Lunedì 6 febbraio 2017
Con la Messa presieduta da P. Tesfaye Tadesse, Superiore Generale, è iniziato ieri mattina l’incontro di tutti i Superiori di Circoscrizione – neo-eletti o rieletti per tre anni – presso la Casa Generalizia dei Missionari Comboniani a Roma. Questo incontro, che si terrà fino al 25 febbraio, ha lo scopo di preparare i medesimi Superiori al servizio dell’autorità e di rafforzare i legami di comunione fra le varie Circoscrizioni e la Direzione Generale. Di seguito pubblichiamo parte dell’omelia del Padre Generale.

Siamo chiamati ad essere
la luce del mondo e il sale
della terra

Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Oggi Gesù, continuando il suo “discorso della montagna”, dopo aver parlato delle beatitudini, come nel vangelo di domenica scorsa, dà un’identità forte ai suoi discepoli. Ci dice che siamo chiamati ad essere la luce del mondo e il sale della terra e questa è una grande responsabilità, richiede l’impegno serio e quotidiano di un cammino esigente, perché nella natura dinamica della nostra identità si può diventare sì sapidi e luminosi ma il sale può anche diventare insipido e la luce offuscarsi.

Se, per diverse ragioni, nella nostra vita quotidiana, nella nostra famiglia, nella nostra comunità, nella Chiesa e dentro la società, non viviamo secondo quello che ci ha insegnato nelle beatitudini, possiamo diventare come il sale senza sapore o come una lucerna nascosta. In questo modo non serviamo a niente e la nostra fede non dà sapore né luce al mondo bisognoso. A volte possiamo avere meno entusiasmo.

Nella Evangelii gaudium di Papa Francesco, leggiamo: Quando abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero…Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi” (EG 81).

Con molta umiltà possiamo imparare dai nostri sbagli individuali e di comunità, dagli scandali che ci tolgono credibilità perché viviamo nelle tenebre e non diamo sapore. Siamo chiamati a conoscere in profondità quanto il nostro mondo, il nostro contesto sia bisognoso di trovare e ritrovare il proprio sapore umano e cristiano, abbiamo una missione di testimonianza da portare avanti con umiltà, nella disponibilità, senza apparire ma dando il sapore giusto e misurato nel mondo e nella costruzione del regno di Dio.

Perché sale? Fin da bambini abbiamo imparato quanto sia utile il sale nella vita quotidiana: un tempo serviva per conservare gli alimenti, per dare sapore al cibo, si usava come disinfettante-purificatore e lo si usa anche per sciogliere la neve. Il sale, che è il segno della saggezza di Dio, dà sapore a tutto, se lo si mette in modo misurato. Il sale si usa in molti modi e noi siamo chiamati a essere il sale della terra, a dare un gusto buono, a dare sapore; ci è chiesto di diventare coerenti, autentici e gioiosi testimoni e servi del Regno di Dio.

Ma il sapore non è nostro, noi siamo solo un granello di sale che viene usato; la vera vita delle persone e del mondo è il Signore. Il discepolo è considerato con grande stima e fiducia dal Signore, quando viene descritto come il sale del mondo. Il Signore ha grande fiducia in noi, crede che possiamo dare gusto, sapore, bellezza alla vita del mondo. «Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell'alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta porrai del sale» (Lv 2,13);

Perché luce? Il Signore dice che lui è la luce che illumina ogni persona umana; nel canto al Vangelo preso da Giovanni 8,12, abbiamo recitato: “Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me, avrà la luce della vita” e a noi dice che siamo la luce del mondo: che grande missione, che grande dignità e che grande responsabilità!

Oggi non possiamo nasconderci, tutti siamo come la città sulla montagna, siamo sotto l’occhio della gente. Abbiamo l’obbligo di cercare di vivere il Vangelo e diventare una lampada accesa, messa sulla montagna, che non può non essere vista. Lungi da noi la paura e il senso di vergogna. Il Signore ci dà il compito ma ci assicura anche il suo aiuto. Nella prima lettura abbiamo sentito della presenza del Signore che ci fa continuamente suoi testimoni, servi e strumenti del suo Regno: “Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: ‘Eccomi!’”.

Vogliamo vivere tutto questo con l’aiuto di Dio e con la grazia dello Spirito Santo che testimonia e insegna Gesù Cristo e il suo Vangelo. Vogliamo vivere con gratitudine e gioia la nostra chiamata a risplendere, vivendo il Vangelo, perché gli uomini possano vedere le nostre opere buone e dare gloria a Dio.
Vogliamo fare tutto questo nell’umiltà. Non si tratta di noi, ma di Dio e del Suo Regno, non siamo al centro ma Dio è il centro. I due elementi indicati da Gesù, sale e luce non hanno lo scopo di perpetuare se stessi, ma di effondersi. Non sono il fine di se stessi, sono un mezzo.

Nella seconda lettura abbiamo sentito San Paolo che dice “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.

Per me nulla fa il fumo della gloria del mondo che sfuma e si dilegua, e sarei troppo fortunato se dopo una vita consacrata a Dio fra le fatiche dell'apostolato potessi mettere in salvo l'anima e evitare l'inferno. Tutto il resto è zero, e chi assapora l'incenso d'una laude passeggera e fugace è degno di compassione; e trovandomi spesso coi grandi del secolo, ho sempre nuovi argomenti per convincermi sempre più che nulla vale il fumo del mondo e delle laudi e della gloria, ma solo è salutare il servire Dio, patire e morire per lui solo” (S 2428). Che bello andando in giro nel mondo, vedere questo nella vita dei nostri confratelli.

Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva il fatto che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata. Altri, per aver perso il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale, che porta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la ‘tabella di marcia’ che la marcia stessa. Altri cadono nell’accidia perché non sanno aspettare, vogliono dominare il ritmo della vita. L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli operatori pastorali non tollerino facilmente il senso di qualche contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce”.