Venerdì 3 aprile 2015
Ieri sera è iniziato il Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo con la Santa Messa “nella Cena del Signore”, presieduta dal Superiore Generale, P. Enrique Sánchez G., che ha sottolineato nella sua omelia – che pubblichiamo di seguito – la dimensione dell’Amore di Dio presente nell’Eucaristia, nel sacerdozio e nel servizio. “Il Triduo – ricordava Papa Francesco mercoledì scorso – è il culmine di tutto l’anno liturgico e anche il culmine della nostra vita cristiana”. Stasera ci sarà la liturgia del Venerdì Santo – presieduta da P. Jorge Oscar García Castillo, segretario generale dell’animazione missionaria – nella quale si medita il mistero della morte di Cristo e si adora la Croce.

 


Gesù – come un servo –
lava i piedi di Simon Pietro
e degli altri undici discepoli
(cfr Gv 13,4-5).
Con questo gesto profetico,
Egli esprime il senso della sua vita
e della sua passione,
quale servizio a Dio e ai fratelli.


 

Nella foto a destra:
P. Enrique lava i piedi
ai suoi confratelli.

 

Omelia del Superiore Generale
P. Enrique Sánchez G.
nella commemorazione dell’Ultima Cena


Cosa è successo in quel momento in cui il Signore ha voluto celebrare l’Ultima Cena con i suoi discepoli?

Giovanni ci dice nel suo Vangelo che abbiamo proclamato che tutto comincia da un’esperienza profonda d’amore. Gesù aveva amato i suoi fino alla fine, al punto di sacrificare se stesso nel consegnare la vita sulla croce affinché l’amore diventasse credibile.

L’Ultima Cena o la prima Eucarestia, non è il semplice incontro di Gesù con i suoi discepoli per congedarsi alla fine di una avventura che era durata tre anni. Non è la cena per dire addio a qualcuno che era arrivato alla fine del cammino e che ora si dispone a continuare da solo la sua strada, mentre lui tornava al Padre dopo aver compiuto in tutto la sua volontà. Gesù non invita i suoi amici per dire, ecco ce l’ho fatta, adesso posso gridare: “missione compiuta”.

No. Giovanni si prende bene cura di raccontare che quella sera Gesù e i suoi discepoli si sono trovati ancora una volta a fare l’esperienza più bella della loro vita e che non era altra che l’esperienza ripetuta tante volte attraverso i gesti di bontà, di pazienza, di tenerezza, di perdono, di comprensione che Gesù aveva generosamente condiviso con loro. Questa volta, attraverso i gesti di quell’Ultima Cena, il Signore ha voluto dire, ma senza usare tante parole, quello che era stata tutta la sua vita. Voleva forse pronunciare un’unica parola fatta di cinque lettere: Amore.

L’Ultima Cena in questo modo, si può dire, diventa la porta che si apre per permettere ai discepoli, e a tutti quelli che arriveranno dopo nel tempo e in tutte le parti del mondo, di fare su se stessi la verifica di quelle parole che ricordavano bene perché le avevano sentite tante volte: Dio ha amato tanto il mondo che ha consegnato il proprio Figlio Gesù.

E così l’Ultima Cena diventò la festa di quell’amore che non chiede niente di straordinario, soltanto di essere accettato e riconosciuto come dono che cambia la vita.

Questo è quanto dobbiamo contemplare in questi giorni di triduo Pasquale; quest’amore che passa attraverso il dolore, la croce, la morte, l’assurdo di un rifiuto e la condanna ingiusta che porta al sacrificio d’una vita offerta per amore. Amore che nel silenzio di Gesù diventa Parola che grida a tutti nel nostro mondo che non ci sarà amore più grande perché in Gesù Dio si è donato per sempre.

Amore che diventa Eucarestia

Questo amore per noi oggi non è qualcosa di astratto, ma è eucarestia che diventa memoriale dell’amore per mantenere tutta la sua attualità. È amore che si rivela promessa e che si rinnova oggi, domani e sempre nella misura in cui lasciamo Dio agire in libertà.

L’eucarestia è l’amore che si offre e si propone, è dono attraverso il quale Dio chiede umilmente permesso di entrare nella nostra vita con l’unico desiderio di renderci felici.

È dono che diventa semplice servizio per distruggere l’arroganza del cuore umano.

È Amore che si serve della povertà e della fragilità umana per farsi strada in un mondo troppo chiuso in sé stesso, troppo autoreferenziale e presuntuoso.

Amore che si vive nel sacerdozio

Che cosa è il sacerdozio se non altro che la possibilità di diventare testimoni di un amore che trabocca fuori di noi? Noi sacerdoti, quante volte facciamo l’esperienza di scoprirci servitori fragili, contenitori d’un mistero che non finiamo mai di capire e che tante volte maldestramente cerchiamo di condividere con gli altri?

Noi sacerdoti ci scopriamo recipienti fragili che contengono il tesoro immensurabile dell’amore di Dio che si manifesta, contrariamente a tutti i nostri criteri, nella povertà, sicuramente per aiutarci ad andare avanti senza cadere nella trappola della superbia. Perché siamo sacerdoti soltanto per diventare dispensatori dell’amore che Dio vuol rinversare su tutta l’umanità.

Amore che diventa servizio

Se vogliamo rimanere nell’amore ,il Signore ci insegna oggi che non c’è altra strada che quella del servizio. Fate quello che mi avete visto fare, sembra dirci il Signore con il gesto umile della lavanda dei piedi. L’amore in questo modo è strada che si percorre partendo dal basso, accettando il piccolo gesto di fare il bene agli altri per diventare capaci di offrire tutta la vita nel momento che ci verrà chiesto, forse l’estremo sacrificio di dare tutto noi stessi per amore.