Lunedì 10 febbraio 2014
È iniziato ieri l’incontro dei superiori provinciali e di delegazione con la Direzione Generale dei Missionari Comboniani presso la loro casa generalizia a Roma. Durante l’Eucaristia di apertura, il Superiore Generale, P. Enrique Sánchez G., ha sottolineato che il missionario deve “essere sale e luce per la missione” e ha pregato per i comboniani che lavorano nei paesi in guerra, in particolare, in Sud Sudan e nella Repubblica Centrafricana. I superiori comboniani saranno riuniti a Roma fino al 23 febbraio. Pubblichiamo di seguito l’omelia del Superiore Generale.

 

Da sinistra:
P. Angelo Giorgetti;
P. Enrique Sánchez G.,
Superiore Generale;
P. Claudio Lurati.

Essere sale e luce
per la missione

La Chiesa nelle diverse realtà del mondo interpella, con l’audacia del Vangelo, la vita religiosa.

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. (Matteo 5,13-16)


Punto di partenza

Il tema del nostro incontro ci viene suggerito dal testo del Vangelo in cui il Signore, all’inizio del suo ministero, dichiara apertamente ai suoi discepoli che cosa si aspetta da loro e quale dovrà essere lo stile o il modo di agire per diventare autentici strumenti e collaboratori nella costruzione del Regno di Dio.

È importante vedere come il mandato di Gesù ai suoi discepoli viene subito dopo il bel discorso del Signore sulla montagna, cioè, nel luogo sacro in cui Dio ama rivelarsi e farsi conoscere.

Sicuramente i discepoli avevano ancora nelle orecchie e soprattutto nel cuore la parola tante volte ripetuta da Gesù: Beati i poveri, Beati quelli che sono nel pianto, Beati i puri di cuore, Beati…

Beati voi che siete stati scelti da Dio per vivere insieme con me – direbbe il Signore – la straordinaria avventura della missione, l’affascinante esperienza di essere testimoni della presenza di Dio in mezzo ai suoi figli.

A voi, i Beati, ricordo che dovete diventare il sale e la luce, che siete il sapore, il calore e il chiarore di Dio in questo mondo, nel quale è facile essere insipidi e dove le ombre rischiano di impedirci di guardare il volto di Dio.

Questo è il comandamento al quale dovrete obbedire, la legge che dovrete compiere senza trasgredire, neanche nel minimo dettaglio.

A voi è affidata la missione di dare sapore alla vita dei vostri fratelli e sorelle, a voi è stata data la luce che nasce dall’incontro col Signore affinché possiate illuminare il mondo in modo che risplenda l’amore. Questa è la missione, non c’è nient’altro.

Essere sale e luce
Il mandato di Gesù sembra situarsi tra la benedizione di Dio che sceglie e invia quelli che lui ha profondamente amato e il compimento della legge, che non ha niente a che vedere con il volontarismo e meno ancora con l’individualismo che ci fa credere che siamo noi, i protagonisti della missione.

Il sale e la luce sono due immagini che servono a farci capire due dimensioni fondamentali della missione e due atteggiamenti che siamo invitati a fare nostri, se vogliamo essere testimoni e discepoli autentici del Signore nella storia e nel mondo in cui ci troviamo a vivere la nostra vocazione.

Il sale parla di presenza, è qualcosa che agisce dall’interno, senza farsi notare, lontano da qualsiasi richiamo di popolarità o di riconoscenza. È una presenza chiamata a non apparire, a rimanere nell’anonimato, nella discrezione, ad agire senza fare rumore. È una presenza che deve rimanere silenziosa e confondersi, perdersi nella realtà.

Il sale, che dà sapore, non si vede, si perde e diventa parte del cibo. Non richiama l’attenzione ma, quando mangiamo, ci accorgiamo subito se c’è o se manca.

Essere sale, nel linguaggio della missione a noi affidata nel mondo di oggi, vuol dire imparare ad essere presenti, senza apparire troppo. Dobbiamo essere capaci di dare gusto e sapore al mondo imparando ad entrare nelle sue realtà, condividendo i suoi drammi, ma anche le sue riuscite, le sue gioie e le sue sofferenze, i suoi trionfi e i suoi fallimenti, i suoi peccati, ma anche i suoi straordinari esempi di santità.

Il sale ci ricorda che la missione è possibile soltanto quando siamo capaci di incarnarci, di acculturarci, di perderci, nel senso buono della parola, nella realtà alla quale siamo inviati.

La missione non può mai essere vissuta da spettatori. Bisogna entrare nelle profondità dell’umanità sofferente per capire che è lì che Dio ci vuole, che è in quel luogo che Lui si aspetta che diventiamo capaci di dare il suo sapore alle cose e alle persone, agli avvenimenti e alla storia.

Sale della terra siamo noi quando viviamo lo spirito delle beatitudini, quando costruiamo la nostra vita a partire dal discorso della montagna, quando viviamo un’esistenza alternativa. Si tratta di essere persone che, di fronte a una società che privilegia il successo, l’effimero, il provvisorio, il denaro, il godimento, la potenza, la vendetta, il conflitto, la guerra, scelgono la pace, il perdono, la misericordia, la gratuità, lo spirito di sacrificio, cominciando dal cerchio ristretto della famiglia o della comunità per allargarsi poi alla società[1].

Se è vero che il sale, come icona, ci invita ad agire senza farci notare, la luce sembra giocare tutto un altro ruolo.

La luce ci parla di visibilità, di manifestazione, di farsi vedere, d’illuminare anche gli angoli più profondi della realtà.

Siete la luce del mondo, dice la parola del Vangelo, e questa luce non può rimanere nascosta perché è sotto l’influsso della sua luminosità che tutte le cose appaiono con la chiarezza che può venire soltanto da Dio.

Cito un breve brano, preso da un articolo di Juan Martin Velasco, che ci aiuta a capire che il sale e la luce sono due modi di essere presenti nel mondo e pertanto due aspetti che non dobbiamo dimenticare nel nostro agire missionario.

L’immagine del sale e della luce sono utilizzate per giustificare due forme di presenza e di azione nel mondo. Il riferimento al sale ha dato luogo a una maniera di concepire la presenza dei cristiani nel mondo sotto la forma dell’incarnazione, della presenza silenziosa nel mondo, dell’inserzione nella società lasciando agire, per la testimonianza del cristiano, la forza del vangelo, che, come il seme, una volta seminato, germina nel campo “di notte e di giorno, dorma o sia sveglio il seminatore” (Mc 4,26-29). L’attenzione all’immagine della luce, che di per sé brilla, e della città sul monte che non può rimanere nascosta, ha portato altri a sottolineare come forma di presenza la presenza visibile, le azioni comunicative e, specialmente, l’annuncio esplicito, come mezzi per far arrivare il Vangelo al mondo nel quale il cristiano è chiamato ad essere luce[2].

La nostra presenza come missionari/e nel mondo deve ricordarci sempre che l’importanza non è nel fare, in quello che possiamo lasciare dietro alle nostre spalle come frutto del nostro sforzo, della nostra dedizione, dei nostri sacrifici, delle nostre capacità.

L’importanza sta nel nostro essere, nel nostro modo di vivere e nella nostra capacità di lasciar passare attraverso di noi la vita di Dio al mondo.

Il sale sarà la nostra presenza in mezzo ai nostri fratelli e sorelle, condividendo con loro la vita e diventando per loro presenza di Dio che cammina con il suo popolo. Quello che conta è la nostra testimonianza, la nostra capacità di fare causa comune con quelli che soffrono e che cercano Dio nella loro vita.

Testimonianza che vuol dire poche parole e grande capacità di essere vicini ai dimenticati del nostro tempo.

Allo stesso tempo, la chiamata a diventare luce non è altro che lasciare che Dio illumini il mondo attraverso il nostro piccolo servizio nella costruzione del Regno. Essere luce significa non avere paura di dire una parola a quelli che hanno perduto la speranza, avere il coraggio di annunziare il Vangelo come parola di vita per il nostro tempo, presentare il Signore come l’unico consolatore che può rispondere alle attese dei nostri contemporanei.

In questo processo, la missione oggi è chiamata a rinunciare a un protagonismo e a un modo di fare che sostiene un modello in cui i missionari e la Chiesa appaiono come benefattori e depositari di tutto il bene.

Se intendiamo la missione come l’esperienza di diventare sale e luce, capiremo che la chiamata che ci viene fatta è quella di entrare nel cuore dell’umanità per scoprire lì la presenza di Dio che ci aspetta per rivelarsi a noi; a noi che, facendo il cammino, diventeremo luce di Dio che illumina i cuori e la storia della nostra umanità.

Le diverse realtà del mondo che ci interpellano
Gettando uno sguardo sulla nostra storia umana, non è difficile capire che ogni epoca è stata caratterizzata da tante cose belle, da progressi e scoperte, da trionfi e sviluppi ma, allo stesso tempo, non possiamo nascondere le povertà, le sofferenze, le ingiustizie.

Il mondo è una realtà in continuo cambiamento per cui ci obbliga ad immergerci nel nostro tempo, senza però dimenticare che, in questo mondo, siamo chiamati ad andare al di là della sua realtà.

È bello sentire la preghiera che Gesù rivolge, per noi, al Padre: “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità[3].

Il mondo è lo spazio che Dio ha creato per rendere possibile l’incontro con Lui attraverso l’incontro con i fratelli e le sorelle. Per questo la missione si impegna e si sforza per rendere questo mondo più abitabile, più dimora, dove Dio e l’umanità possono intrattenersi in un rapporto che produce vita.

Il mondo, come realtà missionaria, appare ai nostri occhi con sfumature di grande diversità e complessità, di enormi contrasti che mettono in evidenza, da una parte, la straordinaria accelerazione dei cambiamenti e delle opportunità e, dall’altra, l’esclusione, la marginalizzazione, la prepotenza e la sofferenza cui sono condannati tantissimi nostri fratelli e sorelle.

Siamo in un mondo in cui la tecnologia e il consumismo hanno prodotto nuovi stili di vita, nuovi modi di pensare e di rapportarsi. Le comunicazioni oggi sono facilitate a tutti i livelli. Si vive in apparente contatto con persone che sono all’altra estremità del pianeta, ci si sposta rapidamente in ogni parte del mondo e l’immaginazione sembra non avere più limiti.

È un mondo che offre opportunità impensate e non è sbagliato dire che abbiamo fatto enormi passi avanti nelle scienze e nelle scoperte che rendono la vita più lunga e piacevole.

Questo nostro mondo si caratterizza anche per lo sviluppo della conoscenza dell’essere umano: la psicologia, la sociologia e tutte le scienze umane possiedono e offrono una conoscenza del nostro essere profondo che sicuramente ci aiuta a diventare più padroni di noi stessi e capaci di acquisire una maggiore libertà.

La politica e l’economia sembrano essere in lotta per avere in mano il potere e il destino di tutta l’umanità. E sembra che oggi non sia più la politica a governare i popoli, ma l’economia, con i suoi interessi e la sua logica del consumo.

Oggi, sembra che un maggior numero di persone possa permettersi stili di vita impensabili trenta o quarant’anni fa e un grande benessere, ma non è così per la maggioranza della gente, soprattutto nei paesi poveri, dove ancora oggi si lotta per la sopravvivenza, con sacrifici eroici.

In questo mondo c’è anche un grande desiderio di conoscere Dio, di approfondire l’esperienza spirituale, di vivere i valori della fede e dell’amore, nonostante lo sforzo chiaro, da parte di tanti, di mettere Dio fuori dal nostro quotidiano, dalla nostra vita di tutti i giorni.

Il grido di un mondo che cerca un senso
Non tutto è bello, quindi, e in molti luoghi, come missionari, siamo i primi testimoni delle disuguaglianze che esistono nel nostro mondo.

L’esclusione, la violenza, l’ingiustizia, la corruzione, la guerra, per menzionare solo alcune delle piaghe del nostro tempo, sono diventati idoli che producono confusione e fanno della sofferenza e della morte il pane quotidiano di tanti nostri contemporanei.

Tutto questo ci sembra un grido intenso della nostra umanità che chiede e aspetta da Dio una risposta. E sappiamo che è una risposta che solo Lui può dare, attraverso la nostra mediazione.

Siamo ospiti di un mondo che ha bisogno di testimoni credibili, uomini e donne capaci di pagare di persona per dimostrare che l’amore è più forte di tutto, per dire con la loro esistenza che Dio continua a credere in noi, continua a fidarsi di noi come suoi collaboratori nella costruzione del suo Regno.

Le domande che sorgono sono chiare: come dobbiamo rispondere a questa realtà? Che cosa possiamo dire, in base ai nostri carismi? Che cosa impariamo dall’esperienza dei nostri fondatori e dalle sorelle e fratelli che ci hanno preceduti? Come hanno risposto alle sfide del loro tempo e del loro mondo?

È in questo mondo che il Signore ci chiama a diventare luce e sale, che ci sfida a dare delle risposte che nascono dal Vangelo fatto vita nelle nostre famiglie religiose.

È qui che il nostro agire e il nostro impegno nella costruzione di un mondo diverso deve parlare ai nostri contemporanei per aiutarli a scoprire la bellezza del Signore, la novità che nasce dal vivere fraternamente, la gioia di condividere l’esistenza come dono per gli altri.

Vorrei concludere questa condivisione con voi ricordando le parole che don Pascual Chávez ci diceva all’inizio del nostro Capitolo Generale 2009. “Oggi la situazione del mondo e della Chiesa vi chiede di camminare con il Dio della storia. Non potete rinunciare alla vostra vocazione ad essere, come consacrati apostoli, la punta di diamante nel Regno di Dio, le sentinelle del mondo e i sensori della storia. La vostra vocazione e missione vi spingono ad essere quanto il Signore si attende da tutti i suoi discepoli: ‘sale e luce del mondo ’ (Mt 5,14). Ecco le due immagini utilizzate da Gesù per definire e caratterizzare i suoi discepoli. Entrambe sono molto eloquenti e ci dicono che mettersi alla sequela di Cristo non è determinato tanto ‘dal fare’ quanto ‘dall’essere’, è cioè più questione d’identità che di efficacia, più problema di presenza significativa che di attuazioni grandiose[4].

Questo è il mio augurio per tutti voi.
P. Enrique Sánchez G., mccj
Superiore Generale


P. Devenish Martin James (London Province), P. Munari Giovanni (Italia),
P. Angelo Giorgetti (Egitto e Sudan), P. Enrique Sánchez G. (Curia), P. Claudio Lurati (Curia),
P. Joseph Maina Mwariri (Kenya).

 


[1] Don Pascual Chavez, Con Cristo nella missio ad gentes. Spiritualità e missione.

[2] Juan Martín Velasco, La sal y la luz. Dos dimensiones de la presencia de las comunidades cristianas en la sociedad, rivista Sal Terrae, p. 297.

[3] Giovanni 17,15-16.

[4] Don Pascual Chávez, Con Cristo nella “missio ad gentes”. Spiritualità e missione. Riflessione fatta ai Missionari Comboniani al Capitolo Generale, settembre 2009.