Lunedì 25 gennaio 2021
Fratel Antonio Marchi (14.08.1928 – 16.01.2021) è il diciannovesimo confratello della nostra comunità di Castel d’Azzano deceduto a causa del covid-19 o delle complicanze causate da questo. Pur avendo superato il virus, Fr. Antonio non ha recuperato le forze e le sue condizioni di salute sono progressivamente peggiorate: è spirato serenamente il pomeriggio del 16 gennaio.

Il 19 gennaio abbiamo celebrato il suo funerale nella nostra Cappella con la partecipazione della comunità, uscita finalmente dall’isolamento. È stato il primo funerale dei confratelli deceduti di covid che abbiamo potuto organizzare qui da noi. Una operatrice ha commentato che una figura di fratello comboniano come Antonio Marchi meritava bene di essere messa in luce. Difatti l’Eucaristia trasmessa in diretta streaming su Youtube ha avuto più di trecento collegamenti.
Condividiamo con voi l’omelia di P. Renzo Piazza, superiore della comunità, che ha presieduto la celebrazione.

Vedi trasmissione youtube: https://youtu.be/Y3im7bQ5ZlQ

Funerale di Fratel Antonio Marchi
19 gennaio 2021

Qualche anno fa mi sono trovato ad assistere ad una lezione di teologia alla Gregoriana di Roma, tenuta da una teologa. Parlava della passione di Gesù e dei criteri per leggerla: non un male necessario, non un castigo che si era abbattuto su di Lui, ma piuttosto il frutto di “sovrabbondanza di amore”. La sovrabbondanza mi sembra la parola chiave per descrivere la vita e la consacrazione a Dio per la missione del nostro fr. Antonio Marchi, deceduto all’ora decima – l’ora delle scelte perfette- sabato 16 gennaio 2021. “Un gigante, un gran patriarca che ha voluto bene a tutti” ha commentato un sacerdote amico.

Sovrabbondante è stato il suo amore per la missione, per il Brasile e in particolare per la querida Amazzonia. Ne parlava con tutti, in ogni circostanza e in ogni luogo e il suo fare memoria della missione era costantemente attualizzato con le situazioni e le problematiche di oggi. Pur in Italia da vari anni, si sentiva ancora del Brasile e chiunque veniva dal Brasile ritrovava in lui un compagno di missione ancora totalmente coinvolto. Ha vissuto con grandissima intensità la preparazione, lo svolgimento e la conclusione del Sinodo speciale per l’Amazzonia. Faceva parte di quel gruppo di missionari che erano “giunti là con il Vangelo, lasciando i propri Paesi e accettando una vita austera e impegnativa vicino ai più indifesi”. Con la sua presenza, “mantenendosi fedeli al Vangelo, ha contribuito a proteggere la dignità degli indigeni contro i soprusi ai loro popoli e territori”.

Durante lo svolgimento del Sinodo per l’Amazzonia siamo andati in ospedale per una visita di routine. Al medico che lo interrogava sulla sua residenza, ricordo che rispose: “A Roma con quelli del Sinodo per l’Amazzonia”. In una recente lettera di una sua amica, abbiamo trovato scritto: “Quando parlo degli indios, ripeto sempre una frase che tu, fr. Antonio, mi avevi detto: “Gli antropologi vengono da noi, si appoggiano sulle nostre strutture, ma non capiscono questo popolo, manca loro una visione spirituale, e allora prendono solo il folklore, ma non l’essenza e non riescono a vedere che gli indios sono le creature ancora calde nelle mani di Dio”. L’ Amazzonia per fr. Antonio è stata come l’Africa per San Daniele Comboni, la sposa indivisibile ed eterna, amata di amore esagerato, sovrabbondante, fino alla morte.

Sovrabbondante è stata l’amicizia con uomini e donne di ogni luogo e di ogni età. Ricchi e poveri, laici e persone consacrate. Amicizia fedele e prolungata con persone sante, familiari di Dio (ricordo Antonio Ramin) e con chi da Dio magari si riteneva lontano (ricordo l’amicizia e la corrispondenza con qualche carcerato). Mai una parola di giudizio. Sapeva accogliere, ascoltare e leggere nei cuori. Sono decine i confratelli, i parenti e gli amici che ci hanno mandato un messaggio di solidarietà e una preghiera alla notizia della sua scomparsa.

Sovrabbondante è stata la sua partecipazione alla vita della congregazione e della comunità. La congregazione era la sua famiglia. Due anni fa,davanti alla proposta dei parenti di comperare un loculo per la sua sepoltura, disse che preferiva conservare l’appartenenza alla congregazione fino in fondo ed essere sepolto tra i confratelli. La comunità era ugualmente importante per lui: presente e attivo ad ogni incontro, ad ogni celebrazione. Seguiva con attenzione, interveniva, proponeva un’intenzione di preghiera, una riflessione… Un vero animatore della vita fraterna in comunità, con interventi mirati, positivi, costruttivi.

Sovrabbondante l’amore per la sua vocazione e per i segni del passaggio di Dio nella sua vita. Ricordava e celebrava come doni di Dio gli anniversari importanti ma anche i secondari: a 90 anni ricordava ancora la prima comunione, l’entrata dai Comboniani, i primi voti, i voti perpetui, la prima partenza per la missione. Tutto era occasione per benedire Dio e rinnovare la sua adesione al suo progetto e continuare nella fedeltà.

Sovrabbondante il legame con la famiglia, i parenti e la sua chiesa di origine, con i sacerdoti, il Vescovo… Sapeva coinvolgere tutti nell’ideale della missione che aveva vissuto e che continuava a vivere nelle modalità possibili ai missionari anziani e ammalati. Nessuno era tagliato fuori dalla sua attenzione.

Sovrabbondante il suo amore per la natura, per il creato. “La mia vita nella foresta Amazzonica mi ha insegnato molte cose: l’ascolto, il silenzio, il servizio. Come Francesco povero che sa vedere la Creatura, il Creato e il Creatore: Creatore e Signore di tutto e di tutti”. Così ha scritto sei mesi fa, il 19 luglio. Si fermava a osservare con meraviglia e rispetto il grande ulivo al centro della nostra casa, i fili d’erba e gli uccelli che nidificavano: “Se sai fermarti a guardarlo, lì trovi tutto”, mi disse un giorno. Felice che Papa Francesco avesse deciso di scrivere una lettera enciclica sul rispetto della casa comune, la Laudato si’.

Se è vero che il messaggio del Vangelo passa anche attraverso la persona dell’apostolo che lo annuncia, saranno in tanti a ricordare con nostalgia il sorriso di fr. Antonio, il suo sguardo buono, la sua barba fluente, le sue mani callose e generose, la sua voce…

Abbiamo scelto il vangelo delle beatitudini per la liturgia di oggi. Sono il ritratto di Gesù, uomo povero, mite, misericordioso, puro di cuore, operatore di pace, perseguitato a causa della giustizia. Ma descrivono ugualmente il discepolo di Gesù, il fratello missionario dal cuore mite come il maestro, misericordioso come il Padre che ovunque è passato ha portato il vangelo della pace, seminando giustizia e fraternità. Ha amato i suoi fratelli mostrando che aveva incontrato Gesù ed era passato con lui dalla morte alla vita.

Come Gesù, ha saputo piantare la tenda in mezzo ad un altro popolo con la delicatezza e il rispetto che il Figlio di Dio ha mostrato quando ha piantato la sua tenda in mezzo a noi.

Scriveva Paolo VI: “L’evangelizzazione conterrà sempre una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso.”

Grazie, Fr. Antonio, per essere stato strumento docile perché la grazia e la misericordia di Dio arrivassero nel cuore di tanti fratelli e sorelle, in particolare dei tuoi amati indios. Attraverso i tuoi gesti, profumati di vangelo, hanno percepito qualcosa del cuore di Dio. Ti consegniamo a Lui e ti portiamo nel cuore.

Testimonianze

DIOCESI MANTOVA – ricordo del vescovo Marco Busca

FONDAZIONE SENZA FRONTIERE – Comunità Indios Amandaua – Rondonia