«Qual è il grande comandamento?». Il cuore della Toràh  è lo Shemà , che Gesù cita dal Deuteronomio (Deut  6, 4ss) e che ogni pio ebreo recita più volte al giorno; la risposta è scontata. Ma Gesù va fuori dallo schema connettendo lo Shemà  con un altro precetto, preso dal Levitico (Lv  19, 18), e lo dichiara «simile a quello». (...)

Fuori dell'amore non c'è salvezza!

Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?
Matteo 22,34-40

Domenica scorsa abbiamo assistito ad una disputa tra Gesù e i farisei, collegati con gli erodiani, che avevano cercato di tramargli una insidia sull'imposta da pagare a Cesare. Il vangelo di questa domenica ci presenta un'altra controversia con i farisei, questa volta collegati con i sadducei, la ricca élite sacerdotale e politica. Tra queste due dispute ce n'è stata un'altra tra Gesù e i sadducei (omessa dalla liturgia), a proposito della risurrezione dei morti con la famosa storia della donna vedova da sette mariti. Siamo a Gerusalemme, verso la fine della vita di Gesù, a pochi giorni del suo arresto. Tutto è iniziato con l'intervento dei sommi sacerdoti che avevano interpellato duramente Gesù, chiedendogli chi l'avesse autorizzato a predicare nel Tempio.

A) Una domanda innocente e pertinente?

La controversia di oggi versa su una questione teologica: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?” A porre la domanda è un esperto della Legge, della Torah, un teologo per così dire, al quale i farisei avevano chiesto una mano per mettere alla prova l'ortodossia di Gesù. Ma dov'è il trabocchetto questa volta?

La domanda sembra innocente e pertinente. Infatti, con l'intento di regolare tutta la vita secondo la legge di Dio, i rabbini avevano individuato 613 precetti nella Torah (cioè nel Pentateuco, nei primi cinque libri della Bibbia), oltre i dieci comandamenti. Di questi 613 precetti, 365 erano negativi, dei divieti (cose da non fare), corrispondenti al numero dei giorni dell’anno solare, e 248 positivi, delle prescrizioni (cose da fare), corrispondenti al numero degli organi del corpo umano, secondo la credenza di allora. In questo groviglio di leggi si sentiva il bisogno di discernere cos'era più importante.

Ma se la domanda era pertinente, dov'era l'insidia? Per la mentalità comune il grande comandamento era il terzo del decalogo: l'osservanza del sabato, perché Dio stesso l'aveva osservato dopo il “lavoro” della creazione. I suoi avversari si aspettavano, quindi, che Gesù desse questa risposta e, a quel punto, gli avrebbero detto: “Allora perché tu e i tuoi discepoli non rispettate il sabato?”.

Gesù, invece, li spiazza ancora una volta. Non cita nessuno dei dieci comandamenti. Non si colloca sul loro terreno legalistico, ma s'innalza al livello dell'amore. Gesù cita la professione di fede dello Shema' (Deuteronomio 6,4-5), la preghiera che ogni israelita recita tre volte al giorno (al mattino, alla sera e al coricarsi): “‘Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente’. Questo è il grande e primo comandamento”. Gesù vi aggiunge Levitico 19,18: “Il secondo poi è simile a quello: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’”. Chi è questo “prossimo”? La prima lettura lo specifica: i più indigenti, i poveri, il forestiero, l'orfano e la vedova (Esodo 22,20-26).

S. Agostino commenta: “L’amore di Dio è il primo che viene comandato, l’amore del prossimo è il primo però che si deve praticare”.

B) Alcuni spunti di riflessione

1. L'amore è la legge!

L'amore diventa la chiave dell'esistenza. Dio è amore (1Gv 4,8.16) e “ci ha amati per primo” (1Gv 4,19) e il credente è colui che ha creduto all'amore (1 Gv 4,16). Non un amore sentimentale, ma fatto di ascolto di Dio e di opere di bene verso i fratelli. Perché chi dice di amare Dio e non ama il fratello è un bugiardo (1 Gv 4,20-21). L'amore del fratello è lo specchio e la prova dell'amore di Dio. Per questo Gesù riassumerà tutto nel suo “comandamento nuovo”: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34; 15,12). L'amore è il motore della vita e della storia!

2. Dal dio-padrone al Dio-Sposo!

Il cammino di maturazione verso la rivelazione di Dio Amore e del passaggio dal regime della legge a quello dell'amore è stato un lungo processo portato avanti dai Profeti. Gesù lo porta alla pienezza. “E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”” (Osea 2,18).

3. La sinfonia dell'amore

Il teologo protestante tedesco D. Bonhoeffer scriveva dal carcere: “L'amore di Dio è come il cantus firmus” della “polifonia della vita”. “Vorrei pregarti di far risuonare con chiarezza nella vostra vita insieme il cantus firmus, e solo dopo ci sarà un suono pieno e completo... Solo quando ci troviamo in questa polifonia la vita diventa completa” (lettera del 20 maggio del '44 ). Solo quando c'è questo cantus firmus, la melodia di fondo dell'amore di Dio, possiamo coniugare tutti gli amori e rendere un canto polifonico i tre amori fondamentali della nostra esistenza: Dio, il prossimo e noi stessi!

4. Amerai!

I dèi pagani volevano adoratori sottomessi, degli schiavi, sotto il regime della paura. Il Dio di Gesù Cristo vuole figli liberi, capaci di amare. Il verbo amare - ahav in ebraico - ricorre nell'Antico Testamento 248 volte (Fernando Armellini). Cifra che attira la mia attenzione perché è quella del numero dei precetti positivi (cose da fare), coincidente con il numero degli organi del corpo umano, secondo la tradizione rabbinica. Direi come per sottolineare simbolicamente che l'unica e sola cosa da fare è amare e bisogna farlo con ogni fibra del nostro essere: “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”!

Per la riflessione settimanale

Prendi in mano il testo della prima lettera ai Corinzi, cap. 13,4-7, dall'inno alla carità: “La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

In un primo momento sostituisci la parola “carità” con il nome di Gesù. Vedrai che tutto fila bene. In un secondo momento sostituisci “carità” con il tuo nome e vedi se il discorso torna!
P. Manuel João Pereira Correia, comboniano

Missione è amore di Dio e del prossimo,
e accoglienza degli stranieri

Esodo 22,20-26; Salmo 17; 1Tessalonicesi 1,5-10; Matteo 22,34-40

Riflessioni
L’ottobre missionario e l’attività evangelizzatrice della Chiesa nel mondo attingono nuova ispirazione ed energia dall’odierna Parola di Dio: il libro dell’Esodo (I lettura) rivendica con forza l’attenzione ai forestieri, ai deboli e agli indigenti; e nel Vangelo Gesù unisce indissolubilmente l’amore di Dio e l’amore del prossimo, che sono la sintesi del messaggio di tutta la Bibbia. Rispetto ai testi biblici Gesù porta una originalità; aggiunge una piccola parola: simile. Idue amoriper Dio e per il prossimo, sono posti sullo stesso piano. L’apostolo Giovanni lo dirà con chiarezza: Chi non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede(1Gv 4,20). Il prossimo, l’altro, è “simile” a Dio; l’altro è “sacro” come Dio. Gli altri sono tabernacoliviventi di Dio. La vera adorazione di Dio è anche fermarmi ad asciugare le lacrime di chi è ferito. Molto bella l’immagine che ci offre il teologo Bonhoeffer: l’amore del cristiano è un amore polifonico. Un canto a tre voci. Una melodia che sa coniugare Dio, l’altro e se stessi (Roberto Vinco).

Gesù si trova davanti un altro tranello, oltre a quello di domenica scorsa sul tributo al Cesare. La questione posta adesso a Gesù non è la domanda innocente di un bambino del catechismo, ma una nuova trappola farisaica, che affonda le radici nel labirinto dei 613 precetti estratti dalla Bibbia, tra grandi e minimi; 365 negativi -non fare…- e 248 positivi -fa questo…, sulla cui gerarchia cavillavano i dottori della legge. Gesù smonta tutto questo apparato e semplifica le norme morali andando al cuore dei comandamenti: l’amore riassume tutta la Legge (v. 40). Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore (Dt 6,5) e amerai il tuo prossimo come te stesso (Lv 19,18): per Gesù sono comandamenti simili (v. 37.39), complementari; sono come due rami di una stessa pianta, che hanno una radice comune e un’identica linfa: l’amore. Lo spiega bene S. Agostino: “L’amore di Dio è il primo che viene comandato, l’amore del prossimo è il primo però che si deve praticare… Amando il prossimo, rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio”.

Nel contesto dell’ottobre missionario e dell’attività evangelizzatrice della Chiesa, questo insegnamento trova applicazioni immediate, perché la missione è espressione d’amore. L’annuncio del Vangelo è la forma più alta di amore verso Dio e verso il prossimo: è il servizio più efficace, il migliore che la Chiesa può offrire ai popoli per il rinnovamento delle persone e della società. Per questo, la missione della Chiesa offre - da sempre - un’ampia gamma di servizi materiali soprattutto alle persone più bisognose, grazie alla generosa collaborazione dei fedeli cristiani.

L’amore del prossimo ha destinatari concreti e quotidiani (I lettura): il forestiero, la vedova, l’orfano, l’indigente… Dio si è impegnato solennemente ad ascoltare il loro grido di aiuto (v. 22.26), e punirà chi li maltratta (v. 22.23). Egli è un Dio pietoso e concreto, che si preoccupa di come il povero potrebbe coprirsi di notte, senza il mantello (v. 26). Il nostro Dio è grande, ma non è lontano, è vicino; ha preoccupazioni concrete per chi è nel bisogno. Per questo Gesù (Vangelo) eleva l’amore per il prossimo al rango dell’amore per Dio. “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (v. 39) significa che il prossimo è uno dei tuoi, uno di casa tua, della tua famiglia, ti appartiene; quindi più nessuno è estraneo o straniero. Il prossimo è come te, è simile a Dio, è come Dio. Nel giudizio finale Gesù ci dirà - in bene o in male, secondo le nostre opere - “l’avete fatto a me!” (Mt 25,40). Ancora una volta, nella recente lettera enciclica “Fratelli Tutti”, Papa Francesco ci stimola tutti ad aprirci alle dimensioni universali della fraternità. (*)

Il monito di Dio è tassativo riguardo all’accoglienza degli stranieri (I lettura): “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (v. 20). L’accoglienza dei migranti e stranieri è oggi un tema sensibile, urgente e conflittuale qui e in molti paesi e situazioni sociali. Purtroppo, i migranti sono spesso vittime di ingiuste generalizzazioni ed equivalenze fra migranti = clandestini = criminali. Non si tratta di fare un’accoglienza massiva e indiscriminata, ma un’accoglienza fraterna e oculata che mira a proteggere, promuovere e integrare i migranti, profughi, sfollati, come insegna con insistenza Papa Francesco.

Va crescendo anche l’impegno della società civile, di molti giovani e di vari gruppi che proclamano con determinazione: “Nella mia città nessuno è straniero!” - “Apri la tua casa al mondo e il mondo sarà la tua casa”. In generale i giovani, soprattutto, sono molto sensibili e disponibili all’impegno su questi temi. La nostra società e la missione nel mondo hanno bisogno di loro!  E loro hanno bisogno della missione, perché la missione li rigenera. L’apertura e l’accoglienza degli altri - lontani e diversi - hanno una stretta relazione con l’attività missionaria, in quanto questa comporta una educazione alla mondialità e una benefica apertura di orizzonti umani e spirituali.

Parola del Papa
(*) «Fratelli tutti», scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita. 
Papa Francesco
Enciclica Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, n. 1

P. Romeo Ballan, MCCJ

«Il paradosso della fede»

«Qual è il grande comandamento?». Il cuore della Toràh  è lo Shemà , che Gesù cita dal Deuteronomio (Deut  6, 4ss) e che ogni pio ebreo recita più volte al giorno; la risposta è scontata. Ma Gesù va fuori dallo schema connettendo lo Shemà  con un altro precetto, preso dal Levitico (Lv  19, 18), e lo dichiara «simile a quello».

Che vuol dire? Sono analoghi? Si somigliano? Il termine, in questo caso, indica che sono di pari valore e il senso è: obbedire al primo è simile ad obbedire al secondo. Non si possono scindere. Non si può separare l’amore verso Dio da quello verso il prossimo: è il paradosso della nostra fede che naviga sempre in equilibrio fra due estremi; Gesù opera l’ennesima de-assolutizzazione, connettendo due opposti. Quanto è importante questo equilibrio!

C’è chi pretende di Amare Dio, curando per bene il rapporto con Lui ma dimenticando chi ha intorno; è la perdita del contesto, il proclamare Dio Padre ma poi non riconoscersi fratelli, l’assurda tentazione del liturgismo clericale, l’angelismo senza carne e senza relazioni orizzontali. Così la Chiesa diventa setta, piccola sezione del mondo dedicata a Dio e disinteressata al resto, e ben che vada si scivola nel teorico, nell’astratto, nell’esatto ma irreale.

Ma si può anche pretendere di amare il prossimo tagliando fuori l’invisibile, il verticale, restando in una sorta di positivismo vagamente ispirato al Vangelo, letto in chiave tutta terrena. Un amore razionale, organizzato orizzontalmente, senza Padre Celeste, senza Provvidenza, che obbedisce solo alla pianificazione. Piccolo quanto il nostro cervello.

Se nel primo caso scivoliamo nell’astrazione, nel secondo il nostro destino è la mediocrità, perché il bene fatto è svilito, privo di eternità, occasionale, evanescente. Non resta. E quindi non è amore. È solo buonismo. La preghiera senza amore è falsa. L’amore senza preghiera è minuscolo. È importante sapersi inginocchiare davanti a Dio, ma è vitale sapersi inginocchiare anche davanti all’uomo. Non uno senza l’altro.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

Tutto dipende da questi comandamenti

Es 2,20-26; Salmo 17; 1Ts 1,5-10; Mt 22, 34-40

La liturgia della parola di questa domenica è centrata sul tema del massimo comandamento. Una delle grandi preoccupazioni costanti del popolo eletto era di fare la volontà di Dio, in modo che la propria condotta fosse sempre gradita da Lui. Il fedele cercava, perciò, di sapere con grande precisione come comportarsi in tutte le circostanze, per non lasciare fuori qualcosa. C’erano allora 613 precetti da osservare, di cui 248 imposizioni positive (fai questo), quante esattamente si credevano allora che fossero le membra del corpo umano, e 365 proibizioni negative (non fare questo), lo stesso numero dei giorni dell’anno. Una espressione di tutta la persona e di tutta l’esistenza.

In quel cumulo di leggi, molti avvertivano l’esigenza di fissare una gerarchia nei comandamenti, cercando di determinare il più grande tra i più grandi, e il primo tra di loro. Tuttavia rimanevano parecchie incertezze in questa ricerca. Con la risposta chiara e precisa al dottore della legge, Gesù proclama e diffonde il primato dell’amore nella vita e nella vocazione dell’uomo. Egli unisce due passi dell’Antico Testamento: il primo (tratto dal Dt 6,4), “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”), è l’inizio della Shemà Israel(dalle parole iniziali: ascolta, Israel), una specie di professione di fede con cui ogni Israelita apriva e chiudeva la giornata; quest’amore corrispondeva con la risposta del popolo all’intervento di elezione e di rivelazione di Dio, e doveva quindi esprimersi in tutte le facoltà dell’uomo: cuore, anima e mente. Il secondo (tratto dal Lv19,18) è “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.

I due, insieme e sullo stesso piano, costituiscono il più grande comandamento. Certo, sembrano due comandamenti dell’amore, ma l’amore è uno solo, e qui esso abbraccia Dio e il prossimo. Dio: sopra ogni cosa, perché egli è sopra di tutto; il prossimo: con la misura dell’uomo e, quindi, “come se stesso”. Questi “due amori” sono così strettamente collegati, che l’uno non può esistere senza l’altro.

Questo non deve stupire, perché il Signore Gesù, in un altro contesto, attribuisce come fatto a se stesso, ciò che si fa al prossimo. È l’amore che dà un significato definitivo alla nostra vita umana. Esso è la condizione essenziale della dignità cristiana. Questa verità è importantissima per ogni momento della nostra vita e per il nostro comportamento in quanto cristiano.

Nell’ebraismo il concetto di “prossimo” era restrittivo, nella barriera della discriminazione religiosa. Questo concetto va allargato. Si tratta di farsi il “prossimo” di tutti all’esempio del “buon Samaritano del vangelo di Luca.

Dopo la citazione del comandamento sull’amore totale verso Dio e verso il prossimo, Gesù conclude con una seconda sentenza relativa a tutti e due i comandamenti: “Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti”. Quest’affermazione dà la chiave di lettura dell’intero brano evangelico di questa domenica: il comandamento più grande dell’amore di Dio e del prossimo non è soltanto il più importante nel senso che sta al di sopra degli altri, ma nel senso che è quello che dà significato e orientamento a tutte le altre osservanze. Cioè, i vari precetti della Sacra Scrittura risultano senza oggetto e come svuotati di senso, contenuto e valore, se non vengono letti e soprattutto attuati nella luce e nella prospettiva dell’AMORE.
Don Joseph Ndoum