio Magno con una colomba posata sulla spalla che gli parla all’orecchio. Così potrebbe dirsi anche del cristiano.
Purtroppo, tante volte lasciamo che sia il “falco” a parlarci all’orecchio sinistro. Questo forse spiega l'ondata di odio che sta travolgendo il mondo e la violenza verbale che si diffonde anche in certi ambiti ecclesiali, con il pretesto di “difendere la verità”.
Chiediamoci:
a chi tendo ad ascoltare più spesso? Alla Colomba o al “falco”?

RICORDARE. Cosa ci ricorderà lo Spirito? “Vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”, precisa Gesù.
Nella Bibbia, l’invito a ricordare è un tema ricorrente. Noi, purtroppo, manchiamo spesso di memoria, o abbiamo una memoria selettiva: ricordiamo ciò che dovremmo dimenticare — e che spesso avvelena la nostra vita — e dimentichiamo ciò che invece sarebbe fondamentale ricordare.
Ricordare non è semplicemente un’operazione mentale, ma un atto del cuore. Il verbo “ricordare” deriva dal latino recordari (composto da re- = “di nuovo” o “indietro”, + cor, cordis = “cuore”), che significava letteralmente: “richiamare al cuore”. Nella cultura latina, infatti, il cuore era considerato la sede della memoria.

Lo Spirito ci è dato per richiamare al cuore, in modo particolare, ciò che sta alla base della novità cristiana: “[Voi avete] ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà! Padre!’ Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.” Ce lo ricorda ancora san Paolo, nella seconda lettura odierna.
Chi non ha memoria rischia di vivere intrappolato nel presente, senza passato e senza futuro.
Lo Spirito Santo non è solo memoria del passato, ma anche memoria del futuro. Infatti, lo Spirito dà senso e direzione alla vita del cristiano e, tramite la speranza, gli fa intravedere la meta verso cui cammina. Potremmo dire che lo Spirito ci rende “contemporanei” di Cristo, “lo stesso ieri, oggi e per sempre” (Eb 13,8). Lo Spirito ci fa gustare già il vero Presente di “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4).

P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ

Lo Spirito rilancia continuamente la Missione
Atti 2,1-11; Salmo 103; Romani 8,8-17; Giovanni 14,15-16.23-26

Riflessioni
La festa ebraica di Pentecoste - sette settimane, ossia 50 giorni, dopo la Pasqua - inizialmente era la festa della mietitura del frumento (cfr Es 23,16; 34,22). Ad essa si unì, più tardi, il ricordo della promulgazione della Legge sul Sinai. Da festa agricola la Pentecoste è divenuta progressivamente una festa storica: un memoriale delle grandi alleanze di Dio con il suo popolo (vedi Noè, Abramo, Mosè, Geremia 31,31-34, Ezechiele 36,24-27). Oltre ad un cambio nel calendario, è importante notare la nuova prospettiva riguardo alla Legge e al modo di intendere e vivere l’alleanza. La Legge era un dono del quale Israele andava orgoglioso, ma era una tappa transitoria, insufficiente.

Era necessario progredire verso l'interiorizzazione della legge, un cammino che raggiunge il culmine nel dono dello Spirito Santo, che ci è dato, al posto della legge, come vero e definitivo principio di vita nuova. La Pentecoste cristiana celebra il dono dello Spirito, “che è Signore e dà la vita” (Credo). Intorno alla Legge, Israele si costruì come popolo. Nella nuova famiglia di Dio, la coesione non viene più da un comando esterno, per quanto eccellente sia, ma dal di dentro, dal cuore, in forza dell’amore che lo Spirito ci dà, “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Grazie a Lui (II lettura), “siamo figli di Dio” e gridiamo: “Abbà! Padre!”. Siamo il popolo della nuova alleanza, chiamato a vivere una vita nuova, in forza dello Spirito che fa di noi la famiglia di Dio, con dignità di figli ed eredi (v. 14-17). A tale dignità deve corrispondere uno stile di vita coerente. San Paolo descrive due stili di vita opposti, a seconda della scelta di ciascuno: la vita secondo la carne o la vita secondo lo Spirito (v. 8-13).

Lo Spirito fa camminare le persone e i gruppi umani, rinnovandoli e trasformandoli dal di dentro. Lo Spirito apre i cuori, li purifica, li sana e li riconcilia, fa superare le frontiere, porta alla comunione. È Spirito di unità-fede-amore, nella pluralità di carismi e di culture, come si vede nell’evento di Pentecoste (I lettura), nel quale si coniugano bene insieme l’unità e la pluralità, ambedue doni dello stesso Spirito. Popoli diversi capiscono un unico linguaggio comune a tutti: la mappa delle nazioni deve diventare tavola di convivio, casa comune per "parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio" (v. 11). san Paolo attribuisce chiaramente allo Spirito la capacità di rendere la Chiesa una e molteplice nella pluralità di carismi, ministeri ed operazioni (cfr 1Cor 12,4-6). La Chiesa ha davanti a sé la sfida permanente di essere cattolica e missionaria: far passare la famiglia umana da Babele a Pentecoste, da ghetto a campo aperto, con la forza dello Spirito.

Lo Spirito, che si manifesta come vento, fuoco, dono delle lingue, è lo Spirito della missione universale. Anzi Egli è il protagonista della missione (cfr RMi cap. III; EN 75s) che Gesù affida agli apostoli e ai loro successori. Per realizzare tale missione, lo Spirito è sempre vicino e operante, come assicura Gesù per ben cinque volte nel lungo discorso dopo la Cena (Gv 14,16-17; 14,26; 15,26; 16,7-11; 16,13-15). È lo Spirito Consolatore (Vangelo) che rimane con noi per sempre, che dimora in chi ama (v. 16.23); è il Maestro che insegna ogni cosa e ci fa ricordare ciò che Gesù ci ha detto (v. 26). A Pentecoste gli apostoli capirono, finalmente, le parole di Gesù che li ha inviati: andate al mondo intero, fate di tutti i popoli una sola famiglia. (*)

Negli anni del Concilio circolava un breve testo sullo Spirito Santo, attribuito a Ignazio IV Hazim, che fu in seguito patriarca greco-ortodosso a Damasco. Si tratta di un testo significativo, caro anche al patriarca Atenàgoras, profeta moderno della missione e dell’unità dei cristiani; è un testo che ci giunge dalla teologia delle Chiese orientali, circa l’opera dello Spirito Santo in noi e nella Chiesa: «Senza lo Spirito Santo: Dio è lontano - Cristo resta nel passato - il Vangelo è lettera morta - la Chiesa è semplice organizzazione - l’autorità è dominio - il culto è evocazione - l’agire cristiano è morale da schiavi - la missione è propaganda…

«Ma in Lui: il cosmo è sollevato - l’uomo è in lotta contro il male - Cristo risorto è una realtà - il Vangelo è potenza di vita - la Chiesa è segno della comunione trinitaria - l’autorità diventa servizio liberante - la liturgia è memoriale e primizia - l’agire umano è deificato - la missione è una Pentecoste».

Parola del Papa
(*)
«Dove ci sono il Padre e Gesù, c’è anche lo Spirito Santo. È Lui che prepara e apre i cuori perché accolgano questo annuncio, è Lui che mantiene viva questa esperienza di salvezza, è Lui che ti aiuterà a crescere in questa gioia se lo lasci agire. Lo Spirito Santo riempie il cuore di Cristo risorto e da lì si riversa nella tua vita come una sorgente. E quando lo accogli, lo Spirito Santo ti fa entrare sempre più nel cuore di Cristo, affinché tu sia sempre più colmo del suo amore, della sua luce e della sua forza. Invoca ogni giorno lo Spirito Santo perché rinnovi costantemente in te l’esperienza del grande annuncio».

Papa Francesco
Esortazione apostolica Cristo vive, 25.3.2019, n. 130-131

P. Romeo Ballan, MCCJ

Lo Spririto SantoPresente nell’assenza

Qui c’è il tema dell’assenza. E dell’amore. È chiaro che l’amore nasce dalla presenza. C’è un incontro, un riconoscersi pieni di valore, un allineare i desideri. Ma ogni amore necessariamente vive più nell’assenza che nella presenza. Per quanto si stia insieme, mangi, dorma, viaggi, giochi insieme, è più il tempo in cui si sta lontani rispetto a quello in cui ci si vede di persona, ci si guarda negli occhi, ci si tocca. “Tossici” chiamiamo gli amori che non sanno staccarsi e hanno bisogno del controllo di ogni momento della vita. E sappiamo come finiscono.

L’amore vive di fede, interiorizzata presenza di un bene sperimentato. C’è un modo di essere presenza nell’assenza. Non meno presente, solo diverso. Paraclito è un nome che troviamo solo in Giovanni, è letteralmente colui che è chiamato a essere vicino, tradotto in latino advocatus, che ha lo stesso significato. È un termine amico, “avvocata nostra” si dice di Maria nella preghiera. Nella Prima lettera di Giovanni è un titolo attribuito anche a Gesù e infatti qui lui dice «un altro Paraclito». La teologia cercherà di trovare parole per permetterci di entrare in questo intreccio ma quel che davvero conta per noi che leggiamo queste parole pronunciate da Gesù sul confine estremo della sua presenza fra i discepoli è che non siamo soli, mai: «Non vi lascerò orfani» è bellissimo. Dice tante cose tutte insieme: che quel che è nato è una famiglia, che essere fratelli è la nostra nuova natura, che in questa nuova realtà nata dall’annuncio di Gesù c’è Dio in tutte le forme che possiamo immaginare, Padre, Figlio, Spirito d’amore, che sta vicino sempre. A insegnare e ricordare, verbi “pedagogici” perché questo è, niente è una volta per sempre; si tratta di camminare nel tempo, in compagnia.

Nel cuore di questa vertigine troviamo ripetuto più volte il tema del comandamento che il parallelismo semantico (fra i versetti 15 e 23) ci permette di tradurre come Parola, insegnamento, perché l’amore non è un sentimento, è pieno della nostra azione responsabile, che opera meraviglie ogni giorno.
Mariapia Veladiano L’Osservatore Romano

Il difensore di Cristo
Gv 14, 15-16.23b-26

Gesù chiama “Paraclito ” lo Spirito Santo. Nel breve brano evangelico, la misteriosa parola risuona ben due volte. Tra i significati del termine stanno “avvocato” e “difensore ”. Difensore di chi? Certo difensore di noi, così esposti al male e al maligno, inermi davanti alle amare tristezze procurateci dagli altri e da quelle, ancora più amare, imposte da noi stessi. Il Paraclito viene a proteggerci dalla paura che ci fa impazzire, avvelenando la vita nostra e altrui.

Ma, forse, il Paraclito viene innanzitutto a difendere Cristo. Sicuro, il Figlio dell’uomo è forte come «il leone di Giuda»; a lui «è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» e verrà a giudicare i vivi e i morti; eppure non smette di essere l’«agnello che toglie i peccati del mondo», e come tale è tuttora condotto al macello.

È ancora vulnerabile nella carne dei suoi fratelli e delle sue sorelle; carne affamata, assetata, nuda, carcerata, senza casa, senza considerazione, senza tomba. Cristo è ancora offeso nel suo stesso mistero, strattonato da ogni parte pur di legittimare i propri risentimenti contro gli altri, usato come puntello a fissazioni e manie, come sostegno a ostinate ossessioni.

Si svilisce Cristo, accettando di lui solo quanto dà ragione a noi e torto agli altri. Cristo è indifeso anche davanti alla nostra quotidiana, ingrata indifferenza che ci rende insensibili alla sua garbata, discreta, incoraggiante, premurosa presenza nell’Eucaristia. Di lui nemmeno ci accorgiamo, nonostante sia nostro vicino di casa.

Sì, il Paraclito difende Cristo... e soprattutto dalle nostre sgrinfie e dalle caricature che facciamo di lui. Lo difende affinché Cristo possa incontrarci sempre nella sua intera statura, nella sua sconcertante bellezza. Solo così non lo ridurremo a nostra immagine e somiglianza, esponendoci ancora una volta ai colpi della tristezza e della paura.
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Romano]

Lo Spirito Santo guida il cristiano a scoprire il senso della vita

At 2,1-11; Salmo 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26

La festa della Pentecoste ricorda tre eventi principali: la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli apostoli nel cenacolo, la prima predicazione del Vangelo a Gerusalemme e il formarsi della prima comunità cristiana o la nascita della Chiesa. Il protagonista nascosto di tutte queste vicende è la terza persona della santissima Trinità. Il nome Pentecoste è derivato dal fatto che questa festa veniva celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua. Coincideva nell'Antico Testamento con la festa della mietitura, giorno di rendimento di grazie durante il quale venivano offerte le primizie dei prodotti della terra. Era occasione per un pellegrinaggio alla città santa, eco e coronamento del pellegrinaggio pasquale e commemorazione annuale dell'alleanza, quando sul Sinai venne data la Legge.

La festa cristiana invece commemora la Pentecoste che seguì alla morte di Gesù; essa fu segnata dal dono dello Spirito Santo che inaugurò una nuova creazione e il tempo della Chiesa. La Pentecoste segna quindi il culmine dell'opera divina di salvezza. La coincidenza di data sta ad indicare che la figura ha cessato il suo compito perché si è entrati nella realtà, quella della nuova alleanza. Secondo il testo degli Atti la Pentecoste cristiana fin dall'inizio ha avuto il suo significato originale e preciso: l'effusione dello Spirito Santo e la vocazione della nuova comunità del Crocifisso-Risorto-Glorificato all'universalismo.

La Pentecoste cristiana non è la festa dello Spirito Santo, come persona divina in se stessa, ma è la celebrazione di un avvenimento di salvezza che decide in modo unico e definitivo delle sorti del mondo. La Pentecoste realizza le promesse di Dio, secondo le quali negli ultimi tempi lo Spirito sarebbe dato a tutti (Ez36, 27) I padri della Chiesa hanno paragonato questo "battesimo nello Spirito Santo" che segnò l'investitura apostolica della Chiesa, al battesimo di Gesù, il quale segnò l'inizio del suo ministero pubblico. Cristo porta così a termine la sua opera di salvezza effondendo lo Spirito alla comunità apostolica.

La Pentecoste appare pertanto la pienezza della Pasqua, il mistero pasquale totale. Il fatto che gente di diversa lingua comprenda la lingua nella quale parlano gli apostoli dice che la prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli. La divisione operata a Babele (Gn11, 1-9) trova la sua antitesi e il suo termine positivo. Il miracolo della Pentecoste è perciò la risposta divina alla confusione e alla dispersione. Lo Spirito che è presenza di Dio in noi riversa sopra di noi i suoi doni, che ci rendono attenti alle aspirazioni divine e ci orientano al bene. Infatti, tutto ciò di bello e di positivo che avviene nel mondo, è opera dello Spirito. E come diceva il santo curato d'Ars, "quando ci vengono pensieri buoni, è lo Spirito che ci visita". Coloro che invocano e sono guidati dallo Spirito Santo hanno sempre idee giuste. Come dice S Paolo ai Galati, lasciamoci guidare dallo Spirito (Ga5, 16). Se gli facciamo spazio, Egli interviene con efficacia nella nostra vita. "Manda, Signore, il tuo Spirito, perché rinnovi la faccia della terra!".
Don Joseph Ndoum