P. Franco Nascimbene: “in Colombia il coronavirus è ancora in aumento”

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Sabato 11 luglio 2020
“Vi racconto – scrive P. Franco Nascimbene – che in Colombia il coronavirus è ancora in aumento e si dice che in luglio dovremmo giungere al punto più alto: ogni giorno ci sono circa 4.000 nuovi infettati, scoperti dai sistemi di salute. Nel nostro quartiere, non si è quasi mai fatto vedere, ma in città ci sono molti malati e morti”.

Lettera dalla Colombia
P. Francesco Nascimbene
luglio 2020

P. Francesco Nascimbene in Colombia.

Carissimi,
vi scrivo dal mio quartiere dove due giorni fa ho preparato una torta con cui ho festeggiato insieme ad un ottimo rosé cileno i 5 anni di vita in questa casa, insieme alle persone della mia equipe.

Vi racconto che in Colombia il coronavirus è ancora in aumento e si dice che in luglio dovremmo giungere al punto più alto: ogni giorno ci sono circa 4.000 nuovi infettati, scoperti dai sistemi di salute. Nel nostro quartiere, non si è quasi mai fatto vedere, ma in città ci sono molti malati e morti.

Io, è da più di tre mesi che non scendo in centro.

Per quaranta giorni ho smesso di lavorare, poi mi sono re-inventato, facendo consegna a domicilio di latte di soia impaccata, cosa che è autorizzata.

Nel quartiere si è sofferto molto, non tanto per il virus quanto per le sue conseguenze che hanno lasciato molte famiglie senza lavoro e, siccome non si usa risparmiare, anche senza cibo.

Ho convinto la mia padrona a non farsi pagare l'affitto di maggio e, dai primi di maggio, riprendendo il lavoro, mi sono economicamente ristabilizzato.

Anche per noi dell'equipe pastorale c'è stata come una crisi di identità: proibite le Messe, proibite le riunioni, proibita ogni attività organizzativa, ci siamo chiesti che cosa fossimo qui a fare.

Abbiamo superato la tentazione di andarcene, dicendoci che è proprio nei momenti difficili che è importante stare accanto alla gente che soffre, anche se non sai bene che cosa fare.

Eravamo e siamo ancora come quella barca nella tempesta di cui parlava il Papa a marzo, che non sa dov'è né dove andare, nell'oscurità e senza sapere cosa fare.

Ci dicevamo che era sì importante la prudenza e chiudersi in casa, ma che la prudenza non poteva essere l'unico valore che guidava la nostra vita.

C'erano altri valori importanti da coniugare con la prudenza: l'amore, la solidarietà, la vicinanza a chi soffre, la fraternità....

Ed allora abbiamo cominciato a fare piccole cose che nascevano da quei valori: Marisol, aiutando tre bambini a fare i compiti che arrivavano per internet, perché la mamma non ha computer e non ha studiato, Vanessa e Alexandra, aiutando una famiglia a migliorare una casa, dove vivono una mamma e due bambini in una situazione di miseria.

Ho ricevuto molti aiuti in cibo da distribuire e sono andato a cercare le famiglie che più soffrivano la fame, per portare loro qualcosa da mangiare.

E poi, passo molte ore seduto davanti alla porta di casa: la gente passa e saluta, alcuni si fermano a chiacchierare, a chiedere consigli, a cercare cibo, a chiederti di andare a visitare un ammalato.

Nella nebbia della tempesta, uno dei valori che vedo con chiarezza è l'importanza di dedicare tempo, amore, ascolto, affetto agli incontri che si presentano ogni giorno inaspettati, non programmati. Accogliere e far sentire amate le persone che giungono a casa mia.

Sono stato destinatario di molta solidarietà da parte di tanta gente che è venuta a casa mia non solo a chiedere ma anche a dare: riso, uova, pomodori, pasta, olio, pane, ecc.

Molte volte in questi anni mi hanno chiesto che cosa avrei fatto, vivendo da solo e senza cellulare, il giorno in cui mi fossi sentito male.

In questo mese ho vissuto la risposta a quella domanda.

Son stato male per una settimana, a causa di una forte infezione ai reni che mi ha tenuto a letto per quattro giorni con febbre alta.

Durante quei quattro giorni non ho mai dovuto cucinare, perché la notizia si è sparsa tra i vicini e, attraverso la mia porta sempre aperta, ogni giorno, all'ora di pranzo, il pranzo arrivava e, all'ora di cena, la cena era pronta sul tavolo.

Il quinto giorno non avevo più febbre e alle 11 del mattino non era ancora arrivato niente: ho capito che era tempo di andare al negozio a comprare qualcosa per il pranzo.

Ancora una volta ho vissuto la tenerezza dei poveri.

Che cosa farò d’ora in poi? Non lo so. Continuiamo nel buio della tempesta: le uniche tre cose da fare che vedo chiaramente è vivere un incontro profondo e giornaliero con Gesù, vivere una fraternità profonda con le altre persone dell'équipe e accogliere con affetto e amore chi arriva a casa mia. E poi? Poi non so. Il Signore ci illuminerà e ci indicherà la strada quando verrà il tempo di metterci a fare qualcos'altro.

So che in Italia avete sofferto molto in questi mesi ma che la cosa sta progressivamente migliorando.

Contento di questi quasi quattro mesi di pandemia, vissuti in una profonda esperienza di fraternità, vi mando un abbraccio affettuoso
Franco