Roma, giovedì 11 ottobre 2012
Samuele Gallazzi, italiano, riflette su quanto è stato discusso nei cinque giorni (2-7 agosto scorso) del secondo incontro dei Laici Missionari Comboniani (LMC) a Verona, dove si sono recati più di 60 partecipanti provenienti da cinque nazioni europee. “Tra i tanti, vorrei soffermarmi su di un tema – dice Gallazzi – che ha riscaldato gli animi degli italiani: ci si può dichiarare LMC anche senza aver mai avuto un’esperienza duratura di missione?” Questo è uno degli argomenti caldi sull’identificazione degli LMC e che dovrebbe essere chiarito prima della Va Assemblea degli LMC che si terrà a Maia, Portogallo, dal 2 al 9 dicembre 2012.


Laici Missionari Comboniani italiani. 

Nella splendida cornice veronese, l’incontro degli LMC è stato sicuramente un momento di confronto intenso, soprattutto per chi – come la folta e chiassosa delegazione italiana – si affacciava per la prima volta a un incontro di questo tipo. Gli ospiti sono stati di prestigio e hanno stimolato la platea con una serie di spunti, ognuno dei quali meriterebbe un adeguato approfondimento. Tra i tanti, vorrei soffermarmi su di un tema che ha riscaldato gli animi degli italiani: ci si può dichiarare LMC anche senza aver mai avuto un’esperienza duratura di missione? Lo so: il tema è annoso e a tratti stucchevole ma l’apertura a un dialogo internazionale su questo argomento – ormai asfittico in territorio italico – potrebbe aprire nuove chiavi di lettura.

Sembra infatti che in Europa questa questione non sia all’ordine del giorno, né che faccia salire la tensione nei rapporti tra gli LMC e l’Istituto comboniano. Interrogato il delegato della Commissione centrale LMC, Alberto de la Portilla, risponde sereno: no, senza essere stati in missione non si è LMC. Non pago della sua risposta indago tra i sacri documenti degli LMC (Granada 2006 - Firenze 2007) ma anche lì trovo la stessa disattenzione verso la tematica liquidata in breve sentenziando che LMC è chi deve partire, è partito o partirà a breve.

La questione, quindi, a livello internazionale sembra acclarata da tempo; solo in Italia si fatica ad accettarla. Alberto argomenta meglio la sua risposta: gli LMC non sono e non intendono essere l’unica proposta laicale all’interno del mondo comboniano; in Spagna, ad esempio, i molti simpatizzanti che sostengono i partenti sono soci di una ONLUS, Amani. Da qui la conclusione di Alberto: che bisogno c’è di definirsi tutti LMC?

Penso che questa legittima domanda possa essere evasa su tre ordini di motivazioni.

La prima. La realtà laicale comboniana in Italia è costellata da una rete di gruppi, perlopiù sorti in prossimità delle case comboniane, con genesi, età e dimensioni eterogenee ma che tutti spingono nella stessa direzione: promuovere il movimento comboniano, farlo vivere e crescere, nell’intuizione che il messaggio di Comboni sia una vocazione anche per noi, qui e oggi. Si tratta di gruppi che vivono nel loro territorio il loro essere laici missionari comboniani, proponendo percorsi di formazione, impegno e missione. La presenza di queste realtà è una ricchezza, carica di enormi potenzialità:

  • I gruppi sono un catalizzatore verso giovani – e non – che abbiano il desiderio di continuare ad approfondire il carisma comboniano anche dopo aver terminato il percorso di conoscenza con il mondo comboniano (il GIM – giovani impegno missionario); in questo senso, sono la forma più efficace di “recruiting” di nuove leve per gli LMC;
  • Diversi gruppi hanno creato – o stanno creando – comunità residenziali di famiglie, un punto importante dell’azione degli LMC italiani: queste comunità fungono da banco di prova per chi deve partire per vivere un’esperienza di vita comunitaria e facilitano il rientro delle famiglie dalla missione offrendo loro un tetto per i primi mesi dopo il rientro;
  • da ultimo, esiste un coordinamento nazionale che collega le attività dei vari gruppi sparsi sul territorio.

Le altre nazioni europee presenti a Verona non hanno – per quanto possa aver capito nella babele linguistica di quei giorni – lo stesso tessuto fatto di gruppi sparsi sul territorio, ma i singoli appartenenti al movimento LMC si ritrovano perlopiù con incontri di carattere nazionale che, come ovvio, non possono che avere una frequenza inferiore rispetto a realtà geograficamente più vicine.

La seconda ragione può essere sintetizzata in una domanda: perché ancora oggi si relega la missione alla dimensione “ad extra”? La riflessione sulla missione punta sempre più l’accento su di una visione antropologica della missione e sempre meno sull’aspetto puramente geografico. Fare missione in Europa oggi non solo non è un ossimoro, ma diventa sempre più un’esigenza, sulla quale tutti gli istituti missionari devono riflettere e trovare risposte concrete. Bisogna uscire dallo stereotipo che vede come “parcheggiato” il missionario che trascorre del tempo in patria, sviluppando le crescenti esigenze che l’Italia e l’Europa pongono in relazione agli Ultimi. Se questo è vero per padri e suore, a maggior ragione deve valere per i laici, che potrebbero diventare un’avanguardia illuminata in questo percorso.

Il terzo e ultimo aspetto nasce dalla considerazione che dividere la realtà laicale comboniana in partenti e non partenti rischierebbe di creare gruppi e gruppuscoli, senza mettere a fattor comune intelligenze ed energie. A chi gioverebbe tale separazione? Meglio stare uniti per avere un movimento laicale forte e credibile, legato non già dall’aver vissuto una pur importante esperienza all’estero ma dall’aver scelto Comboni come modo per vivere la propria appartenenza alla Chiesa: essere LMC dovrebbe essere anzitutto una vocazione, cui tutti noi ci sentiamo chiamati.

In conclusione, spero davvero che questa nostra “eresia” italiana possa dare inizio a un dibattito europeo all’interno del movimento degli LMC, che porti a dialogare su queste e altre considerazioni attorno al vivere la missione.
Samuele Gallazzi
(LMC – Venegono)