Mercoledì 10 settembre 2014
Ieri le comunità della Casa Generalizia a Roma hanno celebrato la festa di san Pietro Claver, patrono dell’Istituto comboniano. Durante l’Eucarestia, concelebrata da decine di comboniani e presieduta da padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, assistente generale, i missionari hanno ringraziato il Signore per la vita e il messaggio del santo che ha speso la sua vita per gli schiavi neri in Colombia e per l’anniversario dei voti di numerosi confratelli, in particolare di Fr. Domenico Cariolato, nel 50° della sua consacrazione perpetua. Fr. Domenico (nella foto) da una decina di anni lavora nella comunità della Curia ma ha svolto un bel servizio missionario prima in Ecuador e poi in Sud Sudan e altri paesi. Pubblichiamo di seguito l’omelia di P. Tesfaye Tadesse.

 

Tesfaye Tadesse G.,
assistente generale.

 

“San Daniele Comboni collocò i suoi istituti sotto la protezione di san Pietro Claver, ravvisando in lui un luminoso esempio di dedizione ai più poveri e abbandonati,” si legge nel libro di Preghiera della Famiglia Comboniana. San Pietro Claver è quindi il Patrono del nostro Istituto. Per questo celebriamo la festa liturgica di oggi, 9 settembre, come una solennità.

In questo giorno, molti dei nostri confratelli facevano i loro primi voti o la professione perpetua, proprio ispirandosi alla vita e alla testimonianza di san Pietro Claver. 23 di loro hanno fatto i voti perpetui il 9 settembre 1964 e tra questi, Fr. Domenico Cariolato e P. Torquato Paolucci, membri di questa comunità. Durante questa celebrazione eucaristica, siamo in comunione nella preghiera di ringraziamento con Fr. Domenico, che il 15 settembre 1958 (56 anni fa) ha fatto i primi voti e il 9 settembre di 50 anni fa, la professione perpetua. Ringraziamo il Signore per la sua vita, per la sua vocazione come fratello comboniano, per la sua testimonianza e il suo servizio.

Cari fratelli e sorelle, la celebrazione liturgica di oggi e la lettura della Parola di Dio possono suggerire molte cose al nostro cuore e al nostro spirito. Vorrei sottolineare quattro punti:

1. Come primo punto, contempliamo la vocazione di Gesù Cristo a servire i poveri e l’umanità bisognosa:

16Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l'anno di grazia del Signore. 20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.

Gesù torna in Galilea a Nazareth dopo il suo tempo nel deserto pieno dello Spirito Santo e facendo miracoli. Gesù comincia il suo ministero messianico nella potenza dello Spirito. Come abbiamo sentito, nella prima Lettura e nel Vangelo, è lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo che agisce nella vita di Gesù che è il dono del Padre ma anche il dono dello Spirito Santo. Colmo dello Spirito Santo, Gesù annuncia il Vangelo e serve l’umanità, i suoi gesti e le sue parole hanno autorità e attirano l’umanità. Grazie allo Spirito di Dio che è su di lui, Gesù serve i poveri, l’umanità bisognosa, diventa il buon samaritano. Non sono io alla base della mia vocazione, non sono le mie belle parole o i miei gesti eroici, ma l’importante è quello che fa lo Spirito Santo nella mia vita. Se sono generoso, dedito, discepolo di Cristo e servo degli uomini non è grazie alle mie forze, ma allo Spirito di Dio che scende ogni giorno su di me e sulla mia comunità, quando sono in preghiera nel deserto ma anche nella sinagoga, in città e in chiesa, nella comunità… lo Spirito di Dio fa adempire le parole e le promesse di Dio nell’oggi (il semeron) della nostra vita, nel nostro contesto.

2. Come secondo punto vogliamo riflettere sulla figura di san Pietro Claver, servo degli africani, maltrattati e ridotti alla sopravvivenza dalla schiavitù imposta da altri uomini.

Aethiopum semper servus: al suo tempo, si chiamavano “etiopi” tutti i neri. E lui, dicendosi “semper servus”, si impegna a vivere solo per loro, cioè per i neri d’Africa, portati schiavi nell’America meridionale. Questo è il programma che s’impone Pietro Claver nell’aprile 1622 a Cartagena (Nueva Granada, detta poi Colombia), nel fare la “professione definitiva”, l’atto che segna per sempre la sua piena appartenenza alla Compagnia di Gesù. Nato vicino a Barcellona, entrò da ragazzo nel collegio dei Gesuiti. Fece poi gli studi umanistici nell’università da loro diretta, nella capitale catalana, pronunciando i primi voti nel 1604.
Nel 1605-1608 studiò filosofia a Palma di Maiorca. E qui lo aiutarono le “lezioni” del portinaio Alfonso Rodriguez, un mercante di Segovia che, perduta la famiglia, prestava lietamente l’umile servizio presso il collegio dei gesuiti. Ma col tempo, il suo stanzino diventa un’altra aula e lui, un maestro di spiritualità, consultato da sapienti e potenti e soprattutto dai giovani allievi come Pietro Claver, il quale esce da quella portineria orientato.
Inizia gli studi di teologia a Barcellona e li completa a Cartagena di Colombia (dove diventa sacerdote nel 1616). Qui sbarcano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani; ma invecchiano e muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti subiti, e per l’abbandono, quando sono invalidi. Tra quest’umanità la Compagnia di Gesù ha mandato i suoi missionari. Unitosi a loro, Pietro Claver conosce il mondo della sofferenza e della disperazione; discerne la volontà di Dio, che il portinaio di Maiorca gli insegnava a cercare: Dio vuole che egli serva gli schiavi con tutte le sue forze, ogni giorno della sua vita.
Così si ritrova a vivere la loro sofferenza e a combatterla. Sta con loro per nutrire e curare, imperturbabile ed efficiente anche nelle situazioni più disgustose… Impara la lingua dell’Angola, parlata da molti di loro, e crea un’équipe di interpreti per le altre lingue. Ma si fa capire anche con il suo modo di vivere, che è quello degli schiavi più sfortunati: basta guardarlo per dargli fiducia, credere in lui, confidarsi (e per questo gli si attribuisce il dono della “lettura delle anime”). Basta guardarlo per capire e condividere la devozione, che egli predica, per Cristo sofferente.

3. Come terzo punto, vogliamo ringraziare Dio per la vocazione di Fr. Domenico, come un bravo comboniano che ha vissuto la sua vocazione imparando a servire chi è nel bisogno, durante i numerosi anni di vita missionaria, anche in questa comunità, imparando come servire da grandi santi come san Pietro Claver e san Daniele Comboni.

Sicuramente Fr. Domenico avrà molto da raccontarci. Pensando ai posti in cui è stato, senz’altro si ricorderà di quello che è accaduto e di come Dio gli ha dato la possibilità e il privilegio di servire.

Come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, possiamo ripetere ciò che scrive san Giovanni, perché ne abbiamo già fatto esperienza, anche attraverso la vita di servizio di Fr. Domenico e dei nostri confratelli anziani: Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. In questo abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli… Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità (1 Gv 3,14-18).

4. Come non vivere nella gratitudine la nostra vocazione, già vissuta con grande generosità nella vita di Fr. Domenico e dei nostri confratelli anziani che sono qui con noi per il corso di due mesi? Voglio ringraziare il Signore per la loro vita. Come Gesù nel vangelo di oggi, anche noi abbiamo sentito lo Spirito del Signore che ci chiama ad essere discepoli e missionari di Cristo. Quante volte abbiamo detto lo Spirito del Signore è su di me, è dentro il mio cuore, lo Spirito del Signore mi ha chiamato a servire i miei fratelli e sorelle. Dopo tanti anni di servizio e dedizione, non possiamo che dire il magnificat anima mea. Per la nostra lunga vita di discepolato, di servizio e di dedizione ai fratelli e sorelle diciamo:

Loda il Signore, anima mia:

2loderò il Signore finché ho vita,
canterò inni al mio Dio finché esisto.

3Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.

4Esala lo spirito e ritorna alla terra:
in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.

5Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe:
la sua speranza è nel Signore suo Dio,

6che ha fatto il cielo e la terra,
il mare e quanto contiene,
che rimane fedele per sempre (Salmo 146, 1-6)