Ricordando Paolo Pianta per il suo amore e la sua fiducia in san Daniele Comboni

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Lunedì 16 gennaio 2023
“Il 4 gennaio 2023 è ritornato alla casa del Padre il fraterno amico Paolo Pianta [nella foto, con la moglie accanto] che è stato in formazione per vari anni con noi comboniani a Crema, Carraia e Padova. Nato a Vallonga (Padova) nel 1945 è morto nella sua casa, a Piove di Sacco (Padova) all’alba del 4 gennaio 2023, con accanto la moglie Caterina e i figli Simone e Giuseppina”, scrive p. Gaetano Montresor, comboniano.

Consigliato a lasciare il Postulato di Firenze nel 1971, ha ripreso il suo lavoro nell’azienda del trasporto pubblico di Padova, ha sposato Caterina, la madre dei suoi due figli, Simone e Giuseppina. Ha continuato gli studi di Teologia e ha intrapreso gli studi di Legge.

Ha vissuto come vero laico comboniano, in continuo contatto con gli ex compagni di liceo e postulato e con tanti comboniani originari del suo territorio. È sempre stato molto attivo in parrocchia e con tanti impegni di volontariato. Sempre positivo e sorridente. Ha sinceramente perdonato a noi comboniani, il discernimento fatto sulla sua vocazione missionaria, ritenuto ingiusto e affrettato. Ora lui stesso racconta un momento, lungo in verità, della sua vita professionale, vissuta in compagnia di san Daniele Comboni.

Personalmente conosco i termini di questa vicenda che, qualcuno, conoscendo sia me che Paolo, invitandomi a suggerire a Paolo di non continuare nel suo impegno su quella strada, la definisce così: Paolo è nella posizione di uno che pretende di fermare, da solo, un treno in corsa!

Paolo e sua moglie durante un incontro di amici e benefattori presso la Casa Comboniana di Padova.

Racconta Paolo:

Sono rimasto nella meravigliosa famiglia Comboniana fino al primo anno di Teologia (1871) vissuto a Firenze. Ero con Gaetano Montresor, Ezio Bettini, Renzo Piazza, Firmino Bernasconi, Benedetto Gipponi, Giorgio Giboli ed altri che come me hanno intrapreso altre strade.  Con alcuni di questi mantengo ottimi rapporti e quando passano per Padova trascorriamo insieme qualche ora parlando del passato e del futuro.

 Il mio legame a questa famiglia non è mai venuto meno, anzi si è sempre più consolidato e rafforzato.

Spesso mi reco in via San Giovanni da Verdara e dico al gentile P. Giorgio "vado a tirare la barba al mio carissimo Daniele". Le porte mi si aprono e mi affretto verso la mia meta preferita, la Cappellina dove m’intrattengo a lungo con S. Daniele Comboni: lo ringrazio per avere sempre protetto me e la mia famiglia.

Di alcuni tratti salienti della mia vita, scrivo solo oggi, perché vedo in modo molto più chiaro quanto Dio opera in quanti a Lui si affidano; in particolar modo in questi ultimi dieci anni di lavoro in cui ho provato tante umiliazioni, derisioni e calunnie, e ho avuto sempre la forza e il coraggio di andare avanti senza mai pentirmi di quanto fatto.

Nell’ultimo periodo ho toccato quasi con mano, il cammino che Dio mi ha aiutato a percorrere: la sua grazie e l’intercessione di S. Daniele Comboni mi hanno sempre sostenuto e protetto.

Nel 1993 lavoravo alle dipendenze della A.T.P. (Azienda Trasporti Pubblici di Padova). Nel ’94 dopo il fallimento della A.T.P. è subentrata la SITA e io, impiegato presso l'ufficio Tecnico, addetto alla contabilità e alla gestione del magazzino, mi ritrovo all’improvviso, a 49 anni, obbligato a prendere in mano il volante dell’autobus per svolgere la mansione di conducente, a cui ero completamente inadeguato. Mi sono sentito con come un uomo su una piccola barca in un grande oceano in balia di enormi onde.

In quel periodo provavo sì paura ma soprattutto una grande forza d'animo perché mi aggrappavo con tutte le mie forze alle mani di un uomo di Dio, Daniele Comboni, quell’uomo rude, scorbutico, dal carattere non facile, un uomo però colmo di fede e di amore per i più deboli e dimenticati. Di fronte a tutto il Comboni non s’è né ribellato né abbattuto: aveva davvero una fede incrollabile, la certezza che il bene, l'amore, la giustizia, avrebbero infine trionfato.

Ricordo molto bene le lacrime versate durante questo doloroso periodo specialmente la sera quando mi coricavo. Durante il giorno mi trattenevo perché non volevo far soffrire la mia famiglia. Ho un ricordo vivissimo che voglio raccontarvi: un giorno mi sono recato nella cappellina dei Missionari Comboniani dove mi sono fermato lungamente a pregare. Ho posto tutto nelle mani di Daniele Comboni (non era ancora ufficialmente santo ma lo era già per me) e l’ho supplicato d’esser lui a condurre quegli autobus pieni di persone e non io: non volevo che succedesse loro niente di male. Più volte ho ricevuto umiliazioni dai passeggeri, per la mia insicurezza nella guida. La mia risposta era sempre la stessa: il silenzio!

Quel barbuto dagli occhi penetranti ora è santo: fu lui a guidarmi e ad assistermi. Se da una parte sono stato obbligato ad accettare quel lavoro, dall'altra parte mi sono battuto perché mi si facesse giustizia. Giustizia che solo dopo dieci anni, mi è stata ampiamente riconosciuta.

È stato un iter lungo e angosciante: accanto alla solidarietà di alcuni colleghi di lavoro, incontravo pure derisioni, calunnie. Solo perché mi volevo comportare da persona onesta. Innumerevoli volte ho bussato alla porta del Direttore per dirgli: "Guardi, non so fare l'autista, mi dia un'altra mansione, non ho grandi pretese o esigenze".

Ma non c’era nulla da fare: il Comboni mi voleva proprio per quel lavoro e me ne dava pure la forza.

Era il 20 gennaio 2004. Io stavo pregando nella cappellina dei comboniani a Padova per chiedere aiuto e giustizia al processo che sarebbe stato celebrato l’8 febbraio successivo. Sentii dentro di me una grande serenità e la certezza che tutto sarebbe andato a buon fine. Confesso che fino a quel momento avevo avuto grande timore e paura, conoscendo le tante e pesanti difficoltà che dovevo superare. Proprio in quel giorno ho avuto la certezza che san Daniele mi avrebbe aiutato e che sarebbe stato sempre presente nella mia famiglia.

Per scrupolo di coscienza, il giorno dopo, bussai alla porta del Direttore della SITA per invitarlo ad una possibile transazione. Mi fu risposto:” Ciao Paolo, puoi andare, abbiamo anche noi le nostre armi". Sono uscito amareggiato, ma sentivo in cuore la convinzione che il buon Dio attraverso l'intercessione del Comboni mi avrebbe aiutato.

Due settimane circa prima del processo tutti i colleghi, che avevano pure essi gli stessi miei problemi con la Ditta, mostravano timori e incertezze, e si domandavano dove mai io trovassi tutta quella serenità e sicurezza. Io ero certo che quando una persona si sforza di comportarsi sempre onestamente, quella persona Dio non la può dimenticare.

Giunse il famoso 8 febbraio; io ero tranquillo e sicuro ed infatti il giorno 9 febbraio l'avvocato mi comunicò che avevo ottenuto giustizia.

Ho comunicato subito la bella notizia ad alcuni miei colleghi. Poi ho spento il cellulare e mi sono recato a dire grazie a quel grande uomo di Dio, dagli occhi penetranti che poco tempo prima mi aveva messo nel cuore tanta serenità e sicurezza, di cui avevo tanto bisogno.

Per ringraziare il mio Comboni ho fatto celebrare una S. Messa in suo onore. È stato bellissimo: ha celebrato P. Giorgio, superiore di Padova ed erano presenti pure i miei colleghi, tutti commossi: solo allora ho detto loro che 15 giorni prima del processo avevo avuto la sensazione che avremmo vinto la causa. Ricordo che a quella S. Messa sono state lette due letture, a mio avviso, fondamentali: l’inno alla Carità (13 Cor.) e le Beatitudini.

Quello che conta veramente non è la vendetta o il rancore, ma l'amore verso tutti ed in particolare verso coloro che operano il male.

Una grande felicità mi ha inondato il cuore quanto una persona mi ha detto: " Vedi Paolo, la tua missione come è stato tuo desiderio di fare il prete in Africa, ora è quella di testimoniare qui, fra i molti ostacoli e avversità, la tua fede adulta in Gesù Cristo, a tante persone che l’hanno perduta”. Mi sono venute alla mente le parole del Comboni: "Pregare con fede, pregare non con le parole, ma pregare con il fuoco della carità".

Niente capita per caso, si tratta solo di “comprendere” i segni dei tempi. Mi ci son voluti più di dieci anni per comprendere che qualcuno guidava l'autobus al posto mio, che qualcuno mi aveva fatto giustizia contro ogni previsione o speranza.

Son contento di aver donato a molti la speranza che qualcosa si può sempre fare e che l’onestà alla fine ti ripaga. Occorre essere costanti e tenaci come lo era S. Daniele Comboni.