Venerdì 6 dicembre 2013
Circa 120 ex membri del GIM (Giovani Impegno Missionario) di tutta Italia si sono radunati dall’8 al 10 novembre a Limone sul Garda, per celebrare il decimo anniversario della canonizzazione di san Daniele Comboni con la gente stessa di Limone che li ha accolti e accompagnati. Nelle parole di Monica, ex-gimmina di Padova, l’esperienza dei tre giorni passati assieme a Limone è stata un aiuto “per entrare sempre più in confidenza con la santità e la spiritualità di Comboni”.

I giovani che vivono vicini alle comunità comboniane italiane e vogliono fare un cammino insieme di riflessione e formazione spirituale missionaria con lo scopo di allargare i loro orizzonti e dare concretezza alla loro fede, tentando di incarnarla nella loro vita, si organizzano in gruppi chiamati GIM (Giovani Impegno Missionario).

Il cammino GIM propone due diversi itinerari: uno di formazione cristiana-missionaria, l’altro di discernimento vocazionale secondo le intuizioni e la passione di San Daniele Comboni. Il primo itinerario ha come obiettivo l'approfondimento del cammino di fede in Cristo e di formazione missionaria. Si svolge attraverso un incontro mensile con un programma di catechesi e di testimonianze missionarie, di momenti forti di convivenza durante l'anno e campi di lavoro e spiritualità missionaria durante l'estate. Il secondo itinerario, invece, è caratterizzato dall'accompagnamento alla scoperta graduale del progetto di Dio nella propria vita e, attraverso di esso, all'identificazione con una vocazione specifica. Questo itinerario termina con una decisione di impegno di vita. Il cammino, della durata generalmente di un anno, prevede un fine settimana di convivenza mensile e alcuni momenti forti e prolungati di spiritualità missionaria, con catechesi e testimonianze specifiche. Costantemente viene presentata la necessità del dialogo con diverse culture e religioni, l'opzione per i poveri e l'accoglienza degli immigrati del Sud del mondo. L'accompagnamento spirituale che viene offerto a ciascun giovane è un momento privilegiato di confronto, per una conoscenza più profonda e reciproca.


Monica, ex-gimmina di Padova, ci racconta l’esperienza dei tre giorni passati assieme a Limone, terra natale di san Daniele Comboni:

“… Posso morire ma la mia opera non morirà…”. Se ripenso ai giorni trascorsi a Limone sul Garda per festeggiare i dieci anni della canonizzazione del Comboni, non riesco a trovare parole migliori per definire l’atmosfera vissuta in quel week end.

Frequento la Famiglia comboniana ormai da quasi cinque anni, prima come gimmina e poi come animatrice, ed ogni anno è stato importante per entrare sempre più in confidenza con la santità e la spiritualità di Comboni. Soprattutto con l’idea che siamo un popolo unico ed unito che è in continua migrazione ma che durante gli anni condivide speranze, ideali, sogni, preghiere e, più di tutto, passione.

Passione. È la parola che più spesso mi viene in mente quando penso a quei giorni.

Quella di san Daniele, ad esempio, indissolubilmente legata alla sua santità. È stato l’amore viscerale per una terra lontanissima dalle sue montagne a muovere il suo desiderio, a rendere la sua opera duratura. E a richiamarci a Limone per far festa. Abbiamo celebrato tutti assieme la sua passione, il suo amore grande per la Nigrizia e per i crocefissi di tutta la terra.

La cosa più grande, tuttavia, la cosa più stupefacente, è stato riconoscere in ogni persona lì presente, la stessa passione. Laici, padri, fratelli, sorelle, secolari, non importa il nome con cui si è scelto di far parte della Famiglia comboniana, tutti noi condividiamo ancora lo stesso sogno: testimoniare con la nostra vita ed il nostro annuncio in ogni angolo della terra l’Amore Perfetto che ridona dignità e si posa come un balsamo sulle ferite dell’umanità. A partire da noi stessi, cominciando dal comprendere qual è la nostra Nigrizia, per quale popolo vogliamo spendere la vita, per quale ideale. Ognuno a modo suo.

Ascoltando le diverse testimonianze è stato illuminante riconoscere nelle persone che raccontavano il loro cammino, dei compagni. Non era importante che a raccontare fossero persone consacrate o famiglie, più volte mi sono ritrovata a pensare “questo è esattamente ciò che sento io, è quello che vorrei, è quanto mi è successo”, a testimonianza del fatto che non è la vocazione a formare il desiderio e l’essere umano ma viceversa, siamo noi, nella nostra libertà di Figli Amati a dover accogliere il sogno e dar vita alla nostra vocazione per diventare “santi e capaci”.

Le esperienze di vita che sono state raccontate a Limone non hanno tutte un lieto fine. Ed è stato importante ascoltare storie di attesa, per non correre il rischio di scadere nell’autocelebrazione di chi è riuscito, o di essere tentati dall’idea: “siamo gimmini e quindi siamo bellissimi”. Siamo semplicemente e splendidamente esseri umani che condividono una storia e, come tali, abbiamo vittorie e sconfitte da raccontare. Perché quello che è importante raccontare è il cammino che ci ha portati alla consapevolezza di noi e degli altri, la responsabilità che richiama tutti ad abbracciare i momenti di difficoltà piuttosto che a fuggirne.

La Messa della domenica non ha concluso la Festa, piuttosto ha benedetto altre partenze. Quella di Padre Manuel e Suor Tarcisia, ma anche tutti i nostri ritorni alle nostre Nigrizie.

L’eredità di san Daniele Comboni, la sua opera, è viva e cammina sulle nostre gambe, in Italia come in tutti i Sud e Nord del mondo. Il suo desiderio di avere mille vite da vivere per la missione, ha trovato compimento nelle nostre vite, perché sono tante le persone che hanno seguito la strada aperta da lui, una strada difficile che è partita da quella piccola chiesa, ai piedi di quella croce nera che ha salutato i nostri ritorni.