«Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil.2, 6-7).

Il Natale contemplato dalla mangiatoia!

Buon Natale! Un po' tutti ci scambiamo gli auguri natalizi. Questa consuetudine, tuttavia, è diventata una semplice formalità, con un sapore impreciso ed innocuo di “buone feste”, specie in una società sempre più eterogenea e post-cristiana come la nostra. I cristiani, più coscienti dell'evento che celebrano, magari si avventano ad augurare: “un santo Natale”. E tutto finisce lì. Dopo le “feste” chiudiamo la parentesi e torniamo alla vita reale. Il Natale è diventato una festa vuota! Manca di “Vangelo”!

“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e LO POSE IN UNA MANGIATOIA” (Vangelo della notte di Natale, Luca 2,1-14)

Il Figlio di Dio è lì, nella mangiatoia, per essere “mangiato”. Betlemme vuole dire “Casa del pane”. Ma il pane manca! Sì, nella casa dei poveri, dimenticati da una società ingiusta ed opulenta, manca il Pane! Nella casa del mondo, in balia dell'odio e della guerra, manca il pane della Pace! Nel cuore dell'umanità, dimentica di Dio, manca il pane della Parola che dia un senso alla vita! A Cana la Vergine dirà: “Non hanno vino!”, ma a Betlemme Lei dice: “Non hanno pane!”. Ecco la risposta di Cristo: “Hineni! Eccomi! Io sono il Pane vivo disceso dal cielo!”.

Molti di noi hanno allestito un presepe nel posto più nobile e luminoso della casa. Contempliamo questo Bambino, sorridente ed accogliente. Fra qualche giorno, passate le feste, lo rimetteremo nello scatolone in un ripostiglio, e non lo vedremo più. Ma Lui non andrà via. Possiamo sempre trovarlo. Dove? Giù, nella stalla buia del cuore, dove si nasconde la nostra parte istintiva, “animale”, facile preda degli impulsi e delle passioni, ma in realtà desiderosa di affetto, di speranza, di gioia e di pace. Avremo noi il coraggio di inoltrarci nelle tenebre della nostra storia e di scendere nei bassifondi della nostra vita? Lì ritroveremo Cristo. Lì, nella mangiatoia, incontreremo – con stupore, commozione e meraviglia – il trono di Dio! Dice Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo luterano tedesco, martire del nazismo, uno dei grandi testimoni cristiani del secolo scorso:

“Cristo nella mangiatoia (…). Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro (…). Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino!”

Ma il Natale contemplato dalla mangiatoia è una grande sfida perché ci induce ad un serio esame di coscienza sui criteri che reggono la nostra vita. Dalla contemplazione della mangiatoia non usciamo mai indifferenti, ma giudicati o salvati! Cito ancora Bonhoeffer:

“Ci aiuterà questo Natale a imparare ancora una volta (…) a cambiare mentalità e a sapere che la nostra vita, nella misura in cui deve essere una via verso Dio, non ci conduce verso l’alto, bensì in maniera molto reale verso il basso, verso i piccoli, e a sapere che ogni cammino tendente solo verso l’alto finisce necessariamente in maniera spaventosa? (...) Dio non permette che ci si prenda gioco di lui (Gal 6,7). Non permette che celebriamo anno dopo anno il Natale senza fare sul serio. Egli mantiene sicuramente la sua parola, e a Natale, quando entrerà, con la sua gloria e con la sua potenza nella mangiatoia, rovescerà i violenti dai troni se finalmente, finalmente non si convertiranno.

Ecco perché don Tonino Bello (in processo di beatificazione) in occasione di un Natale, all'inizio degli anni novanta, scrisse i suoi famosi “auguri scomodi”, per infastidire un certo modo paganizzante di celebrare il Natale e disturbare la coscienza assopita di una fede senza slancio:

“Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi: “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’idea che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio...”

Amici miei, io non ho il coraggio profetico di don Tonino Bello né tanto meno di Dietrich Bonhoeffer per osare “infastidirvi”, ma vorrei, sì, inviarvi un augurio di un “Buon e santo Natale” davvero - e non come un pro forma o un “si fa per dire”! -, un augurio forte che ci sia di stimolo per vivere e gustare in pienezza questo Natale.

P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ
Castel d'Azzano (Verona) dicembre 2023

Natale del Signore 

IL SIGNIFICATO DEL SACRO NATALE DI GESÙ

Mistero d'amore, grande festa dell'uomo e principio di solidarietà

«Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini»
(Fil.2, 6-7).

Notte: Isaia 9,1-3.5-6; Sal 95/96; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14
Aurora: Isaia 62,11-12; Sal 96/97; Tito 3,4-7; Luca 2,15-20
Giorno: Isaia 52,7-10; Sal 97/98; Ebrei 1,1-6; Gv 1,1-18

Anzitutto bisogna ricordare che il 25 dicembre non è la data storica della nascita di Gesù; ma è stata scelta, da parte della Chiesa, nel tentativo di soppiantare una festa pagana dell'antica Roma in onore del "Sole invitto". In questo periodo dell'anno, le notti lunghissime cominciano ad accorciarsi ed i giorni ad allungarsi. Secondo la mentalità del tempo, è la luce che vince le tenebre, la vita che trionfa sulla morte. E a questo solstizio d’inverno, avvenivano solenni celebrazioni di culto al Sole (divinità). Per allontanare i fedeli da queste feste idolatre, la Chiesa ha visto in questo Sole il Signore Gesù, e ha richiamato i cristiani a considerare la nascita di Cristo, vera luce che illumina ogni uomo (Gv1,9). Con questa nuova prospettiva o impostazione (cf. fine del IV secolo ed inizio del V), dove il Natale di Gesù veniva celebrato il 25 dicembre (Roma, Nord-Africa, Nord-Italia, Spagna) come festa distinta dall'Epifania (denominazione dell'Incarnazione del Verbo in Oriente), celebrata il 6 gennaio, i cristiani hanno colto l'occasione per affermare l'autentica fede nel mistero dell'Incarnazione, contro alcune eresie cristologiche (gnostico, ariana, docetista, manichea o monofisita).

È il Papa S. Leone Magno (440-461) che ha dato a questa solennità il suo vero fondamento teologico. Secondo lui, la celebrazione dell'incarnarsi del Verbo di Dio non appare soltanto come un ricordo del passato, ma va vista al presente; perciò, è una festività «che rinnova per noi il sacro natale di Gesù». Il problema fondamentale e la preoccupazione maggiore, da quel tempo ad oggi, stanno nel sapere non più il "come" (con un moltiplicarsi sempre crescente dei presepi, talvolta stravaganti), ma il "perché" di questo evento, cioè il suo significato nel piano o disegno divino; meglio, il motivo dell'Incarnazione (cf. il Cur Deus homo di S. Anselmo), il "perché Gesù Cristo".

Agostino (354-430) parla del «mirabile scambio» tra la divinità e l'umanità, in Cristo: «Dio si è fatto uomo. affinché l'uomo diventasse Dio» (un mistero di partecipazione reciproca). In altre parole, essendo Figlio di Dio, Gesù è venuto a farsi figlio dell'uomo e a dare a noi, che eravamo figli degli uomini, la possibilità di diventare figli di Dio (cf. «A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio», (Gv 1, 12). La sua incarnazione è, per così dire. una pro-esistenza (una vita per gli altri): si tratta di un vero mistero d'amore. Dunque il presupposto immediato dell'incarnazione del Verbo di Dio non è l'aspetto negativo del peccato del mondo da togliere o da riparare, secondo il principio della "soddisfazione adeguata" di S. Anselmo (cf. L'offesa fatta a Dio essendo quasi infinita, la sua soddisfazione era solo alla portata dell'uomo-Dio Gesù Cristo: e per questo l'Incarnazione era necessaria per la redenzione dell'umanità), come se si trattasse di placare un Dio irato, tenace nel rancore e vendicativo; o il principio di "ragioni di convenienza" (cf. S. Tommaso: Gesù Cristo incarnato era assente, in un primo tempo, nel piano di Dio; vi è entrato dopo, proprio come Salvatore e Redentore, per soddisfare – perché solo lui ne aveva la capacità e la idoneità – alle esigenze di giustizia dovute al peccato), le cui negative conseguenze sono che il mondo è accidentalmente cristiano, perché l'Incarnazione non sarebbe mai avvenuta se l'umanità non avesse dovuto essere salvata dal peccato: è fare di Cristo un secondo fine nel disegno di Dio che comporterebbe due piani successivi e sovrapposti. Questo è indegno di Dio e lo disonora. Anche se l'uomo non avesse peccato, il Verbo di Dio si sarebbe incarnato: «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Cor 1,16). Quindi il presupposto immediato dell'incarnazione del Verbo di Dio è un aspetto più positivo, cioè l’adozione dell'umanità. Non vi si tratta tuttavia di una filiazione "puramente adottiva", semplice finzione giuridica, che porta Dio a guardarci come suoi figli, senza che lo siamo realmente; anzi in Cristo, Dio è diventato veramente nostro Padre. Perciò in questa adozione stessa, l'essenziale non è posto sulla redenzione come tale, benché presentata nel Nuovo Testamento essenzialmente come mistero d'amore, ma sulla divinizzazione.

Dunque Dio si è fatto uomo perché fossimo divinizzati. Più concretamente, la nostra debolezza è stata assunta dal Verbo di Dio, l'uomo mortale è stato innalzato alla dignità perenne per condividere alla fine la vita immortale; Dio, in Cristo, è diventato un parente, un fratello e un amico. Cioè il "Dio degli uomini", già dall'Antico Testamento, diventa in Gesù Cristo il "Dio degli uomini in modo umano" (Schillebeeckx), in una "auto-comunicazione" tanto totalmente immanente quanto possibile e in un'auto-donazione contemporaneamente ricreatrice e riparatrice. Di conseguenza, con l'Incarnazione è iniziato il misterioso processo di unificazione di tutta l'umanità in Cristo {Gaudium et Spes, n° 22), superiore all'unità fondamentale di tutta l'umanità nella creazione. Tutti gli uomini – "di ogni tribù, lingua, popolo e nazione" – sono d'ora in poi fratelli, perché tutti in Gesù Cristo, fatto uomo, appartengono alla stessa famiglia divina, di cui la Chiesa è il "germe" e il "segno" (Redemptoris Missio, n° 17): ne deve dare manifestazione e testimonianza, nel senso che i suoi membri devono essere "strumenti" di traduzione della grazia ricevuta ; cioè la Chiesa deve essere il segno vivente di ciò che celebra, o non può vivere in contraddizione con quello che proclama, e che dà senso alla sua esistenza.

Il mistero dell'Emmanuel (Dio-con-noi) non ci offre dunque soltanto un modello da imitare nell'umiltà e semplicità del Signore che giace nella mangiatoia, ma ci dona anche e soprattutto la grazia di essere simili a lui. Questo dono non incita prima di tutto a organizzare le feste pompose attorno ai bei presepi. È troppo poco! Ma invita anzitutto a prendere coscienza dell'autentica visione dell'UOMO e a celebrare il Natale veramente come la Grande Festa dell'UOMO (ogni uomo). Inoltre, questa grazia del Natale esige, come risposta, una vita di comunione fraterna. Il Natale risulta dunque il principio di solidarietà tra tutti gli uomini, nell'attesa del Regno di Dio nella sua pienezza/perfezione escatologica, con la presenza totale e definitiva di Gesù, dopo il giudizio finale. Infatti, la ricompensa dei giusti (cf. parabola del giudizio finale, Mt 25, 31-46), i "benedetti del Padre", si fonda sulle opere di misericordia e di solidarietà verso il prossimo nel bisogno, per le quali Gesù, il Re-Messia, dichiara di essere (stato) il beneficiario: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40).

Senza voler chiudere il discorso, riconosciamo perentoriamente che nel suo Natale, il Re-Messia, manifestandoci il mistero d'amore del Padre, svela anche pienamente la dignità dell'uomo all'uomo, e gli fa scoprire la sua altissima vocazione: LA SOLIDARIETÀ.

«E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia» (Gv1, 14-16).
Don Joseph Ndoum

Natale missionario:
buona notizia per tutti i popoli

Isaia 9,1-3.5-6; 52,7-10; Salmi 95, 96, 97; Tito 2,11-14; 3.4-7 -- Ebrei 1,1-6;
Luca 2,1-14; 2,15-20 -- Giovanni 1,1-18

Riflessioni
Il Natale, tema familiare a tutti, si può contemplare partendo da angolature ed esperienze diverse, con la certezza che il mistero non si esaurisce, anzi offre ad ognuno - in ogni epoca della vita e della storia - ricchezze inedite, insospettabili, tesori sempre nuovi da scoprire. In questa occasione, preferisco presentare alcune riflessioni sciolte, che ci possono aiutare nella contemplazione del mistero e aprire nuove piste per condividere con altri - vicini o lontani - la gioia della nascita del Figlio di Dio in carne umana. Con questa apertura di orizzonti, la lettura missionaria del Natale sarà più vicina all’avvenimento di Betlemme.

Dio in carne umana: per tutti!

Natale è ‘incarnazione’; significa Dio in carne umana: “E il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Già i primi Padri della Chiesa dicevano: “Caro salutis est cardo”, la carne è cardine-fondamento della salvezza. Siamo in presenza di un fatto storico: la nostra salvezza passa attraverso la carne di Cristo, la sua nascita, passione, morte, risurrezione, ascensione, Eucaristia... È la carne di Dio, la carne di Maria. Non è un’apparenza di carne, come dicevano i primi eretici, i docetisti, ma carne concreta, come la nostra, componente essenziale della persona umana. La salvezza di Dio ci arriva, storicamente, attraverso la carne di Cristo Redentore; ma, allo stesso tempo, passa necessariamente attraverso la nostra carne: carne redenta e carne da redimere. Per capire l’ampiezza e la profondità di questo tema, occorre parlare con termini realisti e crudi della nostra carne in tutte le sue situazioni e tappe: - è la carne forte degli anni giovanili e adulti (lavoro, attività, viaggi...); - è la carne bella (ricerca di bellezza, mode, lussi, vanità...); - è la carne fragile (debole, malata, sofferente, moribonda, morta...); - è la carne destinata alla risurrezione, come diciamo nel Credo. Papa Francesco ci invita a vedere la Chiesa come un “ospedale da campo”, senza stupirci, né vergognarci di “toccare le ferite” di chi è nel bisogno. Senza distinzione di colori: la salvezza di Dio è la stessa per tutti. La liturgia canta in questo tempo: “ogni carne (cioè, ogni essere umano) vedrà la salvezza di Dio”. È questa la bella notizia, la grande gioia annunciata dagli angeli a Betlemme per tutto il popolo e per tutti i popoli (Lc 2,10).

Da Betlemme al Calvario, ieri e oggi

Edith Stein (S. Teresa Benedetta della Croce), ai tempi di Hitler, compose l’opera Il mistero di Natale, dove scrisse: “I misteri del cristianesimo sono un tutto indivisibile. Colui che approfondisce un mistero, finisce per toccare tutti gli altri. Così il cammino che comincia a Betlemme avanza irresistibilmente verso il Calvario, va dal presepe alla croce”. Basta leggere le parole di Simeone a Maria nel tempio, la fuga in Egitto, la strage dei bambini innocenti. Edith Stein consumò il suo olocausto nel 1942 nel lager di Auschwitz. I fatti si ripetono, oggi come ieri: le macabre crudeltà di Isis in vari luoghi; in Nigeria con Boko Haram; nella Rep. Dem. del Congo; nella Repubblica Centroafricana; in Italia con i terribili e continui fattacci di sangue. In altre parti del mondo, continuano il martirio di cristiani e di altri innocenti, le tragedie dei migranti in mare o nel deserto... Ma il Bambino del presepio è il Risorto. Perciò Edith Stein conclude: “Ognuno di noi, l’umanità intera giungerà, assieme al Figlio dell’Uomo, attraverso la sofferenza e la morte, alla stessa gloria”. Anche attraverso la pandemia, perché Gesù è più forte della tempesta.

Il primo sguardo negli occhi – Contemplazione del Bambino

Giotto, pittore fiorentino nel Medioevo, creatore della pittura moderna, ha pitturato in un affresco la nascita di Gesù a Betlemme, che si trova nella Cappella degli Scrovegni a Padova. L’affresco mette in evidenza il momento del primo sguardo: Maria e il Bambino si guardano negli occhi. Si guardano per la prima volta. Sorpresa, stupore, commozione, gratitudine, gioia! Maria scopre sul volto del Bambino il suo stesso volto, perché Gesù è solamente suo. Il Bambino si riflette sul volto della Madre. In quegli occhi che si incrociano e si contemplano reciprocamente, si scopre il nuovo sguardo di Dio sull’uomo, e il nuovo sguardo dell’uomo su Dio e sui fratelli e le sorelle. Sguardo di misericordia, accoglienza, fiducia. Da quel momento, le relazioni con Dio, tra gli esseri umani e con il creato, si scoprono beneficamente contagiate da questo intreccio di sguardi, che segna il nuovo stile di rapporti, basato sulla fraternità, il rispetto, la misericordia.

Parole di Papa Francesco

Dio è solidale con l’uomo
«Con la nascita di Gesù è nata una promessa nuova, è nato un mondo nuovo, ma anche un mondo che può essere sempre rinnovato. Dio è sempre presente a suscitare uomini nuovi, a purificare il mondo dal peccato che lo invecchia, dal peccato che lo corrompe. Per quanto la storia umana e quella personale di ciascuno di noi possa essere segnata dalle difficoltà e dalle debolezze, la fede nell’Incarnazione ci dice che Dio è solidale con l’uomo e con la sua storia. Questa prossimità di Dio all’uomo, ad ogni uomo, ad ognuno di noi, è un dono che non tramonta mai! Lui è con noi! Lui è Dio con noi! Ecco il lieto annuncio del Natale: la luce divina, che inondò i cuori della Vergine Maria e di san Giuseppe, e guidò i passi dei pastori e dei magi, brilla anche oggi per noi». (Angelus, domenica 5 gennaio 2014).

San Giuseppe, padre nella tenerezza
«Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr. Os 11,3-4). Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: “Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono” (Sal 103,13). Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza, che è buono verso tutti e “la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Sal 145,9)». (Lettera apostolica Patris corde, 8-12-2020, n. 2).

Il presepe e la trasmissione della fede
«Il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita». (Lettera apostolica Admirabile signum, sul significato e il valore del Presepe, 1-12-2019).

Anziché lamentarci, facciamo qualcosa per chi ha di meno
«In questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso a cui nessuno pensa! E un altro consiglio: perché Gesù nasca in noi, prepariamo il cuore: andiamo a pregare. Non lasciamoci “portare avanti” dal consumismo: “devo comprare i regali, devo fare questo e quello…”. L’importante è Gesù; il consumismo, fratelli e sorelle, ci ha sequestrato il Natale. Il consumismo non è nella mangiatoia di Betlemme: lì c’è la realtà, la povertà, l’amore. Prepariamo il cuore come ha fatto Maria: libero dal male, accogliente, pronto a ospitare Dio». (Angelus 20 dicembre 2020).

Buon Natale e auguri belli per l’anno 2024!

P. Romeo Ballan, MCCJ