“Chi arriva per primo alla sorgente beve l’acqua più pura”. Questo proverbio della Tanzania ha il gusto dell’acqua fresca delle sorgenti di montagna, risveglia la gioia tipica dell’Avvento, quando lo si vive nell’attesa e vigilanza. In questa domenica “gaudete”, l’invito liturgico alla gioia è insistente...

Tre caratteristiche della vocazione del cristiano:
la GIOIA, la LUCE e la VOCE

Rendete diritta la via del Signore!
Giovanni 1,6-8.19-28

La terza domenica di Avvento è chiamata la “domenica Gaudete”, dalla prima parola che apre la celebrazione: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. Il Signore è vicino!” (antifona d'ingresso, cf. Fil 4,4.5). Nell'ambiente penitenziale che caratterizza questo tempo di Avvento, questa domenica ci porta un invito speciale alla gioia.

All'origine storica dell'Avvento troviamo due tradizioni diverse: quella della Gallia e quella di Roma. La prima sottolineava l'aspetto penitenziale, paragonando il periodo dell'Avvento alla Quaresima e per questo era chiamato “la Quaresima di San Martino” perché iniziava il giorno dopo la sua festa l'11 novembre e durava 40 giorni fino al Natale. Quella di Roma, invece, metteva in risalto l'aspetto gioioso dell'attesa. Questo con il tempo portò a ridurre l'Avvento a 4 domeniche, e non più a 40 giorni, e a mitigare il tono penitenziale.

Al centro della terza domenica rimane però la figura di Giovanni Battista che fa riecheggiare il grido del profeta: “Rendete diritta la via del Signore!”. Vorrei tessere la mia riflessione attorno a tre parole che raccolgono il messaggio della Parola di questa domenica: Gioia, Luce e Voce.

1. La GIOIA della libertà!

Questa terza domenica – dicevamo - è un invito forte, convinto e deciso a gioire perché il Signore è vicino. Nella prima lettura troviamo la voce di un profeta anonimo, che poi Gesù rivendicherà come sua, predicando nella sinagoga di Nazaret: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri... a promulgare l'anno di grazia del Signore. Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio...”

Nel salmo troviamo il “magnificat” di Maria: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”. Nella seconda lettura è San Paolo che rilancia l'invito alla gioia: “Fratelli, siate sempre lieti”! Ma cosa dire di Giovanni Battista? L'austerità della sua persona e la severità del suo messaggio non sembrano fare di lui un messaggero di gioia, sebbene egli sia stato il primo a gioire per l'arrivo del Messia ancora nel grembo di sua madre. Giovanni dirà, tuttavia, di essere l'amico dello sposo che “esulta di gioia alla voce dello sposo”, per concludere: “Ora questa mia gioia è piena” (Giovanni 3,29). Giovanni ci ricorda soprattutto che non c'è gioia autentica senza libertà e senza spogliarsi di sé stesso.

Qual è la gioia del cristiano? Non certo la gioia alienante che stordisce, che anestetizza... Questa è una gioia falsa che vuole nascondere il vuoto interiore di una vita senza senso... e che agisce come una droga che porta facilmente alla assuefazione. La gioia del cristiano proviene, invece, da una esperienza singolare: quella di accogliere “il lieto annuncio”; quella di sentirsi “guardati” ed amati da Dio nella nostra piccolezza, come Maria; quella di “non spegnere lo Spirito”, che ci permette di “vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono”; quella di essere liberi come Giovanni!

L'Avvento è un tempo propizio per riscoprire la sorgente dell'acqua fresca e zampillante della gioia.

2. Una lotta senza tregua tra la LUCE e le tenebre!

La prima opera di Dio è stata la luce e da allora la luce è una prerogativa del divino. Giovanni è stato inviato come “testimone della luce”. Gesù viene come Luce del mondo, ma le tenebre non l'hanno accolta. Tutta la storia dell'umanità e di ogni nostra esistenza umana trascorre in questo contesto drammatico, consapevoli o meno. Ogni nostra giornata si svolge in un confronto tra la Luce e le tenebre.

L'Avvento è un tempo propizio per prendere coscienza della presenza delle tenebre in noi, nei nostri criteri di valutazione, nei nostri rapporti famigliari, nel luogo di lavoro, nella società... Senza discernimento facilmente saremmo sopraffatti perché le tenebre si possono camuffare da “angeli della luce”, dei luciferi del progresso, della ragione, dell'illuminismo... Il cristiano porta in sé una luce minacciata dalle vampate di queste tenebre. L'attesa richiede vigilanza e un rifornire continuamente le nostre lampade con l'olio della Parola di Dio!

L'Avvento è un tempo propizio per riappropriarci della nostra vocazione di “testimoni della luce”!

3. Quale VOCE risuona in me?

Quattro “voci” risuonano nelle letture di oggi: quella del Profeta, che poi è quella di Cristo, quella di Maria, quella di Paolo e quella di Giovanni Battista. Tutte hanno una cosa in comune: in esse riecheggia la Parola del Signore. Ognuna/ognuno di noi, con toni e timbri diversi, ha per missione essere come la Voce di Giovanni per annunciare il grande “Sconosciuto” presente in mezzo a noi. Annunciarlo nel deserto dell'indifferenza, della derisione, dell'ostilità... Tutte le vocazioni nella Chiesa sono differenti, uniche, ma in fondo sono tutte l'incarnazione dell'unica Voce, quella di Cristo. Giovanni ha piena coscienza della sua identità. Ecco perché rifiuta le etichette, non vuole titoli, non rivendica un protagonismo. La sua voce appartiene all'unica Parola, quella del Logos.

L'Avvento è un tempo propizio per prendere coscienza che il cristiano è chiamato ad avere una voce “diversa” nel frastuono della società. Una voce che non si accomoda alle voci del parere di tutti. Una voce fuori coro!

Per la riflessione personale
Facciamo un confronto tra la vocazione di Giovanni e la nostra:
1. Dove sono le nostre sorgenti di gioia? Dialoghiamo con Cristo o con Maria sulle nostre gioie e tristezze.
2. Quali realtà minacciano di “spegnere lo Spirito” in noi e di farci ripiombare nelle tenebre? Lodiamo il Signore per la Luce della fede.
3. Di chi siamo portavoci nel nostro modo di pensare, di parlare e di comportarci? Ringraziamo il Signore per le “voci” che fanno risonare la sua Voce nella nostra vita.

P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ
Verona, dicembre 2023

La sfida missionaria
di scoprire e annunciare lo Sconosciuto

Isaia 61,1-2.10-11; Lc 1,46-54; 1Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28

Riflessioni
“Chi arriva per primo alla sorgente beve l’acqua più pura”. Questo proverbio della Tanzania ha il gusto dell’acqua fresca delle sorgenti di montagna, risveglia la gioia tipica dell’Avvento, quando lo si vive nell’attesa e vigilanza. In questa domenica “gaudete”, l’invito liturgico alla gioia è insistente: lo si trova nell’antifona di ingresso, orazione colletta, I e II lettura, salmo responsoriale… San Paolo spiega il motivo della gioia cristiana: “il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5). Per Paolo (II lettura) la gioia si alimenta nella preghiera e nella fedeltà allo Spirito (v. 17-19). Molto opportunamente San Giovanni Paolo II includeva, tra le caratteristiche della spiritualità missionaria, “la gioia interiore che viene dalla fede” (RMi 91). (*) Tale gioia si manifesta con segni concreti nella speranza, apertura e fiducia in Dio e nei fratelli. Il missionario è testimone e portatore di speranza, sicurezza, consolazione, ogni volta che si avvicina ai sofferenti e ai più deboli.

Il profeta (I lettura) invita alla gioia il popolo liberato dalla schiavitù: c’è “il lieto annuncio” per i miseri e i feriti, c’è la liberazione per i prigionieri, un anno di misericordia per tutti (v. 1-2). Il popolo può gioire pienamente nel Signore (v. 10), perché Egli è capace di rinnovare il mondo con nuovi germogli (v. 11). A questo inno di gioia fa eco Maria, la prima credente, con il suo cantico di lode per le “grandi cose” che l’Onnipotente compie nei suoi servi (salmo responsoriale). In Maria c’è la voce della Chiesa pellegrina e missionaria tra gioie e tribolazioni. C’è la voce di ognuno di noi! C’è la voce di Gesù, che nella sinagoga di Nazareth fa suo il programma del profeta, sentendosi consacrato e mandato per portarlo a compimento (Lc 4,18-21).

Giovanni Battista (Vangelo) ha coscienza di essere “mandato da Dio” (v. 6) per rendere “diritta la via del Signore” (v. 23); riconosce di essere soltanto “voce” di un Altro, che è più grande di lui. Infatti, Dio è la Parola; Giovanni ne è soltanto la voce, perché non ha un messaggio proprio. Egli sa che la forza risiede nella Parola, non nel portavoce. Così come la forza è nel seme, non in chi lo sparge. Giovanni è testimone di questo dinamismo della missione, che lo sorpassa. Egli ne gioisce, lieto di diminuire, perché sa di essere solo “l’amico dello sposo”, ed è giusto che sia Lui, lo sposo, a crescere (Gv 3,29.30). Davanti alla commissione ufficiale di inchiesta giunta dalla capitale, come pure in altre situazioni, Giovanni Battista si rivela un modello ispiratore per i missionari, fino al martirio. (Lo spiega bene il teologo A. Rétif, in Giovanni Battista missionario di Cristo, Seuil-EMI, 1960). Il missionario è ponte di comunicazione, con fedeltà e umiltà.

Nella realtà della missione, la forza di trasformazione viene da Dio, la Parola è Sua. L’evangelizzatore è chiamato ad esserne voce, a spargerne il seme nei solchi del mondo. Di tutto ciò l’apostolo è chiamato a rendere testimonianza, ma non è lui né la Parola, né il seme, né il campo. Il missionario è soltanto voce, inviato ad annunciare. Come il Battista, il missionario “è semplicemente una voce che annuncia, un testimone che attira l’attenzione su Qualcuno che è più importante. Il vero testimone indica il Signore, ma subito si tira da parte. Ha paura di rubare spazio al Signore… Giovanni è il testimone di un Dio che è già qui, fra noi. Ma è una presenza da scoprire; non tutti la vedono, e perciò occorre un profeta che la additi” (Bruno Maggioni).

La sfida missionaria per ogni cristiano e per la comunità dei credenti consiste nello scoprire Cristo che è in mezzo a noi, spesso sconosciuto (Gv 1,26), e additarlo a tutti come già presente nel mondo. Presente non solo nella Parola rivelata e nei Sacramenti, ma nei poveri, nei migranti, nei sofferenti, negli ultimi e oppressi, che sono Cristo stesso: “L’avete fatto a me!” (Mt 25,40). Presente anche nelle aspirazioni di chi non è cristiano, nel cuore di chi dice di non credere a nulla, nella vita di chi lavora per la pace... Il missionario è consacrato e “mandato a portare il lieto annuncio” (Is 61,1), con la vita e la parola, come afferma l’apostolo Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1Cor 9,16). Anche se l’araldo non è padrone dei cuori che accolgono l’annuncio. Come il Battista, anche il cristiano fa un cammino di progressiva maturazione interiore: dapprima scopre la Parola, se ne alimenta, e quindi ne diventa testimone e messaggero. Superando paure e barriere umane, geografiche, culturali... Ovunque!

Parola del Papa

(*) “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013) n. 1

P. Romeo Ballan, MCCJ

Iniziare processi di luce e di bellezza

La domenica della gioia ci presenta ancora la figura del Battista, il precursore. Essere precursori è un’affascinante avventura. Significa giocare d’anticipo sulla vita, restare sulla soglia, non permettere che gli eventi e il tempo ci travolgano e che la vita scorra senza che possiamo stringerla tra le mani e correre il rischio di viverla davvero. Il precursore, infatti, è colui che non trascina la vita nelle cose sempre uguali, ma sta all’erta perché attende che accada un evento. Una prima domanda, allora, si affaccia su questo nostro tempo di Avvento: attendiamo davvero che qualcosa accada? Crediamo davvero che l’evento di una nuova vita, nella persona di Gesù verrà a farci visita? Crediamo che ci sarà un nuovo inizio anche per noi? Camminiamo, anche in questo momento storico difficile, con questo sguardo gravido di futuro e di speranza?

Giovanni Battista ha questo sguardo rivolto al futuro che deve venire e orienta il suo presente verso la luce che gli viene incontro. Essere precursori, anche per noi, significa proprio questo: sapere che siamo in cammino e non possediamo ancora tutta la verità, che ogni meta raggiunta ci chiama a iniziare una nuova avventura, che ogni “terra promessa” non è che una tappa di un percorso più lungo, che il nostro oggi non è il senso di tutto e le nostre attività — anche le migliori — non sono mai un fine ultimo. E, così, siamo invitati a preparare la strada per qualcun altro: perché sappiamo che il senso e il significato di ciò che siamo e viviamo non ce lo diamo da noi stessi, ma è radicato nel Dio-Luce che viene a diradare le nostre tenebre.

Ecco cosa grida alla nostra vita la predicazione del Battista: non siate pigri, non accomodatevi sulla vita, non illudetevi di avere tutto tra le mani e sotto controllo. Il significato è oltre, la gioia più grande è fuori da voi stessi, la luce viene dall’alto: preparategli la strada, restate svegli, aprite il cuore per accoglierla.

E Giovanni dice di sé: sono testimone della luce e sono voce. Egli non è la luce, ma colui che la indica; non è la Parola, ma colui che presta la voce perché la Parola sia annunciata e si realizzi tra gli uomini. Il precursore, cioè, è colui che attende, prepara e poi lascia il centro della scena all’altro. È una splendida indicazione anche per noi cristiani: non siamo noi il Cristo, non abbiamo una verità che ci pone al di sopra degli altri, non dobbiamo mettere noi stessi al centro. O, direbbe Papa Francesco, non siamo chiamati a occupare spazi, ma ad iniziare processi.

Dentro questa vita quotidiana e dentro questo nostro mondo, come singoli e come Chiesa siamo chiamati proprio a questo: iniziare processi di luce e di bellezza, indicare il bene nascosto in ogni cosa, cercare e portare la presenza amorevole di Dio nelle piccole cose quotidiane e nelle situazioni di fragilità e sofferenza. Essere, come il Battista, indicatori di luce e voce che fa circolare la Parola buona del Vangelo.
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]

Anche noi “precursori” presso gli uomini

Is 61,1-2.10-11; Cant Lc 1,46-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

Ancora questa domenica, abbiamo in primo piano Giovanni, «uomo mandato da Dio» col compito specifico di «rendere testimonianza alla luce». La denominazione “Giovanni”, senza altre aggiunte, presuppone che egli sia noto ai lettori. Invece si sembra porre l’accento sul suo ruolo funzionale rispetto al Verbo di Dio che è la luce degli uomini: «Questi venne come testimone per rendere testimonianza alla luce».

La qualifica «testimone», che implica una presa di posizione pubblica a favore di qualcuno, ha lo scopo di fondare la convinzione o la linea di condotta degli altri. La sua testimonianza («a favore della luce») ha quindi lo scopo principale di sostenere l’adesione di fede a Gesù. Il ruolo subordinato di Giovanni viene messo in evidenza nella frase successiva, dove si insiste sulla distinzione tra la «luce» e la missione giovannea che è quella di rendere testimonianza alla luce. Infatti, la ripresa della stessa espressione («rendere testimonianza alla luce») richiama un’attenzione particolare su questo fatto.

Si può leggere tra le righe un accento polemico, e poi immaginare appunto che c’è qualcuno che consideri Giovanni autonomo e «luce» concorrente al Verbo di Dio che viene nel mondo come unica e vera luce. Comunque, si vede la preoccupazione di sottolineare il ruolo subordinato di Giovanni rispetto al Messia, l’unico inviato di Dio che illumina ogni essere umano. Subito dopo questa prima sezione del prologo del quarto vangelo, si presenta la testimonianza pubblica ed ufficiale di Giovanni in due fasi, una negativa e una positiva.

La prima avviene davanti a un gruppo formato dai sacerdoti e leviti su incarico delle autorità di Gerusalemme. Le domande di questa commissione riguardano anzitutto l’identità «messianica» di Giovanni. Egli dichiara apertamente la sua vera identità: «Io non sono il Cristo». A conferma di questa presa di posizione, Giovanni rifiuta anche di identificarsi con le figure messianiche di Elia (atteso come il riformatore religioso e il restauratore della nazione ebraica) e del profeta escatologico (sul modello di Mosè e dei profeti classici).

Sotto la pressione degli interroganti, Giovanni dà anche la sua testimonianza positiva: «Io sono voce di uno che grida nel deserto preparate la via al Signore, come disse il profeta Isaia». Ma i delegati insistono per sapere qual è il significato del suo battesimo, dal momento che egli non ha ruolo messianico preciso. Egli afferma che è un semplice rito di purificazione senza pretese messianiche, perché il Messia è già presente, sia pure incognito: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. Costoro erano mal disposti verso Giovanni ed incuranti della verità. Se fossero venuti con intenzioni rette, la risposta di Giovanni doveva essere per loro una rivelazione, e per tutto il popolo un vero argomento di gioia e ricerca del Messia.

Il precursore non ha alcuna pretesa di accentrare l’attenzione sulla sua persona. Egli è testimone verace perché non parla di sé, non è ingombrante, asfissiante, invadente o accentratore; non si costruisce il proprio monumento, rispetta le parti, è capace di scomparire; dà spazio all’Altro e sa che il suo compito è quello di provocare l’incontro col Messia. Il vero testimone unisce ad uno straordinario coraggio una straordinaria modestia. Bella lezione di umiltà a tutti I cristiani, e in modo particolare a noi ministri di Dio! Quanti accettano volentieri, anzi vanno in cerca di onori e di complimenti, che ad essi non si devono!

Dove sono coloro che affermano con umiltà il loro nulla! Oppure quanti si affannano per far sapere quello che sono, e quello che credono di avere alcunché di bene e di onorevole! Dobbiamo sapere e non dimenticare mai che tutto quello che siamo, lo siamo per la grazia di Dio, e che senza la grazia di dio non saremmo niente. Inoltre, ciascuno di noi deve essere, come il Battista, un umile messaggero davanti a Dio, che prepara la strada a Cristo.
Don Joseph Ndoum