«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18, 21). Dietro questa domanda che Pietro rivolge a Gesù c’è un dubbio che anche ognuno di noi porta nel cuore. Ma è davvero giusto perdonare sempre? A volte lo esprimiamo dicendo: “io perdono ma non dimentico”, che mostra quanto ci risulta difficile accettare la rivoluzione cristiana. (...)

QUANTE VOLTE HAI PERDONATO DIO?

Quante volte dovrò perdonare?
Matteo 18,21-35

Oggi concludiamo il quarto discorso di Gesù, che raccoglie gli insegnamenti del Signore sulla vita comunitaria ecclesiale. Il brano evangelico è la continuazione di quello di domenica scorsa sulla correzione fraterna. In questo contesto, Pietro domanda a Gesù: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. Pietro avanza una cifra generosa, sette, numero di pienezza. Egli sapeva sicuramente che i rabbini parlavano di tre o al massimo quattro volte, ma aveva ben in mente l’insistenza di Gesù sul perdono. Infatti, nell’insegnare loro il Padre-Nostro l’unica petizione che aveva commentato era proprio quella del perdono: “Se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6,15). Poi, in un contesto simile, Gesù avrebbe affermato: “E se [tuo fratello] commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai”. Al che gli apostoli dissero: “Accresci in noi la fede!” (Luca 17,4-5). Era davvero troppo! Diremmo, quindi, che la questione del perdono ad oltranza era un’idea-fissa di Gesù!

Alla domanda di Pietro Gesù risponde, ancora una volta, in modo inatteso, sorprendente: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette!”. Sappiamo che, in questi casi, i numeri biblici non si riferiscono alla quantità ma alla “qualità”. 7 x 10 x 7, cioè la “perfezione” del 7, raddoppiata e moltiplicata per la “totalità” del 10. Proprio agli antipodi di Lamec, discendente di Caino, che si vantava di vendicarsi settantasette volte (Genesi 4,24). O si è figli di Dio o figli di Caino! Era ben chiaro, dunque. Sempre e in qualunque situazione bisogna perdonare!

La questione sembrerebbe chiusa, ma Gesù aggiunge la parabola del Padrone misericordioso e del servo malvagio. Perché? Voleva collegare, ancora una volta, il perdono dei fratelli al perdono del Padre!

La parabola, la conosciamo bene ed è molto eloquente. “Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi…” Un re che, impietosito di un suo servo, gli condonò un debito di diecimila talenti, una somma astronomica ed inverosimile, volutamente esagerata. Nel linguaggio nostro attuale, si tratterebbe di parecchi miliardi di euro! Ebbene, questo servo appena uscito dalla presenza del re, si mostra spietato verso un suo compagno che gli doveva 100 denari, il corrispondente di cento giornate lavorative. Il fatto arriva alle orecchie del re che, giustamente, va su tutte le furie: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” E gli annulla il condono! Ebbene, la conclusione di Gesù è ancora sorprendente: “ Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”!

1. Il perdono è una decisione… in cammino!

Tutti siamo ben coscienti di quanto sia difficile perdonare. Il perdono non è mai una cosa spontanea. Spontanea è la rabbia e la voglia di rendere pan per focaccia. Alcuni ritengono, addirittura, che il perdono sia un segno di debolezza. “Chi perdona è un debole, è un incapace di far valere i propri diritti, la bontà è una incapacità di ribellarsi, la pazienza è codardia, il perdono è incapacità di vendicarsi”, ha detto Nietzsche.

“Perdonare” proviene dal latino ed è il rafforzativo di “donare”, ma non è mai un dono “gratuito”, talvolta costa sangue e lacrime a chi lo offre. Anche il perdono di Dio è “una grazia a caro prezzo” (Bonhoeffer) perché è costato il sangue di Cristo. Per questo il perdono è frutto di una decisione corroborata dalla grazia. E non è una decisione fatta una volta per sempre. Bisogna rinnovarla ogni qualvolta che la memoria riporta il ricordo dell’offesa alla mente e la sofferenza al cuore. Perché il perdono si consolida progressivamente, prima di diventare definitivo. Il perdono avviene… in cammino!

Tutti riteniamo il perdono delle offese una conseguenza naturale del comandamento dell’amore. Eppure tanti cristiani ascolteranno questa parola con il rancore nel cuore verso qualcuno, forse da anni, decisi a non perdonare un torto subito. E l’ascolteranno senza sentirsi minimamente scalfiti. “Sì, sì – si dicono – una cosa bella, ma irreale; la realtà è tutta un’altra cosa! E poi quello là me l’ha combinata troppo grossa!”.

2. Ma… quante volte Dio perdona?

La risposta sembra ovvia: sempre! Ma ne siamo davvero convinti? Al tempo di Gesù, alcuni rabbini dicevano che Dio perdona due volte, alla terza castiga! Sebbene l’Antico Testamento ci parla continuamente dell’amore di Dio, come il salmo responsoriale di oggi: “Il Signore è buono e grande nell’amore” (Salmo 102), ci sono pure dei passi che sembrano contraddirlo: “Un Dio geloso e vendicatore è il Signore, vendicatore è il Signore, pieno di collera. Il Signore si vendica degli avversari e serba rancore verso i nemici.” (Profeta Naum 1,2). Il popolo di Dio si è aperto molto lentamente alla rivelazione dell’amore di Dio. Gesù ci ha rivelato definitivamente che Dio è Amore ed è Misericordia. Ma anche noi siamo di “dura cervice” e concepiamo Dio “a nostra immagine e somiglianza”: non un Dio Giusto, ma giustiziere! non un Padre, ma un padrone! non da amare, ma da temere e “tenere buono”!

Ma perché allora Gesù sembra quasi minacciarci nella conclusione della parabola: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”? È un modo di enfatizzare il suo insegnamento, ma la verità è che il perdono di Dio non è… automatico! Richiede la nostra ricettività. E la nostra capacità di ricevere il perdono di Dio corrisponde alla nostra disponibilità ad offrirlo ai fratelli. Il non perdonare è come una coltre di plastica che ci copre e impedisce l’acqua del perdono divino di lavarci!

3. E quante volte hai tu perdonato Dio?

La domanda può far sorridere. Ma credo che tutti conosciamo qualcuno che ha abbandonato la fede arrabbiato con Dio perché non ha ascoltato una preghiera in un momento di angoscia, per avere “permesso” una disgrazia, per un lutto tragico… Per non parlare poi di guerre, di sofferenze, di ingiustizie che dilagano nel mondo… Mi azzarderei a dire che tutti abbiamo qualcosa da “perdonare” a Dio, solo che non abbiamo il coraggio di confessarlo e l’abbiamo sotterrato nell’inconscio profondo del nostro cuore. Credo che ogni volta che usciamo dalla confessione dovremmo alzare gli occhi al cielo, tracciare una grande croce e dire: “Signore anche tu l’hai fatta grossa: mi hai fatto questo e quell’altro, ma anch’io ti perdono perché ti voglio bene”.

4. E quante volte hai perdonato te stesso?

Spesso facciamo fatica a perdonare perché non siamo in pace con noi stessi. Non ci siamo perdonati un fallimento, l’umiliazione di una debolezza, il rimorso per qualche guaio che abbiamo combinato… Non basta che Dio ci perdoni, né essere perdonati da chi abbiamo ferito. Bisogna chiedere la grazia di perdonare noi stessi. E così, in modo analogo, dopo ogni confessione, dovrei rivolgere verso di me la mano e tracciare su di me la croce per auto-assolvermi: “Manuel João, io ti assolvo dei pasticci che hai combinato. Va’ in pace!”

P. Manuel João Pereira, comboniano

«Un esercito di perdonati»
(Matteo 18, 21-35)

«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18, 21). Dietro questa domanda che Pietro rivolge a Gesù c’è un dubbio che anche ognuno di noi porta nel cuore. Ma è davvero giusto perdonare sempre? A volte lo esprimiamo dicendo: “io perdono ma non dimentico”, che mostra quanto ci risulta difficile accettare la rivoluzione cristiana. Vorremmo arginare in qualche modo il comandamento dell’amore e del perdono, vorremmo una giustizia un po’ più rigorosa, che almeno qualche volta esiga di rispondere al male con il male.

Il Signore spiega allora a Pietro (e a ognuno di noi) come andrebbe a finire se Dio applicasse alla lettera quella “giustizia rigorosa” che ingenuamente auspichiamo. Lo fa raccontando di un re che «volle regolare i conti con i suoi servi» (Mt 18, 23), uno dei quali risulta avere un debito di diecimila talenti (gli esperti spiegano che la somma equivale allo stipendio di molti milioni di giornate di lavoro). Il messaggio è chiaro: nessuno di noi è in regola nel suo rapporto con Dio: per dirla con Papa Francesco, «siamo un esercito di perdonati». E neppure la giustizia nelle relazioni tra gli uomini è il risultato di un puntuale regolamento di conti, dal quale in realtà nessuno uscirebbe vivo. Tuttavia il perdono non è un’amnistia generale, un condono di tutte le nostre azioni abusive, come se il Signore chiudesse un occhio e si impegnasse a dimenticare. Quello che Dio fa e che chiede a ogni cristiano di fare è proprio il contrario: guardare il male fatto da un altro con occhi buoni, con compassione, con misericordia.

Non si tratta di dimenticare il passato, ma di trasformarlo. È quanto succede in un’indimenticabile scena de La commedia umana di William Saroyan. Un giovane entra in un locale per rapinarlo, ma l’anziano negoziante, che conosce il ragazzo e sua madre, lo sconcerta porgendogli i soldi contenuti nella cassa: «Prendili e salta su un treno per tornare a casa. Non denuncerò il furto. Li rimetterò io, di tasca mia. Sono circa 75 dollari… Tua madre ti aspetta. Questo denaro è un regalo che faccio a lei. Non sei un ladro se lo prendi. Prendilo, metti via quella rivoltella e va’ a casa». Perdonare significa regalare a una persona quello che mi ha rubato. Questo dono trasforma il furto, cambiando in qualche modo il passato e recuperando, anzi redimendo ciò che era perduto.

La giustizia evangelica che sconcerta Pietro e ognuno di noi è l’unico modo di trasformare il mondo e le relazioni, che sono quotidianamente minacciate e ferite dal torto, dal sopruso e dalla violenza. «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono», insegna san Giovanni Paolo II. La giustizia evangelica, che è la via della pace nelle relazioni, è il perdono.

Prima di pensare alle grandi ingiustizie sociali vale la pena guardare a quello che succede dentro le mura di casa nostra: «La famiglia è una grande palestra di allenamento al dono e al perdono reciproco, senza il quale nessun amore può durare a lungo» (Papa Francesco). Senza perdono vicendevole non può durare neanche la famiglia di famiglie che è la Chiesa. Si tratta di imparare a guardare con occhi pazienti e buoni le mie sorelle e i miei fratelli, e ogni famiglia e istituzione della Chiesa, senza stupirmi delle loro debolezze né tantomeno scandalizzarmi degli eventuali sbagli oggettivi: «La santità nella Chiesa comincia col sopportare e conduce al sorreggere» (Ratzinger). Guardando con occhi di misericordia si impara a vedere nella debolezza altrui, anche quando genera ingiustizia, una chiamata alla comprensione e alla pazienza. Non limitarsi a sopportare più o meno stoicamente ma accorgersi che dietro a ogni sbaglio si nasconde una richiesta di aiuto.

Ognuno di noi ha bisogno di essere sorretto quando fatica a stare in piedi e di essere guardato con affetto e comprensione quando cade, come capita tutti i giorni più d’una volta. «Non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18, 22). In questa richiesta di Gesù c’è anche la rassicurazione che il perdono quotidiano è sempre possibile.
[Carlo De Marchi – L’Osservatore Romano]

Il perdono cristiano

L’amore che prevale sulla ragione

Sir 27,30 - 28,9; Salmo 102/103; Rm 14,7-9; Matteo 18,21-35

Domenica scorsa abbiamo ascoltato i consigli di Gesù sulla “correzione fraterna”, un dovere di tutti i cristiani. Nel brano di questa domenica Egli ci invita ad un altro importantissimo comportamento tra cristiani: “il perdono fraterno”.

Il brano di Siracide, nella prima lettura, prepara alla comprensione di quest’insegnamento sul perdono reciproco. Gesù ben Sira, da buon maestro di sapienza, ammonisce: “Il rancore e l’ira sono un abominio, il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati”. Aggiunge: il peccatore chi si vendica dei torti subiti non può chiedere ed ottenere il perdono dei suoi peccati. A questa dichiarazione seguono due esortazioni applicative. La prima esprime il rapporto tra perdono e preghiera: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera saranno rimessi i peccati”. Il perdono dei peccati risulta anche la condizione per ottenere la salute, perché la radice ultima della malattia è il peccato.

Il maestro di sapienza evoca i motivi delle sue sentenze sul perdono reciproco: l’esistenza è breve e non vale la pena avvelenarla con l’odio e il rancore. Infatti, la coscienza del proprio limite creaturale (l’uomo è una creatura fragile, fatta di carne) è una ragione sufficiente per essere indulgenti con gli altri esseri umani, suoi simili. Inoltre gli Israeliti hanno stretto un’alleanza con il Signore (“Ricordati dell’alleanza con l’Altissimo”, cioè dell’amore misericordioso di Dio, che per primo ci ha perdonato), e quindi devono essere amici tra loro e perdonarsi.

La parabola del brano evangelico è la trascrizione di quest’agire misericordioso di Dio di cui parla il Siracide. Tutto inizia con la domanda di Simone a Gesù: “Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. Sette è il numero che indica la pienezza divina. L’uomo, normalmente, non può andare al di là della perfezione divina. Pietro vuole in qualche modo chiedere a Gesù: “devo essere come Dio?”. La risposta di Gesù è questa: “…Ma fino a settanta volte sette”, cioè dieci volte la pienezza divina moltiplicata per se stessa. Pietro voleva organizzare il perdono, avere le precisioni sull’ultima volta, sull’ora di smetterla di far i conti. Gesù gli dice che non c’è un’ultima volta.

La logica del perdono viene illustrata da un racconto simbolico che si svolge come un dramma in tre atti. Nel primo atto sono in scena un re e uno dei suoi servi che ha accumulato un debito enorme di “diecimila talenti”, che corrispondevano alla rendita annuale di Erode il Grande. Appare perciò ingenua la supplica del servo che non sarà mai in grado di saldare il suo debito. Il padrone, mosso di compassione, va ben oltre la richiesta del servo. Non si limita a una proroga nel pagamento, ma condona totalmente il debito. Il messaggio è chiaro: ognuno di noi, nei confronti di Dio, è debitore insolvibile; se non interviene l’atto gratuito del suo perdono smisurato, da soli, coi nostri sforzi ed opere, non riusciremo mai a conquistare la salvezza, che è grazia.

Nel secondo atto, il servo, insperatamente graziato, afferra per la gola un collega che gli deve una somma miserevole, “cento denari”, corrispondente a un terzo della paga annuale di un bracciante agricolo. Il servo debitore supplica il collega di aver pazienza e promette di rifondergli il debito. In questo caso la promessa è realistica. Ma il servo creditore non si lascia smuovere e fa valere i suoi diritti sul debitore. Ecco la seconda lezione: i debiti che gli altri hanno nei nostri confronti, in confronto con debito che noi abbiamo con Dio (a ciò che noi abbiamo sottratto a Dio coi nostri peccati) sono quisquilie.

Nel terzo atto la scena è dominata dall’intervento del padrone che fa chiamare questo servo spietato e gli fa vedere la sua malvagità. La “compassione” del re verso lui (debitore radicalmente insolvente) doveva servire di modello e motivo della sua compassione verso il suo collega debitore di una piccola cifra. Il padrone ha allora fatto applicare le sanzioni legali previste per un debitore insolvente. Come sarebbe stato bello se, in risposta al gesto magnanimo del suo padrone, anche lui, avesse perdonato al collega che lo supplicava.

La lezione è questa: chi non perdona sinceramente al proprio fratello si espone alla condanna da parte di Dio. Il perdono che riceviamo da Dio va donato, condiviso. In tal modo, il perdono diventa un’azione ininterrotta di trasformazione del mondo. Inoltre, se in un certo senso siamo noi a dare a Dio la misura del suo perdono dei nostri peccati, non è anzitutto che dobbiamo perdonare agli altri per ottenere a nostra volta il perdono di Dio. No. Il perdono ci è già stato dato gratuitamente. Il nostro gesto di perdono è la conseguenza, e non la causa della salvezza. Esso è la risposta, il segno manifesto che siamo stati perdonati. Quindi, la Chiesa è una comunità di uomini perdonati che perdonano.
Don Joseph Ndoum

CHIEDERE PERDONO

La mamma Giuseppina nella preghiera serale del “Ti adoro…” mi faceva dire: “Perdona il male che oggi ho commesso …” e mi faceva ricordare qualche marachella, un capriccio o qualche sgarbo a mio fratello. Non è facile ammettere i propri sbagli: un bambino fa fatica ad accettare un castigo e trova sempre una scusante: “Io gli ho detto la parolaccia …. ma era stato prima lui.” Anche gli adulti fanno fatica ad ammettere i propri sbagli. Don Primo Mazzolari diceva che è più comodo scegliere un bersaglio che battersi il petto. 

Lo sbaglio fa parte della vita singola e collettiva 

Si usa dire che anche i Santi peccavano sette volte al giorno. Immaginiamo noi non santi! San Paolo invita, anzi supplica i cristiani a lasciarsi riconciliare con Dio. (II Corinti 5, 20). San Giovanni nella I Lettera (1, 8 – 9) scrive: “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto, tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” 

Quando si parla della Comunità Cristiana, la Madre Chiesa, le si attribuisce la nota: “Santa”. Con ciò le si indica un traguardo non raggiunto ma da raggiungere, perché si tratta di una comunità di peccatori che possono diventare santi, liberandosi dai loro peccati. È stato esemplare San Giovanni Paolo II quando, durante il Grande Giubileo del 2000, domandò pubblicamente perdono per i peccati commessi dai figli della Chiesa. 

Gesù di fronte ai peccatori pentiti 

I Vangeli presentano sei incontri personali di Gesù con i peccatori. La Samaritana, incontrata al pozzo di Giacobbe, inizialmente ostile e avversa, fu perdonata e divenne missionaria, annunciatrice del Messia nella sua città (Giovanni 4, 1-41). Maria Maddalena fu liberata da sette demoni (Marco 16, 9), ma in seguito fu fedele seguace di Gesù e divenne l’apostola degli Apostoli, annunciando loro la risurrezione di Gesù. (Giovanni 20, 11-18).

L’adultera venne portata a Gesù affinché ne approvasse la lapidazione, per la fragranza di reato, ma Gesù non la condannò bensì la perdonò, invitandola a cambiare vita (Giovanni 8, 1-11). Zaccheo, il pubblicano imbroglione, dopo il pranzo fatto con Gesù divenne generoso nel distribuire ai poveri le sue ricchezze e nel restituire il maltolto (Luca 19, 1-10).

Il buon ladrone, pochi istanti prima di morire, si rivolse con fiducia a Gesù, il quale gli promise di portarlo con sé nel paradiso (Luca 23, 39-43). L’apostolo Pietro, nonostante il triplice rinnegamento, ebbe un totale perdono e una piena riabilitazione da parte del Signore Risorto (Giovanni 21, 15-19). 

Nell’insegnamento del Padre Nostro Gesù incluse la formula: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Matteo 6, 12). Gesù è stato gentile sfumando il linguaggio e parlando in generale di debiti con Dio: questi debiti possono avere diversi nomi: “sbagli … imprudenze … debolezze … inganni a cui non si è resistito … egoismi non vinti”. Essi sono peccati e sono peccati gravi quando c’è il concorso di tre elementi: “materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso”.

Luca nella sua versione del Padre Nostro non dice: “debiti” ma espressamente “peccati” (Luca 11, 4). La Chiesa fedele all’insegnamento del Maestro suggerisce di dire nell’Ave Maria: “prega per noi peccatori”. Il Cardinal Martini diceva: “L’ideale evangelico non è punire il male ma cambiare il cuore”. La legge del taglione era “giustizia vendicativa” mentre il perdono è “giustizia restaurativa” cioè salvifica.

Sempre Martini afferma: “Col perdono il Vangelo si mostra al di sopra di ogni cultura, giudice di ogni cultura, perché nessuna cultura, fosse la più nobile ed elevate, arriva a tanto; o, magari, vi arriva al proprio interno, per motivi di ordine e di armonia, ma non arriva a coloro che non partecipano di tale cultura. Il Vangelo invece proponendo Gesù che perdona dalla Croce, propone un riferimento che giudica tutti e che giudica l’intera storia umana, che è sotto il segno dell’inimicizia e della vendetta”. 

Come comportarci da peccatori con Dio

L’atteggiamento di Gesù di fronte ai peccatori ci indica alcuni insegnamenti.

- Serena fiducia

San Giovanni Crisostomo diceva: “Che cosa è il peccato davanti alla misericordia divina? È una tela di ragno che un soffio di vento basta a far volar via”.

Il santo Curato d’Ars: “I nostri errori sono granelli di sabbia, accanto alla grande montagna della misericordia di Dio” e ancora: “La misericordia di Dio è come un torrente tracimato. Trascina i cuori al suo passaggio”.

- Preghiera

La preghiera è un filo d’oro che cuce gli stracci della nostra esistenza quotidiana e li fa diventare “l’abito nuziale”, indispensabile per entrare al banchetto divino.

La preghiera classica del pentimento individuale è l’atto di dolore: “Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e, molto più, perché ho offeso Te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa”.

All’inizio della Messa, invece, si recita comunitariamente il Confiteor.

- Confessione

Mentre i nostri fratelli Evangelici ritengono che basti una preghiera di pentimento, noi Cattolici sappiamo che certe magagne non si risolvono solo pregando: occorre anche il sacramento della Confessione. La preghiera dispone al pentimento, fa rinascere il timore di Dio, presupposto per un totale perdono che si ottiene con la celebrazione del Sacramento.

Il Santo Curato d’Ars diceva: “Quando il Sacerdote dà l’assoluzione, bisogna pensare solamente a una cosa: che il sangue di Gesù si riversa sulla nostra anima per lavarla, purificarla e renderla bella come lo era dopo il Battesimo”

Come perdonare ai fratelli 

Un nervo scoperto nel Padre Nostro è: “Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È difficile perdonare agli altri, fino al punto di dimenticare il male ricevuto.

Vi consegno un grazioso e commovente aneddoto di Jorge Luois Borges: “Negli spazi infiniti dell’oltre vita, Caino e Abele si incontrarono di nuovo, accesero un fuoco e si misero a cenare. Alla luce della fiamma Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e, lasciando cadere il pane che stava portando alla bocca, chiese di essere perdonato per il suo delitto. Ma Abele rispose: “Tu mi hai ucciso o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima!” Caino allora concluse: “Ora so che mi hai perdonato davvero, perché dimenticare è perdonare”.

Claudio Livetti