Sabato 27 settembre 2025
L’Assemblea intercapitolare dei Missionari Comboniani si è svolta dall’7 al 26 settembre presso la Casa Generalizia a Roma. Si è conclusa ieri, con la celebrazione eucaristica presieduta da padre Luigi Codianni [nella foto], superiore generale. Ai suoi confratelli, ha detto: «Il futuro dipende dalla nostra integrità. Assumere responsabilità è un segno di forza, non di debolezza. Se agiamo con integrità, ricuperiamo la fiducia e la capacità di essere un faro morale». E sottolinea: «Assieme al coraggio, ci serve anche la convinzione che la missione del nostro Istituto è ancora importante, ha ancora un ruolo vitale da svolgere, ed è degna di essere portata avanti anche in modi inaspettati». Pubblichiamo l’omelia qui di seguito.
Omelia di padre Luigi Codianni
nella Messa di chiusura dell’Intercapitolare a Roma
Le letture bibliche della liturgia di oggi mi hanno suggerito quattro brevi frasi che possono riassumere quanto abbiamo discusso nei giorni scorsi e che, messe assieme, possano formulare un forte incoraggiamento per “riaccendere il fuoco della missione” di cui abbiamo bisogno se vogliamo affrontare la sfida rappresentata dal nostro futuro lavoro.
1. Il profeta Aggeo [Ag 1,15b-2,9] nella prima lettura presta la sua voce a Dio, che ci sprona: «Coraggio, mettiamoci al lavoro… Io sono con voi… Non temete».
Dio, per bocca di Aggeo, sprona il suo popolo ad andare avanti nella costruzione del tempio, nonostante le molte difficoltà. Le sue parole sono perfette anche se le consideriamo rivolte a noi oggi: «Coraggio, mettiamoci al lavoro… Io sono con voi… Non temete».
Anche noi, che ci apprestiamo a tornare nelle nostre circoscrizioni, ci sentiamo spronati ad affrontare con coraggio le molte sfide che ci attendono.
Nelle varie relazioni ascoltate in assemblea sono state narrate “storie belle e incoraggianti”, e sono state elencate iniziative e progetti ricchi di entusiastico dinamismo e, in parte, già coronati da risultati positivi.
Dobbiamo partire da qui, dal positivo che già c’è. La storia non va dimenticata. Abbiamo bisogno di rimanere fedeli al nostro carisma e sentirci orgogliosi del molto bene fatto in linea con la nostra più vera tradizione.
Nello stesso tempo, vogliamo essere pronti ad abbracciare le nuove sfide, a cogliere le opportunità che questo nostro mondo in continua evoluzione ci offre.
Ci serve, tuttavia, l’ardire di riconoscere che è in atto un cambiamento nel mondo. Ecco il primo – e forse il più difficile – atto di coraggio che dobbiamo fare: riconoscere che il mondo è cambiato. Non possiamo fingere di non vedere e accettare il nuovo che avanza. Chiuderci nella nostalgia non è certo un atteggiamento “comboniano”.
Ci serve anche il coraggio di ascoltare e dialogare. Diventiamo persone che credono nel dialogo e che sentono il bisogno di imparare meglio l’arte del dialogo. Un’arte che comporta umiltà e il coraggio di accettare la nostra vulnerabilità e le nostre imperfezioni. Solo così possiamo costruire relazioni vere con gli altri, stare bene con noi stessi, ed essere più forti e autentici. Riconosciamo di non avere tutte le risposte pronte. Attraverso il dialogo sincero e rispettoso, arricchiamo la nostra comprensione della realtà e impariamo a costruire ponti invece di muri.
Nello stesso tempo, ci serve il coraggio di agire con integrità. Il futuro dipende dalla nostra integrità. Assumere responsabilità è un segno di forza, non di debolezza. Se agiamo con integrità, ricuperiamo la fiducia e la capacità di essere un faro morale.
Assieme al coraggio, ci serve anche la convinzione che la missione del nostro Istituto è ancora importante, ha ancora un ruolo vitale da svolgere, ed è degna di essere portata avanti anche in modi inaspettati.
2. La sfida che attendeva il popolo di Israele al tempo di Aggeo era la costruzione del tempio. La nostra sfida oggi è “Coraggio… costruiamo vere comunità”.
Un’opera richiestaci da Dio è sempre impegnativa. Ne ha chieste tante nella storia. Perché non dovrebbe chiederne anche a noi oggi? E se Dio ce la chiede, non facciamoci spaventare dalla grandezza dell’opera richiesta: ascoltiamo, piuttosto, la sua immancabile promessa: «Siate forti… perché io sono con voi».
Non partiamo dal niente. La storia dell’Istituto è una piattaforma fantastica per ripartire verso qualcosa di nuovo.
Le “vere comunità” di cui parlo – e che tutti vogliamo – non devono necessariamente emulare il passato: devono solo rispettarlo. Facciamo tesoro delle lezioni apprese, manteniamo la saggezza tramandata, vantiamoci anche dei successi ottenuti… ma noi intendiamo costruire un domani “diverso” e altrettanto grande.
3. Cosa intendiamo per “vere” comunità?
Nel brano di vangelo letto [Lc 9,18-22], Gesù è in preghiera e i discepoli sono con lui. Preghiera (come dialogo con Dio) e fraternità, a dispetto dei nostri molti limiti, sono due requisiti indispensabili per chi ha il compito di animare una circoscrizione.
Direi che le “nuove” comunità che vogliamo costruire devono avere in cima alla lista delle priorità le seguenti tre caratteristiche: essere “comunità” nutrite dalla preghiera, contraddistinte da “fraternità” autentica, e internazionali e interculturali.
a) Il testo evangelico di oggi inizia con Gesù che si ritira a pregare da solo. Nel Vangelo di Luca, Gesù è sovente mostrato mentre prega, specialmente prima di prendere decisioni importanti o di dare il via a iniziative significative.
La preghiera di Gesù non è semplice routine, ma intima comunione con il Padre: «Io faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,29). Anche la nostra preghiera deve essere un costante dialogo con Dio.
Questa volta Gesù prega prima di un fondamentale momento dell’avventura degli apostoli. Gesù li invita a fare il punto della loro sequela: «Voi, chi dite che io sia?». Li obbliga a interrogarsi e a confrontarsi, per poi decidere cosa fare.
Il Signore chiede anche a noi di fermarci a riflettere e di non dare nulla per scontato. Nel silenzio della preghiera, dobbiamo “ricollocare la viva presenza” del Maestro nella nostra vita di oggi. Ciò che andava bene ieri potrebbe non andare più bene oggi.
b) Se vogliamo “costruire nuove comunità”, allora dobbiamo diventare tutti amanti della comunità e di tutto ciò che la vita in comune – cioè “vissuta insieme” – implica. Nessuno può esimersi dal fare la sua parte.
Le comunità che intendiamo costruire devono essere caratterizzate da vera convivenza, pace, reciproco affetto, autentica partecipazione e solidarietà. Se costruiamo tali comunità, avremo costruito un istituto capace di gestire e governare i mutamenti odierni, restando umano nelle propria fondamenta e nel suo dinamismo missionario.
Dobbiamo fare in modo che le singole persone e le comunità possano continuare a essere protagonisti nelle trasformazioni in atto, senza farsi paralizzare dalle nuove complessità e da possibili paure.
Le comunità deperiscono quando in esse prevalgono disimpegno e indifferenza. Questi due virus richiedono la nostra attenzione.
Le comunità che vogliamo costruire dovranno essere capaci di rimettersi in cammino nella storia di oggi e di domani. E se questo comporta attraversare situazioni o “territori” difficili, non esitiamo a farlo.
c) Di certo, la “novità più nuova” – forse la più sfidante, ma anche la più entusiasmante – è che le nostre comunità sono ormai comunità religiose missionarie internazionali e interculturali. Ciò significa che sono meglio equipaggiate per la missione evangelizzatrice di oggi. Richiamo rapidamente quanto ci siamo detti in aula.
In sintesi: una comunità missionaria interculturale non solo annuncia il Vangelo, ma lo incarna nel suo stesso stile di vita, diventando essa stessa parte del messaggio evangelico.
Ciò che ci può sostenere in questo difficile compito è solo la speranza! Perché la speranza è il nutrimento più prezioso di una comunità, e questo si diffonde solo attraverso l’amicizia e la solidarietà.
4. C’è una missione che ci aspetta – Attraverso la bocca di Aggeo, Dio ci dice: «Io scuoterò il cielo e la terra… scuoterò tutte le genti e riempirò questa casa».
Nel Vangelo, invece, Pietro ci ricorda che per portare avanti la missione di Cristo è necessario schierarsi. E lui, a nome degli altri discepoli si pronuncia: «Tu sei il Cristo di Dio». Parole giuste e ortodosse. Peccato che abbia un’idea di Cristo/Messia che non collima con quella del Maestro. Avrà bisogno di conversione per riuscire ad accettare un Unto di Dio crocifisso.
Ogni giorno è il momento di chiederci: «Chi è Gesù per me?». Figlio di Davide o Figlio dell’Uomo? Ovviamente l’uno non è l’altro. Dobbiamo aderire al progetto di salvezza di Cristo crocifisso.
E allora, al bando certe “narrazioni esclusive”: Cristo è così! No, Cristo è così! Cristo è europeo, Cristo è africano, Cristo è latino-americano. Non è questo il tipo di empatia di cui abbiamo bisogno!
Assieme, come comunità e come Istituto, dobbiamo rispondere alla domanda di Gesù: «Voi chi dite che io sia?». La nostra risposta determinerà da che parte vogliamo stare. E la parte giusta è una sola: quella della pace, della verità e della giustizia.
Il Manifesto di Nazaret stilato da Gesù deve essere il nostro. E questo comporta che dobbiamo schierarci senza esitazione con gli ultimi, gli esclusi, gli scartati, gli uccisi, i martiri della giustizia.
Non possiamo limitarci a dire quello che il mondo vuole sentire. Dobbiamo dire ciò che il mondo “deve” sentire, se vuole diventare sempre di più Regno di Dio.
Ci troveremo in situazioni di conflitto? Niente meraviglia! Ci è stato predetto da Gesù stesso: «Sarete odiati a causa del mio nome» (Lc 21,12-19). Saremo sempre perseguitati e odiati da tutti a causa della nostra identificazione con Cristo.
Ma lui ci esorta alla perseveranza e alla resilienza, assicurandoci la salvezza.
Concludo, ricordando cosa pensasse Comboni riguardo allo “schierarsi dalla parte di Cristo”:
«Di fronte a tante afflizioni, fra montagne di croci e di dolore […] per queste enormi complicazioni, il cuore del missionario cattolico è rimasto scosso. Tuttavia, egli non deve per questo perdersi d’animo. La forza, il coraggio e la speranza non possono mai abbandonarlo. È mai possibile che il cuore di un vero apostolo possa abbattersi e intimorirsi per tutti questi ostacoli e straordinarie difficoltà? No, questo non è possibile, giammai! Solo nella Croce sta il trionfo» (Scritti, 5646).