(1856-1913) Dieci anni di schiavitù.

Don Giuseppe Ohrwalder, con Giovanni Dichtl e Francesco Pimazzoni, è uno dei tre giovani missionari cari al Comboni che gli sopravvissero. Don Giuseppe, inoltre è famoso per il suo libro nel quale descrive i suoi 10 anni di prigionia sotto il Mahdi. Era nato a Lana (Bolzano) nel 1856 ed entrò a Verona nel settembre del 1875 come chierico proveniente da Bolzano. Partì per il Cairo nel novembre del 1879 e ricevette il presbiterato da mons. Comboni l'8 dicembre 1880.
Verso la fine di dicembre è partito alla volta di Khartoum. Comboni ha scritto di lui: “Sono arcicontento dei due tedeschi (l'altro era Dichtl) che sono missionari di prim'ordine, di grande spirito di sacrificio, veramente santi. Anche i Gesuiti me ne fanno i più grandi elogi. Essi hanno il vero spirito santo di morire per i Neri”.
Dopo la morte di Comboni, più di uno proponeva don Giuseppe Ohrwalder come successione, ma aveva solo 11 mesi di sacerdozio. L'8 gennaio 1882 fu destinato alla missione di Delen tra i Monti Nuba. “Appena arrivato qua, ebbi delle ulcere su tutto il corpo che mi tormentavano assai. Insieme avevo dolori di ventre e poi si aggiunse la diarrea. Tuttavia sono molto contento. Per fortuna che con me ci sono tre suore. Abbiamo più di 20 ragazzi e 13 ragazze. P. Luigi Bonomi è molto buono e molto attivo. La nostra missione è composta da 16 capanne”.


Arrivano i dervisci del Mahdi

Nel 1882 la missione di Delen fu devastata dai dervisci del Mahdi che portarono vita tutto, e fecero prigionieri i missionari e le suore. Scrive don Giuseppe: “Eravamo tutti d'accordo di fuggire verso Fascioda. Tutto era pronto e noi, con i nostri ragazzi e ragazze, andammo a mezzanotte, con le poche cose che potemmo portare, al luogo donde dovevamo partire, ma ad un certo punto uno scrivano di Hansal (console austriaco) era passato al nemico e ci ha traditi tutti chiamando i mahdisti.
I dervisci ci dissero di farci musulmani e tutto sarebbe finito, altrimenti dovevamo consegnare ogni cosa. Noi abbiamo consegnato tutto… I neri e le nere ci vennero portati via, gli altari furono distrutti e a noi lasciarono solo il vestito. Ci volevano tagliare la testa. Il 17 settembre 1882 fummo condotti via da Delen e tra questi 30 ladroni poco di bene ci rimaneva a sperare. Strapparono perfino i veli dal capo delle suore e volevano togliere anche le gonne, ciò che potemmo impedire con le nostre istanti preghiere.
Dopo dieci giorni di marcia, arrivammo all'accampamento del Mahdi. Sul suo volto brilla sempre un finto sorriso pieno di dolcezza. Ci invitò a farci musulmani, ma la nostra risposta fu: no. Verso sera apparve Giorgio Stambulia e ci disse che la mattina appresso ci avrebbero decapitati. Durante la notte ci confessammo e ci preparammo alla grande grazia. Tosto ci addormentammo dalla stanchezza. Intanto apparve nel cielo una splendida stella cometa che ci fece pensare a quella dei Magi”.
Nel campo di prigionia tre missionari morirono. Il 27 ottobre morì suor Eulalia Pesavento, il 31 ottobre il laico Gabriele Mariani e il 7 novembre suor Amalia Andreis. “Saranno 100.000 persone quelle che attorniano la città di El Obeid che è allo stremo”. Durante l'assedio della città morì anche don Losi. Era il 27 dicembre 1882.


Dieci anni di prigionia

I prigionieri erano nella miseria più nera, senza cibo, sempre tormentati dalle malattie. Per vivere, le suore e anche i missionari facevano piccoli lavoretti che poi vendevano ricavando quel minimo per non morire. I missionari che si trovavano al Cairo, specie dopo la fuga di p. Bonomi, mandavano aiuti, ma venivano rubati per strada. E i prigionieri avevano l'impressione di essere stati abbandonati: “Dobbiamo persuaderci che non siamo più né fratelli né conoscenti? Siamo poveri assai e degni di compassione”, scrivevano.
Erano trascorsi 8 anni di quell'inferno. I Prigionieri erano passati da un campo all'altro fino ad arrivare a Ondurman. “Don Giuseppe, con le mani legate dietro la schiena, è lasciato in balia di una turba di fanatici che lo schiaffeggia, lo copre di insulti, di sputi e di bastonate”.


I finti matrimoni delle suore

Siccome la legge musulmana non tollerava che una donna non dipendesse da un uomo, e le suore prigioniere non dipendevano da nessuno, il signor Slatin, un austriaco ex governatore del Darfur, e prigioniero come gli altri, suggerì che le suore facessero dei finti matrimoni con dei giovani greci, pure prigionieri. Così avrebbero potuto vivere in pace, salvandosi dalle angherie degli arabi che minacciavano di portarle negli harem.
L'8 maggio 1884 si celebrarono i finti matrimoni. Diciamo finti perché le suore erano d'accordo con i finti mariti di vivere come fratello e sorelle.
Col trascorrere degli anni, vedendo che non nascevano figli, gli arabi cominciarono a dire che le suore avevano imbrogliato il Mahdi. Nel 1890 la situazione era disperata. Le suore rischiavano di essere portate nell'harem del califfo e ai greci che si erano prestati al gioco bisognava tagliare la testa. A questo punto don Giuseppe disse che almeno una suora, e in questo caso la superiora, cioè suor Teresa Grigolini, doveva sposarsi sul serio e mettere al mondo figli, così avrebbe salvato le sue consorelle. Il matrimoni fu celebrato una sera di agosto del 1890. Anche se le suore erano state sciolte dai Voti appena era cominciata la prigionia, don Ohrwalder pagherà caro questo suggerimento dato alla suora.


La fuga

Il 29 novembre, su quattro cammelli, don Ohrwalder suor Elisabetta Venturini e suor Caterina Chincherini con la piccola Adila Morgian di 14 anni, fuggirono da Omdurman. In otto giorni coprirono 700 chilometri. I fuggiaschi cadevano dal sonno tanto che una suora dovette essere legata al cammello. L'8 dicembre arrivarono in territorio egiziano, sani e salvi. Giunto in Italia don Ohrwalder fu trattato severamente dai superiori per aver favorito il matrimonio di Teresa, tuttavia in lui non venne mai meno l'amore alla missione.
Nel 1899 (il Mahdi era stato sconfitto l'anno prima) fu il primo missionario che si recò con p. Banholzer a Khartoum. Si interessò per l'acquisto dei terreni per la futura missione di Khartoum. Per sfuggire ai visitatori importuni che volevano intervistarlo sulla sua lunga prigionia chiese di essere mandato a Wau, nel Sudan meridionale, ma morì improvvisamente a Omdurman, il 6 agosto 1913, durante il pranzo. Ha lasciato un esempio luminoso di fedeltà alla missione e di missionario zelante tra i cristiani del Sudan. Anche i musulmani lo veneravano. Il suo ricordo è rimasto in benedizione.

(P. Lorenzo Gaiga)