Chiamata a lavorare per la missione nel servizio dell’autorità

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Martedì 11 febbraio 2014
Il primo giorno di lavoro dell’incontro dei superiori delle province e delegazioni con la Direzione Generale dei Missionari Comboniani è iniziato con la Messa guidata dai superiori delle circoscrizioni del Brasile, P. Alcides Costa, e dell’Asia, P. Miguel Ángel Llamazares González. La mattinata di lavoro è stata dedicata alla presentazione del Superiore Generale, P. Enrique Sánchez González, sul “Servizio dell’autorità nel contesto odierno dell’Istituto”, seguita da uno scambio di idee e reazioni in plenaria.

 

Segno della croce presentato da P. Miguel Ángel durante l’Eucaristia. Il segno è costituito dal carattere cinese “FU” che comunica benedizione, accoglienza e buona fortuna. Al centro sono rappresentati due cavalli che ricordano il nuovo anno cinese, che è quello del cavallo. “Con il nostro incontro, radunandoci da tutte le circoscrizioni comboniane sparse nel mondo, celebriamo la comunione nella diversità e accogliamo la chiamata del Signore ad essere una benedizione gli uni per gli altri”, ha detto P. Miguel Ángel, comboniano spagnolo, delegato dell’Asia.

L’obiettivo generale dell’incontro dei superiori – che si svolge a Roma dall’8 al 23 febbraio – è “formarsi, riflettere, pregare insieme e rafforzare la comunione per accogliere il nuovo o il rinnovato compito di autorità come diaconia”. Obiettivi di questo incontro sono anche: facilitare la reciproca conoscenza tra i superiori di circoscrizione e di questi con il Consiglio Generale (CG); rendere possibile ai superiori di circoscrizione la conoscenza della Direzione Generale (DG) e dei suoi organismi (segretariati e uffici); facilitare l’apprendimento di nozioni, strumenti e metodi di lavoro inerenti alla funzione di superiore di circoscrizione; facilitare l’apprendimento di nozioni, strumenti e metodi di lavoro inerenti alla comunicazione tra circoscrizioni e DG; tracciare la strada verso il prossimo Capitolo Generale.

 

Fr. Daniele Giovanni Giusti, assistente generale,
spiega il programma dell’incontro
ai superiori di circoscrizione.

P. Enrique Sánchez, con il suo intervento di apertura dei lavori, ha voluto condividere con i superiori delle circoscrizioni comboniane una riflessione sull’autorità nel contesto attuale dell’Istituto. Ha perciò presentato alcuni punti sull’esercizio della leadership religiosa nel contesto dei gesti e dell’insegnamento di papa Francesco.
Nel pomeriggio ci sono stati lavori di gruppo per rispondere ad alcune domande: “Come ci vediamo e sentiamo all’inizio/re-inizio del periodo di servizio? Attese, timori, speranze, valore e peso dell’esperienza passata – positiva e negativa – dopodiché si è condiviso in assemblea quanto è stato vissuto nei gruppi.

 

Testo dell’intervento
del Superiore Generale
all’apertura dei lavori

Con questo mio intervento vorrei condividere con voi alcune brevi riflessioni sul servizio dell’autorità in questo momento della nostra vita d’Istituto cercando di sottolineare di più la dimensione “religiosa”, cioè l’aspetto che tocca maggiormente la nostra vita di consacrati, senza però dimenticare la dimensione strategica o di leadership che l’essere superiori o coordinatori d’una comunità di fratelli implica.

In questi ultimi tempi abbiamo sentito parlare molto dell’autorità e sono in corso non poche trasformazioni, sia nella Chiesa che nella società.

L’esercizio dell’autorità in poco tempo ha conosciuto cambiamenti tali che ci fanno capire come oggi non si possa essere superiori senza prendere in considerazione una consapevolezza nuova che c’è nelle persone sottoposte ad un’autorità.

La coscienza che oggi le persone hanno dei loro diritti e dei loro doveri, l’esperienza di vita democratica nella società, la possibilità di contestare e manifestare accordo o disaccordo a chi esercita l’autorità, il livello di libertà di espressione, il diritto alla privacy, il riconoscimento del dialogo come un valore fondamentale, queste e tante altre realtà con cui ci confrontiamo quotidianamente ci fanno sospettare della complessità del compito che ci è stato affidato.

In questo contesto papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ci ha ricordato in vari modi che l’autorità nella Chiesa, e in particolare per noi religiosi, è soprattutto un servizio attraverso il quale accettiamo di mettere tutte le nostre energie per cercare il bene dei fratelli che ci sono stati affidati. Pertanto, è bene ricordare, anche in questo momento, che il nostro ministero missionario dei prossimi anni sarà un servizio e nient’altro.

La domanda che sorge spontanea è che cosa sia questo servizio, che cosa implichi, e con quali atteggiamenti siamo chiamati a viverlo?

Per rispondere vorrei servirmi di una riflessione fatta da noi Superiori Generali nell’ultima assemblea che si è tenuta lo scorso novembre, dove abbiamo riflettuto sull’esercizio della leadership nei tempi e secondo l’insegnamento di papa Francesco.

In questa riflessione penso che la parola-chiave sia l’appello alla conversione che anche noi abbiamo ritenuto, secondo le indicazioni dell’ultimo Capitolo Generale, come un itinerario necessario nel processo per diventare persone capaci di vivere la missione con un cuore nuovo.

Punti di forza per l’esercizio della leadership
nel contesto dei gesti e dell’insegnamento di papa Francesco

"Sappiate sempre esercitare l'autorità accompagnando, comprendendo, aiutando, amando; abbracciando tutti e tutte, specialmente le persone che si sentono sole, escluse, aride; le periferie esistenziali del cuore umano. Teniamo lo sguardo rivolto alla Croce: lì si colloca qualunque autorità nella Chiesa, dove Colui che è il Signore si fa servo fino al dono totale di sé" (papa Francesco).

I gesti e il magistero di papa Francesco ci invitano ad una "conversione" nel nostro servizio ai fratelli: una conversione dei nostri atteggiamenti personali, delle nostre relazioni, delle prospettive e dello stile della missione. Ci chiamano ad accogliere e ad affrontare le sfide della storia e i problemi dell'umanità con un atteggiamento di positività e di benevolenza, sapendo vedere nel campo il grano che cresce, pur in mezzo alla zizzania, partecipando dell'amore di Dio per il mondo, nell'impegno a ricostruire la fiducia, a ridare alle persone la libertà di esprimersi.

1. Conversione degli atteggiamenti personali

a) Un servizio centrato sull'essenziale

L'essenziale per noi è Gesù Cristo, la testimonianza del Vangelo secondo il carisma: con questa fedeltà sosteniamo i nostri fratelli nel camminare verso il Signore. Siamo chiamati a vivere il discepolato come condizione essenziale e indispensabile per svolgere la nostra missione, consapevoli di essere "all'incrocio del dono": tutto ciò che Dio ci ha donato con la fede, con la vocazione e con il carisma siamo chiamati a donarlo agli altri.

Il nostro impegno di vita consiste nell'identificarci con Gesù, che ha messo al centro le persone, ha usato misericordia e tenerezza, ha condiviso parole e gesti di profonda umanità e di perdono. Possiamo seguire Gesù solo se viviamo in profonda unione con lui e contempliamo le persone, le realtà del creato con il suo sguardo benevolente e rispettoso.

b) Un servizio che ha la sua autorevolezza nell'autenticità

Ognuno di noi è chiamato a custodire la sua libertà interiore e ad essere se stesso, senza irrigidirsi nelle dinamiche di ruolo. La nostra credibilità è legata alla corrispondenza delle parole e dei gesti con la verità della vita. Il nostro impegno è liberarci dai segni mondani del potere e dallo spirito di mondanità, testimoniando uno stile di vita semplice, umile e gioioso.

c) Un servizio che si esprime con profonda umanità

Siamo invitati a combattere con decisione la cultura dello scarto che può entrare anche nella nostra vita, riconoscendo e difendendo i diritti fondamentali di ogni persona; siamo chiamati ad avere il coraggio di esprimere tenerezza, soprattutto verso i più vulnerabili; a riconoscere i nostri peccati e limiti; a non pretendere di avere sempre le risposte per tutto e per tutti, ma piuttosto a ricercare pazientemente la verità insieme con i fratelli.

2. Conversione delle relazioni

a) Un servizio che sa esprimersi in modo semplice e diretto

Sentiamo l'importanza di usare un linguaggio attuale; di ascoltare molto per imparare le parole che gli altri possono capire; di avere cura della comunicazione e della sua pedagogia, cercando e trovando parole di senso, che toccano il cuore delle persone, perché sono vicine alla loro vita.

b) Un servizio che è un "camminare con i fratelli"

Camminiamo con i fratelli, come Gesù con i discepoli sulla strada di Emmaus:

• davanti a loro, per aprire la strada e indicare la meta, scrutando l'orizzonte nella speranza;

• dietro di loro, per metterci al passo dei più deboli, preoccupati che nessuno si perda;

• in mezzo a loro, capaci di mescolarci nel gruppo, perché anche noi siamo sulla strada, con le nostre fatiche e le nostre gioie, con i nostri slanci e i nostri peccati, nel comune impegno di fedeltà alla vocazione.

c) Un servizio che cerca la volontà di Dio insieme ai fratelli

Valorizziamo il discernimento e la collegialità per far crescere la comunione, creando e consolidando le strutture necessarie per la partecipazione, nella consapevolezza che il discernimento è un processo che chiede pazienza e tempo, ascolto e dialogo, libertà interiore, spirito di fede e coraggio di assumere decisioni secondo la propria responsabilità.

3. Conversione delle prospettive e dello stile della missione

a) Un servizio "profetico"

Nell'insieme dei nostri atteggiamenti e delle nostre scelte cerchiamo di cogliere e far cogliere i segni che invitano al cambiamento, di esprimere profezia, visione di futuro, vicinanza ai poveri. Siamo chiamati a vivere e a testimoniare in modo più visibile, con le nostre scelte concrete, il segno della fraternità, che ci unisce gli uni agli altri, superando le tentazioni del clericalismo.

b) Un servizio che ha il coraggio di "uscire e far uscire"

Raccogliamo l'invito ad andare verso le periferie geografiche ed esistenziali, in un vitale dinamismo di "uscita" sulle strade aperte del Vangelo, in uno stato permanente di missione, liberandoci da ogni forma di rigidità istituzionale e di autoreferenzialità, "per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno" (EG 25).

c) Un servizio che esprime e diffonde la cultura dell'incontro

Siamo invitati a promuovere e a testimoniare la "cultura dell'incontro" come stile di vita e di missione, con gesti di prossimità specialmente verso gli ultimi, i deboli, i malati che sono in mezzo a noi la carne di Cristo.

d) Un servizio gioioso, portatore di speranza

Siamo chiamati a ravvivare la speranza dei nostri fratelli, a riscaldare i cuori, testimoniando il coraggio di aprire strade nuove, oltre i percorsi consolidati e sicuri osando il nuovo, con fede e con speranza, in fedeltà creativa al carisma e all'ardimento dei Fondatori.

"Non v'è maggiore libertà che quella di lasciarci portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera" (EG 280).

Autorità come servizio

“Abbiamo bisogno di diventare leader umili, che si
mettono al servizio degli altri per aiutarli a crescere in
conoscenza, sapienza, libertà e responsabilità, così che
possano diventare, nel profondo del loro essere,
maggiormente umani.
Quando amiamo le persone, le
liberiamo.
Per essere buoni leader, dobbiamo anche
essere preparati ad abbandonare la nostra posizione di
autorità e lasciare che gli altri continuino a svolgere il
ruolo di leadership al momento giusto.
Per esercitare una "buona autorità" occorre diventare uomini di pace.
Profeti di pace sono quelli che nella loro persona e nei
loro atteggiamenti non suscitano paura, ma aprono il
cuore delle persone alla comprensione e alla
misericordia.
Sono quelli che nella loro debolezza gridano
il loro bisogno di entrare in relazione. In qualche modo
misterioso essi stanno demolendo le barriere della paura
nei nostri cuori. Che cosa accade quando cominciamo a
prestare attenzione ai deboli? Cominciamo ad accettare
la nostra personale debolezza. Scopriamo che ci sono
tantissime cose che non possiamo fare, che abbiamo
bisogno degli altri!
Quando scopriamo la nostra
vulnerabilità e fragilità, è allora che cominciamo a uscir
fuori da dietro le barriere che innalziamo attorno al
nostro cuore per la nostra protezione.
Diventiamo profeti di pace quando scopriamo la nostra
debolezza. Qui stiamo per toccare un mistero.
La pace
non viene dalla superiorità e dal potere. Viene dalla
potenza della vita che scaturisce dalla parte più
profonda, più vulnerabile del nostro essere, una potenza
di vita tenera e forte, che è dentro di voi e di me”.
Da “Trovare la pace” di Jean Vanier,
ed. Messaggero di Padova 2004